Con il secondo numero del 2021 Gnosis inaugura la serie di tre volumi dedicati alla Geopolitica, curati da Edoardo Boria e Matteo Marconi, che ne hanno tracciato l’architettura e guidato le poliedriche riflessioni, tessendo una trama di senso che del tema copre l’ampio orizzonte, offrendo piste interpretative originali e attuali e valorizzando – ben oltre l’approccio esegetico – spunti utili a comprendere “un mondo allo stesso tempo globale e finito” che politicizza inevitabilmente “lo spazio equiparabile a un’arena di lotta”. Nel complesso è un compendio ragionato per studiosi della materia e per gli operatori dell’intelligence che degli scenari geopolitici colgono le risacche del passato e le lampare del futuro.
Dopo l’ormai atteso appuntamento con il Punto di vista di Sergio Romano sulla complessa situazione mediorientale – acuitasi per le irrisolte cause politico-sociali dell’area e per le interdipendenze con nuovi assetti delle grandi potenze – Edoardo Boria anticipa la cornice dei lavori, suggerendo sia ipotesi di sistematizzazione dei fondamenti concettuali e metodologici sia nuove sensibilità verso la prospettiva transcalare dell’analisi, mirando ai temi dello spazio, delle relazioni tra gli attori, della conflittualità quale epifania di processi modificativi da intelligere. Gli fa eco Matteo Marconi che approfondisce l’importanza del “molteplice” e della ricerca multidisciplinare a base spaziale per un’aggiornata soggettività politica dove s’incrocino pensiero e azione, soggettività dell’agens e oggettività del contesto.
È un coro a più voci lo scavo degli autori tra le preziose vene aurifere della dottrina ed è un gemmare di tesi che annodano debiti ed evocazioni reciproche, in cui giganteggiano H.J. Mackinder, il cui Heartland molti rinvengono, in trasparenza, in Kennan e Brzezinski (Daniele Scalea), I. Bowman, che, rileggendo Ratzel, pone la geografia alla base della politica estera e dall’esperienza di Versailles trae l’ispirazione della Chatham House (Or Rosenboim), N.J. Spykman, il cui realismo politico nordamericano valorizza i fattori “ideazionali” e gli aspetti specificatamente spaziali e geografici nel quadro di una dinamica “foreign policy analysis” che colga la geostruttura del mondo (Corrado Stefanachi).
Il dibattito si arricchisce con l’intervento di Matteo Vegetti che nell’attacco giapponese a Pearl Harbor coglie il segno dell’Air Age, con il tramonto dell’isolazionismo americano e delle Dottrine Monroe e Mackinder; di Alessandro Colombo che analizza il contributo di Raymond Aron alla Geopolitica, scandagliando le ombre e le luci della dimensione ideologica e spaziale del suo pensiero quale cifra interpretativa della decolonizzazione e della mondializzazione degli scenari del potere. Da Kennan a Brzezinski; Dario Fabbri declina le opportunità e i limiti della tattica del “contenimento” che si afferma quale privilegiato strumento nel confronto prima con l’Unione Sovietica durante la Guerra fredda e poi con la Cina nel mutato scenario multipolare. Proprio Brzezinski sembra aver caratterizzato il dibattito politico strategico statunitense e internazionale degli ultimi decenni e Raffaele Umana ne traccia le contraddizioni ma anche la lucidità di analisi, anche prospettica, per identificare le sfide interne ed esterne della superpotenza globale nel periodo post bipolare. Sul neoconservatorismo statunitense e sugli effetti differenziati a livello globale s’interrogano Germano Dottori – soprattutto dopo l’11 settembre 2001 che aumentò lo iato tra le vocazioni diverse all’intervento ingerente e alla limitazione dell’esercizio di potere – e Giuseppe Casale, che coglie l’occasione per sciogliere i dubbi ermeneutici e le ambiguità analitiche sul pensiero del composito politologo Fukuyama e soprattutto sulla fine della storia che finita non è. Infine, uno spazio specifico è dedicato alle nuove provocazioni dottrinali, con gli articoli di Paolo Sellari, sulla Connectography di Parag Khanna che individua gli effetti delle spinte tecnocratiche e del potere di nuovi attori territoriali; di Manlio Graziano, sull’attualità degli interrogativi di Paul Kennedy sulla sovraestensione americana e sul declino degli Usa, in un quadro, oggi, ancor più fluido e mutevole; di Sergio Pinna, sul necessario rapporto tra il mondo della politica e quello della scienza per sciogliere i nodi stretti del cambiamento climatico i cui contorni meriterebbero di essere meglio definiti.
La parte conclusiva è dedicata all’universo artistico e storico variamente attinente all’intelligence. Gian Piero Brunetta omaggia affascinato l’originale creatività artistica di Renato Casaro, che nel suo tratto ha colto ed esaltato la potenza narrativa e iconografica dell’illustrazione come aedo delle mitologie fondative e identitarie di tutta la storia del cinema. Paolo Bertinetti resuscita dall’oblio Erskine Childers, che fu autore di spy story nei primi del Novecento e intuì i rischi germanici per il Regno Unito, pagando con la vita la sua tardiva adesione alla causa indipendentista irlandese. In chiusura, Melanton con il suo Perfetto Agente Segreto conferma il passo rapido nello humour, che dell’intelligence e del segreto è la sverza possibile di chiarore divertito.
La Redazione condivide il cordoglio per la scomparsa di Michele Elia, professore emerito del Politecnico di Torino e autore di qualificati interventi sulla crittografia, le cui doti umane e la competenza scientifica hanno saputo fondersi in una rara perizia divulgativa grazie alla passione coinvolgente di una vita.