recensioni e segnalazioni 1/2019
Antonio Socci
Il segreto di Benedetto XVI
Perché è ancora Papa Rizzoli, 2018 pp. 219 - euro 17,00 di Claudio Ciani
Perché è ancora Papa Rizzoli, 2018 pp. 219 - euro 17,00 di Claudio Ciani
Mysterium Fidei e Mysterium Iniquitatis (2Ts, 2, 1-17) sono i due ‘binari’ sui quali viaggia l’ultimo volume di Antonio Socci dedicato all’analisi delle situazioni ‘critiche’ che possono aiutare a comprendere, secondo l’autore, perché Benedetto XVI è ancora papa (come esplicita il sottotitolo). Il testo paolino della Seconda lettera ai Tessalonicesi richiamato in questa apertura, già oggetto di acute disamine del cattolico Carl Shmitt e del rabbino Jacob Taubes, può fornire una, seppur non esplicita, chiave di lettura che consente di sovrapporre tra loro i pur diversi fatti e intuizioni dell’unico filo conduttore che l’autore intravede: fino al momento della ‘rivelazione’ (apocalisse) finale, il mistero dell’empietà è in atto ed è da questa attività che deriva l’apostasia. Un refrain che ritorna più volte nel testo, con la citazione dell’articolo 675 del Catechismo della Chiesa cattolica. Per coloro che desideravano e desiderano spezzare l’unità ortodossa, l’apertura di Benedetto XVI alla Russia non è stata interpretata come un mero afflato ‘spirituale’ tra fedi accomunate dalla medesima origine e Socci fa propria l’analisi di Germano Dottori secondo il quale la ‘rinuncia’ di Benedetto XVI va letta all’interno di un rinovellato contesto geopolitico russofobico che vede da anni impegnato il cosiddetto Deep State americano (o una parte rilevante) nell’opera di demolizione dell’azione politica di Putin. Non si può escludere, da questo punto di vista, che la volontà di un vero riavvicinamento voluto da Benedetto XVI con la Chiesa ortodossa sia nata giungendo alle stesse conclusioni alle quali era pervenuto nel 1923 Carl Schmitt (le cui opere Ratzinger conosceva), il quale scriveva: «Io so che nell’odio russo contro la cultura occidentale può esserci più cristianesimo che non nel liberalismo e nel marxismo tedesco, che grandi cattolici hanno considerato il liberalismo un nemico peggiore dell’aperto ateismo socialista e che, infine, nell’assenza di forma potrebbe forse esserci la forza potenziale capace di una nuova forma, capace cioè di dar forma anche all’epoca tecnico-economica» (Cattolicesimo romano e forma politica, il Mulino, Bologna 2010, p. 78).
Appare non del tutto inverosimile sostenere che quelle ‘forze’ e quei ‘poteri’, in linea con l’Agenda 21 scaturita nel 1992 dalla Conferenza Onu su ambiente e sviluppo di Rio de Janeiro, che hanno ‘liberamente’ condotto Benedetto XVI a rinunciare al pontificato, abbiano fatto leva, in funzione anti-conciliativa, sull’inveterato antisemitismo russo (più propriamente giudeofobia), tipica di una certa tradizione slavo-ortodossa. Probabile che anche nella Chiesa ortodossa russa gli strateghi di Washington attendano con favore l’arrivo di un ‘patriarca Bergoglio’ per gli ortodossi. Sono invece riusciti a creare il nuovo Patriarcato di Kiev, che da quello di Mosca si è staccato. Si può solo indovinare a chi possa giovare uno scisma nella Chiesa ortodossa russa e quali siano i circoli Usa che hanno sponsorizzato il patriarca ribelle ucraino Filarete e il patriarca Bartolomeo I, e sarà interessante capire come papa Francesco intenda collocarsi nell’ambito di questa vicenda geopolitica. Sul lato ‘tecnico’, in relazione agli eventi che precedono la ‘rinuncia’ di Benedetto XVI (11 febbraio 2013), Socci ricorda un fatto incontrovertibile: lo Stato della Città del Vaticano dal 1° gennaio al 12 febbraio 2013 (giorno successivo alla ‘rinuncia’) venne tagliato fuori dal sistema Swift, rete telematica internazionale di comunicazione tra gli istituti associati gestita da una società di diritto belga con sede a Bruxelles: venne rescisso il contratto di servizio che lo Ior, il quale non è una vera banca centrale vaticana, aveva con Deutsche Bank Italia, lo stesso soggetto, come ha osservato Dottori, che nel giugno del 2011 aveva avviato l’attacco mondiale contro il debito sovrano della Repubblica italiana. Il primo azionista di Deutsche Bank era all’epoca il fondo Usa BlackRock, alla cui testa si trovava un registered Democrat prossimo ai Clinton. Probabilmente si è dovuto agire attraverso gli organi direttivi dell’UE e le autorità del Belgio che hanno dato l’ordine finale per il blocco. Una dettagliata inchiesta del «Financial Times» rivelò come le frettolose riforme dello Ior, propagandate come operato esclusivo di papa Francesco, fossero state caldeggiate anni prima proprio da grandi nomi della finanza internazionale. Accadde, dunque, che l’economia vaticana non poteva più pagare le nunziature, far giungere mezzi alle missioni, che nessuna transazione finanziaria internazionale poteva più essere condotta dalla Santa Sede, per il tramite dello Stato della Città del Vaticano, se non in contanti e in clandestinità. Nella seconda parte del volume l’autore compie un’analisi degli aspetti canonistici, giuridici e filosofici che in questi sei anni sono stati evidenziati, e che portano a ritenere che «Benedetto XVI non aveva l’intenzione di abbandonare il papato e non ha revocato ‘l’accettazione’ di esso fatta nell’aprile 2005 (considerandola addirittura ‘irrevocabile’), dunque – a rigor di logica – è ancora papa» (p. 121). A parte due grossolani errori di latino presenti nel testo di ‘rinuncia’ notati da Luciano Canfora, sembrano importanti le considerazioni del segretario di Ratzinger, l’arcivescovo Georg Gänswein, in occasione della presentazione di un volume alla Pontificia Università Gregoriana; in quella circostanza egli affermò che «non vi sono dunque due papi, ma de facto un ministero allargato – con un membro attivo e un membro contemplativo». Ci si può allora domandare se con l’elezione di Bergoglio (13 marzo 2013) – giorno in cui il Martirologio Romano festeggia il beato Pietro II (un nuovo ciclo?), come ricorda Saverio Gaeta – la promessa fatta a Pietro sia ancora mantenuta, la linea apostolica non sia interrotta e i sacramenti impartiti restino validi. Con la terza parte, intitolata Fatima e l’ultimo papa, l’autore attualizza il messaggio del terzo segreto, quella «missione profetica» di Fatima che il 13 maggio 2010 Ratzinger annunciò non essersi conclusa. Ma il «vescovo vestito di bianco» – ed è stato Bergoglio a Fatima, il 12 maggio 2017, a definirsi tale – a nostro avviso coincide con il «Santo Padre», non sono due figure distinte, come invece afferma Socci (p. 181), ma la stessa persona che con «passo vacillante [come è l’andamento claudicante di Papa Francesco?], ... venne ucciso da un gruppo di soldati che gli spararono vari colpi di arma da fuoco e frecce» (come non associare le molte minacce alla sicurezza del Vaticano e all’incolumità di Bergoglio da parte dei sedicenti jihadisti dell’Isis?). Benedetto XVI si è già sacrificato per tutti noi, egli è stato un eroe, e il suo «sacrificio» incruento «dal 2013 ha rallentato o fermato il conto alla rovescia» (p. 180) in funzione catecontica (concetto biblico legato all'idea di dilazione) ciò che rinvia al mistero ulteriore del «segno di contraddizione» celato cui sembra alludere Cacciari: «Il katechon non può che partecipare intimamente al principio che intende frenare, ritardare, se non arrestare. è impossibile non tenere in sé ciò che si vuole contenere. Qualsiasi potenza catecontica deve costituirsi all’interno della dimensione, cosmica addirittura, del principio dell’anomia destinata a trionfare» (Il potere che frena, Adelphi, Milano 2013, p. 61).
Appare non del tutto inverosimile sostenere che quelle ‘forze’ e quei ‘poteri’, in linea con l’Agenda 21 scaturita nel 1992 dalla Conferenza Onu su ambiente e sviluppo di Rio de Janeiro, che hanno ‘liberamente’ condotto Benedetto XVI a rinunciare al pontificato, abbiano fatto leva, in funzione anti-conciliativa, sull’inveterato antisemitismo russo (più propriamente giudeofobia), tipica di una certa tradizione slavo-ortodossa. Probabile che anche nella Chiesa ortodossa russa gli strateghi di Washington attendano con favore l’arrivo di un ‘patriarca Bergoglio’ per gli ortodossi. Sono invece riusciti a creare il nuovo Patriarcato di Kiev, che da quello di Mosca si è staccato. Si può solo indovinare a chi possa giovare uno scisma nella Chiesa ortodossa russa e quali siano i circoli Usa che hanno sponsorizzato il patriarca ribelle ucraino Filarete e il patriarca Bartolomeo I, e sarà interessante capire come papa Francesco intenda collocarsi nell’ambito di questa vicenda geopolitica. Sul lato ‘tecnico’, in relazione agli eventi che precedono la ‘rinuncia’ di Benedetto XVI (11 febbraio 2013), Socci ricorda un fatto incontrovertibile: lo Stato della Città del Vaticano dal 1° gennaio al 12 febbraio 2013 (giorno successivo alla ‘rinuncia’) venne tagliato fuori dal sistema Swift, rete telematica internazionale di comunicazione tra gli istituti associati gestita da una società di diritto belga con sede a Bruxelles: venne rescisso il contratto di servizio che lo Ior, il quale non è una vera banca centrale vaticana, aveva con Deutsche Bank Italia, lo stesso soggetto, come ha osservato Dottori, che nel giugno del 2011 aveva avviato l’attacco mondiale contro il debito sovrano della Repubblica italiana. Il primo azionista di Deutsche Bank era all’epoca il fondo Usa BlackRock, alla cui testa si trovava un registered Democrat prossimo ai Clinton. Probabilmente si è dovuto agire attraverso gli organi direttivi dell’UE e le autorità del Belgio che hanno dato l’ordine finale per il blocco. Una dettagliata inchiesta del «Financial Times» rivelò come le frettolose riforme dello Ior, propagandate come operato esclusivo di papa Francesco, fossero state caldeggiate anni prima proprio da grandi nomi della finanza internazionale. Accadde, dunque, che l’economia vaticana non poteva più pagare le nunziature, far giungere mezzi alle missioni, che nessuna transazione finanziaria internazionale poteva più essere condotta dalla Santa Sede, per il tramite dello Stato della Città del Vaticano, se non in contanti e in clandestinità. Nella seconda parte del volume l’autore compie un’analisi degli aspetti canonistici, giuridici e filosofici che in questi sei anni sono stati evidenziati, e che portano a ritenere che «Benedetto XVI non aveva l’intenzione di abbandonare il papato e non ha revocato ‘l’accettazione’ di esso fatta nell’aprile 2005 (considerandola addirittura ‘irrevocabile’), dunque – a rigor di logica – è ancora papa» (p. 121). A parte due grossolani errori di latino presenti nel testo di ‘rinuncia’ notati da Luciano Canfora, sembrano importanti le considerazioni del segretario di Ratzinger, l’arcivescovo Georg Gänswein, in occasione della presentazione di un volume alla Pontificia Università Gregoriana; in quella circostanza egli affermò che «non vi sono dunque due papi, ma de facto un ministero allargato – con un membro attivo e un membro contemplativo». Ci si può allora domandare se con l’elezione di Bergoglio (13 marzo 2013) – giorno in cui il Martirologio Romano festeggia il beato Pietro II (un nuovo ciclo?), come ricorda Saverio Gaeta – la promessa fatta a Pietro sia ancora mantenuta, la linea apostolica non sia interrotta e i sacramenti impartiti restino validi. Con la terza parte, intitolata Fatima e l’ultimo papa, l’autore attualizza il messaggio del terzo segreto, quella «missione profetica» di Fatima che il 13 maggio 2010 Ratzinger annunciò non essersi conclusa. Ma il «vescovo vestito di bianco» – ed è stato Bergoglio a Fatima, il 12 maggio 2017, a definirsi tale – a nostro avviso coincide con il «Santo Padre», non sono due figure distinte, come invece afferma Socci (p. 181), ma la stessa persona che con «passo vacillante [come è l’andamento claudicante di Papa Francesco?], ... venne ucciso da un gruppo di soldati che gli spararono vari colpi di arma da fuoco e frecce» (come non associare le molte minacce alla sicurezza del Vaticano e all’incolumità di Bergoglio da parte dei sedicenti jihadisti dell’Isis?). Benedetto XVI si è già sacrificato per tutti noi, egli è stato un eroe, e il suo «sacrificio» incruento «dal 2013 ha rallentato o fermato il conto alla rovescia» (p. 180) in funzione catecontica (concetto biblico legato all'idea di dilazione) ciò che rinvia al mistero ulteriore del «segno di contraddizione» celato cui sembra alludere Cacciari: «Il katechon non può che partecipare intimamente al principio che intende frenare, ritardare, se non arrestare. è impossibile non tenere in sé ciò che si vuole contenere. Qualsiasi potenza catecontica deve costituirsi all’interno della dimensione, cosmica addirittura, del principio dell’anomia destinata a trionfare» (Il potere che frena, Adelphi, Milano 2013, p. 61).
Nico Perrone
Il processo all'agente segreto di Cavour
L’ammiraglio Persano e la disfatta di Lissa Rubbettino, 2018 pp. 172 - euro 13,00 di Paolo Messa
L’ammiraglio Persano e la disfatta di Lissa Rubbettino, 2018 pp. 172 - euro 13,00 di Paolo Messa
Quanti segreti ha la storia d’Italia e quanti, donne e uomini, hanno lavorato segretamente nell’interesse dello Stato? La storiografia non sempre riesce a cogliere, e a valorizzare, il ruolo di chi – pur agendo con riservatezza e dietro il grande palcoscenico pubblico – concorre a creare le condizioni perché i fatti storici narrati avvengano. In questo senso, il lavoro di Nico Perrone appare particolarmente meritevole di lettura e di apprezzamento. Al centro del saggio è un particolare agente segreto, la cui opera non è stata marginale nel disegno dell’Unità d’Italia promosso da Cavour. L’allora presidente del Consiglio e ministro della Marina ad interim aveva piena consapevolezza che gli apparati militari rivestivano un’importanza primaria e che l’adeguamento di quelli del piccolo Regno di Sardegna risultava il problema più arduo. Lo statista intravide nell’organizzazione di nuclei investigativi sparsi per la Penisola una componente fondamentale e imprescindibile per uno stato in procinto di candidarsi nel novero delle potenze dell’epoca. Qui, in questo contesto, si inserisce Carlo Pellion, conte di Persano (1806-1883), che nelle cronache ‘ufficiali’ è ricordato come protagonista di una carriera da ufficiale della Marina del Regno di Sardegna «senza grandi fatti d’arme ma generosa di riconoscimenti dall’alto». Nella realtà, l’Ammiraglio venne selezionato da Cavour per una complessa attività di organizzazione e coordinamento dell’intelligence associata al suo disegno politico-istituzionale. In più operazioni dimostrò prova d’intuito, capacità di gestire uomini e situazioni delicatissime (come finanziare la conquista del Mezzogiorno e ‘comprare’ gli Alti comandi borbonici), nonché fedeltà e onestà assoluta. Il tutto sotto adeguate coperture che il ‘pantocratore’ Cavour organizzava e orchestrava tempestivamente (anche tramite telegrafo), lasciando autonomia operativa a un uomo che gli riferiva con puntualità e capacità critiche. Persano gestì cordialmente i rapporti con Garibaldi, pur dovendo intanto contenerne il ruolo di ‘maître assoluto’ durante la conquista del Regno delle Due Sicilie. Importante, inoltre, il coinvolgimento di terzi fidati (di cui Persano si servì, ad esempio, per l’ingresso segreto di armi e risorse economiche destinate ai ribelli a Napoli) e il parallelo monitoraggio di altre aree d’interesse (sempre nel caso di Napoli, pattugliò il golfo in previsione di un’azione militare della quale poi non vi fu bisogno). Persano fu esecutore materiale di un progetto che era nella conoscenza esclusiva del solo Cavour. Si tratta di fatti di spionaggio, intrighi, commercio di traditori che, per loro natura, erano difficilmente tracciabili e, pertanto, difficilmente ricostruibili. Con la fine di Cavour, il lavoro svolto da Persano rimase nella dimensione della segretezza. I riconoscimenti che ebbe furono ben presto seguiti da accuse e rivincite da parte di chi, non conoscendone il ruolo effettivo, lo riteneva beneficiario di rapporti clientelari. Con la disfatta della battaglia navale di Lissa, Persano – che era in quel momento comandante in capo della flotta italiana – rischiò l’incriminazione per alto tradimento e la pena capitale. L’Alta corte di giustizia lo riconobbe colpevole e lo condannò con le dimissioni, la perdita del grado e della pensione. Morirà quasi indigente, non avendo mai approfittato del denaro che aveva gestito per conto di Cavour. La sua vicenda sarebbe rimasta nell’oscurità se l’autore non avesse ricostruito i fatti attraverso uno scrupoloso lavoro storiografico. Non è quindi sbagliato affermare che l’Unità d’Italia si è realizzata anche grazie al contributo ‘segreto’ di persone come Persano che, per aver svolto con lealtà e onestà il proprio servizio, non hanno avuto i riflettori della gloria, anzi. Un libro, una storia che dice molto di quello che (ancora) non conosciamo e dei tanti grazie che non abbiamo saputo dire a chi li meritava.
Cosmo Colavito – Filippo Cappellano
La grande guerra segreta sul fronte italiano (1915-1918)
La Communication Intelligence per il Servizio Informazioni
Ufficio Storico dello Stato Maggiore della Difesa, 2018 pp. 500 - euro 39,90
di Cingoli
La Communication Intelligence per il Servizio Informazioni
Ufficio Storico dello Stato Maggiore della Difesa, 2018 pp. 500 - euro 39,90
di Cingoli
La storia del Servizio Informazioni dell’Esercito (Sie) durante la Grande Guerra è ancora oggetto di dibattiti concernenti, tra l’altro: il ruolo svolto nelle maggiori fasi del conflitto; la nuova modalità di raccolta informativa mediante l’intercettazione e interpretazione delle trasmissioni nemiche e delle attività tese a proteggere le proprie; il contributo della Comint. Che validità, inoltre, può attribuirsi al severo giudizio della Commissione d’inchiesta su Caporetto la quale denunciò «lo stato di terribile inferiorità del nostro giuoco militare e diplomatico» dovuto ai «perfezionamenti raggiunti dal nemico nel proprio Servizio Informazioni», in particolare per lo «sviluppo assunto dalla intercettazione radiotelegrafica sussidiata da un meraviglioso servizio criptografico?». Il deciso miglioramento delle prestazioni crittografiche e crittoanalitiche registrato nell’ultimo anno di guerra va forse attribuito alla collaborazione con francesi e inglesi, giunti dopo Caporetto? Dedicato alla memoria del generale Michele Colavito – indimenticato carabiniere paracadutista – il frutto della meticolosa ricerca degli autori consente di precisare strutture e performance dell’intero settore informativo della Forza armata e di approfondire aspetti connessi con le informazioni collezionate attraverso quelle nuove tecniche. Molteplici documenti, in parte inediti, concorrono a rappresentare la contesa sostenuta dal Sie nel settore Comint e a fornire nuove testimonianze sull’opera di Luigi Sacco e del suo Reparto crittologico che, alla fine del conflitto, raggiunse livelli almeno pari a quelli di più blasonati avversari e alleati.
(Dalla quarta di copertina)
(Dalla quarta di copertina)
Julio Ignacio González Montañés
Titivillus
Il demone dei refusi Graphe.it, 2018 pp. 68 - euro 6,00
di Gerry
Il demone dei refusi Graphe.it, 2018 pp. 68 - euro 6,00
di Gerry
Il diavolo, si sa, mette lo zampino pure sui libri. Con sulfurea, implacabile precisione, Fragmina verborum, Titivillus colligit horum. Sicque die, mille vicibus se sarcinat ille (Titivillus raccoglie i frammenti delle parole omessi nella Liturgia delle Ore). E così, mille volte al giorno, riempie il suo sacco. Ce ne racconta la storia questo gustoso, erudito pamphlet. È il viaggio alla scoperta del maligno che distrae monaci e copiatori sul finire del secolo XII, quando nell’omiletica compare un diavolo la cui funzione è quella di annotare su una pergamena le sillabe e le parole omesse dai chierici durante la messa e nel canto liturgico, per poi presentarle a Dio come prova incriminante nei loro confronti nel giorno del giudizio. Ben presto però Titivillus si allarga e pesca nella creta narrativa di ogni refuso utile, avendo cura di annotare le parole inutili (ociosa verba et valiloquia) dei fedeli in chiesa, e soprattutto delle donne. E se è sempre meglio il diavolo che si conosce, in realtà l’etimologia di Titivillus è incerta: potrebbe provenire dal latino e voler dire inezia («minuzzaria» avrebbe detto il Nolano) oppure dal verbo sassone tutil che significa suonare il corno. Più spesso indica il demonio cavilloso con rotoli di pergamena che i suoi accoliti collocano nel piatto dei peccati. San Michele, quando avesse pesato le anime di quegli scribi negligenti, li avrebbe posti tra gli iniqui. Altre volte, grazie all’aiuto di collaboratori, l’angelo cornuto ruba l’attrezzatura necessaria alla scrittura o fa cadere l’inchiostro. Da qui a diventare ‘il patrono degli stampatori’ il passo è breve.
Andrea Frediani
La spia dei Borgia
Newton Compton, 2018
pp. 384 - euro 10,00
di Jordanus
di Jordanus
Movimenti d’ombra sotto la Croce di Sant’Andrea. Papa Alessandro VI Borgia sta perfezionando i suoi progetti per il controllo dell’Italia, quando un atroce delitto lo priva degli affetti più cari e ne sconvolge i piani. Tutta Roma viene mobilitata per scoprire l’autore del crimine, ma in prima linea nelle indagini c’è il pittore di corte, Bernardino di Betto, detto il Pinturicchio. L’elenco dei nemici dei Borgia è così lungo che la lista dei sospettati si alimenta di giorno in giorno. E mentre tutti cercano un uomo mascherato che potrebbe essere testimone dell’accaduto, una donna deturpata si aggira sui sanpietrini in cerca di vendetta. Bernardino torna in Vaticano dopo aver girovagato senza meta per le vie oscure dell’Urbe. Ha criticato il Perugino ma finché Lucrezia sarà certa del suo silenzio, probabilmente lo lascerà in pace. O forse no. «Allora, Pinturicchio?». Bernardino depone il pigmento sulle tavole del trabattello. «Ebbene Eminenza, speravo di darvi notizie dell’uomo mascherato, in verità...», dice, evitando lo sguardo attento del cardinale. «Lo avete incontrato?». «Aveva provato a contattarmi di nuovo – risponde – ma quando ha visto passare delle guardie svizzere che pattugliavano la città, si è dileguato». Il cardinale riflette: «Quindi è ancora vivo... Avete fatto bene a dirmelo... Dev’essere lui la chiave di tutto. Tenetemi informato. Anch’io ho una pista da seguire...», conclude. Riprende a lavorare. Diluisce il pigmento giallo nell’acqua trasformando un uomo in una donna. Quando il papa se ne accorgerà, deciderà lui cosa fare della propria famiglia. Ma lui sarà al sicuro. Lontano dalla vendetta dei Borgia, che morde la carne.