recensioni e segnalazioni 4/2018
Manlio Graziano
L’isola al centro del mondo
il Mulino
pp. 385 - euro 19,00
di Alessandro La Ciura
Con questo libro, l’autore ci accompagna nel viaggio ardito tra le fondamenta dell’eccezionalismo americano, le origini multietniche, il confronto delle grandi potenze dietro il sipario dell’avventurismo affamato dei coloni, il mito primigenio alla base della costruzione di un’identità che pendola tra le categorie di «frontiere» e «d’insularità» che sono il caposaldo delle contraddizioni d’oltreoceano. In tal senso appare suggestiva la rilettura del Lebensraum, quello spazio vitale che corrisponde al bio-geografico istinto di sopravvivenza e di conseguente espansionismo ‘preventivo’, i cui retaggi primari sono intravisti proprio in America: così come la dottrina Monroe è svestita dalla curialità tradizionale e viene misurata tanto con riferimenti ultronei e chiarificatori dell’autore (James Monroe) quanto con l’uso indifferenziato che la politica statunitense ne ha fatto nel tempo, in modo opportunista. Il merito di Graziano è di tracciare una mappa del suo discorso che segue la genesi, l’evoluzione e il declino della grande Potenza. Semina i germi di valutazioni culturali generali che sostengono poi l’idea di come uno spazio colonizzato si emancipi dal suo archetipo, sfrutti la ricchezza naturale e demografica, la pulsione valoriale per creare l’«America first».
Il testo ha un andamento diacronico, con inserti sincronici di approfondimento e contestualizzazione di alto valore storico-dottrinario. La nascita dell’America è il prodotto di situazioni geopolitiche contingenti e l’esito di conflittualità tra le potenze dell’epoca, da cui la rivoluzione autoctona ha tratto linfa e sogni. La grande dimensione, la ricchezza di risorse e l’approccio a una progressiva sofisticazione delle tecniche del loro sfruttamento nonché il fattore umano come leva essenziale di strutturazione in chiave politico-identitaria, hanno favorito l’evoluzione di un soft power idoneo a valorizzare e utilizzare al meglio l’hard power. Elementi costitutivi che fondano il ‘successo’ statunitense e fanno parte da quell’epoca del Dna statunitense e consentono l’evoluzione progressiva del capitale sociale secondo un modello assolutamente ‘unico’. Proprio la tipicità della storia americana è ben sottolineata, sull’onda della recente analisi di Gordon Wood: «La fluidità e l’elusività dell’identità americana sono inusuali perché è l’esperienza storica degli Stati Uniti a essere non solo inusuale, ma unica». La maturazione della potenza americana è, quindi, il frutto di un seme lontano da cui fiorisce l’affermazione nello scenario mondiale, capitalizzando i rapporti con Londra e, al tempo stesso, emancipandosene progressivamente sino all’acme, dopo la Seconda guerra mondiale. L’autore condivide alcune piste interpretative che suggeriscono nuove ipotesi sia sul «destino manifesto» degli Stati Uniti – che sarebbe quello di rappresentare un modello ideale e morale per il resto dell’umanità – primordio della vocazione illuminata al controllo di spazi progressivamente più ampi sino alla globalità, sia le citate concezioni di Lebensraum e della dottrina Monroe. In una prospettiva critica e ricca di rimandi e approfondimenti, Graziano conserva la linearità del suo discorso pur concedendosi il gusto tutto circolare di sottili collegamenti. La sua visione è sempre comparata e compone un mosaico in cui ogni parte sembra offrire nuove spiegazioni possibili di quella precedente. L’ultima parte entra nella complessità moderna e pretende l’acutezza di un’inedita capacità previsionale. Il cambiamento attuale degli scenari e il riposizionamento degli attori globali presupporrebbe un declino degli Stati Uniti di cui l’autore coglie subito la parzialità e la relatività. Si tratta di «declino relativo», infatti, che – tenendo conto della discontinuità rispetto al passato – deve anche valorizzare la resilienza della sua crescita, della capacità produttiva e della dinamicità del capitale sociale, anche dopo la violenta e destabilizzante crisi economico-finanziaria. L’ormai consolidato shift power, dalla quantità alla qualità, ha consentito di acquisire un assoluto primato economico che si traduce in potere internazionale tanto nei mercati quanto nelle relazioni internazionali: tale assetto potrà rimodularsi ma mai piegarsi, rebus sic stantibus. In tale contesto fluido, merita una considerazione a parte l’erosivo rischio terroristico. Di particolare interesse la lettura di come l’attentato dell’11 settembre, ben al di là del feroce danno in termini di vittime e di distruzione, abbia intaccato il senso di inviolabilità del suolo americano, con dirompenti effetti psico-sociali. Infine, il testo s’interroga sulle ultime governance americane, sulle loro scelte e sull’impatto che hanno avuto e avranno sul nuovo ordine mondiale. Lo fa cercando di intuire i driver prossimi venturi, valorizzando la finezza dei molto citati Paul Kennedy ed Henry Kissinger, dedicando la giusta attenzione alla formazione e alla scelta della leadership come epifania di più profonde e complesse dinamiche socio-politiche. Così organizzato, L’Isola diviene un compagno di viaggio esperto e qualificato nei meandri geopolitici dell’America che rimarrà una cartina di tornasole di come girerà il mondo negli anni a venire, di come si ricombineranno le tessere geopolitiche che si stratificano nei secoli e di quali saranno le opportunità e le sfide del nuovo vecchio mondo (e l’ossimoro ci sta tutto).
Il testo ha un andamento diacronico, con inserti sincronici di approfondimento e contestualizzazione di alto valore storico-dottrinario. La nascita dell’America è il prodotto di situazioni geopolitiche contingenti e l’esito di conflittualità tra le potenze dell’epoca, da cui la rivoluzione autoctona ha tratto linfa e sogni. La grande dimensione, la ricchezza di risorse e l’approccio a una progressiva sofisticazione delle tecniche del loro sfruttamento nonché il fattore umano come leva essenziale di strutturazione in chiave politico-identitaria, hanno favorito l’evoluzione di un soft power idoneo a valorizzare e utilizzare al meglio l’hard power. Elementi costitutivi che fondano il ‘successo’ statunitense e fanno parte da quell’epoca del Dna statunitense e consentono l’evoluzione progressiva del capitale sociale secondo un modello assolutamente ‘unico’. Proprio la tipicità della storia americana è ben sottolineata, sull’onda della recente analisi di Gordon Wood: «La fluidità e l’elusività dell’identità americana sono inusuali perché è l’esperienza storica degli Stati Uniti a essere non solo inusuale, ma unica». La maturazione della potenza americana è, quindi, il frutto di un seme lontano da cui fiorisce l’affermazione nello scenario mondiale, capitalizzando i rapporti con Londra e, al tempo stesso, emancipandosene progressivamente sino all’acme, dopo la Seconda guerra mondiale. L’autore condivide alcune piste interpretative che suggeriscono nuove ipotesi sia sul «destino manifesto» degli Stati Uniti – che sarebbe quello di rappresentare un modello ideale e morale per il resto dell’umanità – primordio della vocazione illuminata al controllo di spazi progressivamente più ampi sino alla globalità, sia le citate concezioni di Lebensraum e della dottrina Monroe. In una prospettiva critica e ricca di rimandi e approfondimenti, Graziano conserva la linearità del suo discorso pur concedendosi il gusto tutto circolare di sottili collegamenti. La sua visione è sempre comparata e compone un mosaico in cui ogni parte sembra offrire nuove spiegazioni possibili di quella precedente. L’ultima parte entra nella complessità moderna e pretende l’acutezza di un’inedita capacità previsionale. Il cambiamento attuale degli scenari e il riposizionamento degli attori globali presupporrebbe un declino degli Stati Uniti di cui l’autore coglie subito la parzialità e la relatività. Si tratta di «declino relativo», infatti, che – tenendo conto della discontinuità rispetto al passato – deve anche valorizzare la resilienza della sua crescita, della capacità produttiva e della dinamicità del capitale sociale, anche dopo la violenta e destabilizzante crisi economico-finanziaria. L’ormai consolidato shift power, dalla quantità alla qualità, ha consentito di acquisire un assoluto primato economico che si traduce in potere internazionale tanto nei mercati quanto nelle relazioni internazionali: tale assetto potrà rimodularsi ma mai piegarsi, rebus sic stantibus. In tale contesto fluido, merita una considerazione a parte l’erosivo rischio terroristico. Di particolare interesse la lettura di come l’attentato dell’11 settembre, ben al di là del feroce danno in termini di vittime e di distruzione, abbia intaccato il senso di inviolabilità del suolo americano, con dirompenti effetti psico-sociali. Infine, il testo s’interroga sulle ultime governance americane, sulle loro scelte e sull’impatto che hanno avuto e avranno sul nuovo ordine mondiale. Lo fa cercando di intuire i driver prossimi venturi, valorizzando la finezza dei molto citati Paul Kennedy ed Henry Kissinger, dedicando la giusta attenzione alla formazione e alla scelta della leadership come epifania di più profonde e complesse dinamiche socio-politiche. Così organizzato, L’Isola diviene un compagno di viaggio esperto e qualificato nei meandri geopolitici dell’America che rimarrà una cartina di tornasole di come girerà il mondo negli anni a venire, di come si ricombineranno le tessere geopolitiche che si stratificano nei secoli e di quali saranno le opportunità e le sfide del nuovo vecchio mondo (e l’ossimoro ci sta tutto).
Marzio G. Mian
ArticoLa battaglia per il Grande Nord
Neri Pozza, 2018
pp. 224 - euro 13,50
Era quasi la Luna, l’Artico. Un altro pianeta rispetto alla grande storia dell’umanità. Invece ora si trova al centro di trasformazioni epocali. Dallo spazio appare sempre meno bianco e sempre più blu; un nuovo mare sta emergendo come un’Atlantide d’acqua, perché il riscaldamento nel Grande Nord è doppio rispetto al resto della Terra. Ma lo scioglimento dei ghiacci perenni ha scatenato la contesa per la conquista dell’unica area del mondo ancora non sfruttata e che nasconde risorse pari al valore dell’intera economia Usa. Si aprono strategiche rotte mercantili, ampie e pescose regioni marittime, ciclopiche infrastrutture per le estrazioni. Una spietata corsa neocoloniale ai danni degli inuit. Mian è uno dei pochi giornalisti internazionali ad aver esplorato sul campo il Nuovo Artico. Dalla Groenlandia all’Alaska, dal Mare di Barents allo Stretto di Bering, questo viaggio-inchiesta racconta in presa diretta la battaglia per la conquista dell’ultima delle ultime frontiere. La Cina punta con ogni mezzo a espandere nel Grande Nord le sue ambizioni globali; gli Stati Uniti, ma anche la Norvegia, fronteggiano il pericoloso disegno neoimperiale di Vladimir Putin che considera l’Artico il mare nostrum della Russia e dispiega spie, basi e testate nucleari: un conflitto appare qui oggi più realistico che ai tempi della Guerra fredda, scrive l’autore. Nel Grande gioco del XXI secolo incombe su tutte una domanda: di chi è il Polo Nord?
(Dalla quarta di copertina)
(Dalla quarta di copertina)
Stefano Di Marino
Guida al cinema di spionaggio
Odoya, 2008
pp. 511 - euro 25,00
Il cinema di spionaggio è entrato nell’immaginario collettivo con la figura di James Bond, ma ha una storia molto più antica. Il libro ne ripercorre le vicende attraverso un itinerario cronologico, con capitoli dedicati a personaggi e fenomeni di rilievo, senza dimenticare il cinema asiatico e la commedia. Dalla carriera folgorante dello 007 di Fleming allo spionaggio intellettuale di le Carré, senza dimenticare i film interpretati da icone come Michael Caine e le serie di successo, da Mission: Impossible a Jason Bourne, sino alle recenti pellicole di American Assassin (2017) o Red Sparrow (2018) e allo sviluppo del genere come Blackhat di Michael Mann (2015), che individua nel cyberterrorismo l’ultima frontiera del filone. Ma l’universo dello spy movie offre molte altre varianti con realizzazioni dirette da grandi registi che, almeno una volta, si sono cimentati sul tema. Da Mata Hari alle spie dell’Oss durante il Secondo conflitto mondiale, dalla Guerra fredda alla caccia a Osama bin Laden, il cinema di spionaggio ha seguito la cronaca, mescolando i contenuti del noir e del racconto d’avventura esotica; un genere che rappresenta il nostro sguardo verso un mondo oscuro e affascinante che accompagna l’attualità e la Storia.
(Dalla quarta di copertina)
(Dalla quarta di copertina)
Gordon Thomas - Greg Lewis
Guerriere nell’ombra
Giunti 2017
pp.400 - euro 20,00
di Cingoli
di Cingoli
Durante l’ultima guerra, per la prima volta i Servizi segreti utilizzarono le donne come agenti da paracadutare oltre le linee nemiche. A propiziare il cambio di rotta fu la decisione di Churchill che, nel luglio 1940, volle il generale Colin McVean Gubbins a dirigere la formazione dello Special Operations Executive (Soe). L’ufficiale era convinto che le donne potessero svolgere il mestiere di agente segreto quanto gli uomini: «Dovranno sembrare abitanti del posto e riuscire a cavarsela tra gli occupanti tedeschi. Dopodiché, trasmetteranno ai combattenti della Resistenza le conoscenze acquisite, che dovranno contemplare l’uso di armi ed esplosivi... Rientreranno nella preparazione anche lo scontro armato e l’omicidio nell’ombra...». Allo scoppio del conflitto lo scetticismo diffuso circa il ruolo femminile fu sfatato dalla Sezione francese del Soe – diretta dal colonnello Maurice Buckmaster – dove le donne giunsero a rappresentare un quarto degli effettivi e dimostrarono come per loro fosse più facile operare con minori rischi. Quando nel 1942 Roosevelt creò l’Office of Strategic Services (Oss), analogamente al Soe furono reclutate anche donne che andarono ad affiancare quelle britanniche in Europa. Dopo il conflitto molte furono celebrate per l’ardimento. Altre, che si servirono della loro sessualità per carpire informazioni – come Betty Pack (in codice «Cynthia») dell’Oss – godettero di minore considerazione. Nondimeno, Buckmaster avrebbe ammesso: «La mia organizzazione ha impiegato un numero considerevole di donne coraggiose. Non erano tenute a usare le loro grazie femminili come faceva Cynthia, ma non posso non riconoscere i vantaggi di una spia di bell’aspetto che ricorra al proprio charme quale arma aggiuntiva nella ricerca delle informazioni». Il libro è dedicato a quelle temerarie.
Michele Elia
An Introduction to Classic Cryptography
Aracne 2018
pp. 273 - euro 20,00
di Ezio Biglieri
di Ezio Biglieri
Questo libro trae origine dalle note di un corso di Crittografia tenuto dall’autore al Politecnico di Torino, e ne mantiene lo stesso carattere didattico, diretto a rendere l’informazione facilmente accessibile ai novizi. Esso copre sia la storia sia il lato pratico della crittologia, alternando nozioni di base con la presentazione degli algoritmi classici, la loro storia e l’analisi della loro sicurezza. In aggiunta al materiale usualmente trattato in recenti libri di testo (ad esempio, la teoria di Shannon sui sistemi di segretezza, sequenze casuali, crittografia in chiave segreta e pubblica, crittosistemi basati sulle curve ellittiche, crittoanalisi e steganografia), diversi schemi crittografici sono presentati corredati di dettagli che, generalmente, non si trovano in testi scolastici (ad esempio, gli schemi di Polibio, Alberti, Bellaso, Hill, Rabin ed Enigma). Una bibliografia ricca di un centinaio di titoli aiuterà il lettore interessato ad approfondire argomenti particolari.
Duško Popov
Spia contro spia
Sellerio 2018
pp. 448 - euro 15,00
«Mi fermai a un tavolo dove si giocava al baccarà. Tra i giocatori riconobbi una delle mie bête noire, un lituano dall’aspetto insignificante ma molto ricco, di nome Bloch, particolarmente spavaldo. Non so cosa diavolo mi prese, forse fu il fatto che c’era Fleming alle mie spalle, ma quando Bloch proclamò “banque ouverte!”, annunciai con il tono più freddo e distaccato: “Cinquantamila dollari”. Erano soldi che servivano a finanziare un’operazione». Verosimilmente è questo stile e questo suo modo di fare la spia che convince Fleming a costruire James Bond sul modello di Popov (in codice «Triciclo»): un bon vivant, aitante e ricco intellettuale serbo che studia a Friburgo. Uno che s’illude di seppellire Hitler con una risata, ma finisce nelle mani della Gestapo da cui si salva a stento. Riparato a Belgrado, un ufficiale dell’Abwehr, il controspionaggio tedesco, lo nota e gli propone il reclutamento. Lui è fermamente antinazista ma la prospettiva lo tenta. Così accetta, prendendo contatto con l’MI6 inglese. E qui comincia la vita da spia raccontata in questo libro: in giro per il mondo, sempre sul filo del rasoio, doppiogiochista ma leale fino alla fine con gli amici. Una carriera con almeno un paio di grandi colpi che hanno inciso sulla guerra. «Un classico dello spionaggio» ha detto Graham Greene, perché davvero sembra la trama di un romanzo.
(Dalla bandella di copertina)
(Dalla bandella di copertina)
Mario Roatta
Sciacalli addosso al S.I.M
Mursia 2018
pp. 417 - euro 22,00
di Cingoli
di Cingoli
Mario Roatta (1887-1968) – capitano sui campi della Grande Guerra, poi al vertice del Servizio Informazioni Militare (Sim), capo missione nella Guerra civile spagnola, generale d’armata in Jugoslavia, membro del Consiglio della Corona e Capo di Stato Maggiore dell’Esercito – è infine accusato di crimini di guerra, di resa colposa e della mancata difesa di Roma. Nel 1945 si sottrae ai tribunali dandosi alla latitanza. Prosciolto nel 1951, rientra in Italia nel 1967. In questo memoriale il generale offre la sua versione sul processo, avviato nel 1944 dall’Alto Commissariato per le sanzioni contro il fascismo, che lo vede alla sbarra per l’omicidio dei fratelli Rosselli e altre azioni di natura terroristica attribuite al Sim durante la sua direzione. La difesa di Roatta, dapprima condannato all’ergastolo e poi assolto dalla Cassazione, è un importante documento che consente di ripercorrere non solo le attività e la struttura dell’intelligence militare negli anni precedenti al Secondo conflitto mondiale, ma anche di comprendere il clima da resa dei conti in cui si svolse il processo. La prima parte del testo illustra l’organizzazione del Servizio che, scrive Roatta, «non si occupava di questioni politiche»; la seconda si apre con l’arresto del generale e porta il lettore nel vivo del processo, alternando le cronache del dibattimento con quelle della detenzione e della fuga sulla quale, commenta l’autore, «infinite cretinerie sono state scritte». E nella terza parte spiega com’è andata.