D. L'adesione di Serbia-Montenegro, Albania e Bosnia-Erzegovina va sostenuta? Quali sarebbero i vantaggi o gli svantaggi di un allargamento a questi Paesi per l'UE?
Gianni De Michelis - E' evidente che è interesse sia dell'Europa che dell'Italia sostenere l'adesione all'Unione Europea di tutti gli stati che attualmente non ne fanno parte, tra cui, nello specifico, i cosiddetti Balcani occidentali meridionali. I vantaggi sono notevoli. In primo luogo, per il fatto di completare in termini non solo formali il processo di integrazione europea, nella nuova prospettiva "pan-europea", che ha sostituito quella "carolingia" occidentale, prevalente fino al momento in cui l'Europa è stata divisa in due dalla "cortina di ferro". E' evidente, poi, che il mancato completamento dell'integrazione europea, proprio nella porzione sud orientale, cioè nei Balcani, creerebbe una grave situazione di debolezza rispetto alla prospettiva geopolitica e geoeconomica fondamentale dell'Europa, quella che noi chiamiamo il "Mediterraneo allargato". Tra l'altro, l'ipotesi di un allargamento parziale dell'Europa nella regione balcanica - cosa che avverrà con l'ingresso ormai irreversibile e prossimo della Bulgaria e della Romania nonché, in prospettiva, con ogni probabilità, della Croazia e della Macedonia - finirebbe per lasciare una sorta di "vuoto" territoriale, che rappresenterebbe un elemento di disordine in grado di infettare la stessa restante parte dell'Europa meridionale mediterranea integrata nell'Unione. Per quanto riguarda l'Italia, è evidente lo svantaggio che ad essa deriverebbe da una condizione di disordine e instabilità presente sull'altra sponda dell'Adriatico, situazione che, tra l'altro, rappresenterebbe una sorta di "cuscinetto" negativo rispetto alla regione del Mar Nero e ai cosiddetti Balcani orientali. Tutto ciò, inoltre, da un lato finirebbe inevitabilmente per determinare una specie di integrazione Sud-Est/Nord-Ovest lungo l'asse danubiano - Romania, Bulgaria e al limite in prospettiva Turchia - rendendo ancora più marginale e periferica la posizione dell'Italia; dall'altro, contribuirebbe a determinare sempre di più quella ipotesi di "configurazione baltica" dell'Europa che rappresenta la prospettiva peggiore possibile per l'Italia, la quale in questo modo verrebbe a trovarsi isolata a sud delle Alpi, con un capovolgimento di quello che è stato il suo ruolo storico, fin dai tempi di Roma, rispetto sia all'Europa che alla regione mediterranea.
Lucio Caracciolo - A me sembra che l'Italia abbia un interesse fondamentale a integrare tutta la regione balcanica nell'Unione Europea. Siamo infatti l'unico grande paese europeo a confinare con paesi extracomunitari: a nord con la Svizzera, alla frontiera marittima adriatica con Croazia e Albania, alla frontiera marittima meridionale con i paesi nordafricani. Una condizione inaccettabile nel medio periodo per i rischi di instabilità, per i flussi incontrollati di clandestini e criminali, per i nessi fra nostre e altrui mafie. Se l'UE fosse uno spazio politico relativamente integrato, potremmo anche aspettare, forti della nostra partecipazione a un soggetto europeo unito. In assenza di questo, con l'UE sempre più ridotta a zona di libero scambio rafforzata, non c'è motivo di attendere. L'alternativa è assistere al consolidamento di minacciosi buchi neri geopolitici alla nostra frontiera orientale, dove mafie e oligarchie locali prenderebbero definitivamente il sopravvento, cristallizzando un'area di rischi e instabilità e riducendo l'Adriatico a un Mar Morto nostrano. Ci manca poco. L'unica condizione decisiva è che quei paesi entrino insieme e non in concorrenza fra loro. Non possiamo permetterci di integrare dei conflitti: Cipro docet. Integrazione balcanica e integrazione europea devono procedere insieme o non procedere.
Umberto Ranieri - Concordo con le opinioni espresse e aggiungo che i paesi dei Balcani sono geograficamente, storicamente e culturalmente parte del tessuto organico dell'Europa. Le crisi che hanno investito quell'area negli anni '90 hanno prodotto una profonda e penalizzante distorsione dell'immagine di quei paesi, anche nelle percezioni delle nostre opinioni pubbliche, ed hanno ostacolato un processo che avrebbe altrimenti condotto con ogni probabilità ad un ingresso nell'UE in tempi accelerati. In questo momento comunque, superata la fase dell'instabilità, le istituzioni democratiche e le regole del mercato stanno affondando le radici nei paesi nati dalla dissoluzione dell'ex-Jugoslavia. L'economia riprende slancio. Basti pensare che nel 2004 la Serbia e Montenegro, tradizionale baricentro di quell'area, ha registrato una crescita del PIL di circa l'otto per cento. La comunità internazionale ha effettuato in quest'ultimo decennio interventi massicci per ripristinare l'ordine e la convivenza pacifica nei Balcani, in termini di risorse umane, finanziarie, civili e militari. Abbiamo così assolto un obbligo morale presso paesi tradizionalmente amici, la cui stabilità costituisce un chiaro interesse diretto dell'UE. Tale impegno deve collocarsi all'interno di una strategia volta a realizzare una crescita economica di lungo periodo ed il consolidamento dei sistemi politico-istituzionali locali. L'avvicinamento all'UE deve essere la chiave di volta che sorregge quella strategia; i paesi membri devono rendersi conto che senza il Sud-Est europeo l'UE è vistosamente incompleta. Se non si incentiva l'ingresso dei Balcani nella famiglia allargata europea creeremo le premesse per un'area di permanente instabilità in seno al nostro continente. Naturalmente, per realizzare l'ingresso di nuovi membri non è sufficiente una convergenza di volontà politiche, ma è anche necessario che vengano adempiuti i molti e complessi requisiti, anche di ordine tecnico. Occorre pertanto tempo e determinazione, ma ciò che rileva e' che il consolidamento del processo tendenziale già in atto conduca a quel traguardo, tenendo presente che il graduale avvicinamento all'Europa stimolerà ulteriormente la stabilizzazione politica e la crescita economica dei paesi della Regione. L'Europa nel suo complesso finirà per esserne beneficiaria.
Emmanuela C. Del Re - Credo che in questo momento non ci si possa lasciar prendere dalle ansie legate ad un ulteriore allargamento che emergono nella politica interna di alcuni paesi membri dell'UE. Questo rischierebbe di indebolire il più efficace strumento che l'UE abbia tra le mani per gestire i rapporti con questa regione. Con la promessa di adesione, l'UE potrebbe imporre con più forza le proprie condizioni - rispetto degli accordi di Ohrid, riconoscimento del tribunale dell'Aja, riforme istituzionali e molto altro - nella direzione della stabilizzazione e dello sviluppo della regione. Si tratta per la politica estera dell'UE di gettarsi in un' "avventura", forse, ma ne vale la pena, perché eviteremmo di creare sacche economicamente e socialmente irrecuperabili, e in qualche misura vulnerabili, nell'area di diretta influenza dell'EU.
D. Perché allora l'UE adotta una disparità di trattamento nei confronti di Bosnia-Erzegovina, Serbia-Montenegro e Albania rispetto agli altri paesi nella regione? Esistono paesi di serie A e serie B? In questo modo non si va a minare la credibilità della proposta dell'UE? Non potrebbe questo portare ad una perdita di fiducia nell'UE da parte delle élite politiche locali?
Caracciolo - Come dappertutto nel mondo, esistono paesi di Serie A, B, anche C, D e dilettanti. Se l'UE avesse una politica balcanica, il suo obiettivo dovrebbe essere quello di avvicinare questi paesi in una logica integrativa, non dividerli ulteriormente. Importare nell'UE un mosaico di tal fatta sarebbe suicida. Quanto alle date, credo che vadano comunque prese con le molle, specie se ad enunciarle sono gli organismi di Bruxelles, politicamente irresponsabili e affetti da bulimia pianificatrice.
De Michelis - Non credo sia una questione di paesi di serie A o B. Il problema principale è decidere l'orizzonte temporale entro il quale il processo di adesione deve essere compiuto. La questione è cruciale, fermo restando il fatto che, ovviamente, servirà un certo lasso di tempo, perché i paesi dei Balcani occidentali sono, sia per ragioni economiche che sociali, ma anche per ragioni politiche, più indietro rispetto agli altri paesi della regione (penso a Romania, Bulgaria ma anche a Croazia e Macedonia, per i quali l'ingresso è previsto in data più ravvicinata). Ciononostante, però, gli scenari, molto diversi tra di loro, sono rappresentati da una entrata di questi paesi in Europa prima o dopo il completamento dell'iter di negoziato con la Turchia. Un iter, quest'ultimo, che ritengo debba concludersi con la piena adesione della Turchia nell'Unione Europea ma che, anche ove dovesse in qualche modo risolversi con una forma di associazione diversa - cosa non auspicabile e, probabilmente, tale da creare gravi tensioni con la Turchia medesima - in ogni caso dovrebbe concludersi in una data da collocarsi tra il 2015 e il 2020. Tornando ai Balcani, è evidente che l'interesse di questi paesi, ma anche dell'Unione Europea e in modo particolare dell'Italia, è un completamento di questo processo prima della conclusione del negoziato con la Turchia. Quindi, entro il 2014 o il 2015. Da questo punto di vista, le proposte dell'Indipendent Commission on the Balkans, che ha studiato un percorso che potrebbe concludersi entro il 2014, vanno assolutamente prese in considerazione e perciò è necessario che il processo cominci entro i prossimi due anni. Questo servirà anche ad evitare il rischio che questi paesi e le loro popolazioni abbiano la sensazione di usufruire di una sorta di statuto di serie "B", il che potrebbe avere conseguenze molto negative e soprattutto accentuare tra di esse, in particolar modo tra le popolazioni di etnia serba, un pericoloso fenomeno di disintegrazione psicologica.
Ranieri - Ritengo che sia prematuro stabilire ora quali strumenti finanziari verranno resi disponibili ai paesi del Sud-Est europeo in vista del loro ingresso nell'UE. Come è stato giustamente osservato, si tratta di paesi che presentano stadi di avanzamento nei rispettivi percorsi di avvicinamento all'UE alquanto differenziati. Come accennavo prima, occorre tener presente che il processo di adesione all'UE costituisce in buona parte un esercizio di ordine tecnico-giuridico basato sul requisito fondamentale di adeguare le normative locali al cosiddetto acquis communautaire, ossia il complesso delle norme che sorreggono l'architettura giuridica dei vari settori di competenza comunitaria. Sta quindi ai paesi interessati attrezzarsi per poter meglio sostenere le proprie domande di associazione e di accessione. L'UE si è comunque dimostrata generosa nel suo impegno verso quei paesi, e ciò anche in epoche in cui essi versavano in condizioni di particolare necessità. Sono certo che anche in avvenire essa non defletterà da tale impostazione, e sono convinto che l'Italia sarà sempre in prima linea nel sostenere queste tesi a Bruxelles.
Del Re - E' vero che la situazione generale nei Balcani era molto diversa quando la Bulgaria, ad esempio, firmò l'Association Agreement nel 1993. Il clima politico che circonda il processo di allargamento dell'UE oggi è molto più teso e complesso. Se analizziamo infatti i dati relativi all'Instrument for Pre-Accession Assistance (IPA), la bozza di regolamentazione per l'assistenza pre-adesione, scopriamo che in essa sembra implicita l'idea che l'UE stessa non creda che sia possibile che Serbia-Montenegro, Bosnia-Erzegovina e Albania entrino nell'Unione prima del 2020, molto più tardi di quanto si aspettino i paesi stessi. D'altra parte ai dirigenti dell'UE non piace parlare di tempi, e ancora meno fare paragoni tra il processo di integrazione dei vari paesi perché sostengono che ogni paese è storia a sé. Questo non può che scoraggiare i forti sostenitori dell'integrazione europea nella regione. Peraltro il fatto che gli strumenti chiave per la pre-adesione (IPA) non saranno accessibili ai potenziali candidati dei Balcani occidentali prima di cinque anni, o anche di più, indica chiaramente che non si stanno facendo i necessari sforzi per preparare i potenziali candidati adeguatamente perché i fondi per farlo non sono accessibili. Con questo intendo che quello che accade in Turchia e Croazia, e cioè la creazione di strutture per le politiche di coesione economica e politica, nei Balcani non accade e non accadrà per un bel po' di tempo. I paesi non solo non vengono preparati a diventare membri dell'UE, ma neppure viene loro fornita assistenza per combattere seriamente i loro problemi economici e sociali. Infine, se firmassero l'accordo di stabilizzazione e associazione (SAA- Stabilization and Association Agreement) nulla cambierebbe davvero. Sembra piuttosto che la politica relativa a IPA e SAA sia stata intesa a mantenere la situazione attuale così come è. E' certo che le élite locali non perderanno facilmente la fiducia nell'UE, ma se questa situazione si perpetuasse, certamente la reputazione dell'Unione ne risulterebbe indebolita, con la conseguenza che le elite avrebbero maggiore difficoltà a far accettare le difficili riforme necessarie per l'integrazione.
D. A seguito di queste riflessioni, si può affermare che l'UE sembra essere l' unica possibile ambizione per la regione. Esistono possibili alternative per i paesi dell'Europa Sudorientale? In cosa l'UE è veramente competitiva rispetto ad altre opzioni, in un momento in cui sembra peraltro mostrare scetticismo verso un ulteriore allargamento?
Caracciolo - Ritengo che l'UE sia in realtà sempre meno un obiettivo dei balcanici. Molti di loro, anche in Croazia, dubitano del vantaggio di entrare nell'Unione Europea. Nascono dovunque partiti anti-europei. Si è perso troppo tempo e ne stiamo pagando le conseguenze. In realtà, quei popoli si aspettano da noi soprattutto soldi. E di soldi ne abbiamo pochini, e meno ancora abbiamo voglia di darne ai balcanici. Quanto al Tribunale dell'Aja, prima sarà chiuso meglio sarà per tutti. E' un ostacolo alla stabilizzazione democratica della regione, come anche i recenti casi del Kossovo e della Croazia dimostrano ad abundantiam. Inventato da Clinton per surrogare la sua iniziale indisponibilità a combattere per i musulmani bosniaci, si è rivelato un boomerang, un tribunale politico privo di disegno politico. Insomma, una scheggia impazzita. L'alternativa all'UE per quei paesi è lo status quo, o meglio un suo peggioramento viste le tendenze dominanti nella regione. Avremmo solo un proliferare di staterelli mafiosi e criminali, incapaci di creare le condizioni dello sviluppo e della democrazia, prigionieri dei loro nazionalismi arcaici e autistici.
Ranieri - I problemi dei Balcani, con le loro numerose peculiarità, richiedono l'elaborazione di innovative formule risolutive ed un impegno particolarmente intenso da parte della comunità internazionale. E' evidente che la prospettiva di un avvicinamento all'UE costituisce l'elemento di maggiore rilievo nell'elaborazione di quelle formule; essa deve costituire lo stimolo principale affinché i Governi locali compiano le scelte, talvolta anche coraggiose, necessarie per realizzare l'allineamento dei sistemi di quei paesi con i parametri europei. Il processo di avvicinamento sarà inevitabilmente graduale; d'altro canto esso è già iniziato da alcuni anni. Starà poi ai paesi di quell'area realizzare sollecitamente le prescrizioni comunitarie ed accelerare i tempi dell'accesso. Nel frattempo essi possono creare le premesse per un loro ingresso nell'UE, realizzando sin da ora forme di cooperazione economica regionale che produrrebbero benefici immediati per lo sviluppo economico. E' evidente che, in un simile contesto, ogni problema di ordine politico - quali il rapporto con il Tribunale dell'Aja e l'attuazione degli accordi di Ohrid - si avvierebbe anch'esso a più rapida soluzione. In quest'ottica, l'UE rappresenta il mezzo più efficace per risolvere i mali che affliggono i paesi balcanici. Non sopravvaluterei invece la portata di alcuni fermenti di euroscetticismo che percorrono quelle società. In realtà essi sono il prodotto di strumentalizzazioni demagogiche che non riescono a sovvertire il dato fondamentale di una diffusa consapevolezza presso le opinioni pubbliche che la prospettiva europea è l'unico collante che possa orientare stabilmente i paesi del Sud-Est europeo su di un percorso riformista, scelta obbligata per la realizzazione di una crescita economica sostenuta.
De Michelis - Secondo me non c'è dubbio che l'unica prospettiva per la stabilizzazione del processo di sviluppo democratico, economico e civile dei paesi della regione è rappresentato dall'Unione Europea. Non esistono alternative a questa soluzione e l'abbandono di questa prospettiva o il suo allontanamento, rischierebbe semplicemente di marginalizzare e destabilizzare ulteriormente questi paesi, già duramente segnati dal decennio di crisi della ex Jugoslavia. Altrettanto evidente è che la prospettiva dell'Unione Europea permetterebbe all'Europa di avere un argomento di pressione, democratica e civile, perché i necessari processi di stabilizzazione e la scelta di non ripetere certi errori del passato, avvengano in questi paesi più rapidamente.
Del Re - Alternative nei Balcani ce ne sono sempre, e lo dico amaramente, perché corrispondono all'abilità di sopravvivere ricorrendo alle politiche distruttive del passato, al ricorso alla ‘pax mafiosa’ laddove esistono potenziali conflitti di interessi tra organizzazioni criminali, e altro. Se non si favorisse l'integrazione nell'UE, si entrerebbe in un circolo vizioso: l'UE tornerebbe a spendere moltissimo in strategie di stabilizzazione sia militare sia politica, le spese per lo sviluppo e il cosiddetto ‘institution building’ diminuirebbero di fatto ritardando la stabilizzazione. Meglio spendere di più ora investendo in un vero futuro stabile per Serbia-Montenegro, Bosnia-Erzegovina e Albania. Tuttavia scetticismo e sfiducia, che hanno caratterizzato tutto il periodo cosiddetto di transizione dalla caduta dei vari muri - tanto che la gente ha riposto fiducia nelle cosiddette finanziarie "piramidali" un po' in tutta l'area - potrebbero nuovamente aleggiare nei Balcani, con conseguenze imprevedibili. Quello che deve preoccuparci maggiormente, però, nel caso di una mancata integrazione in tempi ragionevolmente brevi, è il rischio di creare un divario economico e sociale incolmabile tra paesi membri e non membri. Senza l'adeguata assistenza alle imprese per favorire la produttività agricola e industriale, attraverso sostanziali investimenti nelle infrastrutture, assistenza all'agricoltura e altro, già fornita agli altri paesi della regione, i paesi dei Balcani occidentali sarebbero ancora meno competitivi a livello regionale.
D. Forse è il fattore Islam a giocare un ruolo determinante nelle scelte dell'UE. Esiste un pericolo Islam nei Balcani? Cosa può comportare questo per l'Europa? Come rispondere a coloro che si dicono preoccupati della presenza musulmana in Europa, e soprattutto di quella balcanica, visti i conflitti dell'ultimo decennio nella regione?
Ranieri - La tradizione islamica presente nei Balcani è profondamente laica. Ritengo pertanto priva di fondamento ogni preoccupazione generata dalla presenza di comunità musulmane in quei paesi; al contrario sono convinto che una pacifica convivenza fra gruppi di etnie e di religioni diverse costituirà uno degli elementi di maggiore interesse che essi potranno portare quale contributo alla costruzione di un'Europa prospera, stabile e multiculturale.
Caracciolo - In Europa i musulmani ci sono già. Forse venti milioni. E in futuro ce ne saranno di più. L'UE non può diventare un club cristiano - o meglio cattolico e protestante, visto che gli ortodossi sono visti con occhio diverso. Significherebbe seminare le ragioni di futuri conflitti di religione. Per questo non ci debbono essere condizioni di segno religioso all'ingresso nell'UE. Questo vale anche e soprattutto per la Turchia. Naturalmente, i gruppi jihadisti tuttora esistenti in Bosnia, in Macedonia e in Albania e afferenti alla "dorsale verde" vanno snidati e combattuti. Non in quanto musulmani ma in quanto terroristi. O se preferite in quanto terroristi musulmani.
De Michelis - Il fatto che in Bosnia Erzegovina e Albania sia presente una forte percentuale di musulmani deve essere considerato un elemento positivo. Il problema (più in generale per l'Europa), nei riguardi di quello che abbiamo definito il "Mediterraneo allargato", è di creare le condizioni per una convivenza e per un rapporto positivo con comunità e stati di cultura e di religione islamica. Il fatto, quindi, di avere all'interno dei propri confini e tra i propri cittadini comunità con un medesimo background, non figlie di migrazioni recenti, ma di processi storici antichi, non può che essere considerato un fatto positivo. E' evidente al contrario la negatività di una situazione in cui dovesse prevalere una logica disintegrativa, che porti alla separazione, all'interno della nostra società, tra le parti di religione, di cultura, di civiltà cristiane e quelle musulmane.
Del Re - Non dobbiamo dimenticare che il fondamentalismo islamico, padre del terrorismo, nasce e si sviluppa all'interno di "ghetti", cioe' e' l'isolamento che favorisce tale fenomeno, il rifiuto del confronto con l'altro. In questa prospettiva, l'integrazione di comunita' o nazioni islamiche in Europa, non puo' che favorire i processi culturali che si oppongono al fondamentalismo. Ritengo sia fondamentale conoscere le caratteristiche dell'Islam nei Balcani e per questo sostengo che non si fa mai abbastanza per favorire il dialogo tra cristiani e musulmani, e la reciproca conoscenza. Lucio Caracciolo parla di "dorsale verde" dell'Islam - che congiungerebbe Europa e Islam passando dai Balcani - una visione con cui non concordo pienamente, perché penso che questo genere di definizioni, che forse per gli esperti conservano le sfumature che devono necessariamente includere, sull'opinione pubblica hanno l'effetto di stigmatizzare ancora di più la distinzione in blocchi distinti Cristianità-Islam, visti in genere come contrapposti. L'Islam balcanico è variegato, e presenta caratteristiche diverse in ambito religioso, etnico, linguistico. E' certo che dalla caduta dei regimi comunisti l'Islam balcanico ha riallacciato i rapporti con l'Islam mondiale. Ricordo le 50 moschee costruite in Albania nel giro di tre anni dalla caduta del regime nel 1991. Tuttavia, questo non significa totale islamizzazione della società, e tanto meno automatica diffusione del fondamentalismo. Bisogna semmai fornire tutto il sostegno possibile ai musulmani nei Balcani, per aiutarli a trovare una giusta forma di partecipazione e una appropriata collocazione in Europa.
D. Su tutto intanto pende ancora la questione Kossovo. Quanto è determinante la definizione dello status del Kossovo oggi per il futuro della regione?
Ranieri - L'area balcanica è caratterizzata dalla presenza di problemi complessi, distinti ed al tempo stesso interconnessi. Fra essi il Kossovo costituisce quello più urgente in quanto, a oltre sei anni dall'intervento della Nato, sta maturando il momento delle scelte relative al futuro status. Occorrerà poi riflettere attentamente sugli sviluppi del quadro bosniaco. Dopo un prolungato periodo di stabilità che si è caratterizzato per la presenza internazionale nelle aree di conflitto, stiamo entrando in una fase in cui lo status quo diviene un fattore di accrescimento dei rischi. Occorre imprimere una dinamica che conduca a una piena normalizzazione. Il nuovo equilibrio che perseguiamo dovrà essere il risultato di una sintesi tra maggiore responsabilizzazione delle forze politiche locali ed europeizzazione della presenza internazionale.
De Michelis - E' ovvio che il futuro del Kossovo è una sorta di pre-condizione ineliminabile per la determinazione del futuro assetto della intera regione balcanica, ivi compreso innanzitutto il problema della prospettiva dell'integrazione nell'Unione Europea. Il mantenimento di una sorta di condizione di "bianco", cioè di una parte del territorio dei Balcani occidentali meridionali il cui statuto non sarebbe definito, com'è dalla fine della guerra tra la Nato e la Serbia, finirebbe per rappresentare non solo un elemento di instabilità per la stessa Serbia, il Montenegro e, alla fine, anche per la Macedonia, l'Albania e la Bosnia, ma determinerebbe anche uno status di incertezza tale da rendere praticamente impossibile la costruzione di un percorso concreto per l'integrazione in l'Europa. Proprio in rapporto a questa prospettiva, è necessario determinare lo status futuro che il Kossovo dovrà avere. Personalmente sono da sempre a favore di una soluzione che in qualche modo collochi il Kossovo in una situazione di integrazione con le due realtà confinanti del Montenegro e della Serbia. Una sorta di unione con parità di diritti di autonomia, cioè, tra Serbia, Montenegro e Kossovo - che ovviamente si porterebbe dietro gli interrogativi e le contraddizioni del passato e delle vicende recenti - con l'obiettivo di renderla stabile proprio mediante la prospettiva di un' integrazione con l'Europa.
Caracciolo - E' determinante se fa parte di un più vasto accordo geopolitico che ridefinisca le frontiere della regione ex jugoslavo-albanese e apra una stagione di coooperazione fra quei paesi. Altrimenti, l'indipendenza del Kossovo significa legittimare le mafie albanesi nel loro tentativo di far man bassa di tutto ciò di cui è possibile appropriarsi in quel territorio. Per questo è necessario spingere albanesi e serbi al dialogo, giacché quale che sia lo status del Kossovo non potrà che essere cooperativo con la Serbia.
Del Re - Spinte indipendentiste ce ne sono in abbondanza in varie regioni europee e, anche se il Kossovo non e' certo paragonabile - per motivi storici e situazione contemporanea - ai Paesi Baschi, ad esempio, è evidente la convenienza in termini politici ed economici dell'ingresso nell'UE. La promessa di associazione in vista di una piena integrazione, non puo' che favorire il dialogo tra le parti. Non credo che si possa progettare a tavolino una soluzione per lo status del Kossovo, ma certamente il miraggio dell'integrazione nell'UE potrà agire da motore che spingerà tanto la Serbia quanto il Kossovo a trovare la propria strada. E sarà naturalmente necessario l'appoggio dell'Albania. L'accordo geopolitico tra i paesi interessati al problema albanese, sara' il frutto della mediazione europea in vista della piena adesione. Prima di pensare allo status, però, bisogna agire immediatamente per creare un clima favorevole nella regione, sanare quelle situazioni di tensione ancora irrisolte tra le etnie presenti sul territorio, ad esempio. In questo momento il Kossovo ha bisogno di azioni, non solo di parole, pur speranzose, come quelle del Gruppo di Contatto, di cui fa parte anche l'Italia.
D. Concludiamo parlando di Italia, considerata da molti un gigante economico nei Balcani. Il Paese crede nell'adesione di Albania, Serbia-Montenegro, Bosnia-Erzegovina? Quali sono le strategie concrete che adotta per sostenere l'adesione? Quali dovrebbe adottare?
De Michelis - L'Italia, che è uno dei maggiori paesi dell'Unione, è il soggetto principale interessato alla questione dei rapporti con la regione mediterranea ma, non di meno, con la regione adriatica e quindi con la regione balcanica. Esistono ragioni geografiche, storiche, culturali, economiche che giustificano questa posizione. Il perdurare di una situazione di squilibrio, incertezza e instabilità nella regione balcanica finirebbe inevitabilmente per danneggiare fortemente il nostro Paese, mentre l'Italia ha tutto da guadagnare da un processo di integrazione che si rimetta in moto positivamente ed inverta la tendenza disintegrativa che dal 1990 ha prevalso nella regione. Ed è evidente che - come d'altronde alcuni di noi avevano capito fin dal 1989, in quella particolare fase che portò all'Istituzione della cosiddetta "Quadrangolare" - la regione balcanica rappresenta una sorta di retroterra naturale, politico ed economico per il nostro Paese, così come la regione baltica lo è per la Germania, per la Polonia e per i paesi scandinavi. Se la regione balcanica oggi è molto indietro rispetto al resto dell'Europa, essa è destinata, proprio per questa ragione, a recuperare lo squilibrio e lo svantaggio in cui si trova. Ed è un'area di 50 milioni di persone che può rappresentare, quasi da sola, in buona parte la soluzione dello sviluppo dell'economia italiana nella nuova situazione del mondo globale, considerata da un lato la concorrenza dei paesi dell'Asia del sud e dell'Asia dell'est, e dall'altro l'inevitabile restringersi dei nostri mercati di sbocco a nord delle Alpi, per la competizione che stiamo già subendo e subiremo in questa zona, in maniera crescente nei prossimi anni, da parte dei paesi appena entrati nell'Unione Europea dal centro e dall'est Europa.
Ranieri - La proiezione adriatica dell'Italia ed i tradizionali legami che intratteniamo con Albania, Serbia e Montenegro e Bosnia-Erzegovina determinano un forte interesse diretto del nostro Paese nel sostenerne l'adesione all'UE. Lo stesso nostro impegno civile e militare nella Regione è in parte motivato dalla necessità che avvertiamo di creare le condizioni per l'avvicinamento a Bruxelles di tali paesi. Agiamo naturalmente anche all'interno dei fori internazionali interessati interpretando sempre una linea di apertura alle istanze di quei paesi. Per certi versi è più arduo invece il compito di sostenere la penetrazione economico-commerciale di aziende italiane nel Sud-Est europeo. Si tratta in questo caso di vincere resistenze, per molti versi ingiustificate, tuttora presenti presso la nostra classe imprenditoriale che percepisce i Balcani come una zona a rischio. In effetti si tratta invece di un'area in cui non mancano le occasioni di investimento e di sviluppo che le nostre aziende dovrebbero saper cogliere con prontezza. Esse d'altro canto possono avvalersi di specifici strumenti pubblici di sostegno alla loro penetrazione in quei paesi, disponibili da molto tempo a riprova della continuità del carattere prioritario accordato dall'Italia ai rapporti con la regione dei Balcani.
Caracciolo - Non ho mai sentito un balcanico parlare dell'Italia come di un gigante economico né di altro tipo. I rapporti commerciali sono importanti, ma sotto altri profili stiamo peggio dei greci (penso ad esempio al settore bancario e agli investimenti diretti). In più, non parlerei di Italia ma di italiani. Nel senso che gli italiani attivi nella regione fanno rigorosamente i propri affari, senza curarsi di agire in una logica di sistema nazionale, oppure vedendo frustrati i tentativi di farlo. Siamo l'unico paese ad avere inviato nella regione migliaia di soldati senza averne tratto pressoché alcun vantaggio, vuoi economico vuoi politico. Ma di questo in Italia si preferisce non parlare.
Del Re - Ricordo che un recente sondaggio, interessante soprattutto per il suo valore simbolico, ha rivelato che in Albania circa un terzo della popolazione voterebbe, nel caso fosse possibile un tale referendum, per diventare la ventunesima regione italiana. Non bisogna confondere l'ipnotica attrazione che Germania, USA o altri paesi nord-europei esercitano per la loro reputazione sull'uomo della strada balcanico con la sua esperienza di lavoro fianco a fianco con stranieri. Comunque parlano i dati. Per fare un solo esempio, il gruppo Unicredit controlla l'81,91% della Zagrebacka Banka, la prima banca croata in termini di asset. Purtroppo però le iniziative che hanno portato l'Italia a questo primato sono frutto degli sforzi di singole aziende, non sostenute, come esse stesse denunciano, da un "sistema-paese". E' un primato, quello dell'Italia, che si perderà facilmente con l'ingresso dei Balcani in Europa, se non verranno prese adeguate misure a sostegno dell'imprenditoria italiana in quei paesi. Esempi in questo senso ce ne sono diversi, tra cui quello del Corridoio VIII, a me particolarmente caro: il segretariato di questo grande asse di collegamento multimodale che attraversa Albania, F. Y. R., Macedonia e Bulgaria fino al Mar Nero, è a Bari.
Tuttavia, troppo poco si è fatto negli ultimi anni, e scarse sono le prospettive. I Balcani offrono all’Italia di-verse opportunità essendo i paesi dell’area legati da tradizione e continuità con il nostro paese. Bisogna sostenere ancora le piccole e medie imprese, capaci di affrontare i rischi e di collaborare con i soggetti locali; aver fiducia nella capacità di lungimiranza tipica di certi nostri investimenti; favorire lo sviluppo delle regioni transfrontaliere.
Oltre a questo, molto altro.
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