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GNOSIS 4/2005
Terrorismo - c’è bisogno di chiarezza

Richard BARRETT

Capire quali siano le motivazioni dei terroristi suicidi è il primo passo per contrastarne la forza distruttiva. Richard Barrett sottolinea, in questo articolo, la necessità di un coinvolgimento a tutto campo della società musulmana, il cui impegno nel contrasto di questi focolai di estremismo radicale dovrà comunque essere supportato dalla comunità internazionale e dalle Nazioni Unite.



da www.corriere.it/gallery/Cronache


Il Governo italiano ha fondati motivi per essere soddisfatto dell’azione di polizia e dei servizi di sicurezza che ha consentito di individuare e arrestare Hussein Osman (Hamdi Isaac), fuggito a Roma dopo il fallito attentato dinamitardo del 21 luglio a Londra. Il suo arresto è stato il risultato di una efficace cooperazione, non solo a livello internazionale, ma anche sul piano nazionale.
Ma se l’arresto di Hussein Osman è stato di grande importanza nel togliere dalla circolazione un potenziale assassino e offrire una qualche forma di rassicurazione ai cittadini britannici che avrebbero potuto essere suoi obiettivi, altrettanto importante potrebbe rivelarsi nell’aiutarci a comprendere cosa spinge giovani uomini come lui a suicidarsi e a togliere la vita ad altre persone in modo così indiscriminato e brutale.
Un’interessante caratteristica dei ‘kamikaze’ è che, a differenza di altri suicidi, non lasciano un ultimo messaggio per spiegare le ragioni del loro gesto. Solitamente, noi associamo l’idea del suicidio alla rabbia e alla disperazione, ma le fotografie che ritraggono gli attentatori londinesi del 7 luglio mentre stanno per prendere il treno la mattina degli attacchi letali, ci rimandano l’immagine di quattro uomini normali che si avviano a fare una gita con uno stato d’animo sereno e rilassato, quasi stessero andando a fare rafting, come sembra sia effettivamente avvenuto qualche mese prima.
Perché non hanno lasciato un ultimo messaggio? O ritenevano che le loro ragioni e i loro obiettivi fossero così ovvi da non dover essere esplicitati, o non potevano formulare con precisione il perché avessero deciso di compiere un’azione così drastica, o semplicemente non interessava che la gente li capisse, fiduciosi come erano che ciò che stavano per fare fosse la cosa giusta. E se io, ad esempio, non ho trovato né riesco a trovare ovvi i loro obiettivi e le loro ragioni, molti altri devono essere ugualmente perplessi. E io non credo che quattro uomini come quelli responsabili degli attentati del 7 luglio, o quelli che avrebbero potuto incontrare una morte simile il 21 luglio, fossero confusi e dubbiosi sulle ragioni delle loro azioni. Devo concludere che gli attentatori fossero convinti di fare la cosa giusta, e che per loro non fosse importante che io capissi o meno le loro ragioni.
Ma una protesta politica così violenta è ancora più inutile se non ha una qualche conseguenza politica. Uno dei possibili risultati degli attentati di Atocha dell’11 marzo 2004 è stato il ritiro delle truppe spagnole dall’Iraq, e noi siamo portati a credere che questo fosse uno dei moventi degli attentati, anche se io dubito che il gruppo responsabile avrebbe fermato la propria campagna dopo aver raggiunto questo obiettivo. Ma non vi era alcuna possibilità di un ritiro immediato delle truppe inglesi dall’Iraq o dall’Afghanistan dopo gli attentati di Londra, e nessun collegamento di questo tipo è stato fatto, né in quel momento, né successivamente, da parte di coloro che erano direttamente o indirettamente coinvolti.
Allora che cosa ha spinto questi giovani a correre con tanto slancio incontro alla morte? Cosa li ha portati a credere che le loro brevi vite avrebbero avuto uno scopo se si fossero uccisi a Londra insieme ad un gruppo di persone tipicamente multietnico, ognuno speciale a suo modo, e la cui morte non può aver avuto altro risultato che la tragica tristezza delle loro famiglie e dei loro amici? Quale era l’eredità che volevano lasciare? Come pensavano di essere considerati dalle loro famiglie e dai loro amici? Dalle mogli a cui hanno dato un ultimo bacio prima di uscire di casa? Dai figli che cresceranno e vivranno all’ombra del loro crimine? Qualcuno di questi pensieri deve aver sicuramente attraversato le loro menti, ma l’idea di avere uno scopo sembra aver superato qualsiasi dubbio.
La convinzione di essere nel giusto e l’indifferenza per le opinioni degli altri mostrate da questi terroristi inducono a ritenere che le loro azioni fossero più che politiche. Devono essere state viste dagli autori come un atto di fede, proprio come Mohammed Bouyeri ha visto nell’omicidio di Theo van Gogh, compiuto nel novembre 2004 ad Amsterdam, la realizzazione di un dovere religioso che non poteva non adempiere. Ma nessuna religione al mondo può assolvere un omicidio come atto di fede, ed è chiaro che l’Islam non lo fa. Non c’è dubbio che quando gli studiosi affermano che l’ideologia alla base di questi crimini è una distorsione dell’Islam, hanno ragione. Nessuno lo mette in dubbio. Ma molte altre domande rimangono senza risposta.


da www.balder.org/articles/billider/Theo-van-Gogh

Prima di tutto: perché persone provenienti da società così diverse, di differente origine etnica e condizione sociale, che non hanno niente in comune a parte il loro credo religioso, sembrano seguire un’identica strategia terroristica, evidentemente con uno stesso obiettivo, seppure male espresso? Perché questi atti, compiuti in diverse aree del mondo e certamente imperdonabili secondo tutti gli standard della protesta legittima, trovano tanti simpatizzanti tra persone che hanno solo la religione in comune? Come possono questi atti di insensata violenza avere una qualunque legittimazione? Perché non sono decisamente condannati da ogni leader, laico o religioso?
Si tratta di domande alle quali nel mondo islamico alcuni, ma non ancora tutti, stanno iniziando a rispondere. Ed è necessario che lo facciano. Lo devono alla gran massa dei loro pacifici correligionari che sono oltraggiati dal pericoloso ‘dirottamento’ della loro religione, nonché alle comunità non musulmane la cui ansia perplessa contiene pericolosi semi. Hanno bisogno di isolare gli estremisti e coloro che fanno leva sui giovani scontenti e suggestionabili che commettono questi crimini, e di scomunicarli dalle loro società. Se temono che così facendo comprometteranno la loro fede, devono porsi delle domande molte serie. Se sono preoccupati di perdere ogni contatto con i giovani e ogni possibilità di riportarli sulla giusta via, devono affrettarsi a capire perché questi giovani hanno tanto bisogno di una leadership e di uno scopo da seguire le idee dei terroristi. Non è responsabilità degli altri affrontare queste questioni, è responsabilità di tutti, ma richiede un’azione immediata da parte della comunità islamica.
I leader musulmani devono spiegarci come mai la loro religione è arrivata ad essere così abusata e distorta da uomini di scarsa erudizione ma forti convinzioni. E perché questi uomini decidono di insegnare agli altri ad odiare? Come sono riusciti a convincere le persone a seguire i loro insegnamenti e cosa ne è stato delle contromisure?
Il termine Islam moderato legittima l’idea di un Islam radicale. Non c’è una sola, vera predicazione dell’Islam? Dobbiamo forse credere che il dovere del jihad può, in alcune circostanze, comprendere l’omicidio di civili, anche se sono essi stessi dei fedeli? Dobbiamo forse credere che una religione moderna possa accettare che la morte di un non-fedele sia meno importante della morte di un fedele? Non ci sono più assoluti morali nell’Islam?
Ciò che manca è la manifestazione forte e vigorosa di una opinione islamica che smascheri questi atti per quello che sono e li definisca in termini puramente criminali, senza alcun sottofondo religioso. Sino a quando sarà possibile, e persino normale, farlo, coloro che reclutano gli attentatori suicidi saranno in grado di continuare a presentare l’omicidio come espressione di un dovere religioso. Se i teologi islamici sostengono che le giustificazioni di questi attacchi sono una distorsione dell’Islam, allora dovrebbero poter bollare i responsabili come nemici dell’Islam. Dovrebbero essere tanto preoccupati dalle azioni in se stesse, quanto lo sono dalle possibili reazioni anti-islamiche che queste possono provocare. Non dovrebbero nemmeno insinuare la possibile esistenza di fattori sociali o politici che mitighino questi crimini, e soprattutto non citare cause del terrorismo che non sono espresse dagli stessi terroristi.


da www.chrismon.de/cbilder

L’Islam si dovrebbe chiedere da dove derivano l’arroganza e l’auto-glorificazione dei terroristi suicidi e la loro ossessione per la morte. Non si tratta di persone ignoranti e senza futuro, non sono sempliciotti senza altri mezzi di protesta a loro disposizione, conoscono molto bene quello stesso Corano che guida il resto dell’Islam. Gli attentatori rappresentano un movimento rivoluzionario che fa tradizionalmente presa sul ceto medio; la pianificazione e l’esecuzione degli attacchi sono attività ricreative.
La loro protesta riempie un vuoto filosofico e soddisfa il loro desiderio di azione e di appartenenza. Ma questo è un movimento rivoluzionario che non ha alcun interesse per altre forme di protesta. Non c’è una gradazione dalla pubblica protesta, alle manifestazioni clamorose, all’azione violenta.
Dopo gli attacchi di Londra si è commentato che questi erano il risultato della politica britannica in Iraq o Afghanistan, o delle leggi d’asilo che consentono a predicatori ‘arrabbiati’ di stabilirsi nel Regno Unito, o dell’incapacità di integrare le comunità immigrate, o di un eccessivo liberalismo, o del suo contrario. Ma si tratta di semplici congetture per quanto riguarda gli attentatori stessi, che potrebbero anche aver ritenuto le scelte politiche o le condizioni sociali britanniche inaccettabili, ma non hanno fatto nulla, neanche con la loro morte, per promuoverne la riforma. In effetti, Hussein Osman ha detto agli investigatori italiani che gli attentatori del 21 luglio erano stati spinti all'azione dalle “occhiate cattive” che venivano loro rivolte per strada dopo il 7 luglio. Anche a voler prendere questa banale spiegazione come un patetico tentativo di conquistare simpatie, ciò ci suggerisce che Hussein non è riuscito a pensare ad un motivo più convincente e socialmente accettabile.
Ma io non credo che questa forma di terrorismo sia senza movente. E’ troppo diffusa e fa presa su troppe persone colte, che sono tutte giunte alla conclusione che la loro vita acquisti significato e valore attraverso il modo in cui muoiono. Sembra più probabile che queste persone vedano le loro azioni come un’espressione di fede, o perlomeno come un atto politico in difesa della loro fede. Contrattaccano contro i nemici dell’Islam e non si preoccupano che i loro atti possano essere contro-produttivi o che nessuno segua il loro esempio, compiono un gesto squisitamente individuale, che li porterà a godere di un paradiso che non hanno alcun motivo di procrastinare e tutte le ragioni di accelerare.
Questi atteggiamenti non possono essere affrontati politicamente; devono essere affrontati attraverso la religione e dai loro correligionari. La condanna del terrorismo e il suo totale rifiuto come valida arma di difesa della fede non devono implicare alcun giudizio sulle radici, sociali o politiche, che secondo la gente ne sono alla base.
In alcuni Paesi musulmani c’è già stato un reale sforzo per scardinare le argomentazioni utilizzate dai sostenitori del terrorismo, ma non si tratta solo di un dovere secolare.
Tutte le comunità musulmane dovrebbero fare lo stesso. E’ difficile coinvolgere i giovani quando questi sanno che cosa non vogliono ma non riescono ad esprimere cosa vogliono. E’ difficile convincere le comunità religiose a cambiare le loro prassi o abbandonare le loro tradizioni, ma se le comunità musulmane non affronteranno la minaccia dell’estremismo violento a livello locale, nazionale e globale, il futuro di tutti noi, musulmani e non musulmani, sarà ben triste.
Se le autorità islamiche devono guidare questo sforzo, la comunità internazionale, sia musulmana che non-musulmana, deve offrire tutto l’appoggio possibile. La minaccia di una crescente islamofobia è reale, e gli autori di queste atrocità saranno felici di vederla realizzata. Uno dei loro obiettivi sembra essere quello di incitare il mondo musulmano all’azione contro quelle che essi considerano aggressive influenze globali deliberatamente avverse all’Islam e, creando un senso di conflitto da ambedue le parti, sono convinti di accelerare la propria vittoria. Le Nazioni Unite hanno un ruolo importante.


da www.dfait-maeci.gc.ca/canada-magazine

Anche senza una definizione di terrorismo, la posizione delle Nazioni Unite è chiara. Il Segretario Generale ha invitato la comunità internazionale ad unirsi alla sua totale condanna della violenza contro i civili, e su questo non c’è da discutere. Inoltre, le frequenti risoluzioni del Consiglio di Sicurezza sul terrorismo non sono affatto ambigue. Le Convenzioni contro il terrorismo sono espressione della posizione della maggior parte dei membri dell’Assemblea Generale e si spera che quest’anno si riesca a raggiungere un accordo per una convenzione generale che includa una definizione di terrorismo. Ma anche senza di essa, nessuno Stato sostiene che la forma di terrorismo che noi etichettiamo come Al-Qaida, o consideriamo come ispirata dal messaggio di Al-Qaida, abbia alcuna giustificazione o valore.
Questa rara unanimità internazionale fornisce una base di partenza.
L’attività operativa di contrasto al terrorismo deve essere effettuata in primis dalle autorità nazionali, anche attraverso una cooperazione con gli altri che rifletta la realtà di una minaccia che non rispetta confini.
La comunità internazionale può fornire un aiuto, individuando e concordando le cose che devono essere fatte da tutti gli Stati e obbligandoli a riconoscere e adempiere ai loro obblighi in questo campo. La comunità internazionale può anche contribuire a garantire che tutti gli Stati possano svolgere questi compiti.
Oltre a promuovere efficaci misure pratiche contro il terrorismo, l’ONU può offrire la sua autorità morale e la sua voce sul palcoscenico mondiale per contribuire a diffondere il messaggio che il terrorismo non si può nascondere dietro un manto religioso.
Il messaggio deve essere ‘forte e chiaro’, e la voce che lo trasmette deve essere riconosciuta come la voce dell’Islam, mentre l’ONU deve fornire un forum nel quale i suoi membri musulmani possano formulare il messaggio e un mezzo per assicurarsi che raggiunga tutto il mondo.
L’ONU può contribuire ad identificare le vere ragioni alla base di questa forma di terrorismo, e promuovere modi per affrontarle.


foto ansa



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