STORIE DI CASA NOSTRA Un amico pericoloso |
|
Quando si descrivono emozioni intense, quando le parole di un racconto sono con tutta evidenza un semplice pretesto per incantare l’inconscio e consentire di osservare con animo sereno le vicende dell’esistenza, tentare una sintesi rischia di creare ostacoli logici alla fluidità che la lettura richiede. In questo brano le scene, le riflessioni, i dialoghi occupano uno spazio che, al termine del percorso psichedelico cui l’Autore ci invita, vengono quasi dimenticati: restano le sensazioni, le emozioni che il racconto provoca e che si presentano all’improvviso, invitanti al punto da imporre una sospensione del pensiero logico e aprire una riflessione ipnotica. Ed è questa la vera sintesi, una sintesi emotiva senza parole. E’ questo che il lettore sperimenterà alla fine del viaggio. da www.leinchieste.com “Tonino Lizzi...” L’uomo si alza, ripetendo il nome come un rosario. I capelli bianchi naufragano nel ricordo. Ritorna agli anni ’70. Odore di bombe e di sangue sulle strade. Il benessere di una società che annegava nel piombo della paura. Ritorna negli uffici spogli dove macchine da scrivere si rincorrevano tra improbabili censure di bianchetto. “Pietro, il capo vuole parlarti. Pensa di utilizzare quella tua fonte .. quel delinquentello.. chissà, potrebbe sapere qualcosa di più sui traffici di droga...” “Miracolo! Caro Luigi, pensavo sarebbe stato più facile che la Lazio vincesse dieci campionati d’Italia che il capo si muovesse nel settore...” “Ancora quella storia.. “ “Non l’ha detto nell’ultimo rapporto? L’élite dell’intelligence è nel settore del terrorismo, la criminalità è roba da sbirri... Insomma, la minaccia eversiva è questione comunque di gente pensante, non di criminali...” “Beh? Non voleva che ti occupassi di brigate rosse?” “Grazie, apprezzo la considerazione, ma vorrei che si capisse la reale entità del rischio mafioso..” “Di’ che vuoi lavorare di meno...” Pietro ritrova l’afro senso d’angoscia e di frustrazione di quei lontani anni. Veniva da un lungo periodo di sbirro in Sicilia, Campania, Puglia... Poi l’approdo agognato nei Servizi Segreti, il tempio dell’informazione, che sublimava l’esperienza professionale e arricchiva di nuovi stimoli. Era naturale che approdasse nel settore anticrimine che si stava istituendo. Una novità. Residuale. Tollerata. Anche gli omicidi eccellenti già mietuti sulle vie palermitane si esaurivano nel grande clamore di sirene della notte. Rimanevano fiori malati di una terra lontana. Troppi, invece, gli omicidi e gli assalti dei terroristi. Un bollettino di guerra che dava un senso di ansia e d’impotenza. Un fenomeno che straripava e inondava i palazzi del potere. Pietro ricorda quanto fosse difficile anche per lui occuparsi di mafia in un periodo pervaso dall’onda eversiva. Ripeteva, soprattutto a se stesso, che occorreva anticipare le minacce, superare l’emozione del presente per combattere anche un nemico in fieri (che comunque, ne era certo, già costituiva un malanno quasi mortale ... e la situazione sarebbe peggiorata..!). Tuttavia, talvolta si vergognava e si sarebbe nascosto nelle riunioni a sentir parlare i colleghi. Eppure...Il suo profilo greco di Cassandra lo avrebbe accompagnato nella vita, per ogni tappa privata e professionale. Il suo capo fu lapidario. Resti di ruggine del passato sull’irrisolto profilo di antico poliziotto. “Vedi che puoi fare. Sai come la penso...Dobbiamo occuparcene, sei ancora abbastanza sbirro da poter cavare il ragnaccio dal buco..Pare che l’affare della droga sia il movente di omicidi eccellenti.. Anche colleghi...Tieni, queste sono le carte, muoviti e fammi sapere quando hai qualcosa di serio...Ah, occhio alla penna, metti il naso nella merda ma non sporcare te e noi..nessuno...” Pietro emerge dal ricordo. Sorride ancora ora... Sporcarsi... Certo, la nota sindrome degli agenti di non sporcarsi perchè la gente già ti considera sporco..Attesa della manna della sicurezza, che piova dal cielo, come un miracolo! Lizzi era all’epoca un buon criminale. Uno di quelli che fonda il potere nel mercato criminale sul carisma personale. Intelligente. Astuto. Viveva di intermediazione. Aveva messo a frutto le sue conoscenze, che dispensava dietro lauti compensi. Amava ripetere che i suoi servigi gli lasciavano in mano soldi e una spolverata di potere. Qualcuno, però, era disposto a dare soldi ma non a cedere nemmeno un acaro della sua immondizia. In un attentato gli fu uccisa la figlia. Lui rimase ferito. “Roba loro” ripeterono gli addetti ai lavori davanti al suo corpo ferito. Fu come sparargli la seconda volta. Pietro non la pensava così. Riuscì a trovare gli assassini e ad arrestarli. Ebbe il desiderio, alla fine, di andare a portare un fiore sulla tomba di quella bambina che era morta per destino familiare. Scudo di un padre di cui in un certo senso era vittima. C’era anche Tonino, lì. Sorpreso. Offeso dalla presenza dello sbirro. Vomitò ogni sorta di odio, dolorante quanto inutile. Pietro vide un uomo distrutto dalla morte della figlia (come si può accettare un’ingiustizia simile?), forse anche dal silenzioso ma tagliente senso di colpa. Un rimorso rappreso, maleodorante come i garofani e i crisantemi appassiti sulle tombe asciutte e dimenticate. “Toni’, io l’assassino l’ho arrestato. Io stanotte dormo. Con dolore. Ma dormo. Forse starei meglio se arrestassi pure te. Non ho sfiorato l’assassino, ma a te romperei la faccia, ti porterei per il bavero su e giù per il cimitero sino a sentire solo rumore di ossa!” Avrebbe voluto “potarlo”, come diceva suo nonno quando era arrabbiato con lui. Come per cambiargli natura... Da quel giorno, incontrandosi per strada, bastava guardarsi in un certo modo perchè la sera si ritrovassero entrambi davanti alla tomba della bambina, a parlare di sé, mai come amici. Eppure come persone che si rispettano e che, da parti opposte, erano interessate agli accadimenti del luogo. Anche quella volta l’aveva cercato. Per rispondere al suo capo. All’ombra del suo nuovo incarico. “Pietruzzo, avete un fare strano, ultimamente. Vi mascariate con me e pure con i vostri colleghi sbirri. Che fate? Chi siete? Da quando siete partito avete l’aria... come dire... l’aria di spia...” “Diciamo che sono in un reparto speciale....” “Allora fammi dire che non ci sto più. Basta. Io vi voglio bene, ma non faccio il confidente. Voi siete una persona che ha bisogno ogni tanto di capire... me l’avete detto voi, ricordate? Io ho accettato.” Gli occhi di Tonino si fecero liquorosi. Come acqua di palude. “Ho accettato per voi. Per non farvi ammazzare. Avete l’abilità di mettervi nei guai. Non che me ne freghi.. ma ho un debito con voi...” Ingoiò a fatica. “Ora siete diventato qualcuno. Fino a quando eravate sbirro vi proteggevo. Ora, che non so e non voglio sapere cosa siete diventato, potete trascinarmi dove nemmeno sapete...” “Ehi, il criminale sei tu... che fai, inverti i ruoli?” “Ehi, tra Barabba e Cristo la gente ha scelto Barabba. Non dimenticatevelo. Verrà un tempo che mi ringrazierete” “Pure...!?” “Sì, pure! I segreti, anche se di Pulcinella, fanno più paura della peggiore delle notizie!” Pietro ricorda ancora la rabbia. Riuscì a portare notizie sul traffico di droga. La posizione dei clan pugliesi in Lombardia, servente rispetto ai siciliani e ai calabresi che a Milano stavano radicandosi sempre più competitivi. I collegamenti con i gruppi colombiani che avevano centri logistici in Italia. Le raffinerie di Cosa Nostra in Sicilia e Puglia. Il metodo sistematico adottato dai narcotrafficanti per coprire il mercato dalla domanda sul territorio, dall’alimentazione allo stoccaggio e al rifornimento. Stava nascendo una generazione di specialisti che, pur non dotati di peso all’interno delle strutture territoriali della mafia, curavano per i clan gli interessi economici e soprattutto della droga. Erano loro a rappresentare la mafia nei circuiti internazionali. Con professionalità e affidabilità. Parlò anche di Cosa Nostra, della crisi tra gli emergenti corleonesi che stavano occupando le leve del potere interno e che, in caso di vittoria, avrebbero mutato strategie e azione. “Ci sarà un brutto periodo, per voi. La droga porta soldi. I soldi portano potere. Nessuno fermerà il gioco. E’ tardi..”. “Non è mai troppo tardi per chi sa lottare”. Per lungo tempo non si videro. Pietro ebbe il compiacimento dai superiori per l’appunto redatto sulla base delle informazioni di Tonino. Non ne fu contento. “Capo, bisogna seguire gli emergenti, controllarne i movimenti, metterli sotto, magari infiltrando...” “Pietro, conosci la legge? Devi fare con i mezzi a disposizione. Pochi. Nulla, talvolta”. Venne il periodo buio. Furono uccisi prefetto, magistrati, scorte, poliziotti, giornalisti... Ci furono leggi speciali. Per la polizia. “No. Noi non possiamo farlo!” La musica non cambiò. Pietro andò all’estero. All’Est che crollava con le sue contraddizioni. Occhi attenti a cogliere le direzioni di una civiltà che voleva ricostruirsi. Poi in Africa. Intanto in Italia il terrorismo rosso era stato vinto. Gli epigoni fuggivano, con le loro arie da intellettuale con cui coprivano il puzzo di latitante. Più coerenti i mafiosi, pensava, almeno non nascondono il sangue che hanno versato dietro il vetro opaco di rivoluzionario. Nel sole africano degli eccessi, dove l’opulenza di pochi è garantita dalla povertà di molti, gioco bambino di morte nel girotondo dei dittatori, arrivò quel maledetto dispaccio su Antonio Lizzi. Il suo curriculum spaventò. Poteva sintetizzare la storia del crimine. La sua evoluzione da regionale a transnazionale, dalla logica puramente territoriale a quella “di servizio”. Era premiata così l’intuizione di Lizzi di essere disponibile con tutti senza appartenere ad alcuno. Con l’unico vessillo degli affari. Triangolazione del traffico di cocaina dalla Colombia in Europa via Spagna. Gestione del contrabbando di sigaretta in Albania e Puglia. da www.siciliasearch.com Immigrazione clandestina dai Balcani. Riciclaggio. Circuiti bancari e centri off shore. Responsabilità nell’omicidio di alcuni affiliati infedeli e di alcuni immigrati clandestini che erano stati spediti su di una nave tanto malridotta da affondare quasi immediatamente. Si ricordò quello che si dissero l’ultima volta. Tonino aveva capito l’evoluzione. L’aveva cavalcata. Pietro sentì forte il rimorso di non averlo fatto capire ai suoi superiori. Il dispaccio conteneva un appunto manoscritto del suo nuovo capo. Aveva fatto carriera il suo amico Luigi, con cui aveva condiviso le esperienze di agente neofita. Si erano reciprocamente aiutati. Lui aveva dato il passato operativo, il fiuto, la conoscenza dei mondi criminali che trascende i libri. Luigi, professore universitario, aveva insegnato la laicità dell’intelligence, l’apertura verso approcci analitici globali. L’olismo era il suo cavallo di battaglia. Era vergato in inchiostro azzurro: “Caro Pietro, non era una tua fonte? Cercalo e fa’ che la polizia possa prenderlo superando le difficoltà locali. Ciao. P.S. Le brigate rosse si starebbero ricomponendo... “ Pietro riemerge dai ricordi. Sorride. Amaro. Si risiede sulla poltrona con un bicchiere di whisky. E’ proprio vero, la mafia ha la fortuna di approfittare delle emergenze che si alternano in Italia. Si inabissa e riesce a superare le difficoltà, profittando della continua distrazione dell’avversario che nei momenti di vantaggio è chiamato ad affrontare altre insorgenti minacce. Fortuna. Anche eccessiva ansia delle forze dell’ordine di stare “sul rischio attuale”. Maledette “recensioni stampa”. Tutti, a qualsiasi livello, a rincorrere le notizie, quasi a giustificare quello che accadeva. Spesso senza il coraggio di urlare “non è vero”, o “non è proprio così”. Gridare “non distoglieteci dalle cose importanti più silenti e pericolose”. Che successe poi? Lo individuò in uno Stato dell’Africa meridionale. Trovò lui, la sua flotta, i suoi amici e i cospicui conti in banca che aveva aperto in loco. I colleghi africani lo sostennero. L’estradizione avvenne in tempi record. Era mutato il regime in quel Paese. Gli appoggi erano crollati e lui non fece in tempo a crearne di nuovi. Lo incontrò in aeroporto. Era invecchiato. Appesantito. Occhiali d’oro. Sguardo arrogante. Aveva l’aria di un uomo d’affari. Hanno tutti lo stesso profilo i criminali che si danno al business. Ripulita la facciata, conservano i tratti violenti e rozzi. “Come va, Tonino?” “Chiedimelo quando ci vedremo all’Inferno...” “No, io andrò in Paradiso, non foss’altro che per portare i fiori a una bambina uccisa anni fa, quando il padre ancora non era un assassino.” Lo sguardo si fece più profondo. “Non ho ucciso io. Diglielo a mia figlia.” Poi mi guardò. “Se ti spiego come funziona il meccanismo e se mi dai un documento “buono” ti faccio fare il giro del mondo. Ti stupiresti di quante cose si vedono dai miei occhiali.” “Dillo al poliziotto, ormai. O al magistrato che ti prenderà in consegna. Per chi collabora alla giustizia c’è un trattamento di favore...” “Non ho il DNA per collaborare. Ma voi, che Servizi siete?” Poi si avviò verso le scalette d’imbarco. Sembrò incurvarsi. Dalla prigione della sua vecchiaia anche oggi ripete quelle domande. Se le pone spesso, anche se ora è in pensione. Chiuso tra i ricordi che cerca di ricacciare dentro. Il suo capo si domandava spesso come e dove avesse conosciuto quella fonte utilizzata una volta e poi sparita. Anche un magistrato, avuta una copia del suo appunto tra le mani, cercò di sapere di più di quel rapporto che intuiva criminogeno. Era convinto, il buon uomo, che parte della ricchezza del Lizzi provenisse dai Servizi. Era uscito anche un articolo su di una rivista, che aveva dato problemi a Pietro e al suo capo. Ne era uscito solo perchè non risultava alcun pagamento per quell’informazione, peraltro ritenuta “generale e proiettata al futuro possibile e quindi poco riscontrabile”. Tonino ne aveva tratto beneficio, perchè i suoi nemici ebbero più paura e gli alleati più riguardo per le sue capacità relazionali. Pietro ricorda le prime discussioni e la ferma volontà di Tonino di troncare il rapporto con lui al momento del suo trasferimento ai Servizi. Fu un gesto di amicizia. Incomincia a capirlo. Nella penombra d’improvviso la luce rischiara un vecchio assiso con il sorriso stampato sul viso e un bicchiere di whisky in mano. “Papà, sei pazzo? Che ti è venuto in mente? Bere whisky è suicidio, la conosci la tua situazione...”. “Calma, figliolo. Calma. E’ un brindisi a un amico. Mi ha fatto una grande cortesia, anche se non l’ho capito subito.” |