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GNOSIS 4/2005
Khomeini e Al-Sistani
il futuro degli Sciiti


Anna BARDUCCI

I rapporti tra Iran e Iraq saranno determinati in buona parte dagli equilibri interni al mondo sciita. L’Iran ha ogni interesse a non perdere la sua influenza sugli sciiti iracheni ed è per questo che teme l’autonomia di pensiero di ayatollah che si oppongono all’idea di unire Stato e religione, come è nel caso di Al Sistani. Intanto ci sono segnali di una forte propaganda iraniana nel paese tra i due fiumi. Nella vicenda concorrono anche gli interessi politici e strategici della Siria e di Hizbollah. Uno scenario preoccupante che forse potrebbe aiutarci a comprendere quanto sia importante per l’Occidente assicurare in quell’area libertà di espressione e di pensiero e garantire che qualsiasi scelta sia assunta secondo volontà e non sotto minacce o pressioni terroristiche. Ecco una analisi chiara di quanto sta accadendo e di ciò che potrebbe accadere.


Il re Abdullah II di Giordania ha affermato in più occasioni che un Iraq sotto dominio sciita causerebbe una forte destabilizzazzione dell'area mediorientale.
Secondo il re hashemita, infatti, un eventuale coinvolgimento politico e religioso dell'Iran in Iraq, unito alle strette relazioni con la Siria e con il movimento libanese, Hizbollah, creerebbe un pericoloso scenario non solo per i paesi del Golfo, ma per lo stesso Occidente.


foto ansa

L'Iraq, pertanto, viene identificato come il campo di battaglia che l'Iran si prepara a conquistare per combattere contro il mondo occidentale (1) . Dopo la caduta dell'ex dittatore Saddam Hussein, la Repubblica islamica poteva avere due obiettivi da perseguire in Iraq: rendere la situazione difficile per gli Americani, al fine di distogliere l'attenzione dal programma nucleare iraniano, e di affermare la propria influenza sulla hawzah (2) e sulle due città sante per gli sciiti, Karbala (3) e Najaf (4) , per prevenire la nascita di una figura religiosa forte e indipendente, che potesse - e possa - competere con la città di Qom (5) (6) .
I conservatori iraniani hanno già dimostrato di temere l'insorgere, nel nuovo Iraq, di ayatollah che non perseguono i diktat della Rivoluzione di Khomeini. Un clero indipendente potrebbe infatti far perdere all'Iran un ruolo dominante nella scena politica irachena e in quella religiosa del mondo sciita.
Il quotiodiano iracheno, Al-Nahdha, aveva riportato che agenti iraniani, travestiti da pellegrini, sfruttando la libertà di vendita di libri nel nuovo Iraq democratico, cercavano di distribuire opuscoli di propaganda (7) , per esportare e affermare i dogmi dell'Ayatollah Khomeini nel 1979.
Il quotidiano iracheno, Al-Mashreq, in un articolo intitolato ‘Non sorprendiamoci di vedere bandiere iraniane sulla città di Karbala’, aveva denunciato il piano di ‘invasione culturale’, che sta tentando di portare a termine l'Iran (8) .
Il grande Ayatollah Alì Al-Sistani, il clerico sciita più influente in Iraq, subito dopo le elezioni, aveva messo in chiaro la sua posizione politica: ‘nel nuovo Governo non ci devono essere turbanti’. Le sue parole crude e dirette hanno però sottolineato l'opposizione al principio dell'unione tra Stato e religione che l'Iran tenta di esportare in Iraq.
L'Ayatollah Al-Sistani, decisivo durante il periodo di passaggio dall'Autorità di Coalizione Provvisoria al Governo ad interim, ha sempre dimostrato di appoggiare una visione religiosa divergente dal clero della Repubblica islamica.
Di fatto, nessuna delle sue azioni ha mai suggerito alcuna volontà di esporre l'Iraq ad un'autocrazia di stampo iraniano (9) .
Al contrario, l'Ayatollah Al-Sistani aveva affermato che non avrebbe avuto alcuna obiezione, se fosse stato eletto un cristiano come Presidente dell'Iraq, se quest'ultimo avesse avuto le qualifiche appropriate (10) .
Non solo, ma la lista vincente alle elezioni, l'Alleanza Nazionale Irachena, che oltre a rappresentare la maggioranza sciita, ha goduto della diretta consultazione dell'Ayatollah Al-Sistani, aveva al suo interno anche candidati sunniti, failis (curdi sciiti), turkmeni e yazdi (gruppo curdo) (11) .
Proprio per le sue posizioni politiche, in contrasto con i conservatori iraniani, il quotidiano panarabo con base a Londra, Al-Sharq Al-Awsat, aveva scritto che prima delle elezioni le Guardie Rivoluzionare avevano cercato di attentare contro la stessa persona dell'Ayatollah Al-Sistani.
Il medesimo quotidiano ha inoltre riportato ulteriori testimonianze, da parte di un ex ufficiale, disertato dall'unità d'intelligence iraniana operativa in Iraq.
Secondo la sua confessione, l'assassinio dell'Ayatollah Muhammad Baqir Al-Hakim, ex-capo del Consiglio Supremo della Rivoluzione Islamica in Iraq (SCIRI), era stato eseguito dall'esercito iraniano Al-Quds.
Durante la festività islamica di eid Al-Adha, ci sono stati vari e ripetuti tentativi falliti per uccidere l'Ayatollah Al-Sistani (12) .
Il periodo elettorale in Iraq ha messo in luce che, a differenza di quanto generalmente l'Occidente è abituato a pensare, lo sciismo non è un blocco monolitico sotto il controllo totale dei clerici iraniani.


Lo sciismo non intervenzionista e intervenzionista

Lo sciismo è divisibile in due filoni: ‘usoolyia’ e ‘ikbaria’, tradotti comunemente dagli studiosi di Medio Oriente di lingua inglese come ‘activist’ e ‘quietist’, ovvero gli intervenzionisti e i non intervenzionisti.
Lo sciismo, durante tutta la sua storia, non ha mai stabilito il grado di autorità che un clerico-giurista (mujtahid, colui che sa trovare le leggi religiose da seguire, ricercandole nelle ‘fonti appropriate’, e considerato il più sapiente, al-a'lam) può esercitare in materia politica.
La partecipazione del mujtahid dipende pertanto dal periodo storico e sociale che si trova ad affrontare. Il clerico sciita, infatti, gode di un certo margine di flessibilità per superare i problemi attraverso il suo uso della ragione ('aql), applicando al meglio la ‘legge divina’.
Un primo intervenzionismo, in epoca moderna, (meglio definito come "quasi-intervenzionismo") è apparso per la prima volta sotto il dominio della dinastia Qajar (13) nel XIX secolo.
Il mujtahid accettava la legittimità spirituale dei governanti, che dovevano seguire i precetti della Shari'a, legge islamica. Tra gli anni cinquanta e sessanta, l'Ayatolah Ruhollah Khomeini riprende questa linea religiosa, cercando una cooperazione con lo Stato.
La ‘rivoluzione bianca’ (14) , portata avanti dallo Shah Muhammad Reza nel 1963, per apportare riforme di stampo occidentale - come stava accadendo anche in Egitto sotto la guida del presidente Anwar Sadat - che avevano minacciato i diritti sulle proprietà feudali dei proprietari terrieri assenteisti e lo status morale degli ulema contrari a importare forme di pensiero adottate in Europa e negli Stati Uniti, oltre a generare un malcontento della popolazione, è considerata una delle cause-pretesto utilizzate dalla classe religiosa iraniana per prendere in mano il potere. In questi anni, Khomeini inventa pertanto una ‘politica teologica’ intervenzionista, che sfocia nel 1979 con la Rivoluzione islamica e con l'unione tra Stato e religione.


foto ansa

La divisione dicotomica dello sciismo nasce quindi con Khomeini.
La sua nuova e "innovativa" concezione religiosa prevedeva una riforma del potere temporale, rimpiazzandolo con un governo composto da fuqaha (plurale di faqih), i giuristi, formato da ulema religiosi.
Questa dottrina è conosciuta più propriamente con il nome di wilayat al-faqih, l'amministrazione/l'autorità del giurista, o meglio la leadership del giurista sulla società, che dà il titolo anche all'opera più importare scritta da Khomeini.
L'uso del termine faqih, giurista, invece di mujtahid o marja', la più alta autorità in temi di religione e giurisprudenza nello sciismo, sottolinea la volontà di Khomeini di mettere il fiqh (da cui deriva la parola faqih), giurispudenza islamica, al centro del nuovo sistema legale e rendere il clero sciita l'autorità che si occupa di tutte le sfere del diritto.
Il punto centrale del nuovo approccio intervenzionista iraniano derivava quindi dal cambio di scenario politico, che faceva sentire gli ayatollah in condizione tale da dovere e potere iniziare una nuova filosofia politica contrapposta a secoli di pensiero sciita non intervenzionista.


Alì Al-Sistani contrapposto a Khomeini

L'Ayatollah Khomeini è l'inventore e il rappresentante dello sciismo intervenzionista, oggi appoggiato non solo dal clero conservatore iraniano, ma anche da Hassan Nasrallah, leader del movimento politico e militare libanese, Hizbollah e da Muqtaba Al-Sadr, figlio di Mohammed Baqir Al-Sadr, anche lui intervenzionista, ucciso nel 1999 con due dei suoi figli, presumibilmente dalle forze dell'ordine di Saddam.
L'Ayatollah Alì Al-Sistani (15) rappresenta invece lo sciismo tradizionale, non intervenzionista.
Questo tipo di approccio era inevitabile per sopravvivere sotto il regime del partito Baath in Iraq. Il clero sciita ‘sovversivo’, che poteva essere d'ostacolo al regime dell'ex dittatore Saddam Hussein, era messo in prigione, torturato e ucciso.
In passato, infatti, lo sciismo ha mantenuto una linea politica defilata e non intervenzionista, perchè nato come religione minoritaria (escludendo i primi secoli dalla nascita del movimento religioso, e.g. il periodo dell'ismailismo).
Alì Al-Sistani, di origine iraniana, è attualmente il più importante clerico sciita in Iraq. Dopo aver studiato nella città iraniana di Qom, si è trasferito a Najaf, in Iraq, sotto la guida del grande Ayatollah Abul-Qassim Khoei. Negli anni sessanta diventa marja', o meglio detto marja'-e-taqlid, fonte di emulazione. Sistani, influenzato dagli insegnamenti del suo maestro, mantiene la politica separata dalla religione.
Dopo la prima guerra del Golfo, a seguito di una rivolta, è stato comunque succubo di molestie da parte dei baathisti e imprigionato per un breve periodo. Khoei muore nel 1992 e Sistani prende il suo ruolo.
Nel 2003, dopo la seconda guerra del Golfo, lancia una fatwa imponendo ai clerici sciiti di non partecipare alla vita politica. Ha poi appoggiato la tesi secondo cui la legge islamica è una fra le fonti del diritto del nuovo Iraq, ma non l'unica fonte del diritto.


Sciiti in Iran e Iraq dopo la vittoria
di Ahmadinejad e la Carta irachena


La vittoria di Mahmoud Ahmadinejad alle elezioni presidenziali iraniane ha rappresentato l'inizio della ‘Seconda rivoluzione islamica’ del paese (16) . Prima della sua ascesa al potere, l'apparato militare, il sistema giuridico e l'establishment religioso era già nelle mani dei conservatori.
Le elezioni municipali nel 2003 e quelle legislative nel 2004 hanno dato loro il totale controllo dei centri di potere. Con la vittoria di Ahmadinejad (17) , infine, i riformisti hanno perso ogni loro rappresentanza politica.
L'attuale presidente iraniano è il primo capo di Stato della Repubblica islamica a non essere una figura religiosa, ma Ahmadinejad fa comunque parte della generazione di ‘mezzo’ della rivoluzione islamica, fedele ai valori religiosi e politici dell'Ayatollah Khomeini.
Dopo l'elezione presidenziale, la differenza tra sciiti iraniani e iracheni si è mostrata maggiormente evidente durante la stesura della Costituzione in Iraq.
Poche settimane prima che fosse firmata la Carta dalle varie fazioni politiche, con l'eccezione dei sunniti, il premier Ibrahim Al-Jaafari si era rivolto all'Ayatollah Al-Sistani che in maniera pragmatica aveva dato la propria approvazione per definire l'Islam come ‘una delle fonti primarie di legislazione’ nella Carta, evidenziando così come la città sciita di Najaf sia lontana dalle ambizioni religiose khomeiniste.
La rivalità tra arabi e persiani sembra inoltre allontanare ulteriormente ogni volontà da parte degli sciiti iracheni di essere influenzati politicamente e religiosamente dal vicino Iran.
In un'inchiesta informale - che però non rappresenta la sensibilità di tutta la comunità religiosa - portata a termine tra sciiti iracheni, per descrivere la loro identità, hanno messo al primo posto la loro appartenenza all'Iraq, seguita dal loro essere arabi e musulmani, citando soltanto per ultimo la loro componente sciita (18) .
Durante la guerra tra i due paesi, durata otto anni, gli sciiti iracheni non hanno appoggiato l'Iran, ma sono rimasti fedeli al proprio Stato.
Iyad Jamal Al-Din, uno dei leader sciiti iracheni con più seguito, ha dichiarato alle telecamere dell'emittente libica Lbc tv di appoggiare un governo laico, che separa lo Stato dalla religione, in contrapposizione al principio khomeinista del wilayat al-faqih, aggiungendo che la sua libertà di sciita e di persona di fede non sarà mai completa se non potrà preservare quella delle altre etnie e fedi nel paese e che non potrà preservare la libertà delle moschee se non sarà salvaguardata anche quella dei night club (19) .
La Carta irachena appoggiata e firmata dagli sciiti, con il beneplacito di Al-Sistani, diverge nei punti fondamentali da quella iraniana.
Nonostante la posizione iniziale degli sciiti, maggioranza nel paese, di non voler cedere dal definire il paese uno Stato islamico, nella Costituzione finale da loro accettata l'Iraq è uno Stato repubblicano, parlamentare, democratico e federale.


foto ansa

A differenza dell'Iran, che nell'articolo 1 della Carta definisce la propria forma di governo una Repubblica islamica.
L'Islam è la religione ufficiale, ma è ‘una’ delle principali fonti legislative ed è proibito emanare una legge in contraddizione con i principi base della democrazia.
L'articolo 2 della Costituzione iraniana sancisce invece i valori della rivoluzione islamica. Al-Sistani, la prima autorità religiosa del mondo sciita, dopo il rifiuto della Carta da parte dei sunniti, ha dichiarato di rifiutare il federalismo e ha richiesto agli sciiti di portare avanti il progetto di unità del paese attraverso un governo che dovrà essere centrale, nazionale ed eletto. Tutto ciò non accadrà se non si realizzerà l’unità del paese nella Costituzione, concordata dal popolo.
I sunniti sono il vostro popolo e questa volta dovete stare dalla loro parte, così loro staranno dalla vostra nel futuro, dovete considerarli i vostri fratelli e non portare dentro di voi l’ingiustizia, perché entrambi siete stati le vittime di Saddam’ (20) .
Questa sua affermazione mostra ancora una volta gli intenti opposti all’Iran sciita, che vorrebbe costruire un unico Stato religioso incorporando sotto di sé gli sciiti iracheni, a differenza di Al-Sistani che spinge per avere un’unità irachena trovando accordi e compromessi con le altre minoranze nel paese.


Conclusione

L'Ayatollah Al-Sistani rappresenta il clerico della città santa di Najaf, il luogo più importante dello sciismo.
La sua figura di uomo di religione è sempre più popolare.
Uno scenario plausibile, che sembra prospettarsi, potrebbe mostrare che la popolazione iraniana segue la leadership e gli insegnamenti di Sistani, adottando un approccio non intervenzionista, allontanandosi di conseguenza dalla visione khomeinista.
I conservatori della Repubblica islamica si potrebbero ritrovare in grande difficoltà. In questo momento, i loro oppositori sono soltanto i riformisti, possono quindi contare sempre sull'appoggio della popolazione religiosa.
Se Sistani viene però visto come il simbolo dello sciismo, i conservatori iraniani rischiano di perdere ogni tipo di sostegno e di essere sostuiti dallo sciismo iracheno, perdendo la loro egemonia sullo Stato iraniano.
La domanda da porsi, quindi, dopo aver trattato i due filoni dello sciismo, è se l'Iraq influenzerà l'Iran e non viceversa.
L'analisi del re Abdullah II di Giordania rappresenta una preoccupazione comune del mondo sunnita, che si sente minacciato dagli sciiti, che siano intervenzionisti o no.
I sunniti, in lotta da secoli coi seguaci di Alì, sentono infatti che stanno perdendo il loro ruolo dominante in Iraq (21) .
L'avvertimento haschemita sul pericolo sciita a Baghdad - espresso anche da emittenti satellitari come Al-Jazeera, in maniera meno diretta - può pertanto essere interpretato in chiave politico-religiosa.


(1) R. Satloff, King Abdullah II: "Iraq is the Battleground: The West against Iran", Middle East Quarterly, 16 Marzo, 2005.
(2) Hawza: istituzione sciita di studi islamici a Najaf.
(3) Karbala: città in Iraq sacra per gli sciiti. Sede della tomba del leader Husein, figlio dell'Imam Alì.
(4) Najaf: città in Iraq sacra per gli sciiti. Sede della tomba dell'Imam Alì. Najaf è anche il centro di istituti religiosi, dove sia l'Ayatollah Khomeini sia l'Ayatollah Al-Sistani hanno studiato.
(5) Qom: capitale della provincia di Qom in Iran. Il clero sciita ha tentato di renderla una città sacra per i propri credenti, costruendo istituti religiosi, in sostituzione alle città irachene di Karbala e Najaf.
(6) N. Raphaeli, Iran's Stirring in Iraq, Middle East Media Reserach Institute, Inquiry and Analysis Series n. 173, http://www.memri.org , 5 Maggio 2004.
(7) Ibid.; Al-Nahda, Iraq, 17 Febbraio, 2004.
(8) Ibid.; Al-Mashreq, Iraq, 17 Febbraio, 2004.
(9) N. Raphaeli, Iraqi Election (I): The imperatives of Election on Schedule, Middle East Media Research Institute, Inquiry and Analysis Series n. 199, http://www.memri.org , 15 Dicembre, 2004.
(10) Ibid.
(11) N. Raphaeli, Iraqi Elections (II): The launching of the Campaign, Middle East Media Research Institute, Inquiry and Analysis Series n. 201, http://www.memri.org, 31 Dicembre, 2004.
(12) N.Raphaeli, Iran's Role in the Recent Uprising in Iraq, Middle East Media Research Institute, Inquiry and Analysis Series n.692, http://www.memri.org , 9 Aprile, 2004; Al-Sharq Al-Awsat, Londra, 3 Aprile, 2004.
(13) I Qajar erano una tribù turkmena, che avevano il dominio dell'attuale Azerbaijan. Nel 1779, dopo la morte di Mohammad Karim Zand, a capo della distania Zand che governava nel sud dell'Iran, Agha Mohammad Khan, leader della tribù Qajar, riunifica la Persia sotto il suo comando.
(14) La rivoluzione bianca è un programma di riforme economiche e sociali lanciato dallo Shah Muhammad Reza in Iran nel 1963. L'intenzione era di importare un modello occidentale e di lanciare progetti, finanziati dal governo, per l'industria pesante. La riforma più importante riguardava i terreni. Lo Shah aveva, infatti, reciso l'influenza delle élite iraniane, facendo diventare circa il 90 per cento dei mezzadri proprietari terrieri. Socialmente, aveva garantito alle donne più diritti e finanziato l'educazione nelle aree rurali. La riforma terriera aveva però creato il discontento tra i contadini, che si lamentavano di non aver avuto abbastanza terra coltivabile, e tra le élite, che si erano viste private di parte dei loro beni. Il clero sciita, inoltre, non appoggiava le riforme dello Shah, che aveva sottratto il suo potere tradizionale nel campo dell'educazione e della famiglia. Questo malcontento ha contribuito all'espulsione dello Shah durante la Rivoluzione islamica nel 1979.
(15) Il grande Ayatollah Sayyid Ali Husaini Sistani è nato approssimativamente il 4 agosto 1930 a Mashhad in Iran.
(16) A. Savyon, Iran's Second Islamic Revolution: fulfillerd by election of conservative president, http://www.memri.org.
(17) L'intellettuale iraniano liberale, Amir Taheri, sostiene che sia scorretto definire il neo presidente Ahmadinejad un conservatore e che sia più corretto descriverlo come un rivoluzionario.
(18) G. E. Fuller e R. Rahim Francke, The Arab Shi'a, Martin press.
(19) Lbc tv, Libano, 31 Luglio 2005.
(20) Al-Medhar, http://www.almendhar.com.
(21) Si ricorda che Saddam Hussein, nonostante appartenesse al partito laico Baath, era un sunnita e sotto il suo regime ha tenuto come alleati i suoi confratelli e represso i "nemici" sciiti.

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