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GNOSIS 4/2005
Movimentismo e militarismo
Prima Linea anima armata del ‘68


articolo redazionale

Sono passati quasi tre decenni dal periodo di maggiore attività di “Prima Linea” ed è forse utile delinearne un breve profilo, soprattutto a vantaggio di chi in quegli anni non aveva ancora coscienza, per vincolo anagrafico, di quel fermento violento e sanguinario che macchiò le pur legittime aspirazioni di cambiamento di una intera generazione. Rispetto ad altri movimenti o gruppi terroristici, Prima Linea viveva una spinta ideologica notevolmente inferiore, meno “colta” e più approssimativa, al punto da porsi a metà strada tra il gruppo di nostalgici sessantottini e l’organizzazione di aspiranti terroristi rossi, con il tempo sempre più alla ricerca di un modello da imitare. Questa specie di “immaturità” organizzativa ed ideologica ne fece, nel breve periodo di esistenza, un gruppo più violento e vendicativo e, al contempo, ne provocò la fine.


Tra i gruppi terroristici di matrice marxista che negli anni ’70 e ’80 hanno segnato la storia del nostro Paese, Prima Linea, seconda solo alle Brigate Rosse per operatività e numero di aderenti, incarna un percorso ricco di aspetti peculiari, per certi riguardi antitetico a quello brigatista.
Il gruppo nasce, in una fase di forte espansione del partito armato, nella seconda metà degli anni ’70 e consuma la sua parabola in pochi anni, meno di un decennio.
L’area di provenienza è rappresentata dall’estrema sinistra extraparlamentare (settori dell’Autonomia in cui sono confluiti fuoriusciti di Potere Operaio e soprattutto di Lotta Continua) e da alcune realtà operaie, presenti specie nella cintura milanese (Magneti Marelli). Risulta poi essenziale l’esperienza della rivista “Senza Tregua”, radicata in fabbrica e che fa del cosiddetto ‘antifascismo militante’ un terreno specifico di intervento.
Si tiene infatti a Salò (BS), alla fine del 1976, un convegno del gruppo di “Senza Tregua”, in cui gli elementi più determinati, corrispondenti ai quadri intermedi, si impadroniscono dell’organizzazione (il cosiddetto ‘golpe dei sergenti’), anche se la nascita formale di Prima Linea viene sancita nel maggio ’77, nei pressi di Firenze, con la costituzione di un ‘comando nazionale’ in cui confluiscono, accanto al gruppo milanese, quello bergamasco e quello torinese.
Presente in varie zone d’Italia, la formazione concentrerà gli interventi a Milano, Firenze, Napoli e soprattutto a Torino.


foto ansa

I suoi principali esponenti sono Roberto Sandalo, Marco Donat Cattin, Michele Viscardi, Enrico Galmozzi, Fabrizio Giai, Sergio Segio, Susanna Ronconi, Diego Forastieri, Roberto Rosso, Maurice Bignami, Bruno La Ronga, Giulia Borelli, Silviera Russo, nomi tutti variamente noti (1) .
Il 1976 è l’anno delle prime azioni: l’irruzione nella sede del Gruppo Dirigenti Fiat di Torino (29 novembre) è, in assoluto, la prima rivendicata ufficialmente dalla organizzazione, responsabile peraltro anche dell’omicidio del consigliere provinciale del MSI, Enrico Pedenovi (Milano, 29 aprile 1976) (2) , sebbene non rivendicato.
La formazione, che si presenta come “aggregazione di vari nuclei guerriglieri che finora hanno agito con sigle diverse” (3) , spesso non rivendica le proprie azioni ed utilizza anche più di una denominazione (4) , ragione per cui non sempre è possibile stabilire con certezza se si tratti di una stessa organizzazione o di gruppi differenti.
Nei decenni ’70 e ’80 il proliferare di sigle diverse ha contribuito a creare l’immagine di una crescita tumultuosa dell’area lottarmatista, un vero e proprio fenomeno di ‘terrorismo diffuso’, esteso su larga parte del territorio italiano e, a volte, modesto per livello operativo, alimentato dal clima di illegalità e di violenza di quegli anni.
Il ‘terrorismo diffuso’ non necessita di particolari strutture organizzative o di complesse elaborazioni teoriche e si sviluppa secondo una dinamica moltiplicatrice ed emulativa, indotto da quello ‘strategico’ rappresentato dai gruppi maggiori (in primo luogo le Brigate Rosse).
Si è trattato spesso di due vasi comunicanti, dove il ‘terrorismo diffuso’, oltre a rivelarsi un elemento fuorviante per gli inquirenti, ha costituito un serbatoio di quadri e una preziosa area di fiancheggiamento per le organizzazioni più evolute.
Presentandosi come formazione pluralista e orizzontale, Prima Linea è stata, dunque, capace di attrarre e coagulare altre realtà eversive; si è rivelata pertanto meno settaria rispetto al verticismo militare delle Brigate Rosse e di fatto lontana dalla logica elitaria dei leninisti.
L’organizzazione aspira a mantenere un radicamento nel sociale, un rapporto con le ‘masse’ (che non sono esclusivamente circoscritte al mondo operaio (5) e la sua prerogativa sarà proprio questa vicinanza con il “movimento del ‘77”.
I criteri organizzativi prevedono - accanto ad una struttura centralizzata con al vertice il Comando Nazionale - singoli nuclei dotati di una certa autonomia (6) e che, presenti all’interno dei movimenti, assicurano un collegamento con gli strati sociali di riferimento.
A differenza del brigatista ‘regolare’, rivoluzionario a tempo pieno che ha fatto della clandestinità anche una scelta esistenziale, il militante di Prima Linea ricorre a questa modalità operativa solo in casi eccezionali e perché individuato dalle forze dell’ordine. Più di frequente adotta un modulo semi-clandestino e continua a vivere normalmente, conservando la propria identità e mimetizzato tra la gente, spesso lavorando e svolgendo anche attività politica nell’ambito dei movimenti allo scopo di non rischiare l’isolamento e mantenere costantemente la connessione con le istanze di base. Non esistono covi e depositi militari, ma archivi e armi sono custoditi nelle case dei militanti.
Si tratta quindi di un modulo organizzativo meno chiuso e compartimentato rispetto a quello delle Brigate Rosse, che favorisce la rapida crescita del gruppo, grazie anche alla facilità dell’arruolamento, e si rivelerà così più permeabile alle forze investigative, venendo in parte abbandonato dopo la prima ondata di arresti.
In una logica concorrenziale, Prima Linea vuole emulare ed insieme distinguersi dalle Brigate Rosse; si definisce (7) ‘anomalia teorica’ che pone al centro del suo intervento non la funzione o il simbolo (come accade per le BR), ma l’articolazione concreta dello Stato e, ‘ribaltando’ “la impostazione ‘statocentrica’ di altri gruppi’’ (incardinata nella contrapposizione classe/Stato), propone una “concezione sociale dello scontro di classe” come “congiunzione storica tra organizzazione combattente e spontaneismo armato della classe…”.
Piuttosto che avanguardia del partito, Prima Linea aspira a rappresentare la componente di avanguardia immediatamente in contatto con le masse.
La stessa denominazione assunta, che deriverebbe dalla posizione occupata dai servizi d’ordine in testa ai cortei, propone l’immagine di una forza semi-militarizzata, destinata all’urto contro gli avversari e alla difesa dei compagni.
Diversamente dalla visione politico-strategica delle Brigate Rosse, rigorosa quanto rigida e chiusa, in Prima Linea confluiscono anche istanze confuse e in parte legate al contesto giovanile: un misto di ribellismo anarcoide, di generico rifiuto dell’esistente senza programmi, di uno spontaneismo che attribuisce alla lotta armata un valore immediato (e non strategico come invece per le BR).


foto ansa

Quello che è stato definito un tentativo (fallito) di trasferire nella lotta armata una visione spontaneista e movimentista ha come obiettivo “più che una presa di potere … una progressiva dissoluzione del potere” (8) .
Questo contesto antiverticistico ed esuberante può tuttavia rivelarsi estremamente pericoloso, in quanto bastano pochi elementi per decidere un’‘operazione di fuoco’.
La stessa storia di Prima Linea registra, del resto, una progressione del livello offensivo (9) , una graduale militarizzazione che finirà per allontanare il gruppo dal movimento, avvicinandolo - anche per una sorta di escalation competitiva accentuatasi dopo il sequestro Moro - al modus operandi delle Brigate Rosse.
Oltre alla lotta dentro le fabbriche, che segna soprattutto gli esordi della formazione (raid delle ronde proletarie nell’hinterland milanese, per ‘punire padroni e crumiri’), ambiti di intervento di Prima Linea sono la cosidetta repressione e il carcere.
Il primo omicidio politico rivendicato ufficialmene è quello del professor Alfredo Paolella, docente di antropologia criminale con incarichi presso il carcere di Pozzuoli, compiuto a Napoli l’11 ottobre 1978, anche se nel gennaio dello stesso anno, nel tentativo di favorire la fuga di alcuni detenuti dal carcere fiorentino delle Murate, era stato ucciso l’agente di Polizia Fausto Dionisi. Un anno dopo, il 19 gennaio 1979, avviene, inoltre, l’omicidio di Giuseppe Lorusso, agente di custodia in servizio presso il carcere Le Nuove di Torino.
Non infrequente è il ricorso ad azioni di sapore giustizialista e di vera e propria rappresaglia. Oltre all’‘esecuzione’ di Pedenovi, con cui la formazione ha esordito pur senza rivendicare l’omicidio, vanno ricordati l’attentato contro l’armeria di Tradate (VA) del 22 luglio 1977 (dove, pochi giorni prima, era rimasto ucciso dal proprietario, a seguito di un ‘esproprio’, il militante Romano Tognini, trentenne impiegato di banca) e l’omicidio a Torino (18 luglio 1979) del barista Carmine Civitate, proprietario del bar dell’Angelo, ritenuto responsabile di una segnalazione alla polizia che il precedente 28 febbraio aveva portato, nel suo esercizio commerciale, alla morte di due militanti di Prima Linea (10) . Sempre per rappresaglia il gruppo terroristico, già l’8 marzo, aveva attaccato una pattuglia della polizia, attirata in un agguato all’interno di un bar: nel corso del conflitto a fuoco muore un giovane passante, Emanuele Iurilli.
Il biennio 1979-80 si rivela cruciale per l’organizzazione, che effettua in questi anni le sue azioni più note.
Punto di svolta nella storia del gruppo è l’omicidio del giudice Emilio Alessandrini, ucciso a Milano il 29 gennaio 1979 da un commando capeggiato da Marco Donat Cattin.
Alessandrini, protagonista di numerose istruttorie per reati legati al terrorismo (tra cui quella della strage di piazza Fontana) stava indagando su Prima Linea.
Sempre a Milano, il 19 marzo 1980, viene ucciso Guido Galli, docente di Criminologia e, come Alessandrini, impegnato in un’attività di trasformazione e innovazione della Magistratura.
Sul fronte delle lotte operaie, legate soprattutto al polo torinese, il 21 settembre 1979 viene ucciso a Torino l’ingegner Carlo Ghiglieno, dirigente Fiat; nel dicembre dello stesso anno ha luogo, sempre nel capoluogo piemontese, l’irruzione nella Scuola di formazione aziendale Valletta.
Qui i terroristi radunano nell’auditorium studenti e docenti, leggono un proclama, intavolano un surreale dialogo con gli astanti; poi in un locale attiguo allineano contro il muro cinque docenti e cinque studenti, li feriscono intenzionalmente alle gambe con due colpi di pistola ciascuno, venendo così “invalidati” in successione.


foto ansa

Altre eclatanti azioni di Prima Linea ci restituiscono l’immagine di anni immersi e come assuefatti a una violenza diffusa, dove il gruppo terroristico ambisce a ‘vendicare le masse’, esercitando una funzione giustizialista ed intervenendo anche su questioni legate alla qualità della vita.
Nel quadro di quella che viene definita la ‘campagna per la sanità’, il 5 febbraio 1980 a Monza, viene ucciso Paolo Paoletti, responsabile della produzione presso l’Icmesa di Seveso, la fabbrica alle porte di Milano da cui si era sprigionata, nel luglio 1976, la nube tossica di diossina.
A partire dal 1980 l’organizzazione si espande anche a Roma. Qui, il 2 maggio, un commando di quattro elementi spara all’architetto Sergio Lenci, progettista della nuova ala del carcere di Rebibbia, definito ‘tecnico dell’antiguerriglia’. Come altre vittime, Lenci è stato individuato in quanto ‘riformatore’, il cui operato tende a ridurre la tensione conflittuale, depotenziando la rivolta (11) .
A due giorni di distanza da questo episodio, avviene l’assassinio ‘interno’ di William Waccher a Milano, sospettato di collaborare con le forze dell’ordine e la magistratura.
L’organizzazione è, infatti, segnata dalle divisioni interne, dalle prime defezioni e scissioni e dai primi pentimenti (successivi agli arresti del 1977). Saranno, tuttavia, soprattutto le rivelazioni di Roberto Sandalo, uno tra i maggiori dirigenti del gruppo catturato nel corso del 1980, come pure quelle di Marco Donat Cattin, e poi le confessioni rese da Michele Viscardi a contribuire all’ondata di arresti effettuati tra la fine del 1980 e l’inizio del 1981, che, di fatto, segnerà lo smantellamento della formazione.
Nella Pasqua del 1981 si tiene a Barzio (CO) la conferenza d’organizzazione, corrispondente al vertice di Prima Linea, che decreta lo scioglimento della formazione. Nella seconda metà dello stesso anno, mentre i superstiti confluiscono individualmente nelle Brigate Rosse (12) , i maggiori esponenti riescono a ricompattarsi in due gruppi, il “Nucleo di Comunisti” (noto anche come “Nuclei combattenti” o “Nuclei Comunisti Combattenti”), capeggiato da Sergio Segio, e i COLP (“Comunisti organizzati per la liberazione proletaria”), guidati da Giulia Borelli.
L’attività di entrambi è incentrata sulla liberazione dei prigionieri politici. Il 3 gennaio 1982, agiscono insieme nell’assalto al carcere di Rovigo, dove Segio, con una forte esplosione, riesce ad aprire una breccia nel muro di cinta e a liberare la sua compagna, Susanna Ronconi, che evade con altre tre detenute di Prima Linea (13) .
Il 21 dello stesso mese i COLP, che hanno effettuato una rapina in una banca di Siena, sono sorpresi dai Carabinieri su un pullman, fermato nei pressi di Monteroni d’Arbia (SI) per un controllo: dopo un conflitto a fuoco, in cui cadono due militari e un terrorista (14) , si apre una gigantesca caccia all’uomo che terminerà nel viterbese, nei pressi di Tuscania, con la cattura dei terroristi in fuga.
Anche i Nuclei, in particolare lo stesso Segio e le quattro evase da Rovigo, finiranno arrestati nel giro di poco tempo.
La quasi totalità dei militanti di Prima Linea si è dissociata dalla lotta armata, inclusi gli ‘ex-irriducibili’ (Segio, Ronconi, Borelli) protagonisti delle ultime vicende del gruppo terroristico.
La formazione clandestina che più di altre ha incarnato l’anima del ’68, e in generale il ribellismo giovanile di quegli anni, sembra aver voluto concretizzare la nota espressione di Franco Piperno, secondo cui era necessario “coniugare la terribile bellezza del 12 marzo 1977 con la geometrica potenza di via Fani” (15) , vale a dire l’irruenza e la spontaneità del ‘movimento’ con il rigore leninista delle avanguardie armate, rappresentato dalle Brigate Rosse.
La storia di Prima Linea dimostra, in effetti, l’impossibilità di conciliare movimentismo e militarismo. Entrambi, del resto, si sono rivelati fallimentari. Da un lato il movimentismo che, nonostante la sua vitalità, riesce solo a demolire, in quanto privo di una progettualità concreta; dall’altro l’ostinazione dell’ortodossia brigatista che persiste nel voler realizzare un programma avulso dalla realtà della società moderna.
Due percorsi sterili, due facce della stessa medaglia dove la politica, imboccando la strada della violenza, ha di fatto abdicato alla sua funzione.


(1) Tra tutti, Marco Donat Cattin, figlio dell’esponente di primo piano della DC, Carlo. Marco Donat Cattin - che è a capo del commando che uccide il giudice Alessandrini e partecipa agli omicidi del vigile urbano Bartolo Maura e del barista Carmine Civitate - viene arrestato dai carabinieri nel 1980 in Francia (sempre in Francia, erano stati precedentemente catturati altri sei militanti di Prima Linea).
(2) Si è trattato di un’azione di rappresaglia seguita all’aggressione, ad opera di estremisti di destra, subita dallo studente Gaetano Amoroso, che muore in ospedale il 30 aprile.
(3) Volantino rivendicante la citata irruzione nella sede dei dirigenti Fiat di Torino.
(4) Rivendica, per esempio, l’omicidio del brigadiere Giuseppe Ciotta, avvenuto il 12 marzo 1977 a Torino, con la sigla Brigate Comuniste Combattenti.
(5) L’estrazione sociale dei militanti evidenzia anche la presenza di esponenti della borghesia medio-alta.
(6) Gruppi di Fuoco, Squadre e Ronde Proletarie.
(7) ‘Primo documento complessivo’ di PL, pubblicato sulla rivista “Controinformazione”, luglio 1978.
(8) Secondo la testimonianza riportata da G. Bocca in Noi terroristi (1985): “ Nessuno di noi credeva veramente che sarebbe toccato a noi gestire la rivoluzione. Più che a una presa di potere pensavamo, in modo confuso, ad una progressiva dissoluzione del potere”.
(9) A questo proposito Bocca (op. cit.) distingue “Prima Linea primo modo”, con i suoi caratteri distintivi di violenza dalla follia omicidiaria di “Prima Linea secondo modo”.
(10) Barbara Azzaroni e Matteo Caggegi, rispettivamente di 29 e 20 anni.
(11) Colpito alla testa, Lenci sopravviverà e racconterà la sua singolare esperienza nel libro Colpo alla nuca (1988). Il volume pubblica anche le lettere scambiate da Lenci con uno dei suoi attentatori, Giulia Borelli.
(12) In particolare, nel Partito Guerriglia di Giovanni Senzani, espressione di istanze, per certi aspetti, meno distanti dalla visione di Prima Linea.
(13) Nel corso dell’azione muore, per infarto, un passante, Angelo Furlan.
(14) Giuseppe Savastano ed Euro Tarsilli, entrambi carabinieri di leva, ed il militante dei COLP, Lucio Di Giacomo.
(15) La frase, comparsa su “Pre-print”, supplemento al numero zero della rivista “Metropoli” (dicembre 1978), alludeva alla manifestazione del 12 marzo 1977 - giornata di violenti scontri nella Capitale e prima prova di forza da parte di Autonomia operaia e del movimento del ’77 - e alla strage di via Fani del 16 marzo 1978, in cui venne rapito Aldo Moro e furono uccisi tutti gli uomini della scorta.

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