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punto di vista 1/2016

punto di vista L'importanza strategica degli assetti marittimi italiani nell'area mediterranea
di Giuseppe De Giorgi biografia

Il ruolo centrale del Mediterraneo – quale crogiolo e punto d’incontro di antiche e nuove civiltà, cerniera di tre continenti, nonché via di comunicazione di primaria importanza mondiale – è ben noto, così come lo sono i profondi cambiamenti che hanno inciso sul bacino nell’ultimo decennio e lo hanno trasformato in una delle più delicate e complesse aree ove numerosi attori, non solo statuali, si contrappongono e si fronteggiano.
L’Italia, attraverso il Mediterraneo, riceve quasi il 90% dei beni di cui abbisogna ed esporta il 55% dei propri prodotti. Si tratta di un flusso di 240 milioni di tonnellate di merci all’anno – di cui il petrolio e il gas naturale rappresentano rispettivamente l’80 e il 42% del fabbisogno nazionale – che, se venisse interrotto anche per pochi giorni, porterebbe il nostro Paese al ‘collasso da asfissia’.
La penisola, protesa al centro del Mediterraneo, con una frontiera terrestre sicura al nord e una ‘liquida’ al sud, ha una vocazione marittima testimoniata dal possesso della 12^ flotta mercantile al mondo (4^ in Europa), della 1^ flotta di navi traghetto al mondo e della 3^ flotta peschereccia d’Europa (con oltre 12.700 pescherecci e 60.000 addetti).
In tale contesto, si staglia la responsabilità della Marina Militare per assicurare la difesa delle linee di comunicazione e delle frontiere marittime, che si estendono per oltre 8.000 chilometri, della nostra flotta mercantile e peschereccia, dalle quali dipendono la prosperità e la sicurezza del Paese.
Se ne potrebbero illustrare molti altri, ma questi sono i compiti preminenti della Marina, che svolge in autonomia o in collaborazione con le Marine alleate, al fine di essere sempre e prontamente in grado di assolvere la propria missione.
Mentre la possibilità di conflitti generali è poco verosimile, è invece fondata quella di contrapposizioni locali, di dispute, di incidenti e di motivi di tensione.
È così emerso un quadro di ostilità permanenti che trova il suo naturale scenario sul mare e che conferisce alla Marina Militare un ruolo insostituibile a difesa degli interessi nazionali.
Tre sono gli aspetti principali che caratterizzano la situazione: la cosiddetta ‘strategia indiretta’, il crescente valore intrinseco del mare e del fondo marino e l’evoluzione del diritto internazionale marittimo.
Sul Mediterraneo si affacciano 23 Paesi, alcuni dei quali già consolidati negli ordinamenti interni, politici e sociali, e nella loro collocazione nel quadro internazionale; altri, invece, sono ancora instabili e, quindi, suscettibili di essere influenzati e condizionati da sollecitazioni esterne.
Sono pressioni molteplici, comprese quelle ideologiche, che divengono tanto più efficaci quanto più poggino sull’uso della forza e che, nel loro complesso, rientrano in un disegno strategico volto ad aggirare posizioni non affrontabili direttamente e ormai cristallizzate, facendo ricorso a direttrici periferiche più fluide. Si tratta di una ‘strategia indiretta’, come quella esercitata da alcuni Paesi produttori di petrolio che, forzandone l’abbassamento del costo, determinano rilevanti conseguenze sull’economia di altri Stati.
Valgano, come esempio, le ripercussioni sugli Usa e sull’Iran.
Per gli Stati Uniti, la riduzione dei prezzi del greggio sta rendendo poco vantaggiosi gli investimenti per l’estrazione del petrolio e del gas fossile, il c.d. shale oil and gas, la cui disponibilità renderebbe il Paese autosufficiente dal punto di vista energetico. Nel caso dell’Iran, invece, il ribasso del prezzo dell’oro nero ha ridotto la speranza di una rapida crescita economica al venir meno delle sanzioni internazionali.
L’efficacia di siffatta strategia si basa anche sul sostegno della forza che, tuttavia, trova difficoltà sulla terraferma dove la situazione è definita in maniera statica da confini ben delimitati, la cui violazione comporterebbe reazioni cruente, con il pericolo di escalation, se esercitata al di fuori delle aree d’influenza definite dopo la Seconda guerra mondiale. Sul mare, invece, non esistendo né confini né precise norme sul suo uso, è possibile che un avversario intraprendente agisca entro margini più ampi e nei riguardi sia di Paesi confinanti che lontani.
L’Italia non può restare insensibile ad azioni tendenti a modificare la situazione nel Mediterraneo e, quindi, deve poter affermare un ruolo equilibratore mediante la presenza continua di proprie forze laddove si manifesti l’esigenza di affrontare eventuali iniziative destabilizzanti.
Il secondo aspetto è connesso al valore crescente del mare.
Mentre per millenni esso è stato essenzialmente considerato una via di comunicazione (oltre che fonte di sostentamento attraverso i prodotti della pesca), oggi è divenuto una riserva di enormi ricchezze.
Attualmente il 30% dei prodotti petroliferi e del gas naturale utilizzati nel mondo è estratto dal fondo marino, ma tali risorse rappresentano una minima parte della ricchezza potenziale degli abissi, significando che la scienza e la tecnologia moderna dispongono di strumenti che consentono di operare a qualunque profondità, moltiplicando le opportunità di accesso ai giacimenti.
Ne consegue una corsa all’accaparramento di aree marittime, le più ampie possibili, da parte di tutti gli Stati rivieraschi e di terzi. È inevitabile, perciò, un scontro di interessi nell’uso e nello sfruttamento del mare.
Ci troviamo di fronte a circostanze nelle quali si affermano diritti talora esorbitanti rispetto alle reali capacità di utilizzo: è il caso, ad esempio, della Libia che ha dichiarato una zona di pesca esclusiva che si estende fino a 74 miglia dalle sue coste, disponendo tuttavia di un numero esiguo di pescherecci d’altura.
Contestualmente, alcuni Paesi del Maghreb e del Mashreq tendono a rilanciare il proprio ruolo attraverso il consolidamento dello strumento militare navale e la discendente capacità di ridurre la libertà di navigazione nel Mediterraneo e di condizionare l’utilizzo delle sue risorse. Ne deriva la fondata possibilità di controversie con potenziali conseguenze anche molto gravi.
L’attualità di tali dispute richiede la presenza di Forze nazionali in mare a sostegno del diritto internazionale. Non si tratta, dunque, solo dei problemi legati ai limiti di pesca, ma anche di quelli – non meno importanti e delicati – concernenti l’impiego di piattaforme continentali, le ricerche di idrocarburi e la ripartizione delle aree marittime.
Il diritto marittimo internazionale – terzo aspetto da considerare – è oggetto di una rapida e profonda evoluzione interpretativa.
Il principio generale della libertà dei mari sta infatti divenendo più restrittivo con riferimento all’ampliamento indiscriminato del mare territoriale e all’utilizzazione permanente delle acque e dei fondali.
Di fatto è in corso la ‘territorializzazione’ dell’alto mare, che ne limita il legittimo uso delle risorse e delle acque soggette alla piena libertà di navigazione. Basti pensare che solo il 29% del Mediterraneo non è sottoposto a rivendicazioni di esclusività da parte degli Stati costieri. La questione implica una contrastata esegesi delle norme internazionali, ove, come sempre nei rapporti tra Stati, il peso della forza può esercitare un ruolo determinante. Anche in questo settore la Marina Militare è chiamata a sostenere e tutelare l’interesse dell’Italia.
In tale ottica, la presenza della Forza armata è ancor più doverosa in un momento in cui si registra la tendenza di molti Paesi a rinnovare e impiegare le flotte quale strumento di politica estera, per sostenere il rispettivo ruolo sullo scacchiere internazionale. È il caso, ad esempio, della Russia che ha incrementato la presenza navale, di superficie e subacquea, nel Mediterraneo orientale, con unità missilistiche impegnate anche a supporto delle operazioni in Siria, attestandosi per la prima volta nel medesimo quadrante d’intervento degli assetti occidentali. Sono da menzionare anche le attività della Cina e dell’India che, nell’affermare la propria presenza nel Mediterraneo, inviano regolarmente Gruppi navali per svolgere attività addestrative.
Per quanto attiene ai sommergibili convenzionali, il rafforzamento della flotta russa nel mar Nero con nuovi battelli del tipo Kilo 2 si inserisce in uno scenario ove ne sono già presenti 46 a disposizione delle Marine rivierasche del Mediterraneo – che a breve diverranno 59 – complicando ulteriormente il quadro della situazione.
In tale contesto, si impone l’adozione di strategie globali di contrasto ai rischi e ai pericoli che contrassegnano altre forme di instabilità, quali l’espansione del Daesh, la minaccia asimmetrica nell’ambiente marittimo, la pirateria nelle aree dell’oceano Indiano e del golfo di Guinea, nonché le attività illecite, i traffici di armi e di esseri umani, la pesca indiscriminata e l’inquinamento.
Il latente stato di conflittualità che si sviluppa nell’area marittima d’interesse nazionale è motivo di apprensione per l’Italia, la cui sicurezza e prosperità postulano il libero utilizzo del mare, e si innesta nel sistema di alleanze ‘euro-atlantiche’ di cui il nostro Paese fa parte, tenendo conto del disimpegno Usa dal Mediterraneo a favore del Pacifico, del ridotto coinvolgimento degli alleati (Nato-Ue) nella gestione di emergenze non percepite come tali da singoli Paesi, come accaduto nel caso dell’operazione Mare Nostrum, e della riduzione generale del budget destinato alle difese nazionali. A ciò si aggiungano la concentrazione dello sforzo degli investimenti, negli ultimi due decenni, verso aree operative terrestri (Afghanistan, Iraq, Kosovo), e lo spostamento verso est del focus difensivo della Nato, in esito alle preoccupazioni dei Paesi dell’Europa orientale dovute alla pressione della Russia.
Tale scenario conferma l’importanza strategica degli assetti marittimi italiani nell’area mediterranea per la prevenzione, la promozione della pace e la tutela degli interessi nazionali e internazionali. Infatti, i Paesi dell’Ue (e della Nato), provenienti dal disciolto Patto di Varsavia – in possesso di prevalenti capacità terrestri e aeree – concentrano gran parte delle proprie risorse nel mantenimento dell’equilibrio nell’Europa nord-orientale. Le Nazioni nordeuropee – quand’anche in possesso di Marine come quelle danese, norvegese e olandese – nonché la stessa Germania, mantengono invece interessi strategici al di fuori del Mediterraneo, operando prevalentemente nel mare del Nord, negli oceani Atlantico e Indiano, e in Oriente.
Anche in prospettiva la Marina, impiegata prevalentemente nel bacino mediterraneo, dovrà essere in grado di prevenire e con-trastare le sfide multiformi, le minacce e i rischi che continueranno a manifestarvisi.
Si impone l’esigenza di disporre di una forza navale idonea a svolgere compiti molto diversi tra loro, che vanno da quelli di tipo strettamente militare alle operazioni di sicurezza navale e all’assistenza umanitaria, come nel caso del soccorso ai migranti in mare. Lo strumento marittimo, in sintesi, necessita di una flotta coerente e bilanciata in tutte le sue componenti, in grado di integrarsi nei dispositivi internazionali per la difesa comune e di fronteggiare autonomamente le emergenze, qualora non si possa fare affidamento sul concorso degli alleati, al fine di garantire al nostro Paese la più ampia gamma di interventi in mare.

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