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GNOSIS 3/2005
DALL'ARCHIVIO ALLA STORIA

Quando l'Italia esportò la mafia
Un rapporto del F.B.I.


articolo redazionale

La storia di "cosa nostra" negli Stati Uniti è stata romanzata e immortalata al cinema in capolavori come la saga del "Padrino" di Francis Ford Coppola o "Gli Intoccabili" di Brian De Palma. In questi giorni, le tv italiane trasmettono lo spot di una famosa marca di autovetture che fa la parodia ad una delle serie televisive americane di maggior successo di tutti i tempi: quella dedicata alla nuova mafia italo-americana dei "Soprano".
Il documento che proponiamo in questo numero, tuttavia, non è opera di un abile sceneggiatore di Hollywood, ma degli analisti del F.B.I., che nel 1958 hanno dedicato una voluminosa monografia alla storia della mafia in Italia e negli Stati Uniti. Di questa documentazione abbiamo scelto di pubblicare un estratto, che è la parte relativa al "trasferimento" della mafia in America alla fine dell'Ottocento e alle sue attività criminali nel primo quarto del Novecento. I delitti della "Mano Nera", l'omicidio di Joe Petrosino, l'ascesa di Al Capone e la strage del giorno di San Valentino sono alcuni degli argomenti affrontati dagli analisti americani nel ripercorrere le principali tappe evolutive dei clan d'oltreoceano.


Si tratta di storie violente, crudeli e sanguinarie, raccontate però con lo stile asciutto e pragmatico di chi è abituato a vedere di tutto, persino i panettieri che usano il forno del negozio per "far sparire" i cadaveri delle loro vittime.
Il documento degli analisti americani riporta anche curiosità storiche, come l'episodio del linciaggio di undici italiani, imputati dell'omicidio del capo della polizia di New Orleans nel 1891, che portò ad una breve interruzione dei rapporti diplomatici tra Italia e Stati Uniti.
Dall'analisi emerge come nei primi anni di attività a Kansas City, New York e Chicago, i clan mafiosi agissero prevalentemente all'interno delle comunità italiane, dove i loro metodi intimidatori erano conosciuti e temuti.
Con grande onestà intellettuale, i "federali" riconoscono che è stato proprio il proibizionismo a fornire alla mafia uno straordinario trampolino di lancio per l'espansione in altre aree, creando le premesse per la sua "modernizzazione".



Mappa della Sicilia e della Calabria che indica alcuni luoghi importanti per l'origine e lo sviluppo della mafia siciliana. Sul lato destro, la comparazione delle aree geografiche dello stato del Vermont e della Sicilia. La grande freccia in alto a sinistra indica il trasferimento dei mafiosi verso l'America.





III LA STORIA DELLA MAFIA ALLE SUE ORIGINI


I.Il trasferimento della mafia negli Stati Uniti

Gli Stati Uniti sono stati la terra delle opportunità per centinaia di migliaia di italiani e siciliani alla fine del XIX secolo e nei primi anni del XX. Le condizioni sociali, economiche e politiche in Italia, e specialmente in Sicilia, erano divenute insostenibili per le classi più povere, che alla fine decisero di emigrare nel nuovo mondo alla ricerca di una vita migliore.
Il nostro Paese forniva un rifugio naturale a molti siciliani ed italiani, impegnati in attività mafiose e ricercati dalla polizia italiana. Ciò è accaduto, in particolare, negli anni ’20 del Novecento. Mussolini usò le maniere forti per combattere la mafia, spingendo molti mafiosi a fuggire negli Stati Uniti, dove molti entrarono illegalmente, alcuni con l’aiuto di mafiosi già presenti.
Tenuto conto della crescente popolazione di siciliani e italiani, i mafiosi trasferitisi nel nostro paese riuscirono a trovare vaste comunità di connazionali che potevano continuare a depredare e sfruttare. La paura della mafia e la generale riluttanza a fidarsi delle forze dell’ordine riducevano gli immigranti italiani onesti e lavoratori ad un fertile terreno sul quale i mafiosi trapiantati potevano continuare a far fiorire le attività criminali.



Gli incidenti di New Orleans

New Orleans, dove era presente una consistente popolazione italiana, è stata una delle prime città americane a sperimentare la piaga della mafia: nel 1890 c’erano già stati circa un centinaio di omicidi di mafia. Questi omicidi rientravano nella sanguinosa storia di vendette praticate da siciliani e da italiani che adottavano metodi mafiosi.
All’inizio degli anni ’90 in questa città si verificarono numerosi incidenti, uno dei quali culminò in una breve interruzione dei rapporti diplomatici tra Italia e Stati Uniti. Si trattò, nello specifico, del linciaggio di un gruppo di undici italiani coinvolti nell’omicidio del Capo della Polizia di New Orleans, David C. Hennessy, a seguito delle sue indagini su operazioni e omicidi di stampo mafioso.
Vennero ipotizzati due moventi per l’omicidio di Hennessy. Il primo sarebbe stato la vendetta per l’arresto di un criminale italiano, che era stato estradato in Italia per essere sottoposto a processo.
Ad Hennessy sarebbe stata offerta una “bustarella” di 5.000 dollari per ritrattare l’identificazione del criminale.
Il secondo, il tentativo di impedire ad Hennessy di testimoniare contro una delle due fazioni della comunità italiana in lotta per il controllo dell’area portuale di New Orleans. A seguito di una serie di vendette omicide, Hennessy aveva riunito le due fazioni ed aveva ottenuto il loro impegno a sospendere le ostilità. Ma la tregua ebbe breve durata.
Due giorni dopo aver pubblicamente annunciato che avrebbe testimoniato in tribunale per una delle due fazioni, Hennessy venne ucciso.
Nel conseguente processo per omicidio contro undici italiani, furono necessari dieci giorni e l’audizione di circa 800 persone prima di riuscire a formare una giuria. Nel marzo del 1891 la giuria emise un verdetto di “non colpevolezza” per otto degli imputati, ma non riuscì a raggiungere un accordo per gli altri tre. Tutti gli imputati vennero riportati in carcere in attesa di un secondo processo per ulteriori imputazioni a loro carico.
Il verdetto provocò forti risentimenti nell’opinione pubblica. Il giorno successivo alla fine del processo, una folla di cittadini fece irruzione nella prigione, sequestrò gli imputati, ne impiccò due e sparò agli altri nove, uccidendoli.
Il governo italiano protestò per il linciaggio, ma lo stato e le autorità locali non avviarono alcuna azione contro i responsabili, nonostante le dichiarazioni fatte dal Segretario di Stato statunitense. L’Italia decise quindi di interrompere le relazioni diplomatiche con il nostro Paese negli anni 1891-1892.
Altri casi di estorsione, rapimento e omicidio si verificarono nella comunità italiana di New Orleans nell’ultima decade dell’800 e nel primo decennio del ‘900. A seguito del rapimento del figlio di un noto impresario di pompe funebri nel 1907, leader civili e politici italiani organizzarono un comitato di “vigilantes”. Il comitato contribuì non solo a far processare i responsabili, ma anche a sedare la paura della mafia tra la popolazione italiana.

Il periodo della Mano Nera,1900-1920
I precedenti


New Orleans, ovviamente, era solo una delle molte città americane a soffrire della funesta influenza mafiosa sulle comunità italiane. Attività di tipo mafioso venivano condotte in altre grandi città con una consistente popolazione italiana come New York, Chicago, Kansas City e San Francisco.
Dal 1900 al 1920 la mafia si è spesso manifestata attraverso le cosiddette attività della Mano Nera, divenute estremamente diffuse in molte comunità italo-siciliane. Secondo una fonte, la denominazione “Mano Nera” era stata inventata da un giornalista che si era occupato di un caso di estorsione, nel quale la lettera intimidatoria era stata “siglata” con l’impronta di una mano.
Le attività della Mano Nera, comprendenti intimidazioni, terrorismo, estorsioni, rapimenti e omicidi, venivano attuate con successo da mafiosi ed altri criminali italiani grazie all’indole delle vittime italo-siciliane e al loro congenito timore per i metodi adottati. I mafiosi responsabili dei reati della Mano Nera agivano da soli e, a volte, in coppie o a piccoli gruppi.

New York

A cavallo del XX secolo, New York era la città degli Stati Uniti che contava la più numerosa popolazione italiana, circa 500.000 persone. Nel 1908, le depredazioni attuate in questa città dalla Mano Nera e dai mafiosi erano diventate talmente numerose e famigerate da essere considerate le peggiori di tutto il paese. Tali attività comprendevano attentati dinamitardi contro case e negozi, rapimenti di bambini e ricatti.
Gli attentati dinamitardi della Mano Nera compiuti dai mafiosi contro case e negozi a New York erano la conseguenza del rifiuto da parte delle vittime di aderire a richieste di denaro o altri favori. Spesso a un commerciante italiano di successo veniva chiesto di pagare una tangente se voleva restare in affari; se avesse rifiutato, il suo negozio o la sua casa sarebbero stati distrutti o incendiati.
Le violenze inflitte alle vittime dai mafiosi della Mano Nera erano spesso orribili. Uno dei detective assegnati alle indagini sulla Mano Nera riferì che una gang italiana proprietaria di un panificio a Brooklyn usava i forni per cremare i corpi delle sue vittime.
Mentre in questi anni a New York i reati della Mano Nera erano generalmente compiuti da singoli mafiosi o piccoli gruppi, il racket estorsivo veniva condotto su larga scala da gruppi più grandi. Questi gruppi, che comprendevano criminali esperti in tattiche mafiose, erano specializzati nello “spremere” le vittime, attività ritenuta da sempre un marchio di fabbrica mafioso.
Un ex procuratore distrettuale di New York citò il caso dell’influenza esercitata dalla mafia sul commercio di limoni siciliani nella città: un italiano si era sistemato come rivenditore di limoni e in breve tempo aveva assunto il controllo del mercato tra i commercianti di frutta italiani.


Sotto la sua “protezione” questi commercianti avevano accettato di comprare limoni dai produttori siciliani da lui rappresentati.
Gli italiani fecero presto a riconoscere in lui un capo mafioso, o leader mafioso, sapendo che i propri familiari in Sicilia erano a rischio se i suoi dettami non fossero stati eseguiti.
Nel 1909 il Tenente Giuseppe Petrosino del Dipartimento di Polizia di New York, che stava conducendo un’indagine sui gruppi criminali italiani, ed in particolare mafiosi, si recò in Sicilia per controllare i precedenti di circa 1.000 delinquenti ed ex galeotti italiani che operavano a New York. Petrosino fu vittima di un’imboscata e venne assassinato in una piazza di Palermo, la sera stessa del suo arrivo.
L’omicidio di Petrosino causò grande preoccupazione tra i funzionari di polizia, poiché era evidente che la notizia del suo viaggio era giunta ai mafiosi siciliani ancor prima del suo arrivo. Con questo omicidio si era voluto punire Petrosino per il suo impegno nel raccogliere prove che consentissero di perseguire ed estradare i mafiosi statunitensi.
Allo scoppio della I guerra mondiale, le attività della Mano Nera a New York erano praticamente cessate grazie all’intensa e aggressiva attività svolta dalla polizia per catturare i criminali della Mano Nera, alla protezione accordata ai testimoni e all’accumulo di sufficienti prove per l’incriminazione dei colpevoli. Un numero sempre maggiore di italiani si sentiva al sicuro quando sporgeva denuncia alla polizia contro la Mano Nera.

Chicago

A Chicago, come a New York, numerose piccole gang della Mano Nera, formate da due o tre mafiosi, attuavano con regolarità ricatti, estorsioni e omicidi all’interno della comunià italiana.
Queste gang approfittavano della solidarietà familiare italiana per chiedere un tributo alle vittime, che si sentivano pressate ad accogliere le loro richieste di denaro o a commettere dei reati per paura che venisse fatto del male a membri della propria famiglia. Tali timori arrivavano ad impedire loro di informare la polizia delle minacce ricevute.
La tradizione della mafia – “morte agli informatori” – era sufficiente a convincere le vittime del pericolo di riferire alla polizia i propri problemi e dell’opportunità di fingere ignoranza o incapacità di identificare i capi.
Un’attitudine piuttosto fatalista era stata adottata da alcuni poliziotti nei confronti degli omicidi e degli attentati dinamitardi della Mano Nera, giacché il silenzio delle vittime e dei testimoni appariva praticamente insormontabile. Il fatto che la polizia fosse incapace di prevenire o risolvere questi crimini contribuiva soltanto ad aumentare la scarsa inclinazione degli italiani a rivolgersi alle autorità per risolvere i propri problemi.
Secondo fonti giornalistiche di Chicago, nel 1911 si verificarono 40 omicidi della Mano Nera, 33 nel 1912, 31 nel 1913 e 42 nel 1914. Una fonte sosteneva che, a partire dal 1890, erano stati perpetrati a Chicago 300 omicidi della Mano Nera.
All’inizio del 1907, venne creata un’organizzazione chiamata “Mano Bianca” per combattere i criminali della Mano Nera in diverse città americane. La Mano Bianca, composta da italiani, aveva lo scopo di cooperare con la polizia e con le istituzioni.
A Chicago era supportata dalla Camera di Commmercio italiana, dal giornale locale italiano, e da diverse confraternite italiane e siciliane.
La Mano Bianca inviò investigatori in Sicilia e in Italia per rintracciare i precedenti penali dei criminali della Mano Nera, nel tentativo di farli deportare dagli Stati Uniti. Dopo il 1910, tuttavia, non si sentì quasi più parlare della Mano Bianca.

Kansas City

Anche a Kansas City, nel periodo 1900-1920, la comunità italiana era afflitta dalle depredazioni della Mano Nera. Gli uomini d’affari della zona di “Little Italy” ricevevano richieste estorsive che oscillavano tra i 50 e i 5.000 dollari.
La cospirazione del silenzio e l’intimidazione dei testimoni erano così pervasivi che nonostante l’arresto di numerosi criminali della Mano Nera, mafiosi compresi, il Capo della Polizia ammise che era impossibile incriminarli.

Costa occidentale

All’inizio del ‘900 i “saccheggi” della Mano Nera si estesero anche alla costa occidentale, con modalità analoghe: intimidazioni, estorsioni, violenza, vendette e omicidi usati con effetti devastanti contro i residenti delle comunità italiane.

Attività mafiose della Mano Nera dopo il 1920

Sebbene vi siano stati presunti episodi collegati alla Mano Nera dopo il 1920, è evidente che molte delle cosiddette lettere della Mano Nera furono utilizzate da persone che tentavano di sfruttare la paura instillata in passato tra le comunità italiane da messaggi di questo tipo.
Alcuni casi di estorsione con la sigla della Mano Nera su cui ha indagato l’FBI dimostrano che i metodi della Mano Nera vennero usati anche da non italiani contro non italiani.
Sembra che l’efficace opera della polizia nel periodo 1910-1920 abbia frustrato gli sforzi dei mafiosi di arricchirsi attraverso intimidazioni, estorsioni, terrorismo e omicidi.
Tuttavia, l’avvento dell’era del proibizionismo avrebbe offerto ai mafiosi nuove e maggiori opportunità per le loro specifiche attività criminali.


IV. LA MAFIA DURANTE IL PROIBIZIONISMO


Contrabbando di liquori
Premessa


Le operazioni della mafia negli Stati Uniti erano ancora relativamente limitate all’epoca in cui venne introdotto il 18° emendamento alla Costituzione, nel 1920. L’avvento del proibizionismo fece fiorire la mafia. Ai mafiosi che erano stati impegnati nelle attività della Mano Nera (intimidazioni, estorsioni, rapimenti, omicidi) il proibizionismo sembrò fatto su misura per le loro attività criminali.
All’inizio dell’era “a secco” i mafiosi operavano a livello individuale o in piccoli gruppi, ma al momento dell’abrogazione del proibizionismo, nel 1933, esistevano grandi gang mafiose organizzate, molte delle quali cooperavano con altri gruppi al di fuori della loro zona.
La ricchezza e l’influenza raggiunte dai mafiosi prima del 1920 erano minime se paragonate a quelle acquisite alla fine del proibizionismo. Per i mafiosi la produzione e la vendita di liquori illegali fu un bel boccone sul quale mettere i denti. Enormi erano i profitti che si potevano “spremere” dalla produzione illegale di alcolici.
Il leader di una banda criminale adottò la tecnica di avvicinare italiani che gestivano distillerie illegali ed esigere una certa percentuale sugli alcolici prodotti. Egli aveva anche stabilito che tali distillerie dovessero essere gestite da alcuni dei suoi uomini, sui cui stipendi prendeva una percentuale. Il rifiuto di adempiere a questi ordini portava a minacce di ritorsione.
Il proibizionismo fu un periodo di violenza e spargimento di sangue in cui le gang delle grandi città gareggiarono per il potere. Una lunga guerra fra gang imperversò nelle aree metropolitane.
Gang e gangster pagarono un pesante tributo nel corso della lotta per accaparrarsi i proventi illeciti del proibizionismo. Nel 1927, al culmine delle guerre fra bande di italiani a St. Louis, nel corso di un mese si è registrata una media di un omicidio al giorno.
Dalla violenza, dalla polvere da sparo e dal sangue del proibizionismo sarebbero emersi i gruppi criminali organizzati come li conosciamo oggi, i grandi “cartelli”, con i loro leader- uomini d’affari rispettabili, i loro avvocati, i loro “specialisti” e il ricorso ad attività legali come “copertura”.
Il proibizionismo ha portato le operazioni della mafia al di fuori della comunità italiana, nel contesto della società in generale, dove veniva soddisfatto il desiderio di molti cittadini di “dissetarsi”. Il 18° emendamento ha fornito alla mafia fondi favolosi e l’ha trasportata dagli isolati quartieri italiani al centro delle città. Tipiche delle operazioni criminali della tradizione mafiosa furono le attività di contrabbando degli anni Venti e inizio degli anni Trenta a Kansas City e Chicago.

Kansas City

Kansas City aveva avuto la sua parte di attività della Mano Nera nel periodo 1900-1920, quando i banditi italiani operavano nella zona nord della città. In quei due decenni, i criminali della Mano Nera avevano acquisito una valida esperienza, largamente messa in uso durante il proibizionismo.
Con l’inizio del proibizionismo, alcuni piccoli gruppi criminali italiani entrarono in conflitto tra loro per furti e vendita di zucchero ai contrabbandieri. Questa guerra intestina provocò molti omicidi e pestaggi.
Nel 1923, un intraprendente italiano aprì un deposito di zucchero per rifornire i distillatori illegali. In seguito venne avvicinato da mafiosi locali che volevano “farsi largo” nel suo settore affaristico. Fu raggiunto un accordo e fu creata una corporation di diciotto membri, che venne chiamata “Sugar House” (Casa dello zucchero). Ad ogni membro venne concesso uno stesso numero di azioni, con i profitti ripartiti di conseguenza.
Il cartello “Sugar House” era un monopolio mafioso in virtù del controllo assoluto sul commercio illegale di alcolici a Kansas City. I suoi introiti provenivano da una varietà di sistemi molto ingegnosi. Avendo guadagnato il controllo esclusivo sulla distribuzione di zucchero ai distillatori, il cartello era in grado di controllare il prezzo di vendita dello zucchero. La maggior parte dello zucchero veniva acquistato in lotti, ma una quota veniva acquisita a costo zero: veniva rubato.
Il cartello “Sugar House” vendeva i suoi prodotti in contanti. Ai distillatori che non avevano contanti, veniva consentito di pagare a rate, ma con interessi esorbitanti. Lo zucchero veniva dato ai distillatori a patto che rivendessero i liquori al cartello al prezzo totale di cinque dollari al gallone. Il cartello poi li rivendeva al dettaglio per una cifra tre volte superiore.
Il cartello controllava anche la vendita e la manutenzione delle auto usate dai produttori di alcolici. Ai gruppi rivali veniva consentito di operare su piccola scala nel settore dello zucchero e dei liquori, a patto che il cartello ricevesse comunque una percentuale dei profitti.
I membri della “Sugar House” diventarono ricchi grazie alla loro attività di tipo monopolistico. Dopo l’abrogazione del proibizionismo, investirono le ricchezze accumulate creando imprese legali di distribuzione di birra e di liquori.

Chicago

La storia del proibizionismo a Chicago è la storia del clan di Al Capone. All’inizio del proibizionismo, migliaia di membri della comunità italiana residente a Chicago vennero chiamati a formare un vero e proprio esercito di fabbricanti di alcolici. Sembra che in un certo periodo l’80% delle famiglie della colonia italiana fosse coinvolto nella produzione di alcolici in distillerie casalinghe. La possibilità di guadagnare denaro facile dal contrabbando era particolarmente appetibile e rappresentò una delle principali cause di conflitto tra gang di italiani e gruppi di altre nazionalità.
“Scarface” Al Capone iniziò la sua ascesa verso la notorietà come guardia del corpo di John Torrio, che lo aveva fatto arrivare da Brooklyn. Torrio era succeduto a “Big Jim” Colosimo, il capo gangster di Chicago sud, quando questi era stato assassinato nel 1920.
Torrio aveva esteso e consolidato le sue attività di contrabbando, gioco d’azzardo e prostituzione sull’intera area metropolitana con l’aiuto di poliziotti corrotti e coperture politiche. Era anche riuscito a stringere accordi con differenti gang secondo il tradizionale sistema mafioso di assegnare aree di competenza ad ogni diversa attività criminale.
Nel 1924, Torrio fu vittima di un’imboscata nella quale rischiò di perdere la vita. Giudicò quindi opportuno “andare in pensione” e lasciare le redini a Capone. Alcuni anni dopo il ritiro di Torrio, il sistema di protezione politica e di polizia da lui costruito si sfaldò e scoppiò una serie di crudeli “guerre della birra” tra gang che in precedenza avevano collaborato e limitato le proprie attività ai territori di pertinenza. Nel 1928, dopo reiterate violenze e spargimenti di sangue, venne dichiarata una tregua. Capone si assicurò il territorio di Chicago sud per la distribuzione di birra, ma ottenne il monopolio sull’intera città per il gioco d’azzardo.


La maggior parte dei membri del clan di Capone venne reclutata da una società siciliana di mutuo soccorso nota come “Unione Siciliano”. L’Unione Siciliano esisteva anche in altre parti del Paese, in particolare a New York. Sebbene fosse apparentemente una confraternita di beneficienza, in realtà a Chicago e in altre aree forniva copertura per diverse attività mafiose. A Chicago, l’Unione Siciliano esercitava una considerevole influenza sull’amministrazione municipale grazie agli appoggi politici ottenuti.
Come capo del clan, Capone era in grado di evitare una diretta partecipazione alle attività criminali e alle lotte fra bande. Il massacro del giorno di San Valentino, nel 1929, che portò alla morte di sette leader della gang rivale di “Bugs” Moran è un esempio del modo in cui Capone affrontava gli oppositori e proteggeva se stesso. Capone aveva un alibi di ferro: quel giorno era in Florida. Le sue case di prostituzione e di gioco d’azzardo ed i suoi stabilimenti di alcolici erano gestiti da suoi tirapiedi. Alla fine degli anni ’20, Capone era l’indiscusso “re del crimine” di Chicago.
Il monopolio del clan Capone si estendeva ad altri ambiti criminali: era ad esempio evidente nell’industria delle lavanderie e tintorie di Chicago. Minacce e violenze venivano dirette contro membri e organizzatori di un’associazione di lavanderie e tintorie al dettaglio che rifiutavano di aderire all’organizzazione. Molti membri del clan vennero incriminati per i danni arrecati a operatori indipendenti, ma vennero assolti durante il processo. Intimidazioni e violenze continuarono ad affliggere gli indipendenti sino a quando uno di loro, annunciando pubblicamente che Capone era diventato “partner” del suo negozio, si vantò di aver quindi ottenuto “la miglior protezione del mondo”.
Nel 1931, all’epoca del processo a Capone per evasione fiscale, il Procuratore degli Stati Uniti stimava che gli introiti lordi del clan di Capone ammontassero a circa 70 milioni di dollari. Il direttore della Commissione Anti-crimine di Chicago dichiarò che la gang Capone era un’organizzazione criminale con un potere di minaccia superiore a quello della mafia in Sicilia.

La mafia e la gang dei "Bravi killer"

Nel 1921, la polizia di diverse grandi città scoprì una versione primitiva della “Murder, Inc.” (Società Omicidi), sotto forma di gang mafiosa cui era stato dato il nome di “Bravi killer”. Questo gruppo di assassini era sospettato di essere responsabile di 125 omicidi di cittadini italiani rimasti insoluti a New York, Pittsburgh, Detroit e Chicago.
I membri di tale banda mafiosa erano immigrati negli Stati Uniti circa 12 anni prima dalla zona di Castellammare, in Sicilia. Divennero così famosi per il talento dimostrato, che i loro servigi erano altamente richiesti e profumatamente pagati.
Si specializzarono in omicidi individuali con moventi diversi, ma le loro attività comprendevano anche rapine ad imprenditori italiani di successo e controllo politico delle comunità italiane.
Uno dei metodi utilizzati dai “bravi killer” era quello di costringere (o pagare) altri gangster italiani a compiere in prima persona i delitti per poi ucciderli e coprire le proprie tracce. Si riteneva che la gang dei “bravi killer”avesse accumulato un “bottino di guerra” di 200.000 dollari. Molti leader di questa banda di assassini investirono in affari nelle comunità italiane di diverse città per nascondere l’illecita provenienza delle proprie ricchezze.

La modernizzazione della mafia

Sino alla fine della I guerra mondiale, la mafia negli Stati Uniti era guidata da mafiosi della vecchia guardia che avevano un forte spirito di clan e rifiutavano decisamente di associarsi ad altri che non fossero compatrioti siciliani. Ma quando Giuseppe Masseria si auto-dichiarò leader della mafia di New York, dopo che Ignazio “il lupo” Saletta era stato condannato ad una lunga pena detentiva per falsificazione di denaro, si preannunciarono cambiamenti. Masseria, che era stato soprannominato “Joe the boss”, aveva un forte spirito clanico come i suoi predecessori, ma permise ai suoi associati di fare amicizia e stabilire contatti con gruppi di diversa nazionalità.
Il principale luogotenente di Masseria era un giovane siciliano di nome Charles “Lucky” Luciano. Luciano era la personificazione della “fazione” americanizzata della criminalità italiana e attribuiva grande importanza all’amicizia e all’alleanza con altri gangster, italiani e non. Tra i suoi amici e contatti c’erano Louis “Lepke” Buchalter, Jacob “Gurrah” Shapiro, Meyer Lansky, Benjamin “Bugsy” Siegel, “Dandy” Phil Kastel e Abner “Longie” Zwillman.
Luciano era totalmente favorevole alla cooperazione con altre gang criminali e ad una minore rivalità interclanica, con omicidi indiscriminati, alla vecchia maniera mafiosa. A Luciano venne data carta bianca, e ciò provocò la disfatta di Masseria. Poiché Luciano era ambizioso, era inevitabile che la natura criminale avrebbe fatto il suo corso. Masseria morì di morte violenta nell’aprile del 1931, nel corso di una cena con Luciano in un ristorante di Coney Island. Luciano era alla toilette, e quindi convenientemente assente da tavola, quando alcuni killer entrarono nel ristorante e uccisero Masseria.
Nonostante la morte di Masseria, c’erano ancora alcuni mafiosi della vecchia guardia in posizione di leadership nelle gang italiane, in particolare Salvatore Marrizzano. Si dice che “Lepke” Buchalter, con il quale Luciano era in stretti rapporti, avrebbe convinto quest’ultimo che i gangster italiani della vecchia guardia ostacolavano il progresso e dovevano essere liquidati. Cinque mesi dopo la morte di Masseria, Marrizzano fu ucciso a colpi di pistola e poi sgozzato nel suo ufficio in un vecchio edificio di Manhattan. Si ritiene che nell’arco di alcuni giorni siano stati uccisi nel paese da trenta a quaranta vecchi leader mafiosi.
Con questo enorme spargimento di sangue, molti leader mafiosi della vecchia guardia vennero eliminati, e con loro, anche le metodiche antiquate. I nuovi mafiosi, giovani e americanizzati, si trovarono quindi in una posizione adatta a creare strette collaborazioni con gruppi esterni per la costruzione di un nuovo ordine criminale: il “sindacato”.
Da quando Luciano stabilì il primo precedente, i mafiosi hanno lavorato liberamente e a stretto contatto con criminali e gruppi di altre etnie e nazionalità. Attraverso i tradizionali metodi mafiosi di mantenimento della leadership e della disciplina, i mafiosi associati in imprese criminali con delinquenti non italiani, sono riusciti a metterli in riga.
I mafiosi che erano entrati nell’era del proibizionismo con attività criminali limitate alle comunità italiane, agendo individualmente o in piccoli gruppi, si ritrovarono, alla fine del proibizionismo, riuniti in attività su vasta scala, anche in aree al di fuori delle comunità italiane, in collaborazione con gangster e gruppi criminali di altre nazionalità.


Organigramma dei matrimoni incrociati tra famiglie mafiose.



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