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GNOSIS 2/2005
Maschera e volto di Bin Laden
nella strategia mediatica di Al Qaeda


articolo redazionale

Attraverso la propaganda mediatica, Bin Laden si mostra perfetto conoscitore dei sistemi della ‘guerra psicologica’ e della manipolazione delle masse ed inaugura il ‘terrorismo in franchising’, un sistema nel quale le cellule operative hanno vita propria, entro le linee guida emanate dalla leadership. Essenziale a questa strategia, rivolta, per fini differenti, tanto all’uditorio occidentale, quanto al mondo arabo, si rivela l’opera di mitizzazione che lo sceicco saudita fa di se stesso, trasformando l’uomo in leggenda, la carne in simboli. Questo articolo ne documenta i momenti più salienti, facendo scorrere i fotogrammi delle metamorfosi di Osama, da capo militare dei moujiaheddin a consigliere strategico dell’’esercito di Allah’, a leader politico di un ‘Califfato’ universale, sino a quella, più recente, di ideologo della guerra civile in Iraq tra sunniti e sciiti.


da www.jsonline.com

Non sappiamo se Bin Laden abbia mai letto Psicologia delle folle’ un manuale di fine Ottocento del francese Gustave Le Bon, il primo studioso ad analizzare il comportamento delle masse ed elaborare tecniche per controllarle.
Supponiamo di no! Ma in quest’opera, ad uso e consumo di manipolatori come lo stesso ministro della propaganda nazista Goebbels, l’ideatore della ‘guerra psicologica’, uno che sapeva tanto del potere di suggestione dei media, è rintracciabile la spiegazione di alcuni aspetti significativi della strategia comunicativa di Al Qaeda, applicata ad una campagna terroristica di massa.
Si va dal culto della personalità del leader, con forme di vera e propria idolatria (come spiegare altrimenti le t-shirt griffate con l’immagine di Bin Laden esibite, in alcune aree del mondo arabo, come il segno di una appartenenza), all’utilizzazione di un linguaggio in grado di evocare immagini ancestrali (“…divorate gli americani come i leoni la loro preda”), catturando l’emotività sia dei fans, che del nemico, all’esaltazione della funzione etico-educativa del martirio (puntuale, nei proclami, l’“orazione funebre” per i dirottatori dell’11 settembre), considerato la più grande delle virtù.
Si tratta di una propaganda strategica improntata alla internazionalizzazione del jihad contro gli ebrei ed i crociati, che ha preso sempre più corpo ed innalzato il livello di scontro dal ‘nemico vicino’ (gli avamposti americani sul suolo arabo, nei cieli della Somalia, come nelle ambasciate di Kenya e Tanzania o nelle acque dello Yemen) al ‘nemico lontano’ (l’America e l’orizzonte giudaico-cristiano), passando per l’olocausto delle Torri gemelle ed il colpo di coda dell’11 marzo spagnolo.
Sotto la bandiera del ‘qaedismo’ - una sorta di ‘ibrido ideologico’ tra il rigorismo wahhabita (Bin Laden cita più volte “à la lettre” l’ortodossia del teologo sunnita Ibn Taymiyya, che, vissuto a cavallo tra il XIII ed il XIV sec, fu il precursore ante litteram di questa corrente), l’influenza salafita di alcuni gruppi combattenti algerini ed egiziani e l’intransigenza ideologica del regime talebano in Afghanistan - l’’internazionale islamica’ di Bin Laden funziona come un’impresa in franchising.
E’ un sistema innovativo ed inusuale per la gestione di una rete terroristica, ma adeguato all’atipicità dei parametri organizzativi di Al Qaeda, nella quale la ‘centrale comunica le strategie operative (attacchi suicida, auto-bomba, mine, rapimenti), sollecitando la formazione di cellule autonome (che possono trovare nei numerosi manuali jihadisti on line i necessari riferimenti addestrativi) ed orientandone le priorità in relazione alle aree. Si va dall’Iraq, indicato come la “prima linea per difendere l’identità islamica nel mondo”, alla Palestina, ai Paesi arabi governati da regimi “corrotti”, primo fra tutti l’Arabia Saudita ed il suo oro nero ‘messo in saldi’ per gli Americani, al resto del mondo dove ogni attentato - non importa se raro - deve essere sempre spettacolare e “ad effetto sorpresa” (come a New York, come a Madrid).
Di tutto questo meccanismo, il network costituisce la chiave di volta ed insieme il collante. Non per niente, il vocabolo ‘Al Qaeda’ che in arabo significa ‘la base’, intesa come originario campo di addestramento dei moujiaheddin accorsi in Afghanistan nel decennio (‘79/’89) della resistenza anti-sovietica, può essere reintepretata in chiave mediatica come un ‘database’ che salda i militanti dei preesistenti gruppi estremisti su base nazionalista e le nuove leve del jihad globale in un’unica identità circolare, pescando tra le pieghe del comune risentimento contro l’Occidente.
L’identità jihadista inaugura, quindi, l’era di una nuova forma di terrorismo diffuso e despazializzato (capace di mimetizzarsi a lungo nell’organismo ospite prima di manifestarsi), figlio dell’incrocio tra radicalismo islamico e modernità e di quello scontro tra globalizzazione, sul modello americano, ed anti-globalizzazione, sul modello islamico, del quale lo sceicco ed imprenditore saudita è l’emblema.
Bin Laden è un personaggio border-line, vissuto al confine tra i rigidi dettami del conservatorismo wahhabita e la formazione manageriale di ispirazione anglo-americana, costruendosi un’immagine, antica e moderna, elitaria e popolare, di stratega al servizio del jihad e di esperto telecomunicatore al tempo stesso.
Per dirla con un linguaggio televisivo, i suoi messaggi ed i suoi videotape (tipici strumenti della cultura mediatica occidentale) sanno sintonizzarsi su differenti fasce di audience, con una scelta strategica dei tempi di diffusione per catturare il massimo dello share ed assicurarsi le prime copertine dei media internazionali.
Sfogliando l’archivio audio-fotografico di Osama, troviamo molteplici esempi, ma sono tre le immagini che meglio documentano l’evoluzione e le ambizioni dello sceicco, da capo militare dei moujiaheddin, a consigliere strategico, a leader politico di un ‘Califfato’ universale (con capitale Bagdad), un obiettivo da raggiungere attraverso l’abbattimento dei governi arabi di indirizzo laico, esposti al contagio della democrazia.
Si comincia nell’autunno 2001, quando alle immagini del raid anglo-americano in Afghanistan, roccaforte di Al Qaeda, si sovrappongono quelle di Bin Laden, in compagnia del suo alter ego, l’ideologo Ayman Al Zawahiri, e del portavoce Sulaiman Abu Ghaith. Come un moderno Saladino in tuta mimetica, kalashnikov e microfono, lo sceicco saudita arringa alla guerra santa dall’antro di una grotta che simboleggia la scelta di uno stile di vita spartano, capace di suscitare nelle masse di diseredati che affollano i paesi arabi (dal Caucaso all’Asia Centrale, dal Nord Africa al Medio Oriente), così come le banlieues occidentali, un forte processo di identificazione.
Ritroveremo in altri video questa immagine “guerriera” di Bin Laden, finchè, il 10 settembre del 2003, mentre il caotico dopo-guerra iracheno è già nel vivo, lo sceicco smette i panni militari (non il kalashnikov) e indossa vesti afghane. Deve stare sulla retroguardia, ma, sullo sfondo di un paesaggio aspro ed inaccessibile come il “suo” rifugio tribale tra Afghanistan, Pakistan e Iran, si sente tanto invincibile da sottolineare ai nemici ‘non avete ottenuto nulla…non ci avete trovato’; invincibile e fiducioso nel suo ruolo di consigliere strategico dell’esercito di Allah. Ci penseranno le nuove generazioni di moujaheddin, attive su scala regionale, quelle che non ‘temono di scalare le montagne’, a portare avanti ‘la bandiera’ di un’unica identità transnazionale jihadista. Il fedele Al Zawahiri che, nella ripresa, gli passeggia accanto, dice, con voce fuori-campo, ‘taglieremo le braccia di chiunque ci tocchi’ e probabilmente sta già pensando all’orrore che, nei mesi successivi, avrebbero trasmesso in video i giovani “tagliatori di teste” legati ad Al Qaeda, da Abdul Aziz Al-Moqrin in Arabia Saudita ad Abu Musab Al Zarqawi in Iraq.


da www.1.folha.uol.com

Dopo questo filmato, per un anno, Bin Laden non si fa vedere, ma si fa sentire! Nell’aprile del 2004, lancia una proposta di tregua ad un’Europa ancora attonita, per essere stata proiettata nella trincea del conflitto iracheno dalla strage consumata alla vigilia delle elezioni politiche in Spagna, uno dei paesi ‘invasori’.
Forte del ribaltamento “emotivo” di quel risultato elettorale e del successivo disimpegno militare della Spagna dall’Iraq, lo sceicco inaugura la strategia del ‘ricatto on line’ (destinato a propagarsi, per tutta l’estate, nei circuiti della galassia qaedista), con la quale intende fare leva sulla pressione popolare per costringere i Governi europei, alleati degli USA, a ritirare i propri soldati dall’enorme ‘risiko’ iracheno. Il tono del proclama è ormai quello del maturo leader politico, che blandisce e minaccia al tempo stesso, mentre ‘legittima’, da pari a pari, l’esecuzione di atti terroristici nei Paesi che sostengono l’invasione, secondo il principio generale della reciprocità (“le nostre azioni sono una reazione alle vostre azioni, in Afghanistan, in Iraq, in Palestina”).
Con questa iniziativa di ‘patteggiamento’ si è ormai conso-lidata la trasformazione dell’Osama-stratega militare nell’Osama-attore politico, dotato di un forte senso dell’opportunismo (‘sosteniamo Saddam’ aveva detto alla vigilia della guerra in Iraq; ‘abbasso Saddam’ dirà dopo la cattura del dittatore iracheno) e di una insospettabile, grottesca carica ironica, mentre ricorda, con queste parole, l’attacco ai marines in missione internazionale di pace a Mogadiscio nel 1993: “l’uccisione di Americani in Somalia è avvenuta solo dopo l’operazione ‘Restore Hope’. E noi li abbiamo ‘ristorati’, ma senza speranza, siano rese grazie ad Allah!”.
Quando lo sceicco saudita si rimaterializza in carne ed ossa, il 29 ottobre 2004, alla vigilia delle ‘Presidenziali’ americane, la metamorfosi si è compiuta anche nel look e… non solo; infatti, indossa la jallaba bianca bordata d’oro, un costume da alto dignitario tribale, mentre le riprese sono di quelle che ‘bucano il video’, per conferire maggiore solennità alla circostanza.


da www.repubblica.it

In atteggiamento da conferenziere (sta leggendo da un podio un testo scritto e sembra quasi una simmetrica parodia dei discorsi ufficiali pronunciati dal suo ‘diretto antagonista’ nello studio ovale della Casa Bianca), Bin Laden si rivolge agli Americani, porgendo la mano e ritirando il braccio. Il suo è un voto di scambio, offre la pace, ma assicura ‘una guerra di logoramento’ se non cesseranno gli attacchi contro i musulmani in Palestina e in Iraq.
In realtà, Bin Laden sta già sperimentando la ‘via elettorale’ per impedire, in vista delle consultazioni in Iraq, che l’Occidente esporti l’“empio” sistema democratico sotto il verde cielo dell’islam.
Lo sceicco vuole entrare nel gioco delle elezioni ‘per sconfiggere i nemici dell’Islam’ e lo fa a gamba tesa, alla vigilia del voto in Iraq, riconoscendo ad Al Zarqawi la direzione delle operazioni militari ed avvertendo gli iracheni sunniti di diffidare degli ‘impostori’ (gli sciiti) che, in aperta apostasia, esortano alle votazioni, con la certezza di una vittoria maggioritaria.
Si intuisce come adesso, dietro l’angolo, ci sia il tentativo di manipolare, in chiave jihadista, la secolare divisione interna al mondo musulmano e che Osama abbia intenzione di cavalcare l’orgoglio della minoranza sunnita, scatenando contro la “dittatura” degli sciiti - definiti dal pupillo Al Zarqawi “il cavallo di Troia utilizzato dai nemici della nazione” - uno stato di conflittualità permanente rivolto a logorare la presenza occidentale nell’area ed a paralizzare le istituzioni.
Nasce così il nuovo ruolo di Osama, quale ideologo della guerra civile in Iraq, ed è il frutto dell’ennesima metamorfosi, dell’ennesimo calcolo propagandistico che annoda obiettivi locali con obiettivi globali, ma che, questa volta, potrebbe rivelarsi un passo falso.
Prendere così di petto l’islam sciita (come fa Al Zarqawi con i suoi attacchi), enfatizzando la diversità religiosa, potrebbe infatti aprire una falla nella ‘diplomazia’ qaedista ed allentare le maglie di quel consenso di massa, che Bin Laden ha inteso costruire sul comune fronte dell’anti-americanismo. Senza voler giungere a conclusioni affrettate o semplificare uno scenario nel quale le variabili in gioco sono infinite, è una prospettiva da prendere in considerazione.




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