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GNOSIS 2/2011
NetRevolution

Antonio TETI

Le Wikirivolte

Qualcuno le ha già definite Wikirivolte, ma sarebbe più opportuno definirle NetRevolutions, in funzione del fatto che non sono stati solo i wiki (1) a dare vita a quei tumulti popolari e manifestazioni di protesta globalizzata che hanno infiammato l'intero Nord Africa. Sono stati, soprattutto, i social software (2) a rendere realizzabili tutti i movimenti insurrezionali, nati nel più assoluto silenzio in vari paesi africani e mediorientali, che si sono trasformati in veri strumenti di disintegrazione politica, sociale ed economica dalle imprevedibili conseguenze. Il tutto nel più completo stupore ed incredulità delle democrazie occidentali. Probabilmente è proprio questo il dato più sconcertante degli avvenimenti che si stanno consumando, tuttora, nello scenario del Mediterraneo: lo sbigottimento dei paesi europei, ma anche degli stessi Stati Uniti che, probabilmente, non avevano previsto una così crescente insofferenza dei popoli dei paesi coinvolti nei tumulti e non avevano compreso le potenzialità della più straordinaria invenzione del ventesimo secolo: la Rete Internet.
Certo, chi poteva immaginare che le più longeve e resistenti dittature storiche potessero crollare nel giro di pochi giorni, grazie all'attacco perpetrato da blog, forum e chat? E, probabilmente, nessuno si è posto il problema dell'analisi dei contenuti dei messaggi che circolavano nei social network, che sono i veri strumenti responsabili delle rivolte che stanno infiammando buona parte dei paesi del continente africano. I tumulti, che dal 17 dicembre scorso incendiano il Nord Africa, sono partiti dalla Tunisia per poi diffondersi in Egitto, Sudan, Yemen, Algeria, Iran, Libia, Arabia Saudita. Non sono da sottovalutare neanche le proteste minori che si stanno consumando più silenziosamente in altri Paesi del mondo. Altri tumulti, si stanno diffondendo tramite Facebook e Twitter in Cameroon, Qatar e Kuwait.
Tuttavia, per una migliore comprensione degli eventi ma soprattutto delle diversità dei tumulti che interessano questi paesi, cercheremo di analizzare gli scenari di alcuni paesi che sono stati (o che lo sono tuttora) interessati da questi fatti. La scelta di analizzare i contesti sociali e politici in cui si sono sviluppate le rivolte, in alcuni paesi al posto di altri, è motivata unicamente dalla maggiore disponibilità di informazioni reperite da molteplici fonti.

Tunisia
A marzo del 2010, il Presidente Zine El-Abidine Ben Ali, secondo Presidente tunisino in carica dal 1987, annuncia che nell'ambito del programma presidenziale 2009/2014, ha inserito una norma che consentirà a tutti i disoccupati del paese di usufruire gratuitamente della Rete Internet (grazie all'attivazione di una molteplicità di punti di accesso distribuiti in tutto il paese), per consentire soprattutto a tutti coloro che sono alla ricerca di occupazione, di migliorare le possibilità di ricerca di impiego. Attivati inizialmente presso uffici pubblici (uffici di collocamento), sono stati attivati anche presso centri di formazione professionale, comuni, case di cultura e in altre strutture pubbliche e governative. L'azione prevedeva la diffusione dell'utilizzo della Rete a livello capillare, includendo quindi anche scuole e famiglie. I risultati non si fanno attendere: l'utilizzo della Rete cresce dall'1% della popolazione nel 2000, al 37% nel 2010. Tuttavia, Ben Alì non è un ingenuo e comprende benissimo che le informazioni trasmesse in Rete nel suo paese, in qualche modo, devono necessariamente essere controllate, soprattutto per evitare che la Rete non venga utilizzata per altri scopi che non siano quelli previsti dal governo.
Per questa ragione incarica la Tunisian Internet Agency, ATI (struttura deputata alla diffusione, gestione e controllo della Rete nel paese), di effettuare controlli continui sulle informazioni che viaggiano in Internet, con l'ordine di censurare tutte le informazioni "sgradite" al governo tunisino, fino all'ordine estremo di censurare i siti in cui si inneggia al malcontento e alla protesta popolare. Il direttore dell'Agenzia, Kamel Saadaoui, prende sul serio le direttive, tuttavia, come asserisce in una intervista alla rivista Wired.com, smentisce che la struttura da lui diretta per tre anni, ma in piedi da oltre quindici, lo abbia effettivamente fatto nel corso degli anni in cui ne ha avuto la direzione.
"Noi non controlliamo la posta elettronica e non filtriamo siti web, anche se abbiamo dispositivi di filtraggio sui motori di ricerca della nostra Rete" asserisce il direttore "...Noi usiamo i motori solo da un punto di vista tecnico, ma non blocchiamo i blog. Noi non sappiamo nemmeno chi ha un blog". Saadaoui lamenta anche il fatto che l'ATI sia stata percepita dalla popolazione come "una oppressiva cyber-nanny" (cyber-bambinaia), asserendo che nell'ATI "…ci sono ingegneri informatici ed elettronici, non poliziotti".
Anche se la data ufficiale di inizio della rivoluzione è il 17 dicembre, giorno in cui un giovane fruttivendolo tunisino di nome Sidi Bouzid, di soli 26 anni, si dà fuoco per protesta, i gruppi di opposizione contro il regime avevano già iniziato da mesi, su Internet, a coordinare le azioni di ribellione che si sarebbero poi concretizzate in veri e propri tumulti di piazza.
Negli ultimi mesi, il flusso di dati trasmessi in Rete si è intensificato ulteriormente e, su Facebook e Twitter, si è assistito ad una quotidiana proliferazione di nuovi blog di denuncia contro il regime del presidente Ben Alì. Nel caso della Tunisia, è stato soprattutto Twitter (3) , a raccogliere le proteste dei maggiori microblog, che hanno poi consentito di accomunare e coordinare i gruppi di protesta nel paese. Va ricordato che già nel 2009, questa volta in Iran, alcuni manifestanti erano riusciti ad eludere la censura e a far arrivare in patria e all'estero notizie sulle loro iniziative proprio grazie a Twitter. Lo stesso Saadaoui asserisce "Penso che Ben Ali non fosse a conoscenza della situazione in corso…. Se lo avesse saputo avrebbe bloccato Internet". In effetti, anche se abbastanza tardivamente, il tentativo è stato fatto bloccando alcuni siti ritenuti dannosi per il regime, ma come ha asserito il direttore dell'ATI "…il numero di siti bloccati ha fatto crescere drasticamente la nascita di nuovi portali… In poche settimane il numero è raddoppiato". Non va peraltro dimenticato che il governo tunisino, sin dal febbraio 2003, aveva già tentato di bloccare alcuni attivisti che operavano in Rete. Venti studenti che avevano visitato alcuni siti che il Governo aveva bandito, in funzione della loro presunta diffusione di idee sbagliate e pericolose, furono arrestati nella cittadina di Zarsi, e la polizia sequestrò anche diversi computer e materiali informatici che venivano "utilizzati illegalmente". Qualche mese prima le stesse autorità avevano arrestato Zouhair Ben Saïd Yahyaoui, un ragazzo che aveva creato un sito satirico che toccava, però, anche temi politici. Arrestato, torturato e condannato a 28 mesi di carcere, morì di infarto nel 2005, pochi mesi dopo la sua liberazione. Conseguenze meno drammatiche hanno subìto negli anni successivi altri blogger e giornalisti online che hanno, comunque, patito maltrattamenti e arresti ingiustificati.
Per certo è stata ancora la Rete il mezzo di diffusione della notizia del suicidio di Sidi Bouzid, tragico evento che ha prodotto quel fulmineo innalzamento delle proteste e dei tumulti in tutte le regioni del paese. Va sottolineato che la rapidità della diffusione delle informazioni in Tunisia, risiede nella particolare espansione dell'utilizzo delle tecnologie informatiche. Basti pensare che in funzione di una stima governativa, circa il 18% della popolazione tunisina utilizza Facebook come social network.
Oltre alla Rete non va dimenticato neanche il formidabile apporto dato dai telefoni cellulari, che hanno contribuito ad arricchire i canali di informazione mondiali grazie ai filmati e alle fotografie che descrivevano tutta la drammaticità degli scontri di piazza. Diffusi anch'essi su Facebook e YouTube, hanno prodotto uno sconcerto in tutti i paesi del mondo, innalzando il livello di disapprovazione verso il governo tunisino in carica. Naturalmente la diffusione del materiale trasmesso da tutte le principali televisioni del mondo, ha incentivato la produzione ininterrotta di nuovo materiale audio/video da parte dei dimostranti, innescando una vera escalation mediatica planetaria di portata inimmaginabile.
In aggiunta al coronamento del successo dei social network, si è aggiunto anche il macigno informativo del più famoso portale del momento: Wikileaks. Nel giro di poche settimane ha diffuso in Rete un numero impressionante di dispacci diplomatici, contenenti informazioni sul regime di Ben Ali, del suo governo e di molti dei suoi più stretti collaboratori. Nei cables diffusi in Rete venivano dettagliatamente documentati anche la corruzione e il malcostume dilaganti che hanno di certo contribuito ad innalzare il livello di rabbia dei manifestanti.
I primi di febbraio, il Segretario di Stato per le Tecnologie e la Comunicazione del Governo provvisorio tunisino, Sami Zaoui, ha annunciato che le comunicazioni in Rete erano state liberate da qualsiasi controllo e, soprattutto, dalle numerose restrizioni tecniche che ne impedivano la completa utilizzazione da parte dei cittadini. L'accesso a tutti i siti web del paese è tornato sostanzialmente libero e la compagnia nazionale Tunisie Telecom, che possiede il monopolio della Rete, ha annunciato che aumenterà la banda trasmissiva dai 42,5 GBps di maggio 2010, ai 50 GBps del 2011.

Egitto
In Egitto, il 25 gennaio 2011, scoppia la protesta contro il regime del Presidente Hosni Mubarak che si dimette appena tre settimane dopo. Anche in questo caso la Rete si è resa corresponsabile dell'attivazione delle proteste e dei tumulti. Anche in questo caso, un grosso contributo lo si deve a Wikileaks. Come per il Presidente Ben Ali, i cablogrammi pubblicati in Rete e riconducibili ad alcune attività del governo egiziano in carica, non hanno giovato all'immagine dell'ex Presidente Mubarak. Il 27 gennaio il governo de Il Cairo, nel disperato tentativo di reprimere il dissenso, impone ai cinque Internet Service Provider nazionali (Telecom Egypt, Vodafone/Raya, Link Egypt, Etisalat Misr, NoorData Network) di disattivare i collegamenti con la Rete Internet -attraverso il blocco dei router (4) e le comunicazioni tra telefoni cellulari (Figura 1). Solo al network NoorData Networks, responsabile dei collegamenti alla borsa valute, viene concesso di mantenere le connessioni attive che, tuttavia, hanno vita breve in quanto il 28 gennaio vengono anch'esse disattivate.
Ciò nonostante molti egiziani esperti di tecnologie informatiche, grazie anche alla collaborazione di numerosi attivisti e ISP sparsi in tutto il globo, continuano a mantenersi collegati ad Internet riattivando persino vecchi modem della prima generazione. Agli egiziani, viene anche in aiuto We Rebuild, organizzazione internazionale di attivisti che si prefigge il libero accesso a Internet e che nasce nel 2009 in quella Svezia che ospita anche l'infrastruttura di Wikileaks.


Figura 1 - Interruzione del servizio di connettività in Egitto
(fonte http://asert.arbornetworks.com/2011/01/egypt-loses-the-internet/)
 
Nonostante il blocco della Rete, realizzato grazie all'interruzione del funzionamento dei router (5) , sia durato solo cinque giorni, l'evento ha creato particolare preoccupazione nell'intera comunità tecnologica mondiale, soprattutto per la possibilità che alcuni governi autoritari possano autorizzare l'immediato blocco delle trasmissioni in Rete, azione che di fatto consente il totale isolamento informativo di un paese. Tuttavia, com'è stato più volte dimostrato, Internet per la sua stessa natura è una Rete che si basa su di una infrastruttura di collegamenti in grado di poter aggirare abbastanza agevolmente quasi tutti i blocchi che possono essere imposti dai governi, permettendo quindi ai suoi utenti di adottare percorsi secondari per continuare ad inviare e ricevere dati e messaggi.
Pertanto il caso dell'Egitto è da considerarsi un esempio atipico, dato che le funzioni di controllo e di gestione fisica della Rete sono affidate allo stesso governo egiziano. A ciò si aggiunge il fatto che nel paese le reti di trasmissione dati, da e verso Internet, sono poche e tutte controllate da Telecom Egypt, la società di telecomunicazioni che possiede buona parte dell'infrastruttura in fibra ottica egiziana, è che è controllata dal governo. Ne consegue che tutte le società che operano nel settore della trasmissione dati, sono costrette ad affidarsi ai mezzi trasmissivi dell'azienda di Stato. Pertanto alle autorità è bastato poco per isolare completamente lo stato egiziano. Ad esempio, ad alcuni provider è stato addirittura richiesto di bloccare sistematicamente gli accessi ai propri abbonati, clausola prevista nel contratto di servizio tra le società che offrono l'accesso a Internet e lo Stato, e che può essere attivata in funzione di una specifica richiesta che può essere trasmessa istantaneamente e per ragioni di sicurezza nazionale. Non sono stati esclusi da tale provvedimento neanche le università che sono collegate alla Rete ad alta velocità Eumedconnect 2, che connette l'Europa ai paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Va sottolineato che questa ordinanza del governo ha coinvolto alcune multinazionali delle telecomunicazioni come Orange (società svizzera che appartiene a France Telecom), Vodafone e TE Data (società che appartiene a Telecom Egipt) e altri provider che sarebbero stati costretti ad assecondare le richieste del governo egiziano sul blocco della connettività.
Molto diversa è stata la reazione dei social network (Facebook in testa) che hanno accolto positivamente le crescenti proteste della popolazione che ha trovato nella Rete il migliore strumento di condivisione del dissenso nazionale. Non a caso, sin dal 2008, proprio Facebook ha ospitato il gruppo (6) April Youth Movement (http://www.facebook.com/shabab6april), fondato da Ahmad Maher, che ha saputo intercettare il desiderio di cambiamento di gran parte del popolo egiziano. Una considerazione degna di nota è quella che invece viene fornita dagli sviluppatori di Tor (https://www. torproject.org/) una poliedrica aggregazione di aziende internazionali, strutture governative (tra cui lo US Naval Research Laboratory) e organizzazioni no-profit, che offre in Rete un software completamente gratuito in grado di proteggere le informazioni trasmesse dai suoi utilizzatori. In sostanza il software sviluppato da Tor consente di accedere ad una Rete di tunnel virtuali che possono proteggere tutti i dati trasmessi sia in termini di sicurezza che di riservatezza. Inoltre, utilizzando dei DNS6 alternativi (come quelli di Google) e utilizzando le routing policy di Tor (tecniche di instradamento dei messaggi), è stato possibile aggirare i blocchi imposti da diversi governi con estrema facilità. Il dato è reso ancora più evidente dal repentino innalzamento delle connessioni Tor degli egiziani verso la fine di gennaio (Figura 2).

Figura 2 Connessione dirette su Tor dall'Egitto
(immagine estrapolata da The Tor Project - https://metrics.torproject.org/)
 
Anche se le connessioni a Tor hanno consentito agli egiziani di continuare a trasmettere informazioni in Rete, eludendo i blocchi attivati dal governo, tutti i dati trasmessi in Rete sono stati accuratamente registrati dai provider, i quali molto probabilmente hanno provveduto a trasmetterli alle autorità competenti egiziane. E questo è sicuramente uno degli aspetti su cui è opportuno riflettere. Anche se il livello di anonimato è garantito dalle applicazioni di Tor, le applicazioni stesse non sono in grado di assicurare al 100% l'inviolabilità della privacy dei suoi utilizzatori. Inoltre, ben altri "tecnicismi" possono concorrere all'indebolimento dei sistemi di protezione di Tor. Secondo alcune affermazioni rilasciate da esperti di Tor, il backbone (dorsale di Rete) che collega fisicamente le connessioni a banda larga dei provider egiziani è Seabone. Questa dorsale di trasmissione dati, realizzata e attualmente gestita dalla Sparale, non fornisce direttamente connettività agli utenti e, quindi, non è in grado di procurare dati sensibili al governo che ne facesse richiesta. In verità l'unica che potrebbe fare ciò è TEData Company, società creata nel 2001 da Telecom Egypt, che offre servizi di connettività in tutto il settore mediorientale. Solo a TEData, che ha il controllo dei bridge (7) , è consentito, infatti, il tracciamento delle trasmissioni online ed è, quindi, la sola che potrebbe fornire informazioni sul traffico dei cybernauti egiziani. Ma la net-story egiziana non è giunta a conclusione e il giorno 11 febbraio 2011 qualcosa accade. Alcuni bridges vengono disattivati per poi essere ricollegati dopo alcuni giorni (Figura 3).

Figura 3 Connessioni trasmesse attraverso i bridges
(immagine estrapolata da The Tor Project - https://metrics.torproject.org/)
 
Cosa è accaduto? Com'è chiaramente visibile nel grafico della figura 3, il governo de Il Cairo decide di "spegnere" tramite la disattivazione dei bridges, ma l'interruzione della Rete non sortisce gli effetti sperati. La rivolta aumenta in maniera esponenziale (soprattutto in Rete) anzi, per certi versi contribuisce ad innalzare il livello di protesta verso il governo e le sue maldestre azioni di censura. Il presidente Mubarak si dimette e, dopo alcune ore, lascia lo scettro del comando al Consiglio supremo delle forze armate, presieduto dal feldmaresciallo Mohammed Hoseyn Tantawi.
Il vecchio presidente si rifugerà inizialmente presso la sua residenza di Sharm-el-Sheik per poi finire arrestato in attesa di essere sottoposto a giudizio. La giunta militare, a cui sarà affidato il compito di traghettare il paese verso un governo democratico, promette di mettere fine allo stato d'emergenza in vigore nel paese dal 1981, solo quando le condizioni lo richiederanno e annuncia che rimarrà al potere per sei mesi o fino alle prossime elezioni legislative e presidenziali e che rispetterà i trattati internazionali.

Algeria
Dal 1999 Abdelaziz Boutifleka è al governo dell'Algeria e, dopo una vita politica piuttosto movimentata, culminata nell'attentato del 2007 dal quale egli si salvò ma che produsse ben quindici morti e centoquattordici feriti, ha scoperto anch'egli, in questi ultimi mesi, quello che forse potrebbe rappresentare il suo peggiore nemico: Internet.
Il 12 febbraio 2011, anche in Algeria si preparano numerose proteste che prendono corpo dalla scia delle manifestazioni attivate in Egitto. Le informazioni e i filmati audio/video dei tumulti egiziani, vengono trasmessi ininterrottamente dai cybernauti algerini per mezzo dei social network e dei numerossissimi blog attivi in tutto il paese. Sono più di duemila i dimostranti (solo duecentocinquanta secondo il ministero degli Interni) che manifestano a favore di un nuovo governo più democratico e che si riuniscono ad Algeri con il preciso scopo di chiedere le dimissioni del Presidente Abdelaziz Boutifleka. Ma non è solo una questione di democrazia a provocare la protesta del popolo. Sebbene l'Algeria sia l'ottavo paese al mondo per riserve di gas naturale e possieda enormi giacimenti di petrolio, il livello di disoccupazione tra i giovani è elevatissimo, la corruzione del governo è crescente e non mancano i problemi riconducibili agli alloggi e alla povertà in aumento. In tutta risposta, il governo schiera circa trentamila poliziotti in tenuta antisommossa per cercare di sedare le proteste che assumono rapidamente il nome di "Rivoluzione del 12 febbraio". Gli scontri tra manifestanti e polizia si susseguono continui e violenti.
Vengono bloccati anche i treni e la circolazione delle automobili in tutta la capitale. Grazie alla Rete gli organizzatori della protesta, che afferiscono al nascente Coordinamento nazionale per il cambiamento della Democrazia (Cncd), nato il 21 gennaio in funzione della ‘rivolta del pane’ sviluppatasi in tutto il Maghreb, diffondono notizie di scontri con feriti, arresti e atti di inaudita violenza, anche in questo caso con filmati trasmessi su Facebook e Twitter. Si parla di arresti (alcune fonti riferiscono un numero di mille) e di morti (una decina), ma lo stesso ministero degli Interni minimizza e diffonde dati diversi.
Il 13 febbraio 2011, il presidente algerino ordina di bloccare i servizi erogati dagli Internet Provider in tutto il paese, di disattivare i cellulari e di cancellare tutti gli account Facebook. Ma anche in questo caso, e grazie alla consistente diffusione della cultura della Rete nel paese, le limitazioni vengono ben presto aggirate. In tal senso può essere di aiuto l'analisi di alcuni dati. Secondo una indagine condotta a fine 2009 dal gruppo Med Web Consulting & Com, il numero di utenti Internet in Algeria è stimato a 4,5 milioni, pari a circa 12,8% della popolazione.
Anche nel settore della telefonia mobile si registra un incremento sostanziale rilevato dal numero di abbonati passato da 54.000 nel 2000 a 27 milioni nel 2007.
Tre quarti degli utenti Internet ha asserito che la Rete è uno strumento indispensabile, e il 90% ha confermato che si collega ad Internet quasi ogni giorno. Il tempo medio speso online è di circa due ore. Gli uomini (74,2%) utilizzano Internet più spesso rispetto alle donne (25,8%), mentre sei su dieci sono gli utenti Internet di età inferiore ai 40 anni. Due terzi degli utenti di Internet hanno una formazione di livello universitario, mentre quasi il 70% sono impiegati e il 19% studenti. Poco più della metà si trova nel centro del paese, con il 29% in Algeri. Tra i servizi maggiormente utilizzati su Internet troviamo la posta elettronica (82,6%), instant messaging (42,5%), forum di discussione (33,8%), Voice over IP (33%), videoconferenze e servizi multimediali (9,9%).
Oltre l'80% dei cybernauti legge i giornali online, il 19,9% ascolta la radio, e guarda la TV circa il 11,4%. Quasi il 60% dichiara di utilizzare i social network come Twitter, ma è di certo Facebook a recitare la parte da leone con i suoi 1,2 milioni di utenti registrati nel paese. Quasi due terzi degli intervistati hanno dichiarato di utilizzare Internet da casa, mentre un altro quarto si connette dal posto di lavoro ed infine il 6,5% si collega in Rete dagli Internet Café o da centri di aggregazione giovanile.
L'Algeria è il più grande paese africano che si affaccia sul Mar Mediterraneo e il secondo più grande dell'intero continente africano dopo il Sudan. È l'undicesimo paese più grande del mondo ed è membro della Lega Araba, delle Nazioni Unite, dell'Unione Africana e dell'OPEC. È anche un membro fondatore dell'Unione del Maghreb arabo. Attualmente l'Algeria sta vivendo una rilevante ripresa economica, legata soprattutto alle risorse energetiche presenti sul territorio ed esportate in grandi volumi tanto da consentire l'aumento rilevante delle riserve in valuta estera del paese. Senza dubbio è una delle nazioni più ricche del continente africano. Soprattutto in funzione di ciò, il mercato delle telecomunicazioni ha registrato una crescita esponenziale nel paese.
L'Algeria è stato uno dei primi paesi connessi ad Internet nel mondo arabo: diverse università e alcuni centri di ricerca erano collegati in Rete già sul finire degli anni '80. Secondo le statistiche rese pubbliche dal Ministero delle Poste e delle Tecnologie dell'Informazione, alla fine del 2007 il paese contava 70 provider, più di 5.000 cybercaffé e oltre 11.000 strutture scolastiche interconnesse.
L'operatore storico del paese è Algerie Telecom (AT) che, con il progetto per la realizzazione di una dorsale in fibra ottica noto come Fibre-To-The-Home (FTTH), sin dal 2008 ha portato l'utenza a fruire di una connettività diffusa di tipo ADSL, proponendosi come primo operatore nell'intero continente ad offrire connettività ad alta velocità. In realtà FTTH per Algerie Telecom rappresenta solo un mezzo per veicolare servizi più innovativi come il VoIP (Voice over IP) e connettività IPTV (per la diffusione delle trasmissioni televisive in Rete). È la francese SAGEM (società molto impegnata nel settore della difesa) a fornire il know-how e diversi materiali ad Algerie Telecom per consentire di raggiungere quella copertura di Rete che sarà realizzata anche con l'impiego di tecnologie avanzate come il WiMAX. Nel caso del servizio di IPTV l'operatore di telecomunicazioni algerino ha ottenuto la collaborazione di Korea Telecom e British Telecom per ampliare la gamma dei servizi televisivi. Il governo ha annunciato investimenti per 100 milioni di dollari in infrastrutture in fibra ottica per i prossimi anni fino al 2014. In questo settore è predominante la collaborazione con l'azienda canadese Galaxia Telecom che intende aumentare il livello di connettività su Rete fissa nel paese proponendosi di raggiungere una quota prossima al 50% per i prossimi anni.

Libia
I tumulti che hanno infiammato l'intero Nord Africa nei mesi scorsi non hanno risparmiato il paese che più di altri godeva di una apparente granitica stabilità di governo. Ciò che si è verificato nel paese di colui che fu fregiato del titolo onorifico di "Guida della Rivoluzione", per molti osservatori ha assunto la connotazione di un evento incredibile. A distanza di pochi mesi da un tour internazionale che lo aveva consacrato come il leader maggiormente apprezzato (e forse fidato) tra i tanti che si affacciano sul bacino del Mediterraneo, i tumulti e le proteste popolari scatenatesi nel giro di pochi giorni in molte delle città del paese, hanno lasciato senza parole molti dei vertici dei maggiori paesi occidentali. Ma nel paese ben presto si delinea uno scenario che consentirà il passaggio dalla semplice protesta popolare ad un vero e proprio conflitto interno, che assumerà la connotazione di una sorta di guerra civile. Tralasciando gli aspetti del conflitto, tuttora in corso, focalizziamo l'attenzione sul ruolo giocato dalle tecnologie nel paese libico. In questo caso la data fondamentale è il 4 marzo 2011: è il giorno in cui viene disattivata nell'intero paese la Rete Internet.
Secondo alcuni dati raccolti da oltre trenta Internet Provider mondiali, il servizio di fruizione della Rete in Libia è stato disattivato alle 7:15 pm EST di venerdì (0.015 GMT di Sabato), per poi essere riattivato e nuovamente disattivato, questa volta definitivamente, alle 4:55 pm EST di Sabato (Figura 4).

Figura 4 Interruzione del traffico di Rete in Libia
(fonte: Google Trasparency - http://www.google.com/transparencyreport/traffic/)
 
Secondo Google Transparency (uno strumento online che serve per controllare costantemente la trasmissione di dati provenienti dai vari servizi come YouTube, Gmail e Google Search) da quel giorno, il traffico delle informazioni nel paese libico ha subìto un'improvvisa interruzione. In questo caso, però, le tecniche utilizzate dal governo per bloccare i flussi di dati in Rete, sono state diverse e più ingegnose e subdole di altre adottate dai governi di altri paesi, come ad esempio l'Egitto, che aveva semplicemente disattivato i server e le linee di trasmissione dati creando anche problemi di fruibilità perfino ai siti governativi. In sostanza, grazie all'ausilio di tecnici governativi specializzati (ma sembra appoggiati da consulenti informatici "mercenari") il colonnello Gheddafi è riuscito ad isolare il paese da Internet non bloccando le linee di trasmissione dati (fibra ottica, ADSL, linee digitali in genere) ma agendo sui Border Gateway Protocol (8) (BGP), i Router (9) e Domain Name Server. Quindi le linee sono rimaste aperte e attive, ma il traffico è stato ridotto a zero in quanto i pacchetti dati non sono stati più veicolati dal mittente al destinatario. La tecnica utilizzata sarebbe quella del bandwidth throttling (10) del traffico di Rete. È una soluzione di certo più arguta e sofisticata di quelle messa in atto da altri paesi, ma richiede professionalità specifiche e la collaborazione dei gestori delle linee trasmissive. Problema quest'ultimo inesistente dato che il presidente di Libyana, il maggiore operatore mobile di proprietà di General Post and Telecommunication Company (GPTC), è il figlio primogenito del colonnello Gheddafi. Muhammad Gheddafi, che risulta avere anche partecipazioni in Libya Telecom & Technology (LTT), principale fornitore internazionale di servizi Internet. Nonostante lo spiegamento di forze (in questo caso di mercenari informatici!) e la collaborazione della società Lybiana, gli effetti sperati non sono stati certo permanenti dato che come ben sappiamo le tecnologie di comunicazione non sono facilmente "imbrigliabili".
Esistono infatti telefoni satellitari che possono essere utilizzati per collegarsi ad un provider Internet, aggirando, in tal modo l'intera infrastruttura di Rete del paese. Se poi aggiungiamo che attualmente anche i più modesti cellulari da pochi euro sono in grado di registrare filmati qualitativamente buoni anche di scene che non lasciano molto tempo alla preparazione (scene di battaglie), se ne deduce che qualsiasi tentativo di censura delle informazioni risulta praticamente impossibile da realizzare. E lo hanno dimostrato (e continuano a farlo) i video costantemente diffusi in Rete dai rivoluzionari libici su Facebook, Twitter e YouTube, che rappresentano da sempre i canali preferiti di diffusione delle informazioni delle vicende libiche.
Ben diversa la situazione delle connettività in Libia se paragonata a quella dell'Algeria. Solo il 6% della popolazione utilizza il Web, e parliamo di una fascia di utenti con un livello di scolarizzazione elevato, appartenente a classi economiche benestanti e particolarmente interessate alle questioni sociali e politiche. Tuttavia non è così semplice stabilire l'esatta percentuale dei fruitori della Rete. La presenza di numerosi cybercaffè e di Internet Point, di fatto, innalza di parecchio il numero dei reali fruitori dei servizi in Rete. Naturalmente anche in Libia (così come in altri paesi africani) all'apertura dei governi alle nuove tecnologie di comunicazione, si affianca la necessità di controllare, monitorizzare e censurare tutte le informazioni che vengono trasmesse. Pertanto anche in Libia la direttiva emanata tacitamente è stata la stessa di molti altri paesi: niente privacy, monitoraggio e analisi continua del traffico di Rete, disinformazione e ricerca settorializzata di dati (data mining). Queste sono solo alcune delle tecniche messe in atto dai tecnici informatici governativi per "osservare" il comportamento e gli orientamenti dei propri cittadini.
Come abbiamo ben compreso la Rete Internet si è rivelata un'arma straordinaria per diffondere la cultura del dissenso, per consolidare il consenso popolare e per condurre azioni di coordinamento di rivolte contro governi che hanno messo in atto azioni tecnologicamente fallimentari sul piano del contrasto alla diffusione di informazioni digitali. Ma non basta. Risulta altresì straordinario come strumento di propaganda di massa in funzione delle sua indiscussa capacità di diffondere notizie, pareri, affermazioni su qualsiasi tipo di evento in grado di influenzare e condizionare le masse. Tuttora, nei diversi paesi in cui imperversano le proteste e le rivolte e nonostante siano ancora in atto forti azioni di contrasto informativo, è ancora possibile utilizzare siti stranieri su cui inserire materiale audio/video in grado di mostrare ciò che accade quotidianamente in tutte le città interessate dagli scontri. Un esempio, anche in questo caso, è dato da We Rebuild che ha messo a disposizione una pagina wiki per chi vuole dare un contributo alla causa o desidera semplicemente attivare un canale comunicativo con i rivoltosi (http://werebuild.eu/wiki/Libya/Main_Page). Ma l'impegno di We Rebuild non è limitato al solo paese libico, è noto che l'organizzazione ha attivato pagine wiki anche per altri paesi co, l'Ageria, lo Yemen e l'Egitto... In queste pagine vengono diffuse informazioni e guide tecniche su come comunicare attraverso l'utilizzo del fax, di vecchi modem a 56Kbps, oppure mediante i telefoni satellitari che possono essere utilizzati per pubblicare immagini e filmati sui canali di YouTube.
I channels più aggiornati sulla situazione libica, sono:

§ http://www.youtube.com/user/alkuris
§ http://www.youtube.com/user/mukhtaralasad
§ http://www.youtube.com/user/Libyanym
§ http://www.youtube.com/user/enoughgaddafi
§ http://www.youtube.com/user/Elbasha99

Anche in Libia, Facebook recita un ruolo di primissimo piano. Centinaia sono le pagine attivate in cui vengono pubblicati annunci, appelli, immagini, filmati riconducibili allo svolgimento del conflitto. Tra le pagine più celebrate, quella di Hassan Al Djhami, libico di nascita ma residente in Svizzera e autore di "17 Febbraio - Il giorno della collera", che contiene numerosissimi video e informazioni che vengono aggiornate costantemente 24 ore al giorno. Di particolare rilievo è anche il lavoro svolto dall'attivista Arasmus che tramite Google Map ha creato una mappa dinamica sullo svolgimento degli scontri nel paese libico, indicando luoghi e circostanze degli eventi (Figura 5).

Figura 5 Figura 5 - Mappa grafica degli eventi in
corso di svolgimento in Libia
(fonte: Google Map)
 

Altro esempio apprezzabile di utilizzo della Rete è quello della Fondazione Avaaz, organizzazione no-profit, sita in New York, che si occupa (come si evince dalla web home page - http://www.avaaz.org/en/about.php) di "…diffondere la politica del popolo che prende decisioni in tutto il mondo". Forte di ben 5.5 milioni di iscritti, oltre a diffondere la cultura della libertà dei popoli, si occupa anche di raccolta fondi, servizio opportunamente potenziato allo scatenarsi degli eventi che stanno infiammando l'intera Africa del nord.
È stato attivato uno specifico form finalizzato alla raccolta di fondi destinati ai paesi coinvolti nei tumulti (Figura 6).

Figura 6 La pagina del portale di Avaaz in cui
è possibile effettuare donazioni in denaro
(https://secure.avaaz.org/en/blackout_proof_the_protests/?hp)
 
Mentre Avaaz raccoglie consensi crescenti e altrettante somme di denaro, un gruppo di attivisti cibernetici, hanno creato un apposito sito web dal nome Arasmus (http://www.arasmus.com/2011/03/01/mapping-violence-against-pro-democracy-protests-in-libya/), in cui vengono aggiornati costantemente tutti i dati sui luoghi delle rivolte e degli scontri con le forze fedeli al colonnello libico. Il blog Libya Feb 17 (http://www.libyafeb17.com/) descrive dettagliatamente tutti gli avvenimenti che si verificano quotidianamente in Libia, proponendo filmati, interviste e foto aggiornate. Anche su questo sito è attiva una pagina in cui è possibile effettuare donazioni per la causa.
Il tentativo di blocco delle comunicazioni telefoniche in Libia (attuato il mese prima), ai primi di aprile viene parzialmente aggirato grazie ad un team di tecnici guidato da un dinamico dirigente di un'azienda libica di telecomunicazioni di soli 31 anni e che risponde al nome di Ousama Abushagur. Cresciuto negli Stati Uniti, il giovane tecnico ha fondato Free Lybiana, che passerà alla storia per essere la prima "Rete di telefonia mobile ribelle". Sembra che dal 2 aprile (come asserisce in un articolo lo stesso Wall Street Journal) al nuovo network siano state affidate le comunicazioni di circa due milioni di libici, tornati finalmente a comunicare con il resto del mondo grazie anche ai cospicui finanziamenti erogati alla società di telecomunicazione da non meglio identificati paesi arabi "amici". In realtà i fondi erano iniziati a confluire al gruppo di dissidenti cappeggiato da Abushagur già sul finire del mese di febbraio, in veste di aiuti umanitari e per supportare la nascente protesta nel paese, ma quando il dirigente libico ha subdorato che il governo aveva messo in atto un piano in grado di disattivare le trasmissioni in Rete, ha deciso di procedere con l'attivazione di un nuovo sistema di trasmissione dati/fonia per ristabilire le comunicazioni nel paese.
Curiosamente, proprio ai primi marzo, durante un volo diretto verso gli Emirati Arabi Uniti, Abushagur disegna sul retro di un tovagliolo di carta della linea aerea utilizzata per la trasferta, l'infrastruttura della società che avrebbe avuto il compito di aggirare il piano messo in atto da Lybiana. A correre in aiuto di Abushagur provvede il governo degli Emirati Arabi Uniti: la sua compagnia di telecomunicazioni, Etilsat, fornisce sia le sofisticate apparecchiature di trasmissione che la collaborazione di tecnici specializzati, elementi indipensabili per la riattivazione delle comunicazioni del paese. L'apporto di Etilsat non si ferma qui. Decide di fornire anche un satellite per garantire la fruizione di chiamate intercontinentali.

Utilizzo delle informazioni in Rete: chi controlla e condiziona chi?
Naturalmente la lista dei paesi in cui hanno avuto luogo le "NetRevolution" non termina certamente qui. L'elenco è ben più lungo. Potremmo ad esempio citare il Sudan, dove il 30 gennaio scorso si è tenuta una grande manifestazione (anche in questo caso alimentata in Rete), ma che non ha prodotto i risultati sperati. Sembra che la motivazione che ha scatenato la protesta sia da ricondurre al cablogramma (pubblicato da Wikileaks) in cui il presidente sudanese, Deng Alor, confidava al suo amico e presidente egiziano Moubarak la sua preoccupazione per l'instabilità politica nel suo paese e sulla possibilità che fondamentalisti islamici potessero scatenare una rivolta. Nello Yemen il 3 febbraio si consuma l'ennesima rivolta. Battezzato come "il giorno della rabbia", nel paese yemenita si scatena la collera della popolazione che chiede al suo presidente Ali Abdallah Saleh di dare vita ad un nuovo governo. Nel corso dei mesi successivi gli scontri sono stati continui e ad oggi hanno prodotto circa 150 morti. La cosa che traspare in maniera evidente è la potenza della Rete Internet nell'aggirare gli inefficaci strumenti di censura adottati da tutti i regimi autoritari che sono rimasti coinvolti nei tumulti dei mesi scorsi. È stato quindi dimostrato che il cambiamento politico e sociale di un popolo, che si concretizza attraverso i flussi di informazione che adottano la Rete, risultano impossibili da controllare anche da parte del governo più preparato e pronto dal punto di vista tecnologico.
Un'altra delle peculiarità di Internet, è anche la capacità di replicare le informazioni senza limiti di sorta, data dalla possibilità di duplicare e archiviare le informazioni su una molteplicità di siti web sparsi in tutto il mondo. Il tutto a costi praticamente inesistenti. Questa capacità, di fatto, consente alla Rete di demolire le logiche di organizzazione gerarchica del potere, mettendo sullo stesso piano lo Stato/Governo, da cui si sprigiona il potere ed il controllo del popolo, e gli individui che non rappresentano più la parte debole del paese ma, al contrario possono rappresentare un organismo di particolare potenza ed efficacia, se si trova lo strumento giusto per la loro aggregazione. Quale strumento migliore della Rete e dei social network? Probabilmente, allo stato attuale, nessuno. Internet consente di informarsi e quindi di accrescere la conoscenza che risulta funzionale per creare delle relazioni che producono nuove connessioni e comunicazioni.

Information toxic: i sockpuppet
Tuttavia, anche se la Rete consente una gestione dei flussi informativi che non ha precedenti nella storia dell'uomo, è altresì vero che non risolve il maggiore dei suoi difetti: la veridicità delle informazioni trasmesse.
Pertanto le sue potenzialità possono essere sostanzialmente vanificate se le informazioni non possono essere interpretate, analizzate e organizzate per rendere le notizie interessanti e fruibili. Tutto ciò richiede il coinvolgimento attivo di individui specializzati in questo tipo di lavoro. Facciamo un esempio: la mobilitazione delle masse è possibile solo se le informazioni sono appetibili, stimolanti, semplici, dirette e chiare, quindi preparate per trasmettere al pubblico a cui si rivolge un messaggio in grado di coinvolgerlo emotivamente. Le potenzialità di coinvolgimento della Rete sono attuabili solo se esiste un nucleo di individui in grado di analizzare, filtrare, modellare e plasmare le informazioni in maniera opportuna, coordinando le metodologie di trasmissione e adeguando le tipologie di diffusione di notizie anche in funzione delle reazioni delle masse e dell'evoluzione degli eventi. In sostanza è sempre una questione di persone più che di tecnologie…
Altro aspetto di particolare interesse è la capacità della Rete di aggregare le masse soprattutto quando si tratta di protestare o contestare qualcosa o qualcuno. È ampiamente dimostrato che Internet si riveli particolarmente efficace quando si tratta di unire le persone che vogliono opporsi o protestare per qualcosa, e ciò si spiega anche per il fatto che la protesta unisce molto di più gli individui su ciò che non si vuole rispetto a ciò che si vuole. A dimostrazione di ciò non mancano gli esempi di inefficacia della Rete quale strumento in grado di coinvolgere le masse per proposte propositive o come strumento di concertazione e di elaborazione politica. In sostanza si potrebbe asserire che Internet può essere considerato un formidabile strumento di aiuto nella distruzione di un regime, ma non certo un meccanismo di creazione di nuove forme di democrazia o di ricostruzione politica e sociale di un paese. Anche se non privo di difetti, il sistema di condivisione delle conoscenze offerto dalla Rete rappresenta la spina dorsale della comunicazione persuasiva del terzo millennio. La dimostrazione è data soprattutto dall'interesse dei governi e delle multinazionali dell'informazione, nell'occupazione di ruoli e di posizioni di controllo nella gestione delle maggiori aziende che operano nel settore dell'internetworking. In tal senso appare di particolare interesse l'affermazione fatta recentemente dal vice primo ministro russo Igor Sechin, in cui asserisce che le rivolte in alcuni paesi mediorientali, come l'Egitto, sono il frutto di un processo di manipolazione di massa realizzato tramite i social network, accusando Google di aver assunto un ruolo di primissimo piano nel fomentare le folle di rivoltosi in Egitto (http://www.newstimeafrica.com/archives/16377).

Conclusioni
Internet ci ha introdotti nel nuovo mondo dell'informazione in tempo reale e l'esempio più eclatante dell'immediatezza dello strumento può essere rappresentato dai filmati di guerra trasmessi in tempo reale su YouTube. La stessa velocità viene utilizzata, ad esempio, anche per il reclutamento di mercenari, sempre più richiesti in tutti i conflitti che si consumano in ogni angolo del pianeta. Persino l'inossidabile colonnello Gheddafi, si avvale della Rete per reclutare le nuove truppe di moderni lanzichenecchi pronti a sfidare la morte dietro un compenso mensile di 2000 euro (oltre ai bonus di risultato!). Non a caso si è assistito ad una vera e propria proliferazione di blog, siti e forum in Africa Occidentale, ove traboccano offerte di "ingaggio" particolarmente allettanti per tutti coloro che hanno scelto di fare della guerra il proprio mestiere.
Non a caso la zona subsahariana è quella in cui in cui staziona la stragrande maggioranza dei mercenari pronti ad alimentare i perenni conflitti che devastano l'intero continente africano. Notoriamente i mercenari costano molto meno di un esercito regolare, non hanno scrupoli di coscienza, sentimenti patriottici e attaccamento ad alcuna ideologia, e sono disposti ad eseguire qualsiasi ordine, anche i più atroci, purchè siano adeguatamente ricompensati…
Ma la Rete offre servizi molteplici e possibilità inaspettate a chiunque sia in grado di comprenderne le potenzialità: abilissimi mistificatori grazie all'anonimato riescono e vendere filmati contraffatti e foto taroccate ), ma anche a protagonisti dell'informazione/disinformazione come Julian Assange, che di recente ha persino assunto il ruolo di accusatore delle moderne tecniche di spionaggio. La notizia è del 4 maggio scorso (http://www.rainews24.rai.it/it/news.php? newsid=152497) e riporta un'affermazione dell'inventore di Wikileaks in cui asserisce "Tutti dovrebbero capire che quando aggiungono i loro amici su Facebook, stanno lavorando gratis per le agenzie di intelligence Usa". Anche sulla morte di quella che può essere considerata la migliore icona di Internet, si è scatenata una vera e propria information cyberwar che continuerà ad infiammare i media e la Rete ancora per molto tempo. A poche ore dall'annuncio della sua morte, sono stati diffusi in Rete foto, filmati, testimonianze, confessioni e annunci di ogni tipo, in cui la verità e la falsità si intrecciano fino a creare un minestrone informativo in grado di generare ciò che gli esperti di intelligence identificano con un termine ben preciso: poisoning information (avvelenamento delle informazioni). D'altronde non è proprio questa la peculiarità di Internet che attrae maggiormente le grandi potenze governative ed economiche a livello mondiale? Alcuni filmati su YouTube sono capaci di mettere in crisi un governo che al tempo stesso non è in grado di controllarli e di bloccarli, alcune mail scambiate tra funzionari governativi di due diversi paesi, e contenenti pettegolezzi di basso livello, possono creare imbarazzi alla stabilità dei rapporti internazionali, l'aggiornamento di mappe geografiche su Google Earth può consentire di fornire dati utili per essere aggiornati in tempo reale sull'andamento di un conflitto in corso.
Questi pochi esempi non sono solo in grado di testimoniare il livello di tecnologie raggiunto nella fruizione delle informazioni in tempo reale, ma possono confermare qualcosa di più profondo e più consistente: il cambiamento epocale in atto che ci ha condotti da un'informazione gestita e controllata ad un'informazione incontrollata e ingestibile su scala mondiale. Se poi questa trasformazione delle modalità di gestione della conoscenza sia un bene o un male, resta tutto da vedere. È un bene se consideriamo che a livello planetario le notizie, non essendo assoggettate ad una sorta di oligarchia della comunicazione, possono essere generate da tutti e senza vincoli di sorta. E questo può rappresentare una forma di democrazia assoluta nel campo dell'informazione. Per contro, non esiste alcuna certezza sulla bontà e veridicità della notizie trasmesse in Rete. Esiste addirittura la possibilità che le stesse possano essere opportunamente confezionate per influenzare e condizionare le masse al solo scopo di conseguire alcuni obiettivi prefissati. Intanto il gigante informatico Microsoft ha acquistato Skype e lo ha fatto sborsando la modica cifra di otto miliardi di dollari, offerta che ha consentito di eliminare gli altri due contendenti interessati, Facebook e Google. Il fatto che vi sia tanto interesse per l'acquisto di un'azienda in perdita si spiega facilmente per la tipologia di settore in cui opera Skype: le comunicazioni in Rete.
Ma l'azienda diretta dal giovane Mark Zuckerberg (Facebook) ha ben altro a cui pensare. E in questo caso tocchiamo un altro degli aspetti più scottanti di Internet: la privacy. Alcuni mesi fa, la società di sicurezza informatica Symantec Corporation ha scoperto che per anni (pare dal 2007) il social network più diffuso al mondo ha involontariamente dato alle società di e-commerce l'accesso a tutti i dati personali degli abbonati, incluso il profilo, i messaggi, le foto e persino i profili degli amici. Il meccanismo di "spionaggio" sarebbe riconducibile alla condivisione con alcune società commerciali dei cosiddetti "token", le chiavi per accedere al profilo degli abbonati. Symantec ha stimato che circa diecimila applicazioni hanno distribuito in giro tokens per quattro anni, anche se non tutte le società si sono rese conto di avere in mano la chiave per aprire la cassaforte di preziose informazioni contenute nelle pagine dei 600 milioni di abbonati a Facebook. L'azienda di Zuckerberg ha dichiarato di avere adottato delle misure di sicurezza per eliminare il problema. Tuttavia il problema ha scatenato un putiferio tale da indurre il Senato degli Stati Uniti ad indire un'intera audizione sulle tecnologie impiegate da Apple e Google per un altro problema che potrebbe rappresentare l'ennesima violazione alla privacy: i sistemi di localizzazione delle posizioni degli abbonati ai loro telefonini. Non a caso alcune indagini hanno verificato che Apple e Google determinano costantemente la posizione geografica dei loro abbonati. Un'inchiesta del Wall Street Journal ha rivelato che 47 delle 101 applicazioni più usate dagli smartphones trasmettono dati sugli spostamenti degli abbonati ad aziende che li usano a scopi pubblicitari.
A metà giugno il taicun dei social network alza il tiro: Facebook annuncia (in sordina) un nuovo servizio che consente di attribuire automaticamente un nome a tutte le foto "taggate" sui suoi profili. In sostanza sarà sufficiente fornire a Facebook una foto di una persona per ottenerne automaticamente il suo nome. Stiamo parlando di circa mezzo miliardo di utenti che possono essere "identificati" in Rete e registrati con tanto di dati personali. Tuttavia l'elemento ironico dell'annuncio risiede nella data di attivazione del servizio. Velatamente avviata a dicembre scorso negli Stati Uniti, è stata recentemente estesa a quasi tutti i paesi del pianeta (Italia inclusa con i suoi 22 milioni di utenti registrati). È stato lo stesso Zuckerberg ad annunciarlo, spiegando però che per rendere funzionale il servizio la persona taggata deve essere iscritta a Facebook. Naturalmente il social network statunitense non è il solo ad utilizzare la tecnologia del riconoscimento facciale (lo fanno da tempo anche Picasa di Google e iPhoto di Apple), ma è certamente il primo a farlo in automatico, cioè senza la richiesta di consenso da parte degli utenti. A questo punto, una domanda sorge spontanea: quali altre informazioni potrebbero essere associate alla foto? Se consideriamo che nel proprio profilo personale è possibile inserire qualsiasi tipo di informazione, non sarebbe così improbabile realizzare dei "fascicoli" su 500 milioni di utenti… E se poi consideriamo che attraverso un software di data mining è possibile ricercare in Rete qualsiasi informazione su chiunque, non è da ritenersi irrealizzabile la strutturazione di un sistema informativo "individuale" articolato su base planetaria. Fantascienza? Assolutamente no, è tecnicamente possibile…
Delle incredibili potenzialità della Rete, ne è convinto anche il Presidente Obama al punto tale da attivare uno stanziamento di oltre 50 milioni di dollari per finanziare un progetto del Pentagono noto con il nome di "Internet invisibile". In realtà il piano nasce da un proposito benevolo, riconducibile proprio ai recenti fatti della cosiddetta "Primavera Araba" (nuovo termine coniato per identificare le rivolte dei paesi mediorientali). In sostanza si tratta di una specie di valigetta, munita di personal computer, telefono satellitare, router, proxy server e firewall in grado di attivare una Rete di comunicazione "schermata" da qualsiasi tentativo di blocco o intercettazione che potrebbe essere effettuata da regimi autoritari. Lo stesso Segretario di Stato, Hillary Clintonin una dichiarazione rilasciata al New York Times ha affermato che "Sono sempre più numerosi coloro che nel mondo arabo utilizzano la Rete e le tecnologie per fare sentire la loro voce di protesta. Per questo vogliamo fare il possibile per aiutarli a comunicare tra loro e con il mondo intero". Se consideriamo la grande e prolungata crisi economica che sta attraversando l'economia statunitense, la decisione di Obama di finanziare un progetto come questo con una somma simile, potrebbe sembrare paradossale. In realtà è meno assurda di quanto si possa pensare. Barack Obama, da sempre convinto sostenitore dell'importanza e della strategicità delle tecnologie, ha intuito da tempo ciò che è ancora nebuloso per molti: la Rete rappresenterà sempre di più il veicolo migliore per l'esercizio del potere.

Per approfondimenti l’autore suggerisce.
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- “Il futuro dell’Information and Communication Technology. Tecnologie, timori, scenari della global network devolution”Autore: Antonio Teti - Editore: Springer Verlag, 2010

- “Social Network Analysis and Mining” Reference works, Journal n.13278 Autore:AA. VV. - Editore: Springer Verlag, 2010

- “From Sociology to Computing in Social Networks” Autore: Memon Nasrullah, Alhaji Reda - Editore: Springer Verlag, 2010

- “Politica 2.0. Blog, Facebook, Wikileaks: ripensare la sfera pubblica Autore: Antonio Tursi - Editore: Mimesis, 2011


(1) Wiki. Solitamente il termine viene utilizzato per indicare un portale web o una serie di pagine ipertestuali aggiornato da una o più persone. Generalmente si tratta di siti web collaborativi. Per questo motivo il termine viene utilizzato anche per indicare software collaborativi utili alla creazione e la gestione di portali web.
(2) Social software. Il termine identifica tutte quelle applicazioni software, fruibili in Rete, che consentono ai loro utilizzatori di incontrarsi, conoscersi, interagire e collaborare per scopi diversi, condividendo gli stessi strumenti di lavoro. Tipici esempi sono le videoconferenze, le chat, i forum, i blog, i wiki e tutte le applicazioni di comunicazione e interazione sociale.
(3) Twitter. È un servizio di social network e microblogging in grado di fornire agli utenti pagine personali aggiornabili direttamente sul web o anche con l'utilizzo di sms, programmi di messaggistica istantanea e e-mail. Creato nel 2006 dalla Obvious Corporation, soprattutto negli ultimi anni, ha ottenuto un successo mondiale. Similarmente ad altri social software, è possibile definire le modalità di visione agli utenti dei propri messaggi.
(4) Router. Tradotto dall'inglese con il termine di "instradatore", il router è un dispositivo di Rete che si occupa di instradare pacchetti di dati lavorando al livello di Rete (livello 3 del modello OSI). L'instradamento dei pacchetti informativi viene effettuato tra diverse sottoreti limitrofe grazie alle rispettive interfacce (ognuna con uno specifico indirizzo IP statico) oppure verso sottoreti non limitrofe attraverso delle tabelle di instradamento sulla Rete di trasporto.
(5) Vedi nota 4.
(6) DNS (Domain Name Server). Sono dei server (computer) connessi in Rete che consentono di "risolvere" i nomi dei nodi della Rete (host) in indirizzi IP (Internet Protocol) e viceversa. La sigla DNS identifica anche il termine Domain Name System (sistema dei nomi a dominio) che rappresenta il sistema utilizzato per la risoluzione dei nomi a dominio. Il nome DNS denota anche il protocollo che regola il funzionamento del servizio, i programmi che lo implementano e i server utilizzati per fornire il servizio.
(7) Bridge. Tradotto testualmente come "ponte", è un dispositivo attivo di Rete più complesso di un repeater o di un hub e collega più segmenti di Rete a livello fisico (Layer 1 del modello OSI). Il bridge è in grado di analizzare i pacchetti di dati in ingresso per verificare se è capace di inviare pacchetti dati ricevuti ad un altro segmento di Border Gateway Protocol (BGP).
(8) È un protocollo di Rete utilizzato per collegare tra loro diversi router che appartengono a sistemi autonomi e distinti. Pertanto può essere identificato come un protocollo di routing (di instradamento) su Internet. Per questo motivo sono identificati anche come router gateway. I BGP utilizzano delle tabelle di reti IP (Internet Protocol) che fornicono informazioni sulla raggiungibilità delle diverse reti tra più sistemi autonomi.
(9) Vedi nota 4.
(10) Bandwidth throttling (limitazione della larghezza di banda). È una tecnica che consente, sulle reti di comunicazione, di regolare il traffico di Rete e di ridurre la congestione della banda. Naturalmente è possibile anche adottare delle tecniche che consentono di ridurre il numero dei dati trasmessi o di bloccare completamente la trasmissione. È possibile altresì bloccare alcuni sevizi fruibili in Rete, il download o l'upload dei dati.

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