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GNOSIS 2/2011
INTERVENTO DEL DIRETTORE GENERALE DEL DIPARTIMENTO
DELLE INFORMAZIONI PER LA SICUREZZA

Giovanni DE GENNARO

Cultura della sicurezza e attuazione della Riforma






La costruzione del “Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica” delineato dalla riforma del 2007 ha coinciso con un momento di grande cambiamento negli scenari internazionali sui quali si proietta l’attività dell’intelligence.
Dopo la fine della Guerra Fredda, infatti, e con l’affermarsi di una competizione economica su scala planetaria, in tutti i Paesi sviluppati è aumentata la complessità delle interconnessioni tra politica di sicurezza nazionale e politica economica. Ciò ha determinato per l’intelligence la necessità di un approccio sempre più “globale”, in un fitto intreccio di interdipendenze tra attività interne ed esterne, offensive e difensive, pubbliche e private.
In questo mutato quadro esigenziale sono stati molti i Paesi in cui è maturata la convinzione di dover procedere talora ad un restyling, talaltra ad una profonda riorganizzazione dei Servizi di informazione.
In Italia, la legge n. 124 del 2007 ha introdotto rilevanti innovazioni:

1) le missioni istituzionali delle due Agenzie operative sono state ampliate in maniera significativa, tanto che il legislatore ha ritenuto doveroso specificare che le funzioni di difesa dell’indipendenza, dell’integrità e della sicurezza interna ed esterna della Repubblica si esplicano anche attraverso la “protezione degli interessi politici, militari, economici, scientifici e industriali”;

2) il ruolo del Comitato interministeriale (CISR) che coadiuva il Presidente del Consiglio dei ministri nel governo del settore è stato mutato con l’attribuzione di funzioni non più soltanto di “consulenza” e “proposta”, bensì anche di “deliberazione” sugli indirizzi e sulle finalità generali della politica dell’informazione per la sicurezza;

3) é stato istituito il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (DIS) al quale spetta il coordinamento dell’attività di informazione per la sicurezza svolta dalle due Agenzie (AISE e AISI) che non dipendono più, rispettivamente, dal Ministro della Difesa e dal Ministro dell’Interno bensì, entrambe, dal Presidente del Consiglio. Il DIS svolge, talora in maniera autonoma, talaltra per conto dell’Autorità di governo, un ruolo di controllo e di garanzia che di fatto, pur senza interferire nella loro autonomia operativa, lo pone in una posizione sovraordinata alle Agenzie. In tal senso non può non leggersi l’attribuzione delle funzioni di ispezione e di inchiesta, di gestione degli archivi, di pianificazione delle risorse umane e finanziarie, di responsabilità nella formazione;

4) poteri del Comitato parlamentare di controllo (COPASIR), la cui presidenza spetta ora obbligatoriamente ad un esponente dell’opposizione, sono stati ampliati;

5) sono state introdotte garanzie funzionali a tutela dei dipendenti dei Servizi di informazione, legittimati oggi a porre in essere condotte previste dalla legge come reato, ma indispensabili al raggiungimento delle finalità istituzionali;

6) é stata modificata la disciplina del segreto di Stato;

7) sono state dettate misure per la tutela amministrativa delle informazioni riservate.

Si tratta, com’è evidente, non solo di nuove strutture, ma anche e soprattutto di nuovi istituti e di nuove funzioni, che richiedono una discussione pubblica e una trattazione scientifica che in Italia sono ancora carenti e stentano a decollare.
Di fronte alla delicatezza di questi temi, il legislatore sembra aver avvertito la necessità di ricorrere a una misura di accompagnamento, prevedendo, come condizione di fondo per un reale successo della riforma stessa, una specifica attività di diffusione di una condivisa “cultura della sicurezza”, che è anche una leva di primaria importanza per alimentare un nuovo modo di concepire il rapporto tra l’Istituzione ed il Cittadino.
In quest’ottica, promuovere e diffondere la cultura della sicurezza significa, quindi, creare le condizioni necessarie per una generale condivisione della nuova normativa, caratterizzata da grande impatto organizzativo.
Si tratta in realtà di mettere a fuoco alcune nozioni fondamentali, sulle quali incardinare la riflessione attorno alle finalità e alle caratteristiche delle attività di ricerca delle informazioni per la sicurezza nell’era della globalizzazione, arricchite nell’ultimo periodo dalle inedite prospettive della cosiddetta intelligence economica e dalla minaccia cibernetica.
A ciò si aggiunge l’esigenza di sciogliere alcuni nodi che la legge ha lasciato irrisolti.
Sono entrambi passaggi ineludibili per permettere alla riforma di dispiegare tutte le sue potenzialità e, di conseguenza, ai Servizi di informazione di operare con l’efficacia richiesta dai nuovi assetti del mondo globalizzato.
Proverò ora a passare in rapida rassegna le principali questioni aperte su entrambi i versanti.


Sicurezza nazionale e interesse nazionale

Per porre mano alla costruzione di una nuova cultura della sicurezza è necessario operare, innanzitutto, incisive revisioni semantiche e concettuali che consentano, in primo luogo, di ridurre l’eccessiva sovrapposizione tra la nozione di ordine e sicurezza pubblica e quella di sicurezza nazionale.
Nozioni innegabilmente correlate, eppure nettamente distinte, alle quali corrispondono due diverse “missioni” per le amministrazioni pubbliche chiamate a realizzarle.
Nel primo caso si tratta di garantire la pacifica convivenza dei cittadini e il loro diritto ad essere “liberi dalla paura”, nel secondo di assicurare la sopravvivenza stessa della Repubblica e, quindi, la sua integrità territoriale, l’autonomia delle istituzioni democratiche sulle quali è fondata, la libertà di perseguire gli interessi basilari per la collettività nazionale.
Mettere bene a fuoco due missioni ugualmente importanti e pure così diverse, consentirebbe non solamente di fare molti passi avanti sul piano dell’organizzazione e del funzionamento degli Apparati della sicurezza, ma anche di chiarire meglio al grande pubblico l’esatta distribuzione dei compiti tra Forze di polizia e Servizi di informazione.
Ancor più difficile, sembra di poter dire, è la definizione di interesse nazionale, sulla quale la discussione merita di essere ripresa ed ampliata, anche alla luce delle nuove indicazioni legislative che hanno affidato ai Servizi lo svolgimento di attività informative a protezione non solamente degli interessi “politici e militari” del nostro Paese ma anche di quelli“ economici, scientifici e industriali”.
Questa interpretazione evolutiva della nozione di sicurezza nazionale pone con forza il tema dell’attività che i Servizi di informazione sono chiamati a svolgere per proteggere la sicurezza e la competitività delle imprese di rilevanza strategica e dell’intero sistema-Paese.


La raccolta delle informazioni
per la sicurezza tra pubblico e privato


La tutela del sistema economico e industriale è sicuramente uno dei campi più delicati dal punto di vista della legittimità dell’agire dei Servizi di informazione tanto in chiave “difensiva”, nei confronti di aggressioni o intrusioni di varia natura a danno delle imprese, quanto in chiave “offensiva”, in termini di informazione preventiva a sostegno della competitività delle imprese stesse sui vari scenari internazionali.
Il tema, pur nella sua delicatezza, non sembra porre comunque dubbi sul ruolo strategico dei Servizi di informazione come strumento a disposizione del Governo per l’assunzione di decisioni fondamentali in tema di tutela delle capacità competitive del Paese.
La legge, tuttavia, pur individuando come rilevante la minaccia agli interessi economici, scientifici e industriali, non precisa le caratteristiche che consentono di definirne la pregnanza in termini di interesse nazionale.
Alla luce delle disposizioni vigenti, sembra di poter dire che la condizione di base per la legittimità di un intervento dei Servizi di informazione e sicurezza si debba ricercare nella rilevanza strategica per il sistema-Paese dell’impresa da difendere.
In altri termini, la legge sembrerebbe sottrarre ai Servizi di informazione qualunque attività in favore di interessi privati in quanto tali; infatti, se è vero che può essere interesse della Repubblica il fatto che operatori economici nazionali siano competitori tutelati nel mercato internazionale, è altrettanto vero che unicamente questo interesse pubblico “diretto” può essere perseguito, mentre il vantaggio del privato deve essere trattato solo come un effetto indiretto e a condizione che esso sia stato preventivamente qualificato come di interesse pubblico da parte del decisore politico.
Le domande che si pongono sono dunque molte e mi limito qui a formularne alcune: quando un’impresa può definirsi di interesse nazionale? A chi spetta il compito e la responsabilità di individuare le aziende da proteggere sul territorio nazionale? Quali sono i limiti dell’attività di intelligence a sostegno delle imprese impegnate nella competizione sui mercati internazionali? Quali sono i limiti da rispettare per non alterare le regole della concorrenza?
Quali che siano le risposte, un dato di fatto appare in ogni caso fuori discussione: oggi, l’apporto dell’intelligence è una risorsa alla quale difficilmente rinunciano gli Stati con cui ci confrontiamo nella competizione globale.
Si tratta dunque di regolare l’interazione pubblico-privato in questo campo, e di riuscire a farlo secondo schemi rigorosi, che consentano di coniugare legalità e trasparenza delle procedure con riservatezza, tempestività ed efficacia dell’agire.
Resta comunque il fatto che l’interazione pubblico-privato, risulta assolutamente irrinunciabile di fronte a quella che, ogni giorno di più, si profila come la minaccia per eccellenza: la minaccia cibernetica.


La prevenzione e la difesa dalla minaccia cibernetica

L’opinione pubblica italiana – ed anche settori importanti della nostra classe dirigente – sembra che non abbiano ancora una realistica percezione dell’impatto potenziale della minaccia cibernetica sul sistema Paese e sulla sicurezza nazionale.
Quando molti mesi fa, nel corso di un’audizione di fronte al COPASIR, definii un attacco informatico su scala globale molto più pericoloso di un attacco nucleare, temetti di aver esagerato. Nei giorni scorsi, Leon Panetta, direttore della CIA, nel corso di un’audizione di fronte al Senato americano, ha affermato che un serio attacco informatico fa impallidire l’attacco di Pearl Harbour.
Il tratto saliente di questa minaccia è la sua trasversalità, che la rende ugualmente incombente tanto sul settore pubblico che su quello privato. L’interazione, e l’integrazione, “pubblico-privato” diventano allora le condizioni indispensabili per un’efficace organizzazione di difesa.
Occorre pertanto definire, anche alla luce delle esperienze già maturate da Paesi amici, una strategia nella quale siano chiari il “perimetro” della sicurezza cibernetica italiana, i ruoli e i poteri dei soggetti responsabili della sicurezza informatica nazionale, il ruolo ed il contributo dei soggetti privati coinvolti.
A tal fine la relazione del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica sulle possibili implicazioni e minacce per la sicurezza nazionale derivanti dallo spazio cibernetico è un significativo punto di partenza per una riflessione che dia corso ad interventi del Governo, che appaiono urgenti e ormai non più procrastinabili.


Cultura della sicurezza e completamento della riforma

Alla luce dell’esperienza fin qui maturata, ritengo che solamente l’affermarsi di visioni largamente condivise sui temi ora richiamati consentirà di tracciare nitide coordinate concettuali e valoriali, alle quali i nostri Servizi di informazione possano riferirsi con serenità nell’operare per la salvaguardia della sicurezza nazionale di fronte alle asprezze competitive con le quali dobbiamo misurarci sugli scenari internazionali.
Il perimetro da difendere è ampio, i rischi per la salus rei publicae sono molteplici e troppo alto potrebbe rivelarsi il prezzo da pagare per sottovalutazioni, mancate scelte o decisioni tardive.
Da queste consapevolezze occorre muovere per indirizzare nella giusta prospettiva i passi che ancora mancano per completare l’attuazione della riforma; e ciò significa, in primo luogo, sciogliere i nodi irrisolti, alcuni dei quali passerò ora velocemente in rassegna.


L’organizzazione di governo del
“Sistema delle informazioni per la sicurezza della Repubblica”


L’organizzazione di governo del “Sistema delle informazioni per la sicurezza della Repubblica” è uno dei temi su cui conviene concentrare l’attenzione in maniera particolare, a partire dal ruolo del Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica e dai poteri di coordinamento e controllo del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza.
Il CISR è configurato dalla riforma come un importante punto di raccordo del Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica.
Le norme che disciplinano l’attività e i poteri del Comitato lasciano intravedere significative potenzialità, sulle quali una riflessione sarebbe assai interessante ed utile, al fine di individuare gli strumenti organizzativi e procedurali più idonei a favorirne una attività deliberativa sempre più consapevole ed efficace.
Il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza è l’organo del quale si avvale il Presidente del Consiglio dei ministri al fine di assicurare piena unitarietà al Sistema di informazione per la sicurezza.
L’unitarietà del sistema è una delle chiavi di volta della riforma, perché è il canone organizzativo grazie al quale è possibile finalizzare con la massima efficacia i contributi che provengono dalle sue singole componenti.
Occorre perciò porre molta cura nella messa a punto e nell’affinamento della gamma di strumenti che la legge ha preordinato per il raggiungimento dell’obiettivo e, se occorre, pensarne di nuovi.
A questo proposito, un’utile riflessione potrebbe essere sviluppata in merito all’opportunità, sia dal punto di vista funzionale, che del contenimento della spesa, di istituire, così come peraltro praticato tanto negli Stati Uniti, quanto nel Regno Unito, un nuovo organismo di intelligence che svolga in chiave unitaria e a favore di tutto il sistema le delicate attività di intelligence delle comunicazioni, di immagini e di segnale, che oggi rappresentano un pilastro fondamentale della raccolta delle informazioni per la sicurezza.
Uguale attenzione ritengo debba essere rivolta a quanto non appare coerente con l’unitarietà di funzionamento del Sistema.
Un esempio concreto ci è fornito dalla circostanza che il legislatore ha riconosciuto funzioni di raccolta informativa alle Forze armate, pur non comprendendole nel Sistema di informazioni per la sicurezza della Repubblica, al quale quelle funzioni sono attribuite, secondo la stessa legge, in via esclusiva. La contraddizione potrebbe essere risolta o escludendo qualunque attività di tal genere per le Forze armate – e ciò potrebbe rappresentare un vulnus per la sicurezza dei nostri contingenti che operano nelle missioni internazionali – ovvero trasformando le attuali strutture che operano presso lo Stato Maggiore della Difesa in un vero e proprio organismo di intelligence militare dipendente dal Ministro della Difesa, con compiti esclusivi di tutela dei nostri militari dislocati “in teatro”, ma ben raccordato con il sistema informativo generale.
Tra le conseguenze positive di tale soluzione vi sarebbe la sottoposizione al controllo di un unico organismo parlamentare, il COPASIR, di tutte le attività informative, ivi comprese quelle militari, oltre naturalmente a una maggiore armonia del sistema complessivo.


Le prospettive del controllo parlamentare
sui Servizi di informazione per la sicurezza


Il potenziamento del controllo parlamentare sui Servizi di informazione per la sicurezza è uno degli elementi fondanti della riforma: rispetto al modello della vecchia legge n. 801 del 1977, il sistema configurato dalla riforma sembra aprire consistenti prospettive di espansione per il controllo di natura politica sui Servizi di informazione per la sicurezza.
Questa tendenza avvicinerebbe l’esperienza italiana a quelle di altri importanti Paesi occidentali, sulle quali conviene riflettere. In quegli ordinamenti, l’esistenza di un controllo politico penetrante ed efficace – e nel contempo idoneo a mantenere gli irrinunciabili livelli di riservatezza – sortisce due importanti effetti: da un lato viene avvertito come un elemento di garanzia, anche da parte degli stessi appartenenti agli organismi informativi, dall’altro si pone come un potente fattore di legittimazione dell’intero comparto di fronte all’opinione pubblica.
Su di un piano più generale, poiché le attività dei Servizi di informazione sono sostanzialmente proiettate nella dimensione della politica, finalizzate, come sono, alla salvaguardia della stessa sopravvivenza della Repubblica e della collettività nazionale, non si può allora fare a meno di riflettere con grande attenzione sull’ipotesi di un ulteriore, deciso spostamento dell’asse del controllo nella più alta sede politica – il Parlamento – che assumerebbe un ruolo prioritario rispetto al controllo, comunque necessario, dell’Autorità giudiziaria.
Proprio con riferimento al controllo parlamentare sulle scelte governative in materia di segretazione, occorre ricordare innanzitutto che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 106 del 2010, ha escluso qualsiasi valutazione sull’esercizio in concreto del potere governativo e si è limitata a un sindacato estrinseco di legittimità sull’opposizione del segreto, secondo un approccio meno invasivo rispetto a quello praticato per altri tipi di conflitto di attribuzioni.
Rimane per ora insondato quale potrebbe essere l’atteggiamento della Corte Costituzionale se il conflitto venisse sollevato dal Comitato parlamentare di controllo. Le opinioni sul punto appaiono divise e, secondo una di queste, il segreto di Stato non potrebbe essere opposto al COPASIR laddove il suo venir meno totale o parziale risultasse essenziale per consentire al Parlamento di valutare le ragioni fornite dal Presidente del Consiglio dei Ministri e la loro idoneità a mettere il Parlamento in grado di formulare il proprio giudizio politico sull’operato dello stesso Presidente del Consiglio.
In questo caso, secondo il medesimo punto di vista, la Corte potrebbe chiedere che il segreto di Stato, o quella parte necessaria di esso, venga rimosso per consentire un sindacato parlamentare di carattere “interno” ai limiti del segreto. Il tema è cruciale e, per ora, assai poco trattato.


Segreto di Stato e vincoli derivanti da accordi internazionali

La complessa tematica del segreto di Stato presenta un altro aspetto di particolare criticità, legato ad una insufficiente chiarezza della formulazione normativa: il rapporto tra segreto di Stato e vincoli derivanti da accordi internazionali.
Lo scambio di informazioni fra i vari Paesi è oggi assai intenso, poiché un servizio nazionale non è in grado di raccogliere da solo tutte le informazioni utili, soprattutto in tempi come quelli attuali, caratterizzati dalla multiformità della minaccia e dalla scarsezza di risorse umane e finanziarie.
Così, la partnership tra Servizi diventa ogni giorno più importante e – in una situazione nella quale uno dei nemici da battere è, ad esempio, un terrorismo che opera su scala globale - non è esagerato affermare che grazie al progredire della cooperazione internazionale in questo campo si sia oggi creata una sorta di rete mondiale di protezione.
Naturalmente, gli scambi di informazioni riservate per la sicurezza devono rispettare le norme che in ciascun Paese regolano la segretezza dei dati sensibili. Qualche Paese è più severo, altri lo sono meno, variano i periodi di durata del segreto, ma se si vuole collaborare sul piano internazionale, occorre accettare le condizioni dei partners.
La tutela del segreto nello scambio di informazioni è chiaramente richiamata nella legge di riforma ed è la “regola base” del sistema di cooperazione tra Servizi; è, quindi, di fondamentale importanza che le informazioni sensibili per la difesa degli interessi nazionali e della vita delle persone siano salvaguardate da tutti i Servizi in ogni circostanza.
Nello stesso tempo, la condivisione delle informazioni coperte da segreto in base ad accordi internazionali – bilaterali o multinazionali – pone delicati problemi giuridici, che coinvolgono vari aspetti, dalla gerarchia delle fonti fino alla qualificazione delle “intese” tra Servizi – la cui violazione porterebbe all’ostracismo informativo – come atti idonei a costituire un obbligo internazionale valido.
Nella legge n. 124 del 2007 è presente una formulazione in base alla quale è coperto dal segreto di Stato ciò che può arrecare danno all’incolumità della Repubblica anche in relazione agli accordi internazionali. Ovviamente, il punto cruciale è costituito dalla nozione di accordo internazionale e dalla riconducibilità a questa categoria degli accordi interservizi. La riflessione giuridica su questo tema sembra essere ancora agli inizi.


Considerazioni conclusive

La ricognizione che ho fin qui svolto si muove naturalmente nella logica di un ulteriore affinamento del quadro normativo che presiede all’attuale configurazione del sistema informativo nazionale senza volerne mettere assolutamente in discussione l’impianto generale che, allo stato, dimostra la propria validità di base, tanto da aver suscitato un interesse emulativo anche da parte dei nostri interlocutori internazionali che sono a loro volta, alle prese con l’esigenza di una rivisitazione dei propri apparati d’intelligence.
Prima di concludere, può perciò essere utile un rapidissimo punto di situazione per fare stato del percorso fin qui seguito nell’attuazione della riforma.
Sono stati emanati tutti i regolamenti di attuazione e addirittura in un caso, quello del regolamento sul personale, si è già provveduto a fare un primo “tagliando” attraverso la revisione di alcune norme che, alla prova dei fatti, avevano denotato una necessità di perfezionamento.
Sono stati avviati tutti gli uffici di nuova istituzione, quali l’ufficio ispettivo, l’ufficio centrale degli archivi, la scuola di formazione, il reparto per la controingerenza dell’AISI. È stata definita la competenza territoriale tra le Agenzie ed in tale ottica sono state chiuse tutte le articolazioni dell’AISE sul territorio nazionale.
La ricerca delle best practices è quella che ora impegna maggiormente gli uffici, anche se il percorso è facilitato da una piena e convinta collaborazione dei vertici del sistema e dei loro diretti collaboratori.
Le considerazioni, quindi, che ho in precedenza svolto tendono unicamente a fornire spunti propositivi su cui riflettere. Altri avrei potuto aggiungerne e, tra i tanti, cito la problematica del controllo delle comunicazioni nell’attività di controspionaggio, lo studio di strumenti di garanzia per il personale che non espongano al disvelamento degli “interna corporis” in sede di giustizia amministrativa, l’adeguamento, in termini di efficacia degli strumenti a disposizione degli ispettori per l’espletamento delle inchieste interne.
Sono tutte tematiche di interesse e l’auspicio che formulo è quello di trovare sedi autorevoli di riflessione, perché il percorso attuativo della legge possa trovare piena realizzazione e perché possano essere anche prese in considerazione, sulla scorta dell’esperienza fino ad oggi maturata, tutte le possibilità di apportare eventuali miglioramenti anche alla normativa primaria, ove se ne condivida l’utilità.
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