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GNOSIS 2/2011
Il FORUM



La 'Rete'
strumento di partecipazione, mobilitazione e lotta

a cura di Emanuela C. DEL RE





21° Forum Economico - Krynica Zdròj ( Polonia) 7 - 9 settembre 2011
(Foto da http://sites.etleboro.com/)
I recenti cambiamenti a seguito delle rivolte pongono interrogativi sui futuri sviluppi. Il quadro si presenta complesso perché nonostante le radicali trasformazioni avvenute in Egitto e Tunisia, restano aperte molte questioni interne ai paesi, come la corruzione e il clima sociale, nonché la necessità di assicurare i diritti civili. Gli sviluppi in altre zone dell'area come la Siria, ma anche il Libano, e il conflitto in atto in Libia sono questioni in rapida evoluzione, dagli esiti ancora incerti.
Molte cose sono cambiate anche dal punto di vista dell'approccio alle questioni interne. In questo il Marocco costituisce un esempio interessantissimo perché sta mettendo in atto una vera e propria strategia di prevenzione dei conflitti attraverso delle proposte legislative e politiche.

Foto da Ansa e da http://ultimachiamata.it/wp-content/
 

Nel suo storico discorso tenuto il 9 marzo 2011, il re Mohammed VI ha presentato l'iniziativa per l'autonomia del Sahara Occidentale - efficace mezzo di prevenzione - e ha enfatizzato la regionalizzazione, sottolineandone l'importanza per la decentralizzazione del potere e per la democratizzazione nonché per i benefici economici per le popolazioni. Dal punto di vista delle tensioni, il Marocco ha scelto interventi blandi per contenere le proteste e tollera la dissidenza sulla Rete, reagendo solo nel caso in cui si attacchi la Costituzione. Questo approccio del Marocco ha raccolto il plauso di molti, nonostante alcune perplessità legate all'effettiva messa in atto dei buoni propositi. È chiaro però che costituisce un esempio confortante di capacità di gestione in una situazione in cui lo status-quo ha costi politici, economici e umani altissimi, senza contare il fatto che lo stato di stagnazione del negoziato non favorisce la stabilizzazione e di conseguenza rende fragili gli orizzonti di sviluppo post-rivoluzionario della regione.
La stabilizzazione è necessaria perché vi sono questioni come il terrorismo di AQIM (Al Qaeda in Islamic Maghreb) le cui attività sono ormai estese al Sahel, che impediscono lo sviluppo turistico per via del tasso di criminalità e dei rapimenti di stranieri a scopo di riscatto per finanziare attività terroristiche. Ancora, vi sono conflitti "congelati" ai confini (il confine tra Algeria e Marocco è chiuso dal 1994) che hanno impedito un‘integrazione regionale funzionale ad esempio (molto prima delle rivoluzioni), anche se sarebbe previsto il lancio quest'anno della Maghreb Free Trade Area, approvata nel 2010. La questione della mancanza di integrazione regionale era già stata denunciata dall'FMI nel 2009, che sottolineava che questo era uno dei motivi che esasperava la crisi finanziaria e sociale nei paesi che poi hanno visto esplodere le rivoluzioni. L'integrazione regionale trova ostacoli nei conflitti politici tra gli Stati e all'interno degli Stati perché, se il risultato dei recenti eventi dovesse essere un’ulteriore frammentazione, e una concentrazione sugli affari interni, si andrebbe verso lo stallo nei progetti regionali.
In tutto questo, un elemento sembra però costituire una sorta di fil rouge, una continuità, non solo all'interno e tra i paesi del Maghreb, ma anche con i paesi del Medio Oriente e con l'Occidente: il ruolo dei media tradizionali e dei media cosiddetti social e new nel formare l'opinione pubblica e foraggiare i movimenti per la democrazia e la partecipazione civile. Blog dissidenti, canali satellitari pan-arabi, micro-blogging, giornalismo partecipativo, hanno mutato per sempre aspetti del concetto di potere. I regimi hanno perso il controllo totale del flusso di informazioni, in questo modo perdendo progressivamente potere, mentre la popolazione ha acquisito, a sua volta, il potere di gestire e diffondere le informazioni. Si è dunque creato un braccio di ferro - impensabile prima - tra i regimi e la popolazione che ha potuto muoversi in un "non-luogo" ampio, accessibile e libero, su più livelli di comunicazione - interpersonale e di massa - sconvolgendo l'assetto sociale, dando voce anche alle fasce emarginate. I tentativi di censura sono falliti perché la Rete offre molte alternative e un tale numero di soluzioni tecnologiche che permettono di aggirare ogni oscuramento. Tutto questo ha forte impatto anche sulle politiche internazionali.
Forte accento viene messo ora sulla necessità di concentrare gli interventi da parte, ad esempio, dell'Unione Europea sull'empowerment e sulla protezione della sicurezza umana, ovvero adottando un concetto di sicurezza più inclusivo della persona, non concentrato soltanto sulla sicurezza in senso economico e militare. I recenti avvenimenti insegnano che, forse, bisogna rivedere le gerarchie delle categorie negli interventi (fino ad ora concentrate, come ad esempio nei Balcani, fortemente sulle infrastrutture, sullo sviluppo e, infine, sullo sviluppo sociale pensando che quest'ultimo fosse la naturale conseguenza dei primi due) e concentrare gli interventi in una strategia fondata sulla coesione sociale, lo sviluppo umano, i diritti umani anche come preoccupazione principale per la sicurezza. Una cosa, forse, sottovalutata che invece la rivoluzione della Rete ha reso evidente, è che nelle società Maghrebine moderne, specialmente per i più giovani, la dignità umana è una priorità.
I giovani che hanno raggiunto la maggiore età nell'ultimo decennio - caratterizzato da un enorme progresso nelle tecnologie della comunicazione - sono cresciuti diffidando di mezzi, istituzioni e organizzazioni tradizionali, e dei mezzi di comunicazione convenzionali. Quindi, si tratta di popolazioni fortemente consapevoli e capaci della gestione autonoma della sfera sociale e politica, nonché economica, che costituiscono un enorme potenziale umano per tutti. Il problema è come aiutare la crescita di questi giovani consapevoli.
Un'altra questione riguarda il possibile ruolo rivoluzionario della Rete in altri paesi con regimi autoritari. Sono sufficienti gli stessi ingredienti (grandi numeri di persone online, raggiungibili con i cellulari quando non sono davanti al computer, o in caso di oscuramento della Rete) perché si arrivi allo stesso risultato? L'entusiasmo per facebook è presente in tutto il mondo in via di sviluppo, in cui i tassi di utilizzo dei social media sono altissimi. A differenza di altre rivoluzioni nella comunicazione, che vedevano la diffusione prima nei paesi sviluppati e poi in quelli più poveri, la diffusione dei social e new media si allarga contemporaneamente ovunque. Forse la discriminazione resta quella legata alle classi sociali, piuttosto, e al genere. Regioni una volta completamente emarginate acquistano una visibilità e diritto di parola e condividono pensieri e usi, facendoli propri.
Alcune espressioni artistiche derivate dalle rivoluzioni sono indicative, in questo senso: già prima delle rivoluzioni in Egitto e Tunisia vi era una generazione di rappers che parlava con franchezza di questioni politiche. Durante le rivolte, sono stati messi in piedi degli studi di registrazione casalinghi in cui sono stati girati video subito caricati su YouTube, diventando fonte di ispirazione anche per i quartieri degradati.
Nonostante il gran successo e l'ormai imprescindibilità dei new e social media dalla vita quotidiana degli individui a qualsiasi latitudine, vi sono delle criticità. Hanno valenza doppia, uguale e contraria. New e social media possono, allo stesso tempo, incitare alla violenza o consolidare ideologie distruttive (i video diffusi da Bin Laden, ad esempio) e allo stesso tempo costituire catalizzatori e promotori della non-violenza, contribuendo a costruire una governance.
I regimi non hanno ancora imparato a gestire le richieste che provengono dalla Rete, rispondendo ad esse quando sono ancora in formato elettronico. I social e new media possono costituire una forma di comunicazione tra il "potere" e la popolazione. Il Qatar è un esempio interessante: ha creato il Consiglio Supremo della Tecnologia dell'Informazione e della Comunicazione (ICTQatar), che ha lo scopo di mettere in Rete governo e popolazione.
Nonostante l'enorme attenzione verso i social e new media, non si possono dimenticare le televisioni. Al-Jazeera e altre televisioni pan-arabe sono state fondamentali. Si può pensare a reti televisive pan-Maghrebine? D'altra parte Al-Jazeera sta sostituendo la storica BBC World nei Balcani, e costituirà di certo un elemento di rafforzamento delle identità nazionali e, speriamo, anche un elemento unificante nella regione.



Di seguito gli interventi di Amara LAKHOUS, scrittore e giornalista algerino. Karim MEZRAN, Professore di Middle East Studies presso il Bologna Center della Johns Hopkins University ed infine Marco HAMAM, collaboratore di Limes per i Paesi arabi.

Il Forum si completa con un'accurata ed approfondita analisi di Antonio TETI che, in qualità di esperto di ‘information and communication technology’, analizza potenzialità, gestione e controllo dell’enorme flusso informativo che dà vita proprio alla NetRevolution..



Amara LAKHOUS



…… la formazione delle coscienze … ha origine grazie al lavoro
dei reporter che trasmettevano, anche prima dello sviluppo della Rete
notizie impensabili per i cittadini.
Internet ha la sua importanza, invece, perché mette in contatto
le persone e permette di diffondere informazioni
di piccoli gruppi, di associazioni, e quindi di organizzare …

Non è stata Internet a svolgere la funzione di informazione più importante nei paesi arabi, bensì le televisioni satellitari. Con le trasmissioni di Al Jazeera, ad esempio, la gente ha potuto disporre di una fonte esterna ed indipendente anche per i fatti che riguardavano il proprio paese. La formazione delle coscienze, quindi, ha origine grazie al lavoro dei reporter che trasmettevano, anche prima dello sviluppo della Rete, notizie impensabili per i cittadini. Internet ha la sua importanza, invece, perché mette in contatto le persone e permette di diffondere informazioni di piccoli gruppi, di associazioni e, quindi, di organizzare. In Tunisia si sono visti dei cartelli con scritto "merci Facebook!" e, addirittura, dopo la caduta di Mubarak, un egiziano ha chiamato la figlia, nata in quei giorni, Facebook.
Difficile ritenere attendibili le statistiche sui numeri degli utenti Internet, soprattutto per quanto riguarda le utenze, perché in Algeria, ad esempio, gli Internet point costano pochissimo: si paga cinquanta dinari per un'ora - che corrisponde a circa trenta centesimi - e, quindi, la gente li frequenta molto anche per leggere i giornali. Invece di acquistare cinque giornali, attraverso internet ognuno legge quelli che vuole e in tempo reale, e si possono leggere non solo giornali algerini ma anche i giornali arabi in generale.
Internet in realtà è un mezzo di scambio di informazione, non può creare una coscienza politica se non vi è materia. Non crea una coscienza ma può farla circolare, per cui se ci sono organizzazioni sui diritti umani che si interessano della condizione delle donne, della tortura, che combattono contro la corruzione, allora producono informazioni e le fanno circolare nella Rete.
Alcune settimane fa su Facebook mi è arrivata una lettera da un cittadino dell'est dell'Algeria che mi ha detto che avrebbero fatto una manifestazione contro il governatore della città, e ha elencato tutte le rivendicazioni, documentate, e ognuno poteva vedere cosa aveva fatto l'uomo oggetto delle proteste. È importante nella Rete il fatto che si possono vedere le adesioni ad una iniziativa, così ognuno può diventare "trasmettitore" delle informazioni. Il fatto che ci si possa nascondere dietro uno pseudonimo è altrettanto importante, per evitare ripercussioni.

… oggi la censura sulla circolazione delle notizie
è molto ridotta: con facebook, twitter ecc.
avere la presunzione di controllare la circolazione
delle notizie non è più possibile, ma è già successo
con le televisioni satellitari ……

Anche l'opinione pubblica internazionale è stata importante, perché si sono potuti leggere i rapporti di Amnesty International, ad esempio, ma anche perché la Rete ha permesso una maggiore possibilità delle opinioni pubbliche occidentali di esprimersi in merito ai rapporti dei loro Paesi con i regimi influenzando i decisori.
Oggi la censura sulla circolazione delle notizie è molto ridotta: con facebook, twitter ecc. avere la presunzione di controllare la circolazione delle notizie non è più possibile, ma è già successo con le televisioni satellitari. La gente oggi ha la possibilità di comunicare, sfuggendo i controlli e tutelandosi dove prima non era possibile. La censura parziale non è possibile e, come si è visto, quella totale - spegnere la Rete - non ha fatto altro che aumentare le proteste all'interno dei paesi ed anche dalla comunità internazionale.
Più che di una sorpresa, le rivoluzioni del Maghreb hanno rivelato l'assurdità dell'atteggiamento di prepotenza dei potenti, del loro sentirsi intoccabili, del non prendere in considerazione l'opinione pubblica. Mubarak era al comando dal 1981 e stava preparando il passaggio del potere al figlio. Ben Alì, invece, che ha un figlio maschio di soli sette anni, stava preparando il passaggio in favore della moglie. Tutto questo stava avvenendo in due repubbliche. L'opinione della gente per questi leader non aveva alcuna importanza, ma la diffusione di Internet invece si, perché questo dato viene utilizzato anche come indice di sviluppo dalle organizzazioni che compilano gli indici, e quindi i regimi la tolleravano. La Tunisia era vista come paese molto sviluppato anche grazie alla diffusione capillare di Internet, e questo fatto era positivo anche per il regime, sebbene in seguito ne abbia decretato la rovina.

… il web si è sostituito ai partiti politici,
che non sono più i mediatori tra la società
civile e la società politica …

Nei paesi del Maghreb, il web si è sostituito ai partiti politici, che non erano più i mediatori tra la società civile e la società politica, e avevano perso tanta credibilità. Una parte degli oppositori, infatti, erano stati costretti all'esilio, perdendo così il contatto con la base; una parte è invece rimasta nel paese ed è stata "addomesticata"; è stato detto loro: "o fai il nostro gioco o ti cancelliamo", e molti sono finiti in carcere. Per questo i partiti di opposizione non avevano più uno scopo.
Oggi c'è una nuova forma di protesta che non è organizzata come una volta, ed usa questi mezzi di comunicazione, ma ad un certo punto deve necessariamente concludere qualcosa per non disgregarsi. L'ho potuto constatare in Egitto, dove si volevano ottenere immediatamente dei risultati concreti, e alcune richieste, come il processo a Mubarak che fino ad allora era impensabile, sono state accolte.

… la democrazia è una violenza verbale
che permette di evitare la violenza fisica …

Una considerazione estremamente importante da fare è sulla non violenza grazie ad internet. La Rete ha creato dei contenitori che servono alla democrazia, che ha bisogno di libertà di espressioni. Se uno non trova un canale per sfogare la sua rabbia, quella rabbia diventa qualcosa di negativo e può diventare violenza, violenza fisica. Un intellettuale arabo, Monsef Marzouki, che è noto come oppositore di Ben Ali e concorrerà alle elezioni presidenziali in Tunisia, ha scritto un libro dal titolo "La seconda indipendenza", dove sostiene che se i paesi arabi hanno raggiunto l'indipendenza liberandosi dal colonialismo, adesso è giunta l'ora di una seconda indipendenza, liberandosi dalle dittature. Egli interpreta la democrazia come uno sforzo verbale, una violenza verbale, che consente di evitare la violenza fisica. Internet, secondo le parole di Marzouki, permette di trovare soddisfazione attraverso l'organizzazione del dissenso pacifico.
Questa soddisfazione avviene attraverso una piattaforma di rivendicazioni pacifiche e non politiche, si tratta di diritti civili. Sia in Tunisia che in Egitto non abbiamo visto slogan contro Israele o gli Stati Uniti, e ciò dimostra che questa è una svolta straordinaria perché ha tolto a questi regimi il pRetesto per militarizzare il dissenso con la scusa della lotta al terrorismo o ai radicalismi. Infatti, un'altra considerazione da fare partendo dal caso Algeria è l'uso dei fondamentalisti come spaventapasseri. Questo nei paesi arabi è diventato una costante, ed è venuto fuori nei più recenti discorsi di Mubarak, ben Alì e Gheddafi. Quest'ultimo, ad esempio, ha accusato bin Laden in persona invece di ammettere i propri errori e le gravi mancanze, come la corruzione.

… se la notizia si può manipolare facilmente, l'immagine no …

Naturalmente è sempre possibile manipolare le informazioni, ma internet moltiplica la possibilità di trasmetterle. La manipolazione dell'informazione si poteva fare quando c'era uno spazio limitato e i canali di informazione potevano essere controllati. E se la notizia si può manipolare facilmente, l'immagine no. La fotografia di Osama bin Laden contraffatta, esibita dopo l'intervento americano nella sua casa, non ha retto all'esame del pubblico della Rete che per poche ore. Inoltre, le notizie ufficiali - per esempio quelle diffuse dai governi nel Maghreb sul numero di partecipanti alle manifestazioni per sminuirne l'importanza - possono venire facilmente smentite dai filmati e dalle fotografie fatte con i telefonini e trasmesse su youtube, per cui la Rete rende quasi impossibile la censura e la manipolazione.


Karim MEZRAN



... i blog e i social network si sono trasformati
in una vera e propria fonte d'informazione
per i "media classici" …

Uno degli aspetti più interessanti che emerge dalla così detta ‘primavera araba’ è senza dubbio il ruolo assunto dal web e dalla televisione satellitare - in primis dai canali Al Jazeera e Al Arabiya - nei giorni precedenti le rivolte e durante le stesse. È importante notare come la Rete e in particolar modo i blog e i social network si siano trasformati in una vera e propria fonte d'informazione per i "media classici" che hanno avuto un ruolo fondamentale nel raccontare e definire il susseguirsi degli eventi. Resta il fatto che la veridicità dell'informazione "della strada" è difficilmente verificabile e la disinformazione che ne deriva può essere potenzialmente utilizzata per secondi fini. Tracciare le differenze che emergono nell'uso e nel ruolo dei mezzi di comunicazione tra il caso tunisino e egiziano, da un lato, e quello libico, dall'altro, servirà proprio a mettere in luce questo aspetto la cui rilevanza è lampante nel mondo delle e-comunicazioni nel quale viviamo.
La dissidenza per via elettronica e le aspirazioni politiche dei popoli arabi si sono sviluppati in un arco di tempo compreso tra sei e dieci anni. La Tunisia è un caso nazionale che rispecchia, con le dovute differenze e peculiarità, la realtà regionale dei paesi nord africani e medio orientali. Un filo rosso lega infatti il primo ‘e-martire’ arabo, il tunisino Zouhair Yahyaoui - blogger e attivista dei diritti umani, rappresentante della borghesia tunisina, morto nel 2005 per le condizioni degradanti e le torture subìte in prigione - a Mohammed Bouazizi - venditore ambulante abusivo morto nel gennaio del 2011 dopo essersi dato fuoco nella cittadina di Sidi Bouzid per le umiliazioni subìte da un poliziotto (cfr. Paola Caridi, "Le e-rivoluzioni e le nuove regole della politica araba", in L'Africa mediterranea: storia e futuro a cura di Karim Mezran, Silvia Colombo e Saskia van Genugten. Roma, Donzelli Editore, 2011).
La morte di Yahyaoui e quella di Bouazizi mostrano non solo come la dissidenza tunisina si sia rapidamente allargata dalle città alle zone rurali del paese ma anche come la protesta si sia trasformata da fenomeno di nicchia a una ribellione popolare che ha raggiunto i ceti bassi e medio-bassi della popolazione. Nel giro di poche settimane le manifestazioni di piazza hanno costretto Zine el Abidine Ben Ali, al potere dal 1987, ad allontanarsi dalla Tunisia.
In questo processo, la Rete è stata il mezzo attraverso il quale è stato possibile veicolare il messaggio delle proteste in modo chiaro, semplice e diretto, oltre che capillare. I canali satellitari hanno poi avuto un ruolo di primo piano nel raccontare e trasmettere al mondo la rivolta tunisina. Se infatti le ragioni delle dimostrazioni sono profondamente radicate nel tessuto socio economico dei paesi in rivolta, è anche vero che non possiamo negare l'effetto domino che c'è stato e che ha spinto le popolazioni di Egitto, Bahrein, Yemen, Kuwait, Algeria, Marocco, Giordania, Siria, Libano, Palestina e Libia a scendere in piazza. In particolare, in Egitto le proteste hanno avuto come centro politico e mediatico piazza Tahrir al Cairo dove migliaia di giovani si sono riuniti per chiedere la fine del regime trentennale di Hosni Mubarak. Anche qui, l'uso di Facebook e Twitter è stato fondamentale per coordinare le dimostrazioni e chiamare a raccolta i giovani egiziani. Il ruolo di canali satellitari quali Al Jazeera e Al Arabiya è stato fondamentale nel propagare le immagini e gli slogan delle rivolte.


… la vera rivoluzione alla quale assistiamo oggi
è la comparsa nelle piazze arabe di una nuova generazione
cresciuta con questi strumenti telematici…

Tuttavia, la vera forza dei social network non è stata solo quella di riuscire a organizzare le manifestazioni e trasmettere il messaggio delle rivolte al resto del mondo. La vera rivoluzione alla quale assistiamo oggi è la comparsa nelle piazze arabe di una nuova generazione cresciuta con questi strumenti telematici che sono stati utilizzati per veicolare messaggi e raggiungere dei nuovi obiettivi politici. Questo è il risultato di una nuova cultura politica sviluppatasi nei blog al riparo dalla censura e dai controlli dei regimi dittatoriali che fino a pochi mesi fa governavano questi paesi. Mentre la maggior parte degli analisti e esperti internazionali si concentrava sullo studio della politica tradizionale - il ruolo dei Fratelli Musulmani e dei partiti politici ma anche l'evoluzione dei regimi dittatoriali - la funzione pedagogica dei nuovi media veniva largamente sottovalutata.
Oggi il ruolo della Rete nel catalizzare il malcontento delle popolazioni dinanzi alle autocrazie medio orientali è innegabile. I media hanno dato voce alle richieste della gente e a quelle domande alle quali le dittature, basate su sistemi di corruzione e clientelismo, sembravano non voler rispondere.
Paola Caridi - giornalista e blogger che da anni segue le vicende mediorientali e nordafricane con il suo invisiblearabs.com - ha analizzato in modo esemplare la storia del web arabo e le tappe del processo di evoluzione della dissidenza tunisina e egiziana. In una prima fase, agli inizi del Ventunesimo secolo, solo la media e alta borghesia delle metropoli aveva accesso ai pochi forum e chat disponibili. I giovani appartenenti a queste classi, studiando in istituzioni internazionali o vivendo all'estero, sviluppavano però le capacità necessarie per imparare ad ottimizzare l'uso della Rete non solo come users ma anche come ingegneri informatici o software developers, figure queste che si sono dimostrate utilissime nel momento delle rivolte.
In una seconda fase, tra il 2004 e il 2005, è scoppiato il fenomeno dei blog che ha trasformato la Rete in un forum facilmente accessibile aperto ai più svariati dibattiti politici e non. I giovani hanno così creato le basi della comunità culturale del web prima ancora che della comunità politica. La forza di questo gruppo, vero e proprio zoccolo duro delle rivolte, sta anche nella loro capacità di materializzarsi nei caffè, nelle piazze, nei parchi o negli internet caffè, coniugando quindi internet con le strade arabe e discutendo di temi quali la transizione alla democrazia o i diritti umani.
La terza e ultima fase è quella delle rivolte in cui il così detto citizen's journalism ha avuto un ruolo fondamentale insieme ad Al Jazeera che ha fatto di questo stesso giornalismo di strada la sua primaria fonte di informazione. Al Jazeera, ma anche Al Arabiya, è stata determinante nel raccontare la protesta e le repressioni subite dai manifestanti al mondo provocando la reazione delle piazze arabe e una sorta di effetto domino nella regione. Se Mubarak e Ben Ali erano stati sconfitti, perché lo stesso non poteva accadere anche per Gheddafi in Libia, Assad in Siria, Saleh in Yemen o per i principi Sauditi in Bahrein?
L'attenzione di tutto il mondo ha poi lentamente legittimato la protesta. Le rivolte di Facebook e Twitter hanno avuto come protagonista una classe di persone, fino ad allora escluse dalla politica, che sono emerse dalla Rete con slogan inneggianti alla democrazia e non ad Allah o al radicalismo islamico.


Marco HAMAM



… la grande blogosfera egiziana,
tra cui l'importante blog di Wa'il 'Abbas, al-wa'i al-misri
(La consapevolezza egiziana), è stata certamente
fonte di ispirazione e strumento di espressione
nella lotta contro il regime …

Le recenti inaspettate sommosse nel Vicino Oriente e in Nordafrica sono state accomunate tutte da un dato: la scintilla è scattata sulla Rete. Queste rivolte hanno messo in luce potenzialità e limiti del ruolo geopolitico di internet e, soprattutto, dei prodotti della nuova generazione web 2.0.: i social network. Se Nasser è stato avvelenato e Sadat ucciso nel noto incidente della pedana, Mubarak è stato vittima di Facebook. È, tuttavia, illusorio ritenere che sia stato solo il social network a scatenare e a guidare la rivoluzione. Le rivoluzioni non nascono per caso, perlomeno non del tutto. In Egitto le proteste non sono, infatti, iniziate il 25 gennaio 2011 ma risalgono perlomeno al 2004. L'8 agosto di quell'anno, infatti, trecento tra intellettuali e volti noti egiziani firmarono un documento che chiedeva, senza tanti fronzoli, una sola cosa: cambiamento. È così che nasce un movimento extraparlamentare chiamato Kifaya: al-Haraka al-misriyya min agl al-tagyir (Basta: il movimento egiziano per il cambimento) che aveva due slogan fondamentali: 1. la li-l-tamdid (no a un altro mandato): i membri di Kifaya pretendevano dall'ex presidente egiziano, Hosni Mubarak di non ricandidarsi per l'ennesimo mandato plebiscitario; 2. la li-l-tawrit (no a una repubblica ereditaria): con questo slogan si pretendevano rassicurazioni da parte dell'allora presidente di non passare i poteri al figlio Gamal Mubarak come era successo nel 2000 in Siria. Implicito in quei due no e in quel basta c'era tutto il rifiuto della tirannia, della corruzione, della disgregazione, del sottosviluppo, dell'ipocrisia, della perdita di memoria, del pessimismo, delle parole senza i fatti, come si legge nel manifesto di Kifaya. Quel giovane movimento "giallo" (dal colore prescelto per il proprio logo adesivo) della società civile, il 13 dicembre 2004, davanti alla Corte Suprema, urlò "No al potere ereditario, no alla riconferma di Mubarak", "No a Mubarak, al suo partito e a suo figlio". Era la prima volta che in Egitto era possibile dire no all'unico insormontabile tabù egiziano: il presidente e la sua famiglia.
Nonostante Kifaya fosse stata capace di smuovere le acque stagnanti della politica egiziana rompendo il più grande tabù nazionale - manifestare in piazza apertamente contro il Presidente - il movimento è sempre rimasto limitato a una stretta cerchia di intellettuali e attivisti politici. D'altronde un popolo escluso ed alienato dalla vita politica per decenni, doveva riprendere il proprio ruolo poco per volta. Kifaya non era né un partito di opposizione, né una ONG, né un sindacato ma a tutti questi si ispirava. Era un movimento a-ideologico, perché inglobava dentro di sé molte ideologie e orientamenti politico-sociali spesso in netto contrasto tra loro ma tutti accomunati dall'opposizione al regime. Per i socialisti e i comunisti, Kifaya era la grande opportunità di dimostrare che avevano un seguito in Egitto e per rispolverare vecchi desideri di lotta. Per i nasseriani, Kifaya era la loro creatura, allattata con il loro organo di partito. Per i liberali, Kifaya era una boccata d'aria rispetto al partito Wafd monopolizzato dai grandi imprenditori filostatunitensi. Per gli islamisti e i Fratelli musulmani, Kifaya ha rappresentato un'entità nuova nella quale poter infondere l'etica islamica. Al-ihwan al-muslimun, in particolare, vedevano il movimento come un'altra piattaforma dove mostrare la loro supremazia.
Kifaya è stata la sola fabbrica di talenti politici del paese che rifiutavano di far parte di un sistema politico di opposizione geriatrico (tutti i leader superano i settant'anni) e gerarchico. Inoltre, Kifaya è restata per molti anni un movimento di élite. A partecipare costantemente alle attività del partito (manifestazioni, sit-in, dimostrazioni, congressi) è stata una minoranza composta soprattutto da intellettuali, politici indipendenti, giornalisti, scrittori, sindacalisti, studenti universitari. Poche centinaia di persone, circondate da migliaia di poliziotti in assetto antisommossa: uno scenario, questo, che si è ripetuto centinaia di volte. Kifaya si è limitata a protestare contro Mubarak non riuscendo a offrire una visione alternativa e soprattutto a trascinare la massa degli egiziani che restava a guardare le manifestazioni davanti alla tv o alla finestra o dall'altro lato della strada per paura di contrastare apertamente il regime. Tuttavia, l'importanza di Kifaya sta proprio nel fatto di aver permesso un'orizzontalità della politica dove tutti hanno la possibilità di esprimersi senza la catena di filtri che imponevano i vari gradi della scala gerarchica. Questa orizzontalità si è espressa pienamente attraverso la tecnologia e in particolare con sms, siti web e mailing-list. E i blog. La grande blogosfera egiziana, tra cui l'importante blog di Wa'il 'Abbas, al-wa'i al-misri (La consapevolezza egiziana), è stata certamente fonte di ispirazione e strumento di espressione nella lotta contro il regime.
I blog hanno permesso, per esempio, la prima diffusione dei video scandalo della polizia egiziana. Il fikr gadid (nuovo pensiero) del Pnd, lanciato nelle prime elezioni presidenziali nel 2005, che si basava anche su un nuovo tipo di propaganda elettorale (adesivi, t-shirt, grandi manifesti con grafica accattivante, siti Internet e uso di sms), ha permesso anche nuovi giornali di opposizione che hanno anch'essi offerto un sostegno alle istanze anti-Mubarak. I social network non erano ancora nati.

… Facegooyout rappresenta l'ultima
tipologia di spazio mediatico arabo …

Il trinomio rivoluzionario da considerare è soprattutto Facegooyout (Facebook-Google-Youtube), ovvero il termine che unisce i siti più influenti del web 2.0.. Twitter, infatti, nel momento della rivoluzione era solo 19° nella lista stilata da Alexa dei siti più visitati in Egitto (oggi è al 23° posto). Il suo ruolo è stato marginale dentro il Paese e certamente secondario a quello svolto da Facebook.
Infatti è servito perlopiù per comunicare con i mass media stranieri nei giorni in cui internet non funzionava in Egitto. Facegooyout rappresenta l'ultima tipologia di spazio mediatico arabo. Dopo l'invenzione delle tv satellitari, questi tre siti forniscono strumenti che amplificano enormemente l'effetto orizzontalità ottenuto dalla somma Kifaya+nuove tecnologie. Nasce un mezzo ancora più efficace, rapido e massiccio di mobilitazione, più pervasivo degli sms e soprattutto, non va dimenticato, gratuito. Gli sms, però, sono stati lo strumento prescelto dal regime per inviare comunicazioni di massa durante la rivoluzione.
Secondo Alexa (alexa.com), dal pre-rivoluzione a oggi, Facebook è il sito più visitato in assoluto in Egitto seguito da Google e Youtube, e il traffico in questo paese rappresenta per il social network di Palo Alto l'1,3% del totale (in Italia è il 3,4%). Youtube ha permesso a ogni persona di improvvisarsi giornalista o regista: video di protesta e testimonianza (le torture, i brogli elettorali e durante le manifestazioni reportages sulla e dalla piazza), video artistici (le vecchie e nuove canzoni patriottiche con la loro carica emotiva passano da qui, e così le nuove campagne di sensibilizzazione) o comici (tutta la verve comica egiziana è passata da qui). Facebook è stato il megacontenitore multimediale ovvero la piattaforma gratuita in cui le informazioni audiovisive di Youtube e dei video personali degli utenti, le informazioni visive delle foto digitali, quelle della stampa digitale, che rappresenta l'80% della notizie che circolano in Rete, e l'interazione tra amministratori e utenti dei gruppi hanno potuto incontrarsi in un solo luogo. In una società dove i media di Stato (stampa e televisione) sono ipercontrollati dal regime e dove i media privati sono censurati dai magnati di cui realizzano gli interessi, Facegooyout ha offerto un'alternativa unica agli egiziani. Su Youtube, dall'epoca Kifaya, sono stati caricati vari video fatti con il cellulare che testimoniano della tortura nelle carceri egiziani. Sebbene tutti conoscessero questa piaga sociale, trovarsi di fronte alle immagini reali per la prima volta ha lasciato sotto shock gli egiziani. Si è potuto raccontare tutta la realtà egiziana in modo più spontaneo e senza censure. La povertà, le discriminazioni, le elezioni truccate venivano raccontate e registrate con una rapidità alla quale i media tradizionali di opposizione non riuscivano a stare dietro.
Il regime si ritrovava scoperto davanti a una nuova realtà informatica che era difficile da controllare. Ma il nuovo pensiero di Mubarak aveva accettato di dare agli egiziani una valvola di sfogo. Eppure, nel momento critico, il regime ha dimostrato di essere ancora affezionato ai vecchi metodi e ai vecchi strumenti: televisione di Stato, messaggi televisivi, linguaggio d'altri tempi. E non sono mancate le solite contraddizioni: nonostante tutte le aperture, molti utenti di Internet sono stati torturati e persino uccisi.

… durante il black-out tecnologico imposto dal regime egiziano,
Google lanciava la possibilità di tweettare chiamando
alcuni numeri europei dal telefono fisso di casa.

Facebook ha funzionato in Egitto come infrastruttura organizzativa, come strumento di reclutamento di possibili militanti e come piattaforma nella quale i tunisini hanno passato i loro consigli e le loro tecniche agli egiziani. Una sorta di Giovine Italia digitale. E paradossalmente, il fatto stesso che Facebook, Google e Youtube contengano anche cose "inutili" e facciano circolare contenuti apolitici, crea grosse difficoltà ai governi che non riescono sempre a filtrare solo i contenuti scomodi. Per cui decidono di oscurare tutto il sito. Dalla notte del 27/28 gennaio all'alba del 2 febbraio, Internet e Al Jazeera vengono oscurati dal governo del Cairo che impone ai cinque Internet Service Provider nazionali (Telecom Egypt, Vodafone/Raya, Link Egypt, Etisalat Misr, NoorData Network) di disattivare i collegamenti con la Rete Internet (attraverso il blocco dei router) e le comunicazioni tra telefoni cellulari. Solo al network NoorData Networks, che si occupa dei collegamenti alla borsa valute, viene concesso di mantenere le connessioni attive. Il 28 gennaio vengono disattivate anche queste.
Il caso dell'Egitto, come afferma Antonio Teti, nel suo articolo , è atipico in quanto le funzioni di controllo e di gestione fisica della Rete sono affidate allo stesso governo egiziano. Inoltre, le reti di trasmissioni dati, da e verso internet, sono in numero limitato e tutte controllate da Telecom Egypt, la società di telecomunicazioni che possiede buona parte dell'infrastruttura in fibra ottica egiziana, e che è controllata dal governo... Né la Birmania nel 2007, né la Cina nel 2008, né l'Iran nel 2009 erano riusciti a fare questo per sei giorni di seguito. Era possibile, però, avere accesso ai siti governativi egiziani: un'occasione unica per vederli per la prima volta nella vita. Varie sono le soluzioni adottate. Durante il black-out tecnologico imposto dal regime egiziano, Google lanciava la possibilità di tweettare chiamando alcuni numeri europei dal telefono fisso di casa. Molti i messaggi arrivati da tutte le parti dell'Egitto. Lo stesso telefono di casa ha permesso ad alcuni di oltrepassare il blocco connettendosi, tramite il vecchio modem analogico (dial-up), ad alcuni pop dislocati in Europa.
È usando telefono fisso e internet, che molti egiziani all'estero hanno potuto riportare su Facebook notizie di prima mano dall'interno. Vale la pena di ricordare che molto del traffico ha eluso il blocco attraverso Tor (www.torproject.org), un software completamente gratuito che consente di accedere a una Rete di tunnel virtuali che possono proteggere i dati trasmessi fornito da una serie di aziende internazionali, strutture governative (tra cui lo US Naval Research Laboratory) e organizzazioni no-profit.
Malgrado aver offerto una scappatoia al blocco, Tor non è stato però in grado di oscurare i dati che sono stati registrati dai provider e, di conseguenza, trasmessi alle autorità competenti. In ogni caso, il blocco di internet non ha sortito l'effetto sperato e, al contrario, non ha fatto altro che richiamare nuove forze che si sono unite alla protesta contro il regime di Mubarak. Inoltre, il social network è servito da fonte di informazione alternativa allo strapotere della stampa cartacea/stampa televisiva.

… il trinomio Facegooyout se è stato certamente capace
di aggregare le menti della protesta e la restante parte
politicamente conscia dei protestatori per contestare il regime...

Facebook ha permesso ai giovani di mettere in discussione il "paternalismo statale", lanciando la scintilla intellettuale, organizzativa e informativa della rivoluzione. È evidente però che, anche se ora molti lo chiamano Tawrabook (dall'arabo Tawra, rivoluzione), non è Facebook ad aver "fatto" la rivoluzione. Malgrado il suo ruolo di "trascinatore", Facebook ha subito mostrato i suoi limiti che pare siano legati alla natura stessa della Rete. Il trinomio Facegooyout se è stato certamente capace di aggregare le menti della protesta e la restante parte politicamente conscia dei protestatori per contestare il regime, si è rivelato però particolarmente inefficace nella fase successiva di costruzione. Senza scomodare le numerose teorie di psicologia sociale secondo cui la protesta unisce molto di più gli individui su ciò che non si vuole piuttosto che su ciò che si vuole, è apparso evidente dalle notizie giunteci dall'Egitto negli ultimi mesi che i social network sono stati incapaci di coinvolgere le masse attorno a proposte costruttive o a programmi di elaborazione politica. L'Egitto è attualmente nel pieno della fase controrivoluzionaria tale da sembrare un paese senza un governo o ingovernabile in balìa degli eventi. La forza propulsiva di Facebook sembra si sia fortemente indebolita. Se questo scenario non si modificherà, si potrà affermare che Facebook resta solo un buon sfascia-regimi e si rivela incapace di fornire una piattaforma utile alla costruzione di nuove forme di democrazia o di ricostruzione politica e sociale.



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