GNOSIS
Rivista italiana
diintelligence
Agenzia Informazioni
e Sicurezza Interna
» ABBONAMENTI

» CONTATTI

» DIREZIONE

» AISI





» INDICE AUTORI

Italiano Tutte le lingue Cerca i titoli o i testi con
GNOSIS 2/2011
(Seconda parte)

Le sette sataniche
tra libertà religiosa e delitto di plagio


Stefano D'AURIA

( Torna alla prima parte )

L’art. 19 Cost. pone il limite del “buon costume” all’esercizio di un culto: «…, purché non si tratti di riti contrari al buon costume». L’operatività di tale divieto è, però, notevolmente circoscritta perché ridotta all’esclusivo ambito rituale e non ai principi ideologici del culto stesso. La nozione di “buon costume” – come stabilito dalla storica sentenza della Corte Costituzionale n. 9 del 19 febbraio 1965 – non può identificarsi con la pubblica moralità ma deve obbligatoriamente essere ricondotta alla morale sessuale (57). Per configurarsi un illecito occorre, quindi, che sia celebrato concretamente un rito contrario al “buon costume”; la semplice predicazione o propaganda di idee contrarie al principio de quo non porterebbe ad alcuna conseguenza sul piano legale(58). La Corte Costituzionale ha ritenuto – con la sentenza n. 188 dell’8 luglio 1975 (59) – che nell’ordinamento costituzionale italiano sussisterebbe un altro limite alla libertà religiosa, ulteriore rispetto a quello appena esaminato; quest’“argine” aggiuntivo opererebbe sul terreno della libertà di propaganda in materia religiosa e consisterebbe nel divieto delle manifestazioni di pensiero a carattere vilipendioso (60).
A norma del 1° comma dell’art. 8 della Costituzione (61), tutte le confessioni religiose sono ugualmente libere davanti alla Legge e possono organizzarsi secondo i propri statuti purché questi non contrastino con l’ordinamento italiano. Il legislatore costituente, pertanto, ha sancito la libertà – per una confessione religiosa – di «organizzarsi autonomamente, secondo un proprio statuto» e quindi di autodeterminarsi anche nei confronti dello Stato; questo potere di autodeterminazione incontra il limite dell’«ordinamento giuridico italiano» con il quale i suddetti statuti non devono porsi in contrasto. La parte maggioritaria della dottrina è concorde nel ritenere, più specificamente, che tale limite va individuato nell’”ordine pubblico” e nel “buon costume”, rientrando nella gamma dei poteri dell’esecutivo il compito di accertare che gli statuti siano conformi all’ordinamento giuridico italiano (62). Per “ordine pubblico” si intende quell’insieme di norme fondamentali dell’ordinamento giuridico riguardante i princìpi etici e politici la cui osservanza ed attuazione è ritenuta indispensabile per l’esistenza del suddetto ordinamento. Queste norme fondamentali – princìpi generali e fondamentali dell’ordinamento, e concrete norme giuridiche – riguardano le leggi costituzionali dello Stato, la posizione dei suoi organi supremi, la personalità e la libertà dei cittadini, l’ordinamento del matrimonio e della famiglia, la capacità delle persone fisiche e giuridiche, i rapporti tra le classi sociali (63). L’“ordine pubblico”, pur se non costituisce un limite nell’ambito della professione della propria fede (64), ha un valore determinante per quanto attiene la libertà di organizzazione di una confessione religiosa.
Procedendo con un’operazione di comparazione con le altre costituzioni, ci si accorge come quella italiana ponga dei limiti decisamente meno restrittivi rispetto alle altre(65). La Costituzione spagnola, quella bulgara, la polacca, l’albanese e quella greca fanno esplicito riferimento al limite dell’“ordine pubblico” e della “morale pubblica” relativamente ai vincoli previsti per l’esercizio dei riti religiosi. Per di più, la “Dichiarazione sull’intolleranza religiosa”, il “Patto internazionale sui diritti civili” e le Convenzioni europea, americana e africana sui diritti dell’uomo prevedono una riserva assoluta di legge in ordine alle limitazioni che possono essere applicate al libero esercizio del proprio culto o religione; limitazioni ammesse se necessarie a salvaguardare la sicurezza pubblica, l’ordine pubblico, la morale pubblica, la sanità pubblica e le libertà fondamentali dell’individuo (66).
L’assunto «Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge» (art. 8 comma 1 Cost.) non pone un principio di eguaglianza assoluta (67), limitandosi la Costituzione repubblicana ad affermare la loro eguaglianza alla sola libertà. Con il nuovo Concordato del febbraio 1984 la religione cattolica non è considerata la sola religione dello Stato italiano (68); quest’innovazione – di portata rivoluzionaria – costituisce la base per la “neutralità” dello Stato in materia religiosa (69). Lo Stato italiano, inoltre, garantisce un trattamento non dissimile a quello riservato alla Chiesa Cattolica – soprattutto sul piano del riconoscimento della libertà – anche ad altre confessioni religiose con le quali stipula “intese” ex art. 8 comma 3 Cost.; intese di tal genere sono state “firmate” con le chiese Valdesi e Metodiste, con le chiese Avventiste, con i c.d. Pentecostali, ecc.(70).
Per quanto concerne tutte le altre confessioni acattoliche non stipulatarie di intese, la principale fonte di regolamentazione – oltre ovviamente alla Costituzione – risulta essere, ancora oggi, la Legge 25 giugno 1929 n. 1159 (71) contenente “disposizioni sull’esercizio dei culti ammessi nello Stato e sul matrimonio celebrato davanti ai ministri dei medesimi culti”, unitamente ai RR.DD. 28 settembre 1929 n. 1763 e 28 febbraio 1930 n. 289 che contengono le norme di attuazione di detta Legge (72).
L’ordinamento giuridico italiano tutela il diritto di culto e dei culti in generale: far parte di una setta religiosa – anche di una a carattere satanico – non è di per sé ritenuto illecito e, di conseguenza, vietato. Né tanto meno lo è il fine di tali culti. È proibito, invece, che gli adepti di una qualunque setta – al fine di perseguire un determinato credo religioso – pongano in essere condotte che contrastino con norme dell’ordinamento, soprattutto con quelle penali (73).


Il plagio e il delitto di plagio

Il termine plagio deriva dal latino “plagium” – traducibile nella lingua italiana come “furto di persone” – e, nel diritto romano, indicava la vendita di un uomo che si sapeva essere libero come schiavo, ovvero la sottrazione tramite persuasione di uno schiavo altrui (74). Attualmente, per plagio si intende un condizionamento mentale e psicologico con conseguente deterioramento della personalità scaturita dal completo isolamento sociale del soggetto interessato, ponendosi il plagiante come unico interlocutore del plagiato.
Ogni individuo è vulnerabile al plagio, nessuno può considerarsi immune. Spesso, sono proprio le persone che si reputano più forti e intelligenti a cadere più facilmente nella trappola. La vulnerabilità al plagio è maggiore nei periodi di transizione e di cambiamento che si verificano nel corso della vita: ad esempio, quando si lascia la famiglia di provenienza per andare a vivere da soli; quando si cambia residenza o stile di vita; quando si è senza lavoro; allorché si è di fronte ad un improvvisa patologia, propria o di una persona cara; nel caso di interruzione di un rapporto sentimentale; nei momenti di solitudine, quando si è lontani da parenti e amici; nel corso dell’adolescenza o nei primi anni di invecchiamento; ecc.. Le situazioni più rischiose sono proprio quelle nelle quali si trova un soggetto che è alla ricerca di un proprio equilibrio: ad esempio, durante i corsi di yoga o training autogeno; nel corso di seminari sullo stress e sulle tecniche di autocontrollo; nelle organizzazioni religiose non tradizionali; ecc.. Sono queste le situazioni “ideali” nelle quali compaiono soggetti appartenenti ad una setta – i c.d. reclutatori – che si adoperano con particolare intraprendenza per cercare di fare proseliti trovando terreno più fertile (75).
Le principali tecniche di plagio sono:
- il “love bombing” (bomba d’amore): è probabilmente la tecnica più usata che da effetti maggiormente durevoli nel tempo. Il plagiato viene circondato di attenzioni e d’amore dagli appartenenti ad una setta; successivamente, due o tre adepti si dedicano esclusivamente a lui con l’obiettivo di eliminare ogni suo dubbio ed esitazione e rafforzando il suo desiderio di appartenenza al gruppo coinvolgendolo in giochi, canti o altre attività ricreative;
- la “ripetitività”: il soggetto è indotto – con il pretesto di favorire la meditazione – a ripetere ossessivamente le stesse parole, cantare le stesse strofe o svolgere di continuo una determinata attività. Tali condotte inducono artificialmente uno stato di forte suggestionabilità;
- l’“isolamento”: il soggetto viene allontanato dalla sua famiglia, gli si rende impossibile il contatto con persone esterne alla setta. Il plagiato è posto nella condizione di non poter valutare le informazioni che gli vengono fornite. L’unica realtà accessibile diviene quella del gruppo;
- la “privazione del sonno”: questa tecnica è spesso associata a quella della ripetitività. Viene presentata al soggetto come necessaria per non interrompere lo stato di concentrazione raggiunto. Con essa, il plagiato viene indebolito nel fisico e reso ancor più vulnerabile (76).
Una volta che il soggetto è adeguatamente “plagiato” ed indebolito, è pronto per essere “programmato” – al fine di entrare pienamente a far parte della setta – attraverso varie tappe: l’isolamento, l’indottrinamento e il mantenimento (77).
In diritto penale, il plagio era considerato un delitto – contemplato all’art. 603 del Codice penale italiano (codice Rocco) – che prevedeva la pena della reclusione da 5 a 15 anni per chiunque avesse sottoposto «una persona al proprio potere in modo da ridurla in totale stato di soggezione». È stato il legislatore fascista a introdurre, per la prima volta, il reato di plagio nell’ordinamento italiano come fattispecie distinta dal reato di “riduzione in schiavitù” (art. 600 Cod. pen.) (78). Sono state, quindi, elaborate in via interpretativa tre diverse concezioni di plagio, cronologicamente succedutesi nel seguente ordine:
- il plagio consiste nell’instaurazione di un dominio fisico-materiale – con corrispondente soggezione dello stesso tipo – sostanzialmente equivalente alla schiavitù;
- il reato di plagio consiste nell’instaurazione di un dominio psichico indotto mediante suggestione – cui corrisponde una soggezione del medesimo tipo – con conseguente eterodirezione della volontà e possibile determinazione di uno stato di incapacità di intendere e di volere;
- per plagio – e questa è la concezione più moderna – si intende un condizionamento psicologico con deterioramento della personalità a seguito della riduzione in totale isolamento dal “resto del mondo” del plagiato, ponendosi il plagiante come suo esclusivo interlocutore (79).
La giurisprudenza è andata orientandosi essenzialmente verso la seconda concezione e, di conseguenza, la Corte Costituzionale ha proceduto nel cancellare la relativa norma incriminatrice (art. 603 Cod. pen.) dall’ordinamento. Il problema è venuto alla ribalta una trentina di anni fa quando, a seguito di un’eccezione di incostituzionalità, la Corte Costituzionale – con la famosa sentenza n. 96 dell’8 giugno 1981 – ha cassato il reato di plagio dall’ordinamento giuridico penale perché in contrasto «con il principio di tassatività della fattispecie contenuto nella riserva assoluta di legge in materia penale, consacrato nell’articolo 25 della Costituzione (80)» (Sent. Cort. Cost. n. 96/1981). La Corte Costituzionale, pertanto, ha sancito l’indeterminatezza della formulazione della fattispecie criminosa del reato di plagio «adducendo essenzialmente l’inverificabilità del fatto contemplato dalla fattispecie, l’impossibilità comunque del suo accertamento con criteri logico-razionali, l’intollerabile rischio di arbìtri dell’organo giudicante»(81). La sentenza de quo, per di più, ha affermato che «fra individui psichicamente normali, l’esternazione da parte di un essere umano di idee e di convinzioni su altri esseri umani può provocare l’accettazione delle idee e delle convinzioni così esternate e dar luogo ad uno stato di soggezione psichica nel senso che questa accettazione costituisce un trasferimento su altri del prodotto di un’attività psichica dell’agente e pertanto una limitazione del determinismo del soggetto. Questa limitazione, come è stato scientificamente individuato ed accertato, può dar luogo a tipiche situazioni di dipendenza psichica che possono anche raggiungere, per periodi più o meno lunghi, gradi elevati come nel caso del rapporto amoroso, del rapporto fra il sacerdote e il credente, fra il maestro e l’allievo, fra il medico e il paziente ed anche dar luogo a rapporti di influenza reciproca. Ma è estremamente difficile se non impossibile individuare sul piano pratico e distinguere a fini di conseguenze giuridiche – con riguardo ad ipotesi come quella in esame – l’attività psichica di persuasione da quella anche psichica di suggestione. Non vi sono criteri sicuri per separare e qualificare l’una e l’altra attività e per accertare l’esatto confine fra esse» (Sent. Cort. Cost. n. 96/1981).
L’unico condannato della storia per il reato di plagio è stato Aldo Braibanti il quale, nei primi anni Sessanta, avrebbe indotto due giovani – Piercarlo Toscani e Giovanni Sanfratello, entrambi diciannovenni all’epoca dei fatti – ad intrattenere con lui una relazione omosessuale. Il Braibanti si sarebbe servito delle sue idee filosofiche e artistiche per affascinare – o sarebbe più indicato dire suggestionare – i due ragazzi. L’artista, arrestato nel dicembre 1967, è stato condannato il 14 luglio 1968 dalla Corte d’Assise di Roma a 9 anni di reclusione; il 28 novembre 1969, la Corte d’Appello di Roma ha ridotto la pena a 4 anni e, nel 1971, la Corte di Cassazione ha confermato la condanna. Nel frattempo Braibanti, beneficiando di uno sconto di pena per meriti resistenziali, è tornato in libertà nel dicembre del 1969 (82). Successivamente, anche Emilio Grasso – un sacerdote appartenente al Movimento carismatico – è stato accusato, da alcuni genitori, di aver plagiato i loro figli minorenni; è stato in tale occasione che il magistrato competente ha chiesto l’intervento della Corte costituzionale per valutare se la norma de quo era in contrasto con i principi della Costituzione. Dopo la pronuncia della Corte (Sent. n. 96/1981), il sacerdote è stato scagionato da ogni accusa (83).
A quasi trent’anni dall’abolizione del reato di plagio è tuttavia sempre più avvertita, nella comunità sociale, l’esigenza di una protezione della personalità individuale dell’uomo, della sua integrità psico-fisica: in sintesi, la necessità di una tutela dell’identità di essere pensante, unico e irripetibile dell’individuo. Ciò vuol dire, in primis, proteggere l’essere umano – nel momento di formazione e sviluppo della sua personalità – da ingerenze “ossessive”; ed, inoltre, tutelarlo dai vari comportamenti che ne possano compromettere la sua integrità, quella della sua psiche oltre alla sua funzionalità sociale. Peraltro, tutte queste esigenze – oltre a trovare implicito riconoscimento negli artt. 2 e 3 della Costituzione – costituiscono il presupposto di base perché possano essere effettivamente fruiti quei diritti di libertà e consapevolmente adempiuti i doveri di solidarietà che la Costituzione garantisce e impone (84).
A queste considerazioni, c’è chi ha obiettato che la singolarità dell’”io” costituisce una pura aspirazione ideale priva di un concreto riscontro nella realtà (85) e, sul punto, abbondano le polemiche a carattere filosofico e mistico. Ponendosi, comunque, al di là di sterili dispute – e pur condividendo una certa misteriosità della personalità umana –, va detto che è proprio l’esperienza a dimostrare che l’identità personale può essere infranta. Anzi è proprio di fronte al singolo episodio lesivo che emerge, anche nella sua dimensione concettuale, la “realtà” del valore costituito dalla personalità individuale (86). Negli ultimi lustri, in Italia, proprio sulla scia di tali idee sono stati depositati in Parlamento vari disegni di legge per reintrodurre il reato di plagio (87) ma tali progetti non hanno avuto seguito in quanto venivano contemporaneamente alla luce notevoli problematiche di rilievo penalistico: la fattispecie del delitto proposta non si presentava accertabile con criteri e metodi scientifici ed, inoltre, esponeva il cittadino a possibili rischi ed abusi.

Conclusioni

Le sette sataniche rappresentano un sottoinsieme delle sette globalmente intese le quali costituiscono un fenomeno, seppur non allarmante (88), comunque degno di considerazione in quanto alimentato da una sorta di misticismo post-moderno (89).
Anche il Consiglio d’Europa – pur prendendo atto delle difficoltà di pervenire ad una definizione di “setta” e di “religione” – si è occupato dell’argomento in due Risoluzioni nel 1992 e nel 1996 suggerendo di favorire una maggiore integrazione ma anche, alla luce dei vari e gravi crimini connessi, di non concedere automaticamente e con facilità lo status di confessione religiosa (90).
L’ordinamento italiano, riguardo la libertà religiosa, si presenta come evoluto e molto tollerante. Questo trend, anche se apprezzabile e notevolmente rispettoso dei diritti della persona, non costituisce, sempre, un solido “argine” allo sviluppo del fenomeno de quo (91). La configurazione del reato di plagio rappresenterebbe senza dubbio un valido strumento per tutelare l’integrità della persona e limitare la capacità delle sette di fare proselitismo (92). Difatti, con la nota sentenza n. 96/1981 della Corte Costituzionale, è venuto meno il reato di plagio (art. 603 Cod. pen.) ma non il plagio che resta una realtà nell’ambito dei rapporti interpersonali. Senza alcun rimpianto per la fattispecie abolita – che si presentava giuridicamente indeterminabile e fonte di possibili abusi in sede giudiziaria – occorre riconoscere che si è creato un vuoto di tutela della personalità nei riguardi delle dinamiche plagiarie (93), vuoto che andrebbe in qualche misura colmato, pur avendo consapevolezza che il compito del legislatore non si presenta di facile soluzione in quanto deve cercare di conciliare il principio di libertà religiosa con quello di tutela dell’integrità del cittadino: entrambi importantissimi e di rango costituzionale.



(57 )“… (la nozione di buon costume) non può essere fatta coincidere con la morale o la coscienza etica – vivendo la legge morale nella coscienza individuale, e non potendo quindi formare oggetto di un regolamento legislativo – ma risulta da un insieme di precetti che impongono un determinato comportamento nella vita sociale di relazione, l’inosservanza dei quali comporta in particolare la violazione del pudore sessuale” (da sentenza Cort. Cost. 9 febbraio 1965 n. 9).
(58) Tale scelta, adottata dall’Assemblea costituente, è stata dettata dalla paura che il legislatore ordinario ed anche l’autorità amministrativa avrebbero potuto commettere degli arbìtri – come il sindacare a loro piacimento sulla religiosità di un particolare gruppo di culto – derivanti da un possibile applicazione del limite del “buon costume” anche ai principi professati da una confessione religiosa. Sul punto si consulti: Barresi F., “Sette religiose criminali. Dal satanismo criminale ai culti distruttivi”, EdUP, Roma, 2000, pp. 147-149.
(59) «Posto che il sentimento religioso, quale nasce nell’intimo della coscienza individuale e si estende anche a gruppi più o meno numerosi di persone legate tra loro dal vincolo della professione di una fede comune, è da considerare tra i beni costituzionalmente rilevanti, come risulta coordinando gli artt. 2, 8 e 19 Cost., ed è indirettamente confermato anche dal 1° comma, dell’art. 3 e dell’art. 20, il vilipendio di una religione può legittimamente limitare l’ambito di operatività di quella libertà, sempre che, beninteso, la figura della condotta vilipendiosa sia circoscritta entro i giusti confini, segnati, per un verso, dallo stesso significato etimologico della parola (che vuol dire “tenere a vile”, e quindi additare al pubblico disprezzo o dileggio), e per altro verso, dalla esigenza di rendere compatibile la tutela penale accordata al bene protetto dalla norma in questione con la più ampia libertà di manifestazione del proprio pensiero in materia religiosa, con specifico riferimento alla quale non a caso l’art. 19, anticipa, in termini quanto mai espliciti, il più generale principio dell’art. 21 Cost.»; «Il vilipendio di una religione non si confonde né con la discussione su temi religiosi, così a livello scientifico come a livello divulgativo, né con la critica e la confutazione pur se vivacemente polemica; né con l’espressione di radicale dissenso da ogni concezione richiamatesi a valori religiosi trascendenti, in nome i ideologie immanentistiche o positivistiche od altre che siano. Costituiscono, invece, vilipendio di una religione e pertanto esclusi dalla garanzia dell’art. 21 Cost. (e dall’art. 19 Cost.), la contumelia, lo scherno, l’offesa, per dir così, fine a sé stessa, che costituisce ad un tempo ingiuria al credente (e perciò lesione della sua personalità) e oltraggio ai valori etici di cui si sostanzia ed alimenta il fenomeno religioso, oggettivamente riguardato» (da sentenza Cort. Cost. 8 luglio 1975 n. 188).
(60) Gallo S., “Compendio di Diritto Ecclesiastico”, V Edizione (a cura di), Edizioni Simone, Napoli, 2006, p. 7.
(61) Art. 8 della Costituzione italiana: “Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano. I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze”. L’art. 8 Cost. rappresenta la principale fonte di regolamentazione delle confessioni religiose diverse dalla cattolica.
(62) Gallo S., “Compendio di Diritto Ecclesiastico”, V Edizione (a cura di), Edizioni Simone, Napoli, 2006, p. 87.
(63) In considerazione della loro importanza, le norme di ordine pubblico sono inderogabili. Nel diritto civile, l’“ordine pubblico” è un concetto mobile che consente una continua evoluzione del diritto vigente permettendo l’adattamento alle esigenze giuridiche che ispirano la società. Esso può essere inteso anche come garanzia di pace, di tranquillità e sicurezza collettiva; in questo senso assume un valore di ordine sociale in quanto con esso si difende lo svolgimento dei rapporti della vita sociale.
(64) Intesa soprattutto in senso liturgico.
(65) Storicamente, le principali svolte verso una maggiore tolleranza nei confronti delle confessioni religiose minoritarie - e di una loro conseguente tutela - risalgono alla Rivoluzione americana e all’Illuminismo. La prima ha sancito il principio dello Stato pluriconfessionale introducendo un regime di maggiore democrazia religiosa; il secondo, invece, ha esteso il principio della libertà religiosa anche ad altre confessioni. Nell’ordinamento italiano, viene superata la tutela della libertà religiosa del singolo per arrivare a quella della collettività
(66) Botta R., “Manuale di diritto ecclesiastico”, Giappichelli, Torino, 1998.
(67) Come, per esempio, avviene per i cittadini all’art. 3 Cost.: «tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge senza distinzione …».
(68) Nel punto 1 del Protocollo addizionale al nuovo Concordato – stipulato tra lo Stato italiano e la Santa Sede il 18 febbraio 1984 – è riportato esplicitamente: «Si considera non più in vigore il principio originariamente richiamato dai Patti Lateranensi della religione cattolica come sola religione dello Stato italiano». Quest’affermazione sancisce ufficialmente la scomparsa dall’ordinamento giuridico italiano del “principio del confessionismo statale” che, in maniera più o meno larvata, aveva informato il diritto ecclesiastico post-unitario anche dopo la promulgazione della Costituzione (1948).
(69) Da allora, la Corte Costituzionale – con una serie di Pronunce – ha fatto venir meno la condizione di disparità tra la religione cattolica e le altre confessioni religiose. Da ultimo, con sentenza del 20 novembre 2000 n. 508, la Corte Cost. ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 402 del Codice Penale cancellando così il reato di “Vilipendio contro la religione dello Stato”. Il nuovo Concordato ha rappresentato senz’altro un passo in avanti verso la cosiddetta “laicità dello Stato”.
(70) Le intese, così come il Concordato, rispondono al principio generale per cui la legislazione statale – in materia ecclesiastica – deve essere preventivamente concordata e non unilaterale (c.d. “principio pattizio”). La prima delle intese che lo Stato italiano ha stipulato è stata quella con le chiese appartenenti alla Tavola Valdese (1984). Altre intese sono state raggiunte: con l’Unione italiana delle Chiese cristiane avventiste del 7° giorno (1986), con i c.d. Pentecostali (1986), con l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (1987), con l’Unione Cristiana Evangelica Battista (1993), con la chiesa Evangelica Luterana (1993), con l’Unione Buddista italiana (2000), con la Congregazione dei Testimoni di Geova (2000). Una volta raggiunta l’intesa, ne consegue per lo Stato l’obbligo di emanare una legge conforme all’intesa raggiunta. Le intese ex art. 8 comma 3 Cost. sono considerate “Convenzioni di diritto pubblico interno”. I fondamentali principi cui si ispirano le stesse, caratterizzanti il “regime giuridico delle confessioni religiose” stipulatarie sono: possibilità di svolgere assistenza spirituale ai militari, ai degenti in istituti ospedalieri, ai ricoverati in case di cura o di riposo, ai ristretti in istituti di prevenzione e pena; migliori garanzie per l’esonero dall’insegnamento religioso cattolico nella scuola pubblica; riconoscimento degli effetti civili ai matrimoni celebrati secondo le norme delle confessioni religiose stipulatarie; riconoscimento della personalità giuridica degli enti ecclesiastici appartenenti a dette confessioni, autonomia di gestione degli enti; ecc.. Sul punto si consulti: Gallo S., “Compendio di Diritto Ecclesiastico”, V Edizione (a cura di), Edizioni Simone, Napoli, 2006, pp. 88-90.
(71) La Corte Costituzionale ha introdotto, con varie pronunce, dagli anni Cinquanta, diverse modifiche finalizzate ad apportare alla L. 1159/1929 gli opportuni adattamenti resi necessari dall’emanazione della Costituzione.
(72) Gallo S., “Compendio di Diritto Ecclesiastico”, V Edizione (a cura di), Edizioni Simone, Napoli, 2006, pp. 87-89.
(73) I culti satanici – qualora non sfocino nella commissione di reati – godono di quelle garanzie e di quelle libertà che l’ordinamento italiano accorda alle varie confessioni religiose, quantomeno a quelle che non hanno raggiunto intese con lo Stato italiano.
(74) Treccani Enciclopedia in http://www.treccani.it. Secondo altre fonti, la parola plagio deriva dal latino “plaga” (zona, riva del mare) e si riferisce ai furti di donne e bambini effettuati dai pirati nell’epoca medievale e rinascimentale (Bruno F., “Dipendenza, conformazione, autonomia. Uomini bomba o cittadini del mondo?”, AIASU, Roma, 2005, p. 132). L’avvocato e studioso americano di storia del diritto penale Albert Borowitz – in un articolo pubblicato sulla rivista di scienze giuridiche “American Bar Association Journal” nel 1971 – ha proposto l’espressione psychological kidnapping (letteralmente “rapimento psicologico o sequestro psicologico”) per tradurre in inglese il termine italiano “plagio”.
(75) Bruno F., “Dipendenza, conformazione, autonomia. Uomini bomba o cittadini del mondo?”, AIASU, Roma, 2005, pp. 132-133.
(76) Per perseguire lo stesso fine viene usata un’alimentazione non adeguata.
(77) Questo processo è noto anche come “riforma del pensiero”. Sulle tecniche di plagio e sulla “riforma del pensiero” si consulti: Bruno F., “Dipendenza, conformazione, autonomia. Uomini bomba o cittadini del mondo?”, AIASU, Roma, 2005, pp. 133-134.
(78) Il legislatore ha agito in contrasto con le opinioni della Commissione parlamentare incaricata della stesura del codice, oltre che delle Commissioni reali degli avvocati e procuratori di Napoli e Roma e della Corte di Appello di Napoli.
(79) Flora G., “Plagio: la problematica penalistica. Il Plagio tra realtà e negazione” in Di Fiorino M., “La persuasione socialmente accettata, il plagio e il lavaggio del cervello”, I, Centro Studi di Psichiatria & Territorio, Lucca, 1991.
(80) Art. 25 della Costituzione italiana: «Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge. Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso. Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge».
(81) Flora G., “Plagio: la problematica penalistica. Il Plagio tra realtà e negazione” in Di Fiorino M., “La persuasione socialmente accettata, il plagio e il lavaggio del cervello”, I, Centro Studi di Psichiatria & Territorio, Lucca, 1991.
(82) Il caso Braibanti – negli anni della rivoluzione sessuale – ha suscitato un clamore non comune, ed un interesse da parte degli intellettuali e degli uomini politici dell’epoca: Pasolini, Eco, Moravia, Morante, Pannella, ecc..
(83) Introvigne M., “Perché diciamo di no alla proposta di legge italiana sulla manipolazione mentale”, in Il Foglio, 19 marzo 2004.
(84) Flora G., “Plagio: la problematica penalistica. Il Plagio tra realtà e negazione” in Di Fiorino M., “La persuasione socialmente accettata, il plagio e il lavaggio del cervello”, I, Centro Studi di Psichiatria & Territorio, Lucca, 1991.
(85) In merito, le obiezioni sono diverse e di differente matrice: c’è chi sostiene che la singolarità dell’”io” è di per sé inattaccabile e inoffendibile per cui nessun comportamento aggressivo potrebbe scalfirla; agli antipodi sostengono, in una prospettiva prettamente deterministica, che la singolarità dell’essere costituisce una fictio essendo la personalità di un individuo la risultante di un’infinita serie di condizionamenti – biopsichici, ereditari o acquisiti, e socio economici oltre a quelli derivanti dai comuni rapporti interpersonali, ecc. – per cui appare impossibile individuare una “reale” e “propria” configurazione dell’uomo.
(86) Flora G., op. cit..
(87) Nell’aprile 1988, veniva presentato alla presidenza del Senato – su iniziativa dei ministri Russo Jervolino e Vassalli – un disegno di legge nel quale veniva formulato il “nuovo” art. 549 del Codice penale volto alla tutela della personalità del minore; nel marzo 2005, nel corso della XIV Legislatura, la Commissione Giustizia del Senato approvava un disegno di legge finalizzato all’introduzione nel Codice penale del reato di “Manipolazione mentale” (art. 613-bis). In entrambi i casi, l’iter legislativo non ha avuto seguito. Sul punto si consulti: Flora G., “Plagio: la problematica penalistica. Il Plagio tra realtà e negazione” in Di Fiorino M., “La persuasione socialmente accettata, il plagio e il lavaggio del cervello”, I, Centro Studi di Psichiatria & Territorio, Lucca, 1991.
(88) In Italia, il problema si presenta sicuramente con un’intensità minore – da un punto di vista qualitativo ma soprattutto quantitativo – rispetto ad altri Paesi.
(89) Tale forma di “misticismo” ha condotto tanti individui ad approdare al mondo delle sette ma anche nella direzione dei movimenti integralisti e fondamentalisti delle confessioni tradizionali.
(90) L’orientamento del Consiglio d’Europa è riscontrabile anche in singoli Paesi, quali: Svezia in primis, Germania, Svizzera e Italia. Esso utilizza una pluralità di fonti e ritiene estremamente importante avviare sempre ulteriori ricerche e studi sul problema; rappresenta sicuramente un atteggiamento più evoluto rispetto a quello di altri Paesi che danno maggiormente voce alle organizzazioni anti-setta più che agli specialisti pervenendo spesso a posizioni dure ed a rozze generalizzazioni. In Italia, sulla scia di quest’orientamento, nel 1987, è stato creato il G.R.I.S. (attualmente denominato “Gruppo di ricerca e informazione socio-religiosa”) con finalità prettamente informative. Sul punto si consulti: Pavone G., “Confessioni religiose e sette sataniche. Profili di tutela dell’ordine pubblico”, 2005, in http://www. altalex.com.
(91) Al momento, una discreta tutela legislativa per coloro che sono vittime delle sette è rappresentata dal reato di stalking – previsto dall’art. 612-bis Cod. pen. (Atti persecutori) introdotto nell’ordinamento dal D.L. 23 febbraio 2009 n. 11 – che punisce le molestie, i comportamenti assillanti e reiterati, le persecuzioni che portano chi li subisce a temere per la propria incolumità e per quella dei suoi cari. L’argomento è stato affrontato ed approfondito nel corso del convegno “Libertà religiosa tra libertà e manipolazione”, organizzato dalla comunità Papa Giovanni XXIII e tenuto presso la Pontificia Università Lateranense di Roma nel febbraio 2011. Per coloro che commettono stalking, infatti, è prevista una pena che va dai 6 mesi ai 4 anni di reclusione e, dopo la recente pronuncia della Corte di Cassazione, sono sufficienti due episodi per la sua configurazione purché “… abbiano indotto un perdurante stato di ansia o di paura nella vittima, che si sia vista costretta a modificare le proprie abitudini di vita” (Sent. Cass. Pen. 2 marzo 2010 n. 25527). Sul punto si consulti: “Lo stalking per affrancarsi dalle sette, a convegno con la Comunità Papa Giovanni XXIII” in http://www.maracarfagna.net pubblicato in Rete il 17 febbraio 2011.
(92) Altri tentativi di pervenire a validi strumenti giudiziari non hanno portato al conseguimento di migliori risultati. Tra questi va ricordato: la possibile configurazione di un reato di tipo associativo (come nel caso di Scientology, sentenza della Corte di Cassazione n. 1329/1997); il disegno di legge 800 del 2001 sulla manipolazione psicologica e la proposta di legge n. 3770 del 2003 che, introducendo il reato di “Abuso di rituale esoterico-satanista”, aveva come obiettivo proteggere i cittadini dai crimini commessi dalle sette (qui le sette sataniche venivano equiparate alle associazioni segrete). Sul punto si consulti: Pavone G., “Confessioni religiose e sette sataniche. Profili di tutela dell’ordine pubblico”, 2005, in http://www.altalex.com.
(93) De Fazio F., "Il plagio: un vuoto di tutela nel nostro ordinamento. La valutazione del rapporto interpersonale quale momento metodologicamente determinante nel giudizio di circonvenzione di incapace" in Di Fiorino M., "La persuasione socialmente accettata, il plagio e il lavaggio del cervello", I, Centro Studi di Psichiatria & Territorio, Lucca, 1991.

© AGENZIA INFORMAZIONI E SICUREZZA INTERNA