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GNOSIS 2/2011
LA STORIA


FATTI, ANEDDOTI e LEGGENDE

'Agentes in rebus'
Agenti in missione


Roberto GUERRA

Foto da http://msnbcmedia1.msn.com

Questo articolo, prosecuzione di quello già proposto dallo stesso autore sui ‘frumentarii’ (Gnosis, 3/2010, pp. 129-137), affronta il tema della sicurezza a Roma nel periodo tardoantico (III-VI secolo d.C.) ed, in particolare, analizza il ruolo degli ‘Agentes in rebus’ che, in epoca dioclezianea, avevano sostituito i ‘Frumentarii’.


Offro ‘il secreto mio serviggio[(1) ...’
Fino a poco tempo fa il tema dello spionaggio nel mondo antico non destava un grande interesse negli storici di professione in quanto si riteneva che svolgesse un ruolo marginale o addirittura nullo nelle grandi vicende storiche del passato. Pur riconoscendo che lo studio dello spionaggio e dei connessi servizi informativi sia argomento difficile da trattare, qualsiasi sia il periodo analizzato, si può a ragione affermare che le spie abbiano esercitato più influenza sulla storia che sugli storici. È stato detto che la storia più vera è quella segreta. Sicuramente lo spionaggio non trasforma radicalmente il corso della storia, ma accade che ne cambi profondamente le vicende (2) .
Tutti gli elementi che concorrono ad avere informazioni precise, adeguate e tempestive permettono ad un comandante di impartire ordini e istruzioni opportune ai suoi uomini. Non bisogna dimenticare che spesso si è polemizzato e discusso sulle operazioni segrete fallite. Quelle felicemente riuscite sono tali proprio perché rimaste segrete e per questo nessuno ne parla. Pur essendo una categoria moderna, lo spionaggio era presente già nell’antica Roma con forme e organizzazione che nulla hanno a che vedere con le strutture odierne. Conoscere i sistemi di raccolta delle informazioni dello Stato romano non significa solo studiare i metodi di spionaggio, ma anche affrontare e cogliere la complessa rete di informazioni e comunicazioni, le operazioni militari, le strategie politiche. Si possono conoscere sotto una diversa angolatura tanti aspetti della vita sociale del popolo romano attraverso le denunce segrete, il mantenimento dell’ordine pubblico, la moralità, le cifre e altri mezzi occulti di trasmissione di notizie, le spie militari e civili, quelle nemiche, i sabotaggi, l’uso di strumenti letali, i condottieri, i veleni, il contrabbando, i mercanti, le donne.
Lo stesso termine di intelligence trova origine nel corrispondente latino intellegentia con il significato di conoscenza, comprensione, cognizione su qualcuno o qualche cosa. Intelligence vuol dire informarsi e capire. La condivisione delle informazioni, o information sharing, è il fulcro fondamentale per arrivare a una conoscenza più ampia. Le fonti storiche, i documenti dai quali il ricercatore ricava informazioni sugli avvenimenti del passato, hanno sempre rappresentato uno strumento prezioso di indagine a condizione che i fatti narrati siano interpretati e valutati nel più obbiettivo dei modi. La raccolta deve essere analizzata, valutata, interpretata e, quindi, compresa come informazione utile per i fini che ci si è posti. Ecco che persone con esperienze e cultura diverse, ma interessi comuni, possono insieme promuovere una conoscenza e una informazione storica più aggiornata, contribuendo a fornire un tassello in più al mosaico della storia.
Alcuni studiosi moderni (3) affermano che l’organizzazione degli agentes in rebusera parte dei “Servizi segreti di Roma”. Questa opinione a lungo sostenuta è un’etichetta descrittiva che di certo non può qualificare l’istituzione antica della schola agentum in rebus; come del resto è inapplicabile al mondo antico l’idea moderna di spionaggio. I Romani non distinguevano all’interno delle attività di spionaggio le categorie burocratiche precise e chiare che ci sono oggi. Vaga era anche la linea di demarcazione fra le operazioni di carattere militare e civile. Non c’erano divisione del lavoro e distinzione di competenze. L’attività di spionaggio era sicuramente presente nella Roma antica e tardoantica e si fondava su sistemi che facevano capo alla raccolta, trasmissione e diffusione di notizie, attraverso l’utilizzo di latori e informatori e anche di spie, che non possiamo pensare appartenenti ad organismi tipo la moderna CIA.
In verità a Roma fu sempre avvertita l’esigenza di raccogliere le informazioni su ciò che avveniva al di fuori dei propri confini al fine di garantire la sicurezza interna. Quando l’Impero divenne una potenza estesa e forte, crebbe in modo esponenziale la preoccupazione per la sicurezza del territorio, minacciato sempre di più dalle popolazioni barbariche, la cui continua pressione ai confini orientali delle Alpi indusse Roma a partire dal III secolo a innalzare il livello di guardia. La città di Aquileia, ad esempio, un tempo proiezione dell’espansione romana, riprese il suo primitivo ruolo di città di frontiera come baluardo contro la minaccia esterna. Nel 238 d.C. l’assedio di Aquileia da parte di Massimino il Trace, ucciso poi dai suoi stessi soldati assieme al figlio Massimo sotto le mura della città, aveva richiesto la costruzione di una vera e propria linea fortificata lungo il crinale alpino per fermare ogni genere di invasione. Nel territorio erano sorti piccoli avamposti militari a controllo delle strade, dei ponti, dei valichi.
Il potente sbarramento difensivo, dal IV secolo d.C. in poi, era chiamato Claustra Alpium Iuliarum. Il sistema dei Claustra era costituito da torri di vedetta, castelli, posti di controllo e lunghi muraglioni. Partiva dal Golfo del Quarnaro presso Tarsatica (l’attuale Fiume), proseguiva lungo i rilievi del Carso e la catena delle Alpi Giulie per giungere fino al corso del Gail in Carinzia (4) . Si ritiene che il sistema di difesa sia stato creato da Diocleziano e poi rafforzato da Costantino. Tuttavia recenti ricerche storiche e archeologiche hanno dimostrato un quadro diverso della situazione, sottolineando in linea di massima la creazione di fortezze nel decennio 270-280, lo sguarnimento del settore durante la prima metà del IV secolo circa e poi il rafforzamento durante la seconda metà e le distruzioni durante le guerre per il potere e le usurpazioni del 351, 387, 388 e 394. In seguito questa enorme cerniera, in apparenza invalicabile, non riuscì ad evitare le invasioni armate nella Venetia (5) .
I problemi di sicurezza, quelli difensivi ed amministrativi presenti nel corso del III secolo d.C. trovarono una prima soluzione nelle riforme attuate da Diocleziano (284-305), perfezionate e completate da Costantino (324-337), con la nascita di un nuovo organigramma statale che sarebbe diventato fondamentale nella storia dell’impero tardoantico, basato sul rafforzamento e sulla centralizzazione del potere del Principe, dello Stato e sulla nascita di un potente apparato burocratico a struttura piramidale.
Lo Stato romano si è sempre configurato come un insieme complesso formato da tre elementi principali, reciprocamente uniti tra loro: l’amministrazione centrale, quella delle province e l’esercito. Ogni cambiamento di uno di questi tre strumenti del potere ha comportato necessariamente una trasformazione degli altri due, grazie proprio alla stretta unione esistente fra loro.
Sul piano militare in generale e sulla sicurezza interna in particolare decisivo è stato il ruolo dell’imperatore Diocleziano. Egli è sempre stato presentato come un personaggio che riformò l’esercito, ha cambiato la gestione del potere che divenne tretrarchico e innovato il sistema tributario. Asceso al trono con un colpo di Stato, Diocleziano riuscì a passare da usurpatore a sovrano legittimo. Egli aveva avuto l’appoggio dell’esercito. L’apparato militare era stato modificato dalle riforme dovute in particolare a Settimio Severo (193-211) e a Gallieno (260-268) e dalle logiche conseguenze della crisi del III secolo. Aveva compreso che era necessario cambiare lo strumento militare posto nelle sue mani e, di fronte a notevoli difficoltà militari, seppe comportarsi come un buon Generale contribuendo a dare all’Impero una certa sicurezza. Diocleziano e i suoi successori furono sempre attenti alla difesa di se stessi e dell’Impero, grazie a tutte le informazioni che provenivano da ogni parte, per non essere loro stessi vittime di una morte violenta e per cercare di preservare il più lungo possibile il potere raggiunto. Il sospetto nasce là dove non c’è consapevolezza di ciò che accade ... perché sempre avviene che dove men si sa, più si sospetta, scrisse molti secoli dopo Niccolò Machiavelli in I Capitoli, Dell’Ingratitudine. A Giovanni Folchi, 66.
A Diocleziano si attribuisce il merito di aver riorganizzato il sistema di sicurezza interna di Roma (6) . Generale accorto, sapeva bene che i sistemi di informazione servivano per progettare la politica estera e la difesa dell’Impero, tanto in guerra che in tempo di pace. In questa ottica si situano le decisioni, le disfatte, le azioni segrete che influenzarono i processi di politica estera dioclezianea. In altre parole occorreva pensare e vigilare in tempo. Diocleziano per prima cosa sciolse i frumentarii. Tuttavia per quanto fossero odiati e temuti da tutti, nessun Imperatore si poteva permettere di rinunciare a questa importante fonte di informazioni. E così i frumentarii furono sostituiti da un’organizzazione che avrebbe svolto gli stessi compiti di spionaggio e sicurezza, ma con un nome diverso e una struttura differente. I nuovi addetti alla raccolta delle informazioni furono molto più temibili dei frumentarii e presero il nome di agentes in rebus, “agenti in missione”, definizione che tradiva la natura insidiosa dell’istituzione (7) .
Il ruolo degli agentes subentrati ai frumentarii è descritto da Aurelio Vittore (Caes., XXXIX, 3):
‘...Nec minore studio pacis officia vincta legibus aequissimis ac remoto pestilenti frumentariorum genere, quorum nunc agentes rerum simillimi sunt. Qui cum ad explorandum adnuntiandumque, ecqui forte in provinciis motus exsisterent, instituti viderentur, compositis nefarie criminationibus, iniecto passim metu, praecipue remotissimo cuique, cuncta foede diripiebant…’ (Né con minore attenzione verso la pace furono epurati gli uffici con leggi molto giuste e rimosso il funesto genere dei frumentarii, ai quali ora sono molto simili gli agentes. Questi ultimi pare che siano stati creati per indagare e denunciare le eventuali sedizioni nelle province; intessute in modo vergognoso le accuse, diffusa la paura in ogni direzione, principalmente verso chi era il più lontano. Essi, infatti, saccheggiavano ogni cosa in maniera deplorevole).
Successivamente in alcuni passi dell’opera di Giovanni Lido (Mag., 2, 10; 3, 23-24), composta nel VI secolo d.C., gli agentes sono indicati con la traslitterazione greca del termine frumentarii mentre nei testi legislativi tardi sono indicati con il termine magistriani/oi.
Queste nuove figure di agenti assolvevano a compiti simili a quelli dei frumentarii, ma erano numerose le differenze d’ordine amministrativo che intercorrevano tra di loro. Anche i rapporti con il governo centrale erano diversi. Gli agentes in un primo momento erano subordinati alla giurisdizione del prefetto del Pretorio. Successivamente passarono alle dipendenze di un funzionario di rango ministeriale chiamato Magister Officiorum (8) come si legge nel Codex Theodosianus e nel Codex Iustinianus (CTh VI, 29, 3 = CI XII, 22, 3).
Fonti antiche attestano sul loro conto alcune vicende non molto edificanti. Proprio per le funzioni di controllo, essi non godevano sicuramente di un’ottima reputazione, dunque sono ricordati molto spesso in contesti che mettono in luce il lato peggiore del loro servizio. È possibile ipotizzare in un primo momento lo status militare degli agentes, che in seguito avrebbero svolto anche mansioni civili. Gli agentes in rebus furono dei veri e propri agenti organizzati in una gerarchia rigida, attraverso la quale potevano arrivare a posizioni di grande prestigio. Essi avevano titoli che ricalcavano i gradi dell’esercito. Da una Costituzione di Costanzo II si conoscono i gradi della carriera, con evidente origine militare: circitores, biarchi, centenarii e ducenarii (CTh I, 9, 1).
La struttura adibita ad inquadrarli ed a formarli era la schola agentum in rebus. Questa, diretta probabilmente fin dalla sua nascita dal Magister Officiorum, era organizzata come un reggimento di cavalleria, in cui ci si arruolava come equites e attraverso una serie di tappe intermedie si arrivava al grado più alto di ducenarii. L’ingresso alla schola era molto ambìto, competitivo e allettante per i guadagni che avrebbe potuto assicurare. Inoltre potevano aspirare a raggiungere potere, promozioni, privilegi tutti coloro i quali avessero raggiunto il grado più alto e avessero prestato un servizio lodevole. Sicuramente all’inizio l’accesso era libero e il numero non chiuso. In seguito il numero di coloro che volevano entrare divenne sempre più alto, grazie anche all’interessamento di amici potenti, attraverso il ricorso al sistema del suffragium, fino almeno al regno di Costanzo II. Furono fissati i requisiti di accesso alla struttura senza i quali si era espulsi. In particolare una legge del 359 disponeva che non fossero ritenuti idonei tutti coloro che erano indignis natalibus et conversatione deterrima (CTh I, 9, 1).
Quindi sostanzialmente i due principali requisiti non solo per l’ingresso ma anche la permanenza nel corpo erano la nascita libera e la corretta condotta di vita. Seguì nel 382 un altro provvedimento utile a regolamentare e a precisare meglio i requisiti. L’Imperatore ribadì che non si entrava facilmente nel Corpo neanche con una sua speciale autorizzazione (adnotatio nostra specialis) e stabilì che per essere arruolati occorreva dichiarare qualis moribus sit, unde domo, quam officiorum originem ac sortem(CTh VI, 27, 4). Alla nascita libera e alla condotta corretta di vita si aggiunsero altri due requisiti: la patria e l’ufficio di provenienza. Il Magister Officiorum aveva la facoltà di allontanare alcuni dal Corpo. Successivamente Teodosio II stabilì che nessuno senza autorizzazione imperiale poteva essere licenziato, togliere il cingulum militiae, degradare l’agente o allontanarlo dalla schola (CThVI, 27, 17). Ma è in un’altra costituzione successiva (CTh VI, 27, 18) che l’Imperatore concesse, dopo aver ascoltato le rimostranze del Magister Officiorum, la facoltà di procedere penalmente contro alcuni elementi che avevano arrecato danni e avevano infangato il buon nome della schola. In questa maniera si ristabiliva la condizione precedente al fine di avere un insieme di uomini onesti e virtuosi.
Diversi erano i canali di reclutamento degli agentes come pure differente il rango dei funzionari che potevano designarli. Molti agentes avevano origine curiale, altri provenivano dagli uffici. Una legge del 380 stabiliva che per ogni grado due venissero nominati dall’Imperatore e provenire da qualsiasi ufficio (CTh VI, 27, 3). Inoltre potevano essere arruolati i cornicularii dell’ufficio del vicario (CTh I, 9, 1), il primicerius dei mensores(CTh VI, 34, 1) e nel 468 i cohortales(CTh XII, 21, 7). Era importante per la sicurezza dell’impero mantenere una forza che permettesse all’Imperatore di essere aggiornato su tutto ciò che lo circondava, dentro e fuori il proprio entourage: dalla città di Roma a tutto l’Impero. Forse a ragione in tempi moderni, Niccolò Machiavelli (Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, Libro Terzo, XVIII) sosteneva nessuna cosa essere più necessaria e più utile ad uno capitano che conoscere le diliberazioni e’ partiti del nimico. E perché tale cognizione è difficile, merita tanto più laude quello che adopera in modo che le coniettura.
Il compito degli agentes era anche quello di indagare, riportare le notizie di qualche fenomeno definito eversivo riscontrabile nelle province. In generale volgevano la loro attenzione alle informazioni e alla sicurezza dello Stato.
Erano vari e diversificati i loro compiti di controllo che non sempre le relative attività si risolvevano in operazioni segrete o comunque riservate. Fungevano anche da collegamento tra il centro e la periferia. Le amministrazioni periferiche evidenziano con sempre più frequenza fenomeni di autonomia locale e attacchi delle popolazioni barbariche. L’esercito romano era sempre più allertato. ‘In primis sciendum est quod imperium Romanum circumlatrantium ubique nationum perstringat insania et omne latus limitum tecta naturalibus locis appetat dolosa barbaries’. (Bisogna anzitutto rendersi conto che il furore dei popoli che latrano tutt’intorno stringe in una morsa l’Impero Romano e la barbarie infida, protetta dall’ambiente naturale, minaccia da ogni lato i nostri confini).
Così si esprimeva l’anonimo autore del trattato Le cose della guerra (6, 1), della prima metà del IV secolo d.C..
Gli agentes, proprio in questo periodo, venivano inviati nelle province come corrieri imperiali e si servivano delle strutture del cursus publicus tanto da essere denominati veredarii, cioè coloro che utilizzano i veredii, i cavalli veloci del cursus publicus. Lo stesso San Girolamo (In Abdiam, 17) affermava che ‘eos enim quos nunc agentes in rebus, vel veredarios appellant, veteres frumentarios nominabant’. Il cursus publicus era un sistema di comunicazione e di trasporto creato dall’Imperatore Augusto e riservato ai soli funzionari e in virtù di questo divenne lo strumento del sistema di sicurezza imperiale (9) .
È proprio nei primi decenni del IV secolo d.C. che tutte le attività di vigilanza verso la periferia vennero man mano perfezionate attraverso l’invio di agentes in rebus</i>] come capi degli officia dei più importanti funzionari civili e militari dell’Impero, con un maggior controllo delle fabbriche di armi e una ispezione più attenta nell’uso del cursus publicus. Il controllo del cursus venne affidato unicamente agli agentes: ‘solos agentes in rebus in hoc genere iussimus obsequium adhibere’ (soltanto gli agentes in rebus adempiano ad obblighi di questo tipo) (in CTh VI, 29, 2).
Inoltre il Magister Officiorum dal 359 è ufficialmente il capo della schola agentum in rebus(in CTh I, 9, 1).
Dal Codice Teodosiano si apprende anche quali mezzi di trasporto vennero utilizzati e controllati dagli agentes: ‘Hi vero pervigili diligentia providebunt, ne quis citra evectionis auctoritatem moveat cursum vel amplius postulet, quam concessit evectio, ut habens unius copiam raedae flagitet duas, aut raedam usurpet, cui birotum vel veredum [postu]lare permissum est’. (Essi controlleranno con vigile attenzione che nessuno si sposti con il cursus publicus senza la debita autorizzazione o richieda più di quanto gli è stato concesso; ad esempio, avendo diritto ad una raeda ne chieda due, oppure usi la raeda colui al quale è stato concesso il birotum) (in CTh VI, 29, 2).
Ad essi sempre nel IV secolo venne attribuita la qualifica di curiosi (10) , o curagendarii, addetti al servizio di vigilanza e di indagine in diversi settori, oltre al cursus publicus. Degli agentes in rebus, ovvero dei curiosi, come sinonimicamente vengono molto spesso indicati gli uni e gli altri (CTh VI, 29, 8 = CI XII, 22, 4), si sono occupati nel corso del tempo molti studiosi, con la rilettura combinata e articolata di diverse fonti patristiche, epigrafiche, agiografiche e papiracee e non ultimo delle rappresentazioni iconografiche musive provenienti dalla Villa Romana del Casale di Piazza Armerina, città in provincia di Enna.
I due termini appaiono spesso intercambiabili, almeno dal punto di vista delle competenze e si riscontrano soprattutto nelle fonti giuridiche che dedicano loro tre titoli, specificamente ad essi attinenti e validi alla ricostruzione del mondo romano, nello specifico della Tarda Antichità (11) . Sta di fatto che non tutti gli agentes sono curiosi. Non è ancora chiaro quale fosse il grado degli agentes che cominciavano il servizio cursuale da curiosi. I curiosi diventarono ispettori del cursus publicus ufficialmente nel 356 con una disposizione di Costanzo II nello stesso anno in cui si sottraeva il controllo cursuale a funzionari di altri uffici che l’avevano tenuto fino ad allora (CTh VI, 29, 2). Anche se è stato anticipato l’inizio di questa attività di almeno vent’anni dalla data canonica essendo attestato, nel 335, un kuriossos ducenarius presso il prefetto d’Egitto. Per essere curiosi bisognava essere agenti scelti e aver percorso tutti i gradi della schola oltre ad essersi distinti per merito e per servizio. Una legge del 381 (CTh VI, 29, 6) fissa per i curiosi, come data d’invio nelle province, il giorno di compleanno dell’imperatore e stabilisce che devono essere inviati i primi scholarum, cioè i ducenarii.
Ciò induce a pensare che il criterio di invio dei ducenarii fosse questo. Ma non era un sistema assoluto e sempre rispettato. Sembra che all’inizio le nomine avvenissero con il sistema del suffragiumv, a prescindere dal grado ricoperto e, solo a partire dal 359, venne preso in considerazione il merito e l’anzianità di servizio come appare da una disposizione legislativa dello stesso anno (CThI, 9, 1), nella quale si parla anche dell’abolizione di tale sistema. La posizione occupata dai curiosi all’interno del servizio statale, grazie alla loro presenza incisiva nel territorio, appare determinante per il sistema di sicurezza interna ed esterna dallo Stato tardoantico.
Delineare il ruolo dei curiosi nella realtà amministrativa e socioeconomica tardoantica non appare oggi semplice in quanto appaiono inquadrati con diversi profili dalle molteplici sfaccettature. La loro attività nel corso del tempo si è ampliata e diversificata in un sempre maggior numero di campi amministrativi. Sono ispettori amministrativo-giudiziari, ispettori cursuali, dei trasporti (CTh VI, 29, 8), informatori segreti. Svolgevano un ampio servizio di vigilanza fiscale, finanziaria e commerciale. I curiosi vigilavano anche nei porti (CTh VI, 29, 10; IX, 23, 1), nei canali pubblici (CTh VI, 29, 2) sulle coste e nelle isole (CTh VI, 29, (12) ) da dove controllavano il traffico marittimo e sicuramente quello fluviale. Volevo citare la nota epigrafe (CIL X, 7200 = ILS, 5905) in cui i curiosi sono anche supervisori edilizi. Il documento rinvenuto a Thermae Selinuntiae in Sicilia è datato tra il 340 e il 350 d.C. Si ricorda la costruzione di una statio ad opera dei due consulares Orfito e Dulcizio. L’iscrizione è interessante in quanto attesta che i lavori furono eseguiti sotto il controllo di Flavio Valeriano, in qualità di ducenarius, agens in rebus et praepositus cursus publici. Questo è il testo: ‘Pro beatitudine/temporum dd(ominorum) nn(ostrorum)/Constanti et/Constantis Aauugg(ustorum)/stationem a solo fece/runt Vitrasius Orfitus et Fl(avius)/Dulcitius vv(iri) cc(larissimi) consulares/p(rovinciae) S(iciliae) instante Fl(avio) Valeriano/ducenario agente in reb(us) et p(rae)p(osito) cursus/publici’</i>]. (Per la felicità dei tempi e dei nostri Signori Costante e Costanzo Augusti, i clarissimi consolari della provincia Sicilia, Vitrasio Orfito e Flavio Dulcizio, innalzarono una statio, ne fu sovrintendente Flavio Valeriano ducenarius agens in rebus e praepositus cursus publici).
A seguito del sacco di Alarico del 410 furono notevolmente intensificati i controlli tra le due parti dell’Impero con una sorta di “embargo” per evitare che si spostassero persone e cose non autorizzate: ‘Omnes stationes navium portus litora, omnes abscessus provinciarum, abdita quin etiam loca et insulae tuae magnificentiae dispositione sollerti custodiantur indagine, ut nullus vel vi, vel clam, vel aperto etiam occulto nostri possit imperii regiones inrepere, qui non aut interiectis prohibeatur obicibus aut, cum accesserit, ilico teneatur, nisi sacros apices a domino patrio meo Hon[o]rio ad me perferre apertissima ratione mostraverit: cum eadem diligentia observando, ut, si ad aliumquemquam a memorato principe dixerit habere affatus, portitore detento sacrae litterae cum omnibus chartis signatae ad meam clementiam trasmittantur’. (Tutte le basi navali, i porti, le coste, tutti gli accessi alle province, i luoghi riparati, le isole, siano custoditi con una immediata disposizione della tua magnificenza, cosicché nessuno, con la forza o di nascosto, apertamente o a nostra insaputa possa irrompere nelle regioni dell’Impero, senza essere bloccato dalle barriere che sono state interposte, o essendo entrato, non sia immediatamente fermato, finché non abbia mostrato in maniera chiara che sta portando a me le sacre lettere da parte del Signore mio zio Onorio. Si deve osservare con la medesima diligenza che, se dice di avere messaggi dal suddetto principe per qualcun altro, il latore sia trattenuto e le sacre lettere con tutti i documenti siano trasmessi alla mia clemenza) (in CThVII, 16, 2).

Iscrizioni di agentes in rebus attestano la loro presenza anche in lontane terre. Eccone di seguito alcune:

Africa proconsularis
AE 1898, 133 (Carthago); AE 2006, 1765 = AE 2007, 1738 (Ain Tounga/Thignica); CIL VIII, 989 = ILS, 9043 (Sidi Daoud/Missua); CIL VIII, 146 = ILS, 8724 (Shimtu/Chemtou/Simitthus); CIL VIII, 24659,14 (Carthago).
Mauretania Caesariensis
AE 1965, 150 (Z´Dim/Sitifis).
Pannonia Inferior
CIL III, 10234 (Sremska Mitrovica/Sirmium).

Il numero degli agentes/curiosi nelle province mutò nei vari periodi storici, in base alle esigenze di controllo più o meno forti di natura politica, sociale ed economica. Una costituzione di Teodosio del 395 (CTh VI, 29, 8), stabilì che venisse inviato in ogni provincia un solo agens. L’aumento del loro numero è probabilmente di epoca posteodosiana. Infatti nel 412 (CTh VI, 29, 10) vennero inviati nelle province tutti i curiosi idonei. Dopo la divisione dell’Impero, la storia degli agentes/curiosi si snoda in maniera diversa. In Occidente nel 414 vennero richiamati da alcune province. In Oriente nel corso del V secolo non solo è accertata la loro presenza, ma si viene a conoscere un aumento di 74 unità nel loro organico. Nel 430 si arrivò a 1174 unità per passare sotto l’imperatore Leone (CI XII, 3) a 1248 unità complessive (450 equites, 300 circitores, 250 biarchi, 200 centenariie 48 ducenarii). In Italia, tra il V e VI secolo d.C., durante il regno di Teoderico, gli agentes continuarono a svolgere la loro attività ispettiva e investigativa con il nome di saiones, un corpo speciale di soldati gotici scelti. Nella testimonianza di Ammiano Marcellino per l’Occidente e di Libanio per l’Oriente gli agentes vengono raffigurati come avidi di potere e di ricchezza, corrotti, arrivisti, comunque non meno di quanto potevano esserlo altre figure di funzionari statali nello stesso periodo. ‘Rapere, non accipere sciunt agentes in rebus’ (gli agenti sanno rapire, non ricevere) dice di loro Ammiano (XVI, 5, 11). Anche il trattamento riservato agli animali utilizzati per la posta pubblica denota la malvagità di questi ispettori che li sfruttavano fino alla morte (Libanio Or. 18, 140-145). Sempre Libanio racconta come l’Imperatore Giuliano pose fine a questi abusi attraverso provvedimenti legislativi al fine di disciplinare il cursus e in particolare il rilascio dei permessi di viaggio (Or. 18, 140-145; CTh VIII, 5, 12). La riforma attuata da questo imperatore aveva trasformato il cursus publicus in cursus fiscalis, come attesta un’epigrafe12 coeva, facendo in maniera che l’onere amministrativo di questo servizio fosse a carico dello Stato e che lo stesso fosse reso più celere abbreviando le distanze tra le varie stazioni: cursum fiscalem breviatis mutationum spatiis fieri iussit, come si legge nell’iscrizione. Libanio li disprezzava e li chiama peuthenes, investigatori, per distinguerli dagli altri agenti cui sono affidati altri compiti. Li definiva “occhi del re” perché avrebbero dovuto portare alla luce gli intrighi, utilizzare occhi e orecchie per scoprire i misfatti contro l’Imperatore, arrestare i colpevoli (Lib. Or. 18, 135; 46, 15), invece spesso erano cani che cacciano con i lupi. Il fenomeno della corruzione non li risparmiò. Tuttavia non mancano esempi di agentes onesti e diligenti che si preoccupavano delle publicae necessitates. Libanio ricorda Aristofane di Corinto, agente onesto e devoto. Ammiano (XIV, 11, 19; 11, 23; XV, 3, 8; XVI, 5, 11; 8, 3; 8, 9; XXII, 3, 10; 7, 5; XXVII, 7, 5; XXVIII, 1, 44) ne menziona alcuni disonesti e crudeli come Apodemio, Diodoro, Gaudenzio e Rufino. Certo gli Imperatori si accorsero ben presto e capirono di aver mandato dei furfanti a far la guardia ad altri furfanti (CTh VI, 29, 2; 3 = CI XII, 22, 2; 3). Nell’espletamento delle loro funzioni essi spesso si trovavano di fronte ad esponenti molto potenti delle aristocrazie locali. Gli innumerevoli rapporti che si venivano continuamente a costituire erano molto complessi. Difficile era districarsi in quell’immenso e aggrovigliato tessuto che era l’apparato burocratico e soprattutto rimanere saldi e onesti. Gli imperatori di tutto questo erano consapevoli, e consapevoli erano anche i rappresentanti del potere imperiale nelle province e gli stessi agentes/curiosi. Giustamente affermava Giovenale (Sat. VI, 3
45) Sed quis custodiet ipsos custodes?


(1) ASVE, Inquisitori di Stato, b. 554, Andrea Borelli, 4 giugno 1789.
(2) Cfr. F. DVORNIK, Origins of intelligence services. The ancient Near East, Persia, Greece, Rome, Byzantium, the Arab Muslim Empires, the Mongol Empire, China, Muscovy, New Brunswick, 1974; J. P. ALEM, Mestiere di spia. I servizi segreti attraverso i secoli, Torino, 1977, pp. 10-11; Spionaggio e controspionaggio, Napoli, 1984, pp. 12-13; R. M. SHELDON, The Roman Secret Service, in Intelligence Quarterly 1, 2 (July 1985), pp. 7-8; G. VERALDI, Le roman d’espionnage, Paris, 1983; A. FERRILL, Roman Military Intelligence, in Go Spy the Land. Military Intelligence in History, Westport, CT., Praeger, 1992, pp. 17-29; P. PRETO, I servizi segreti di Venezia. Spionaggio e controspionaggio ai tempi della Serenissima, Lavis (Tn), 2010, pp. 11-23.
(3) Cfr. La qualificazione degli agentes in rebus quale Corpo di polizia segreto del mondo antico è stata condivisa dalla dottrina romanistica per diverso tempo (dopo i lavori di SEECK E STEIN, e fino agli anni ’70 cfr. J. A. ARIAS BONET, Los agentes in rebus. Contribución al estudio de la policìa en el Bajo Imperio Romano. Anuario Hist. Derecho Espan. 27-28 (1957-58), pp. 197-219; W. G. SINNIGEN, The Officium of the Urban Prefecture in the Later Roman Empire, Roma, 17 (1957), pp. 14 e ss.; Two Branches of the Late Roman Secret Service in American Journal of Philology 80 (1959), pp. 238-254; The roman secret service, in Classical Journal 57, n. 2, 1961, p. 65; Three Administrative Changes Ascribed to Constantius II, in American Journal of Philology 83 (1962), pp. 368 ss.; The Chiefs of Staff and Chiefs of the Secret Service, in Byzantinische Zeitschrift 57 (1964), pp. 78-105; I servizi segreti romani, in Per Aspera ad Veritatem, 11, 1998; F. DE MARTINO, Storia della costituzione romana, 5, Napoli, 1975, pp. 250 ss.). Tale opinione è stata poi lentamente abbandonata a partire da A. H. M. JONES The Later Roman Empire 284-602, Oxford 1964, vol. 2, p. 581; J. H. W. G. LIEBESCHUETZ, Antioch. City and imperial Admnistration in the Later Empire, Oxford, 1972; G. PURPURA, I curiosi e la schola agentum in rebus in Annali del Seminario Giuridico dell’Università di Palermo, 34 (1973), pp. 233-236; M. CLAUSS, Der Magister Officiorum in der Spätantike (4-6 Jahrhundert). Das Amt und sein Einfluss auf die Kaiserliche Politik, München, 1980; A. DEMANDT, Die Spätantike: Römische Geschichte von Diokletian bis Iustinian, 284-565 n.Chr., München, 1989, p. 207. etc. A quest’ultimo prevalente indirizzo storiografico si contrappongono i recenti lavori di R. M. SHELDON, L’Occhio di Roma, Storia e Dossier, 1989, 25, pp. 46-49; Intelligence Activities in Ancient Rome. Trust in the Gods, but Verify, London-New York, 2005, pp. 261-274.
(4) L. BOSIO, Le fortificazioni tardoantiche del territorio di Aquileia, in Il territorio di Aquileia nell’antichità, II, AAAd, XV, Udine, 1979, pp. 515-536; R. GUERRA, Soldati e strutture militari lungo il limes retico, in Le Truppe Alpine. Storia del Gruppo Alpini “Tarcisio Martina” di S. Stino di Livenza (Venezia), S. Stino, 2010, pp. 49-60.
(5) Cfr. P. BANCHIG - S. MAGNANI - P. VENTURA, Il ponte romano alla Mainizza e la via Aquileia-Emona, in AN, LXXVI, 2005, cc. 81-136; M. VANNESSE, I Claustra Alpium Iuliarum: un riesame della questione circa la difesa del confine nord-orientale dell’Italia in epoca tardoromana, in AN, LXXVIII, 2007, cc. 313-340; La défense de l’Occident pendant l’Antiquité tardive. Recherches géostratégiques sur l’Italie de 284 à 410 ap. J.-C., Bruxelles, 2010; Cfr. Y. LE BOHEC, Armi e guerrieri di Roma antica. Da Diocleziano alla caduta dell’impero, Urbino, 2008.
(6) Cfr. O. SEECK, Agentes in Rebus, Pauly-Wissowa, Real-encyclopaedie der classischen Altertumswissenschaft I (1894), cols. 776-779; R. M. SHELDON, Guerra segreta nell’antica Roma, Pordenone, 2008, pp. 401-421.
(7) Cfr. G. HENZEN, Sui militi peregrini e frumentarii, in Bulletino dell’Istituto di Corrispondenza Archeologica, Roma, 1851, pp. 113-121; T. ASHBY - P. K. BAILLIE REYNOLDS, The Castra Peregrinorum, in Journal of Roman Studies, 13 (1923), pp. 152-167; P. K. BAILLIE REYNOLDS, Troops Quartered in the Castra Peregrinorum, in Journal of Roman Studies, 13 (1923), pp. 168-189; M. CLAUSS, Untersuchungen zu den principales des römischen Heeres von Augustus bis Diocletian. Cornicularii, speculatores, frumentarii, Bochum, 1973, pp. 126-127; Frumentarius Augusti, in Epigraphica, 42 (1980), pp. 131-134; F. PASCHOUD, Frumentarii, agentes in rebus, magistriani, curiosi, veredarii; problèmes de terminologie, in Bonner Historia-Augusta Colloquium 1979/1981, Bonn, 1983, pp. 215-243; J. C. MANN, The Organization of the Frumentarii, in Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik, 74 (1988), pp. 149-150; W. KRENKEL, Frumentarii, in Lexicon der Alten Welt, Zurich and Munich, 1990, p. 1009; M. ŠAŠEL KOS, The 15th Legion at Emona-Some Thoughts, in Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik, 109 (1995) pp. 227-244; N. J. E. AUSTIN - N. B. RANKOV, Exploratio. Military and political intelligence in the Roman world from the Second Punic War to the battle of Adrianople, London and New York, 1995, pp. 136-137; 150-154; 168-169; 194; 201-202; 206; 219-220; 259; R. DELMAIRE, Institutions du Bas-Empire romain de Constantin à Justinien. Les institutions civiles palatines, Paris, 1995, pp. 97-118; M. F. PETRACCIA LUCERNONI, Gli stationarii in età imperiale, Serta Antiqua et Medioevalia, III, Roma, 2001 pp. 16; 38-39; 91; B. M. OSUNA, El acceso y la promoción de los funcionarios en la administración del bajo imperio, in Revista de Etstudios Histórico-Jurídicos [Sección Derecho Romano], XXVII (Valparaíso, Chile, 2005), pp. 108-110; 113-114; Cfr. N. B. RANKOV, M. Oclatinius Adventus in Britain, in Britannia, 18 (1987), pp. 243-249; Frumentarii, the Castra Peregrina and the Provincial Officia, in Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik, 80 (1990), pp. 176-182; Les Frumentarii et la circulation de l’information entre les empereurs romains et les provinces in La circulation de l’information dans les états antiques. Actes de la table ronde: La circulation de l’information dans les structures de pouvoir antiques. Institut Ausonius, Pessac, 19-20 janvier 2002, Bordeaux, 2006, pp. 129-140; Origins of the Frumentarii in XII Congressus internationalis epigraphiae graecae et latinae, Provinciae imperii Romani inscriptionibus descriptae, Barcelona, 3-8 Septembris 2002, Acta, II, ed. M. Mayer, G. Baratta, A. Guzmán Almagro - Barcelona, 2007, pp. 1169-1172; M. MAZZA, I coloni si lamentano: sottomissione e resistenza in alcune iscrizioni del III secolo d.C. in Stud. hist., Ha antig. 25, 2007, pp. 463-464; A. M. LIBERATI - E. SILVERIO, Servizi Segreti in Roma antica. Informazioni e sicurezza dagli initia Urbis all’impero universale, Roma, 2010, pp. 125-158; R. GUERRA, I Frumentarii. Un dispositivo di allerta e di informazione preventiva nell’antica Roma, in Gnosis n.3/2010, pp. 129-137.
(8) M. CLAUSS, Der Magister Officiorum in der Spätantike (4-6 Jahrhundert). Das Amt und sein Einfluss auf die Kaiserliche Politik, München, 1980.
(9) Cfr. A. GIARDINA, Aspetti della burocrazia nel basso impero, in Filologia e critica. Istituto di filologia classica dell’Università di Urbino, 22, Roma, 1977; G. BRIZZI, Cursus Publicus e trasmissione della notizia: l’esempio di Augusto, in Studi Militari Romani, Bologna, 1983, pp. 31-48; L. DI PAOLA, Viaggi, trasporti e istituzioni. Studi sul cursus publicus, Pelorias, 5, Messina, 1999.
(10) Pare che i curiosi fossero attivi nelle province da epoca più antica in qualità di delatori, cfr. G. ZANON, Le strutture accusatorie della cognitio extra ordinem nel principato, Padova 1998, pp. 127 ss.
(11) Cfr. L. DI PAOLA, Per la storia degli “occhi del re”. I servizi ispettivi nella Tarda Antichità, Pelorias, 12, Soveria Mannelli (Catanzaro), 2005, pp.14-15; 72-73; Agentes in rebus, curiosi, basileos ophthalmoi, peuthenes e magistriani all’opera nel controllo dei corpi e delle menti, in AARC, XIX, Perugia 2009, Roma in c.d.s. Molto difficile è l’utilizzazione del Codice Teodosiano come fonte al fine di ricostruire il mondo romano della tarda antichità. Le difficoltà sono inerenti alla traduzione e all’interpretazione. I curiosi sono registrati in entrambe le sezioni della Notitia Dignitatum sia a livello centrale che periferico. Cfr. Not. Dig. Or. XI, 51; Not. Dig. Occ. IX, 45.
(12) CIL V, 8987 = ILS, 755. Trovata a Concordia Sagittaria (Ve) recita: <O=A>b insignem singula/rem erga rem publicam/suam fa<v=B>orem/d(ominus) n(oster) Iulianus invictissimus prin/ceps remota provincialibus cura/cursum fiscalem breviatis mutationum spa/tiis fieri iussit/disponente Claud[i]o Mamertino v(iro) c(larissimo) per Ita/liam et I<l=N>lyricum praefecto praetorio/curante Vetulenio Praenestio v(iro) p(erfectissimo) corr(ectore)/Venet(iae) et His(triae) (Per l’insigne e singolare favore verso la sua repubblica il domino nostro Giuliano, invittissimo e perfettissimo principe, toltane la cura ai provinciali, ordinò che il corso fiscale risultasse con gli spazi dei cambi abbreviati. Disponete Claudio Mamertino, uomo chiarissimo, prefetto del pretorio per l’Italia e l’Illirico. Curante Vetulenio Praenestio, uomo perfettissimo, correttore della Venezia e Istria). Cfr. G. IMPALLOMENI, Una epigrafe concordiese in tema di ‘cursus publicus’ in probabile relazione con C.Th. 8, 5, 12, in Accademia romanistica Costantiniana. Atti V Convegno Internazionale, (Spello/Perugia/Bevagna/Sansepolcro, 14-17 Ottobre 1981), Rimini, 1983, pp. 329-334; L. DI PAOLA, Per la storia degli “occhi del re”. I servizi ispettivi nella Tarda Antichità, Pelorias, 12, Soveria Mannelli (Catanzaro), 2005, p. 86.

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