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GNOSIS 2/2011
Pericoli nascosti dalla scarsa trasparenza

Segnalazione di operazioni sospette
e anomalie del mercato


Ranieri RAZZANTE


( Foto da http://1.bp.blogspot.com/-DpddDQtDQ-g/)
 
Credito, finanza, commercio, impresa sono i luoghi dove risorse acquisite illegalmente vengono introdotte nel circuito economico legale con strumenti legali. Fra gli strumenti di contrasto più efficaci del money laundering c'è la cosiddetta SOS, cioè Segnalazione di Operazioni Sospette.
Uno strumento che all'inizio in Italia ha riscosso scarso seguito, mentre oggi soffre di eccesso di segnalazioni unito alla loro scarsa qualità.
Ma il sospetto è materia sfuggente e la stessa definizione della norma si presta a diverse e non ancora definitive interpretazioni, utili per gli operatori e anche per il cittadino comune. Comunque i risultati dell'uso della SOS appaiono piuttosto rilevanti, soprattutto in termini di beni sequestrati e di lotta al terrorismo.





Nelle dinamiche proprie dei mercati finanziari, è davvero triste affermarlo con tale nettezza, si muovono da sempre operatività poco trasparenti, spesso concretizzanti ipotesi di reato dal punto di vista legale, ed alterazioni concorrenziali dal punto di vista economico.
Il fenomeno del riciclaggio è una di queste "dinamiche"; è stata "assorbita" dal mercato legale, che non riesce ad immunizzarsi da tale morbo. È propria del mercato illegale del credito, della finanza, del commercio e dell'impresa.
Ciò anche se una precisazione, per quanto ovvia, risulta d'obbligo.
Il riciclaggio si fa nel mercato "legale", con strumenti "legali", ma con risorse acquisite illegalmente.
È un fallimento del mercato legale, così come quando gli altri rischi legati al sistema si verificano. Si può prevenire, e gli strumenti ci sono.
Talvolta, però, sia le Autorità di Paesi che se ne avvantaggiano indirettamente, sia gli intermediari finanziari, drogati dalla (pur legittima, nei limiti) imposizione del profitto, non fanno abbastanza in questa direzione.
Le tre direttive comunitarie in materia, e le raccomandazioni internazionali, hanno operato una scelta ben precisa per il contrasto (e prima per la prevenzione) del money laundering.
Presìdi speciali su molti soggetti obbligati, finanziari e non. Controlli mirati sulle operazioni finanziarie, ma anche su quelle societarie, immobiliari, professionali, commerciali.
In altra sede abbiamo descritto quelli – recentemente implementati dalla c.d. "Terza direttiva" – dell'adeguata verifica e dell'archiviazione dei dati della clientela (1) .
L’adempimento più "celebrato" e più contestato, però, è un altro: la segnalazione di operazioni sospette (d'ora in poi, SOS) – eventualmente compiute dalla clientela – alle Autorità di settore e, quindi, alle Forze di polizia.
In Italia, una realtà contraddittoria da sempre. Pochissime segnalazioni agli albori della normativa nel 1991 e fino a qualche anno fa, oggi forse troppe e scarsamente qualitative (2) .
Di seguito si intende esaminare i contorni, i risvolti operativi, le criticità e le grandi opportunità che esse possiedono e generano, sia dal punto di vista più propriamente giudiziario che economico.

I presupposti della nascita dell’obbligo

Sin dalla direttiva 91/308/CEE, dopo gli allarmi lanciati in sede ONU e di Consiglio d'Europa (3) , si previde l'obbligo della segnalazione come vincolante al nascere di certi presupposti, di fatto mai modificatisi nel tempo anche con le successive e già nominate direttive.
Nei considerando è significativo rinvenire le seguenti affermazioni:

“(…) che un sistema obbligatorio di segnalazione delle operazioni sospette che assicuri la trasmissione delle informazioni alle autorità sopra menzionate senza mettere in allarme i clienti interessati è il modo più efficace per realizzare tale cooperazione; che è necessaria una particolare clausola di salvaguardia per esonerare gli enti creditizi e finanziari, i loro dipendenti e amministratori da responsabilità per la violazione del divieto di divulgare le informazioni”.

All’art. 6 del provvedimento comunitario si legge quanto segue:

“Gli Stati membri provvedono a che gli enti creditizi e finanziari e i loro amministratori e dipendenti collaborino pienamente con le autorità responsabili per la lotta contro il riciclaggio: - comunicando a tali autorità, di propria iniziativa, ogni fatto che possa costituire indizio di un riciclaggio; - fornendo a queste autorità, a loro richiesta, tutte le informazioni necessarie in conformità delle procedure stabilite dalla legislazione vigente. Le informazioni di cui al primo comma sono trasmesse alle autorità responsabili per la lotta contro il riciclaggio dello Stato membro nel cui territorio è situato l’ente che ha trasmesso le informazioni. Tale trasmissione è effettuata normalmente dalla persona o dalle persone designate dagli enti creditizi e finanziari conformemente alle procedure previste all’articolo 11, punto 1. Le informazioni fornite alle autorità in conformità del primo comma possono essere utilizzate esclusivamente a fini di lotta contro il riciclaggio. Tuttavia gli Stati membri possono prevedere che tali informazioni siano utilizzate anche ad altri fini”.

Nella Terza direttiva, “figlia dell’11 settembre 2001” (attentato alle Torri Gemelle USA), non si abbandona e si rafforza l’idea sullo strumento:

“Le operazioni sospette dovrebbero essere segnalate all’unità di informazione finanziaria (UIF) che funge da centro nazionale per ricevere, analizzare e comunicare alle autorità competenti le segnalazioni di operazioni sospette ed altre informazioni che riguardano casi potenziali di riciclaggio o finanziamento del terrorismo. Ciò non dovrebbe obbligare gli Stati membri a modificare i loro attuali sistemi di segnalazione se la segnalazione è fatta tramite il pubblico ministero o altre autorità delle forze dell’ordine e se le informazioni sono trasmesse prontamente e non filtrate alle UIF, consentendo loro di svolgere correttamente la loro attività, tra cui la cooperazione internazionale con altre UIF” (Considerando 29).

Inoltre, l’art. 20 del provvedimento in rassegna così prescrive:

“Gli Stati membri impongono agli enti e alle persone soggetti alla presente direttiva di prestare particolare attenzione a ogni attività che essi considerino particolarmente atta, per sua natura, ad avere una connessione con il riciclaggio o con il finanziamento del terrorismo e, in particolare, alle operazioni complesse o di importo insolitamente elevato, nonché a tutti gli schemi insoliti di operazione che non hanno uno scopo economico evidente o che non hanno uno scopo chiaramente lecito.”

Un obbligo giuridico, non v’è dubbio, che va correttamente inquadrato, però, dato che ancora ingenera dubbi di “legittimità”, ma solo perché non è stato compiutamente percepito nella sua essenza assolutamente “amministrativa” e non investigativa o penale, anche se questi ultimi risvolti sono auspicabili e si stanno rivelando, invero, assai più pregnanti di quello che comunemente si ritiene.

La SOS in Italia

Tralasciando l’evoluzione semantica della norma italiana che, dal 1991, introduce l’obbligo della segnalazione di “operazioni sospette” (4) , andiamo all’attuale formulazione.
L’art. 41 del decreto legislativo 231/2007 prevede che:

“Art. 41. Segnalazione di operazioni sospette
1. I soggetti indicati negli articoli 10, comma 2, 11, 12, 13 e 14 inviano alla UIF, una segnalazione di operazione sospetta quando sanno, sospettano o hanno motivi ragionevoli per sospettare che siano in corso o che siano state compiute o tentate operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo. Il sospetto è desunto dalle caratteristiche, entità, natura dell’operazione o da qualsivoglia altra circostanza conosciuta in ragione delle funzioni esercitate, tenuto conto anche della capacità economica e dell’attività svolta dal soggetto cui è riferita, in base agli elementi a disposizione dei segnalanti, acquisiti nell’ambito dell’attività svolta ovvero a seguito del conferimento di un incarico. È un elemento di sospetto il ricorso frequente o ingiustificato a operazioni in contante, anche se non in violazione dei limiti di cui all’articolo 49, e, in particolare, il prelievo o il versamento in contante con intermediari finanziari di importo pari o superiore a 15.000 euro.
1- bis. Il contenuto delle segnalazioni è definito dalla UIF con proprie istruzioni ai sensi dell’articolo 6, comma 6, lettera e-bis). 2. Al fine di agevolare l’individuazione delle operazioni sospette, su proposta della UIF sono emanati e periodicamente aggiornati indicatori di anomalia: a) per i soggetti indicati nell’articolo 10, comma 2, dalla lettera a) alla lettera d), e lettera f), per gli intermediari finanziari e gli altri soggetti che svolgono attività finanziaria di cui all’articolo 11 e per i soggetti indicati all’articolo 13, comma 1, lettera a), ancorché contemporaneamente iscritti al registro dei revisori, con provvedimento della Banca d’Italia; b) per i professionisti di cui all’articolo 12 e per i revisori contabili indicati all’articolo 13, comma 1, lettera b), con decreto del Ministro della giustizia, sentiti gli ordini professionali; c) per i soggetti indicati nell’articolo 10, comma 2, lettere e) e g), e per quelli indicati nell’articolo 14 con decreto del Ministro dell’interno. 3. Gli indicatori di anomalia elaborati ai sensi del comma 2 sono sottoposti prima della loro emanazione al Comitato di sicurezza finanziaria per assicurarne il coordinamento. 4. Le segnalazioni sono effettuate senza ritardo, ove possibile prima di eseguire l’operazione, appena il soggetto tenuto alla segnalazione viene a conoscenza degli elementi di sospetto. 5. I soggetti tenuti all’obbligo di segnalazione si astengono dal compiere l’operazione finché non hanno effettuato la segnalazione, tranne che detta astensione non sia possibile tenuto conto della normale operatività, o possa ostacolare le indagini. 6. Le segnalazioni di operazioni sospette effettuate ai sensi e per gli effetti del presente capo, non costituiscono violazione degli obblighi di segretezza, del segreto professionale o di eventuali restrizioni alla comunicazione di informazioni imposte in sede contrattuale o da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative e, se poste in essere per le finalità ivi previste e in buona fede, non comportano responsabilità di alcun tipo.


Questa norma va analizzata partitamente, ma non tanto perché vi sia bisogno – anche se non è peregrino pensarlo – di chiarire ulteriormente i confini giuridici di un obbligo ormai risalente, bensì per comprenderne anche la ratio economica di tutela dell’integrità del mercato.
Onestamente va però anticipato da chi scrive che l’epistemologia giuridica condurrà automaticamente allo scopo appena esplicitato.
Innanzitutto, dal comma 1, tutti i soggetti obbligati dalla normativa antiriciclaggio (5) debbono “inviare” alla UIF una SOS in determinate condizioni che ora esamineremo.
L’invio presuppone un mezzo/strumento atto allo scopo, e la UIF lo rende disponibile, in una nuova modalità, sostanzialmente consistente in un flusso telematico diretto. La modalità de qua risulta quindi tipizzata, alla stregua di tutte le comunicazioni di vigilanza (6) da e verso la Banca d’Italia e le Autorità di settore (7) .
Il problema maggiore è il “quando” scatta la SOS.
La norma non concorre a fare chiarezza, rispetto alla previsione precedente. Quest’ultima parlava di operazioni che “inducano a ritenere” che le fonti di alimentazione fossero illecite -cfr. art. 3 della legge n. 197/1991 (8) .
Oggi il sospetto si “qualifica”, con una mutazione (che è anche genetica) della proposizione dell’obbligo di SOS: vi si dovrà infatti ricorrere quando si “sa, si sospetta ovvero si hanno ragionevoli motivi per sospettare” che “siano in corso o che siano state compiute o tentate” operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo.
La formulazione del testo è evidentemente imprecisa, oltre che fuorviante, per una serie di ragioni, che si tenterà di enucleare qui di seguito.
Il “sapere” che dietro ad un’operazione bancaria, finanziaria, immobiliare o commerciale si celi l’utilizzo di denaro proveniente da un qualsiasi delitto non colposo (9) equivale a denunciare il fatto alle Autorità di polizia, non ad effettuarne una mera segnalazione di vigilanza (10) .
Per quanto si voglia ricondurre al verbo “sapere” un significato più blando e meno pregnante, soprattutto ai fini che qui rilevano, esso evoca maggiormente quelle formule di cui agli articoli 330 e 331 del Codice di procedura penale. Nel primo si fa riferimento alle notizie di reato che il pubblico ministero e la polizia giudiziaria “prendono di propria iniziativa” ovvero “ricevono” nei modi ivi enumerati (11) . Nel secondo si tratta della nota “denuncia da parte di pubblici ufficiali ed incaricati di pubblico servizio” che hanno notizia di un reato nell’esercizio delle loro funzioni. Essa è da farsi, addirittura (e per quanto qui conferisce) anche nei casi in cui “non sia individuata la persona alla quale il reato è stato attribuito” (cfr. comma 1) (12) . Ciò ovviamente non può mai essere ontologico alla SOS! Sia perché essa – come anticipato – riguarda rapporti ed operazioni (13) , sia perché è richiesta a soggetti che non sono pubblici ufficiali.
Se poi andiamo avanti sugli obblighi di denuncia di notitiae criminis, essi gravano anche su privati cittadini (art. 333 c.p.p.) che ne abbiano conoscenza.
Mentre appare di tutta evidenza che un’anomalia nel comportamento di un cliente, che anche si traduca in sospetto sulla sua reale attività, non possa concretizzarsi in denuncia di reato (14) , non così chiaro potrebbe essere per tutti ciò che la Banca d’Italia ha recentemente ribadito nelle sue “Istruzioni per la segnalazione di operazioni sospette”, pubblicate nella GU n. 230 del 1° ottobre 2010 (delibera 616 del 24 agosto 2010).
Nel documento, all’art. 7 comma 1, si afferma testualmente che:

“la segnalazione di operazione sospetta è un atto distinto dalla denuncia di fatti penalmente rilevanti. La segnalazione va effettuata indipendentemente dall’eventuale denuncia all’autorità giudiziaria”.

Tutto ciò è sempre stato, peraltro, ma l’Authority lo ha qui evidenziato in maniera più netta, dato che la circostanza aveva dato luogo a molteplici equivoci (15) .
Quanto alla nozione di “sospetto”, arricchitasi anche della declinazione alternativa del possesso di “ragionevoli dubbi per sospettare”, lo spazio di trattazione sarebbe ancora più ampio. Per questo, ma soprattutto per non sfociare nel metagiuridico, la qual cosa potrebbe verosimilmente esulare dallo spirito di questo scritto, ci si deve limitare alla dimostrazione dell’evanescenza della formula adottata dal legislatore, ma qui con colpa lieve. Sì, perché se non altro il nomen iuris assegnato alla comunicazione in parola è proprio quello di segnalazione di operazioni “sospette”, storicamente riveniente dalle citate direttive europee. Ma, soprattutto, perché il sospetto nasconde (rectius: sottende) una valutazione soggettiva del segnalante, inerente non solo gli aspetti per lui evidenti dell’operazione, bensì una sistematica considerazione di elementi soggettivi ed oggettivi previsti dallo stesso articolo in commento.
Esso, al primo comma, riferisce (16) il sospetto de quo alle “caratteristiche, entità, natura dell’operazione od a qualsivoglia altra circostanza conosciuta in ragione delle funzioni esercitate”, tenuto conto altresì della “capacità economica e dell’attività svolta dal soggetto cui è riferita”. Ma sono i “ragionevoli dubbi per sospettare” ad ingenerare più di qualche perplessità sulla configurazione logica dell’obbligo segnalatorio da parte del soggetto onerato.
Senza attardarsi in costruzioni legate alla nostra lingua, basterebbe pensare – a nostro avviso – che non è certamente diversificante avere un sospetto ovvero un dubbio di averlo! Proprio perché questo sospetto non è “qualificato” da un’attività di indagine giudiziaria, ovvero di posizione all’interno dell’azienda segnalante.


Segue: il “fattore C”

La formula recentemente aggiunta al comma 1 suddetto merita un suo spazio.
Parliamo della “fonte di sospetto” costituita dai movimenti in contanti pari o sopra i 15000 euro, così come introdotta dalla legge n. 122/2010 di conversione del d.l. 78/2010 (17) .
Anche se la Circolare del Dipartimento del Tesoro del Mef (18) ha fornito qualche chiarimento sui contenuti del periodo integrativo dell’art. 1, sono d’obbligo talune (critiche) precisazioni.
Intanto, in punta di diritto, la collocazione sistematica. Da sempre gli indicatori di anomalia vengono forniti dalla Banca d’Italia, non dal legislatore, poiché si parte dall’assunto che quest’ultima conosca, mediante la UIF, le fattispecie più ricorrenti da sottoporre a verifica ed esemplificazione. Ne è la riprova l’art. 6, comma 7, lettera b) del decreto 231/2007, il quale assegna all’Unità l’elaborazione e diffusione di “modelli e schemi di comportamenti anomali sul piano economico-finanziario riferibili a possibili attività di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo”.
Ma più seria si fa la trattazione se si guarda meglio al lessico utilizzato ed al contenuto (precettivo?) del “pensiero” dell’estensore.
Innanzitutto, l’uso frequente di contante non può costituire, secundum legem, un elemento di “sospetto”, semmai di “anomalia”. Gli indicatori di cui sopra sono infatti raccomandati da Bankitalia, non obbligati come elementi di “automatismo segnalatorio”! Il termine è quindi errato giuridicamente prima che logicamente. Infatti, la logica vuole che non si possa ritenere (nemmeno) anomalo l’uso frequente (ingiustificato sì) di contante, in prelievo e versamento per importi pari o superiori ad euro 15000. Il riferimento quantitativo è innanzitutto incongruente, dato che quello previsto per le limitazioni all’utilizzo di contanti e titoli al portatore è di 5000 euro, mentre 15000 è quello per le registrazioni di operazioni nell’Archivio unico informatico (19) .
Questa norma ha prodotto una inutile quanto dannosa proliferazione di segnalazioni alla UIF, per il semplice “prelievo” ovvero “versamento” di contante. Dopo l’interpretazione del Mef, ci si augura che tale evenienza non abbia a ripetersi.
È evidente che l’utilizzo di contanti è critico e sintomatico di per sé, ma quando non giustificato nel concreto, e spesso a prescindere dagli importi (20) , dato che il vero riciclatore fraziona con abilità ed ormai, tranne che in alcuni casi quasi “tipizzati” (21) , non utilizza moneta.
Siamo un Paese che utilizza ancora molto il contante, è vero; ma non per questo più esposti a rischio riciclaggio di altri (22) .
La Banca d’Italia, nel documento più volte citato, dedica una apposita sezione alle anomalie del contante, di per sé stesse, però, non valide nell’ottica della norma sopra censurata.
Trattasi del punto 9) delle esemplificazioni de quibus, peraltro intitolato “utilizzo ripetuto e ingiustificato di denaro contante, specie se per importi rilevanti o qualora implichi il ricorso a banconote di elevato taglio”.
Come ogni altra “famiglia” di indicatori, anche questo si articola in “sub-indici”, laddove, rispetto alla versione precedente del Decalogo del 2001, spicca il riferimento ad una operatività che si è rivelata sempre più frequente in questi ultimi anni: l’utilizzo del contante medesimo per i saldi delle carte di credito (23) .
Così come sono diventati anomali i frequenti versamenti di contante accompagnati da altrettanto frequenti prelievi attraverso bancomat o utilizzi di POS, soprattutto se nella stessa giornata.
L’utilizzo e l’utilità delle SOS

Nel suo ultimo bollettino semestrale, la UIF ci fa sapere che le SOS hanno, al 31 dicembre 2010, raggiunto le 37.321 unità (37.047 per riciclaggio e 274 di finanziamento al terrorismo), di cui 26.758 trasmesse agli organi investigativi (24) .
Dagli enti creditizi derivano il 71,17% delle SOS, dalle Poste il 7,71%. Scarso l’apporto degli altri soggetti obbligati (assicurazioni, sim, fiduciarie, liberi professionisti).
Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna e Lazio spiccano per il numero più alto di SOS, e per giustificare tale dato basta semplicemente guardare alle cronache recenti ed alle Relazioni degli organi investigativi (25) .
Per quanto riguarda il finanziamento del terrorismo, le segnalazioni hanno per lo più riguardato entità fisiche o giuridiche, nell’ordine, di nazionalità pakistana, egiziana e degli altri paesi mediorientali; non trascurabili sono quelle a carico di italiani (circa un terzo del totale).
Sono diventate notizie di reato, 125 segnalazioni esaminate dagli investigatori.
Nel 2009, le persone denunciate sono state 1166, di cui 176 tratte in arresto per riciclaggio, con relativi sequestri patrimoniali per 302 milioni di euro (26) .
Potrebbero sembrare numeri modesti, soprattutto se i procedimenti penali sono stati, poi, ulteriormente defalcati; i volumi di patrimoni sequestrati alla criminalità organizzata, cui le SOS hanno fornito un contributo magari non definitivo, ma coessenziale, sono stati ingenti. Inoltre, le altre SOS non sono state “cestinate”, ma sono servite ad evidenziare fattispecie di violazioni amministrative, quando non penali, ad esempio per evasione fiscale.
Con un effetto di “spiazzamento” dell’economia criminale, che non pare in ogni caso trascurabile.

Per approfondimenti l’autore suggerisce...

- JOURNAL OF MONEY LAUNDERING CONTROL:
How effective are suspicious transaction reporting systems?, D. Chikin, Vol.12, 2009
Fighting financial crime in the age of electronic money: opportunities and limitations, G. Merlonghi, Vol.13, 2010
A typological study on money laundering, He Ping, Vol.13, 2010

-Brevi note sull’ampliamento dell’obbligo di segnalazioni di operazioni sospetteAutore: L. Criscuolo in Scritti in onore di F. Capriglione, Tomo I, 2010



(1) In questa Rivista, n. 2/2010, pag. 57 e ss..
(2) Per i dati aggiornati, si rinvia per brevità alla Relazione dell’UIF per il secondo semestre 2010, disponibile sul sito Internet della Banca d’Italia.
(3) Per una ricostruzione dei provvedimenti de quibus ci si consenta di rinviare al nostro “La regolamentazione antiriciclaggio in Italia”, Giappichelli editore, 2011, cap. 2.
(4) È bene ricordare che ci si riferisce ad “operazioni”, con tutti gli eventuali “rapporti” cui esse ineriscono, ma non a “clienti”, anche se ciò vale per l’antiriciclaggio ma non per il finanziamento del terrorismo, laddove l'attenzione è focalizzata sui nominativi presenti nelle liste che il Gafi aggiorna periodicamente sul suo sito Internet. È pur vero che immediatamente successiva all'individuazione del nome sulla lista rimane la valutazione concreta dell'operatore, il quale dovrà pur tener conto della tipologia di operazione posta in essere (ovvero della richiesta di costui). È ancora dubbio se detto operatore possa poi non effettuare la segnalazione se il cliente in questione compia solo un'operazione, magari di modesta entità (es. pagamento di una Rid o di una bolletta telefonica, come in un caso è avvenuto). A nostro sommesso avviso, la semplice indicazione in elenchi non obbliga alla segnalazione se non sussistono gli altri presupposti, di cui ampiamente in questo articolo.
(5) Rinviamo da ultimo al nostro Commentario alle nuove norme contro il riciclaggio, Cedam, Padova, 2010.
(6) Ciò è tanto più vero se si pone mente, a contrariis, alla sentenza della Cass. pen. Sez. VI, 24 ottobre 2005, n. 44234, secondo la quale “l’omessa segnalazione all’Ufficio italiano cambi (Uic) di un’operazione sospetta da parte del responsabile di un istituto bancario, punita quale illecito amministrativo dalla legge n. 197 del 1991, non rientra tra le ipotesi di reato di cui all’art. 2638 cod. civ. (ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza). (La Corte ha chiarito che tale ultima norma tutela la funzione amministrativa di vigilanza “tipica” attribuita alle autorità pubbliche, tra le quali non può farsi rientrare l’Uic, che svolge – in particolare attraverso il sistema delle segnalazioni, ad opera di intermediari finanziari, imprese o liberi professionisti, di operazioni sospette – funzioni di prevenzione e contrasto, sul piano finanziario, del riciclaggio e dell’usura, che non hanno tuttavia ad oggetto immediato il controllo di tali soggetti)”.
(7) Come ampiamente verificabile dai Manuali delle Istruzioni di vigilanza pubblicati sul sito della Banca centrale.
(8) Con nostro commento in La normativa antiriciclaggio in Italia, Giappichelli, Torino, 1999; così come in R. Razzante, Osservazioni sul nuovo regime di segnalazione delle operazioni sospette ai sensi del decreto legislativo 26 maggio 1997, n. 153, in Dir. Ban. Mer. Fin., n. 1/1998.
(9) Così come richiede l’art. 648-bis c.p. per la configurazione del reato di riciclaggio.
(10) Ci piace appellare così la SOS, dato che in effetti, come già anticipato, trattasi di comunicazione all’Autorità di vigilanza e non di polizia.
(11) Agli articoli che seguono, sino al 333. Per un commento alle norme in questione si rinvia, per tutti, al Codice di procedura penale ipertestuale, a cura di A. Gatto, Utet, 2006.
(12) Questa norma ha appassionato il dibattito dottrinale intorno alla figura dei notai, come noto obbligati all’osservanza delle regole antiriciclaggio, che sono per l’appunto pubblici ufficiali (cfr. Cass. Pen., sez. III, n. 6087 del 25 maggio 1994). Per essi, la SOS è assolutamente sgravata dal tenore “pubblicistico” che assume invece la denuncia de qua. Ciò anche se, a dire il vero, la legge minus dixit quam voluit sul punto, stabilendo l’esenzione “processuale” per gli avvocati (ma perché per i notai?) e non meglio precisando alcunché per il notariato (cfr. art. 12, comma 2, del d.lgs. 231/2007). Su tale argomento, amplius, il nostro Antiriciclaggio e libere professioni, in Dir. Econ. Ass., n. 1/2003, p. 141; così come pure R. Razzante, Il ruolo attivo obbligatorio di professionisti e revisori nella lotta al riciclaggio, in Fiscalità Internazionale, luglio-agosto 2010.
(13) Peraltro non ancora perfezionatesi, al contrario dei reati, che sono stati già perpetrati quando li si denuncia; ciò vanifica in radice qualsiasi tentativo di avvicinamento delle fattispecie SOS alle notitiae criminis!
(14) Non appare ultroneo in questa sede rinnovare la definizione di “notizia di reato”, che usualmente è quella di una “informazione, scritta od orale, avente ad oggetto una specifica ipotesi di reato”. Per una trattazione più completa si rimanda al Codice di procedura penale ipertestuale, cit., ed alla corposa bibliografia cui nei commenti si rinvia.
(15) La banca o la compagnia assicurativa che avevano subìto una frode ovvero una truffa, ad esempio su assegni di traenza, sottratti e falsificati, denunciavano la medesima, e non ritenevano – per una presunta “duplicazione” di adempimenti – di inoltrare, in sussistenza dei fatti, la SOS alla UIF. È persino ovvio sottolineare che per aversi SOS gli elementi dovevano essere ulteriori (anomalie oggettive e soggettive dell’operazione di negoziazione di assegni).
(16) Ribadendo senza modifiche quanto fissato anche dalle formulazioni precedenti dell’obbligo di segnalazione, per cui sembrerebbe lecito parlare di “tipizzazione” sui generis delle categorie di elementi da attenzionare, conditi poi dall’analisi delle anomalie enucleate dalla Banca d’Italia nel menzionato documento sugli Indicatori, che sostituisce quello del 12 gennaio 2001 (il c.d. “Decalogo-ter”. Su quest’ultimo ci si consenta di rinviare al nostro Il Decalogo-ter della Banca d’Italia: prime riflessioni, in Dir.Ban.Mer.Fin., n. 2/2001, II, pag. 92 e ss..
(17) Per un commento più puntuale al decreto si veda il nostro Niente segnalazioni automatiche per uso frequente di contanti, Il Sole 24 Ore, 13 ottobre 2010.
(18) Trattasi della nota dell’11 ottobre 2010, di cui al sito Internet del Dicastero.
(19) Per l’Aui si veda ancora il nostro specifico scritto sul numero 2/2010 di questa Rivista. 15.000 euro sono altresì la cifra al di sopra della quale dovrebbe scattare l’adeguata verifica per le operazioni c.d. “occasionali”, e forse questo riferimento sarebbe stato più conferente nel caso di specie. Per un commento all’obbligo de quo si veda R. Razzante, Commentario alle nuove norme contro il riciclaggio, Cedam, 2010.
(20) Un prelievo di cifre basse (anche al di sotto dei mille euro) non può, ad esempio, diventare sospetto quando effettuato settimanalmente e da soggetto che per professione non ha a che fare che con assegni o carte di credito?
(21) L’operazione della Gdf di Firenze del 30 novembre scorso, denominata “Grande Muraglia”, ha sgominato l’ennesimo giro di denaro riciclato tramite l’invio di fondi all’estero attraverso la rete dei c.d. “money transfer”.
(22) L’incidenza maggiore è semmai quella sull’evasione fiscale.
(23) Legittimo è infatti usare una carta, qualora la si abbia e, come noto, dopo apposita istruttoria sulla meritevolezza del credito (plafond) che essa porta, altrettanto potrebbe sembrare, dato che in banca il contante si può versare senza limiti, la ricostituzione della provvista attraverso versamenti , a prescindere – in questo caso – dalla professione svolta dal cliente titolare.
(24) Ciò significa che queste sono state ritenute degne di approfondimento per fumus concreto di reati, anche di riciclaggio. Ne sono state archiviate dai suddetti organi solo 2603, e 13 per finanziamento al terrorismo.
(25) Segnatamente, quelle del Procuratore Nazionale Antimafia, della DIA e della Gdf.
(26) Fonte: relazione del Mef al Parlamento per il 2009, rinvenibile sul sito del Ministero.

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