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GNOSIS 4/2010
Bioterrorismo: un rischio permanente

Emanuela C. DEL RE

Nove anni sono passati dagli attentati perpetrati con l’antrace negli USA nel 2001, a pochi giorni dall’attacco alle torri gemelle, e durati diverse settimane. Denominati dall’FBI “Amerithrax”, gli attentati con antrace diffuso intenzionalmente tramite lettere inviate via sistema postale statunitense causarono la morte di cinque persone, l’infezione di diciassette e la contaminazione di diversi edifici governativi. A nove anni da quegli inquietanti episodi, nel 2010 gli USA si interrogano nuovamente su quanto il paese sia effettivamente preparato a fronteggiare un eventuale attacco di bioterrorismo. Nel gennaio 2010 il Washington Post titolava infatti in proposito: “Gli USA sono impreparati di fronte ad un massiccio attacco di bioterrorismo” (1) . L’articolo si riferiva ai risultati dello studio di una Commissione che aveva presentato un rapporto in cui in seguito alla valutazione della capacità di reazione del governo in 17 aree chiave, a questo veniva dato come voto un F, equivalente a una sonora bocciatura. Si asseriva, inoltre, nel rapporto che il paese non sarebbe in grado di mettere in piedi una forza di reazione rapida capace di affrontare attacchi di bioterrorismo e di fornire una adeguata copertura tramite le agenzie di intelligence e sicurezza. Nel giro di poche ore dalla pubblicazione del rapporto il governo di Obama diffondeva un piano per colmare le lacune nel sistema di difesa della sanità pubblica, presentato poi nel Discorso alla Nazione, che includeva anche un appello all’azione rivolto a vari organi di governo, perché ripensassero le strategie di contromisure mediche e la produzione di massa di medicinali di contrasto. Peraltro, in quei giorni il GAO (Government Accountability Office) degli USA affermava che il National Biosurveillance Integration Center (NBIC) era esso stesso pieno di problemi, definiti eufemisticamente “sfide”, soprattutto di tipo organizzativo ed economico (2) .
L’allarme lanciato dagli USA non esclude l’Europa. Già nel 2006 il quotidiano inglese “The Guardian” titolava “Rivelazione: le leggi lassiste che potrebbero permettere l’assemblaggio del DNA di un virus mortale. È urgente una nuova normativa dato che il “The Guardian” è stato in grado di acquistare parte del genoma del vaiolo per posta” (3) . La sequenza di DNA del vaiolo, così come altri patogeni potenzialmente pericolosi, sono acquistabili online, per cui per assemblare un virus per un terrorista sarebbe sufficiente, secondo il giornalista del “The Guardian”, ordinare parti consecutive del DNA lungo la sequenza e incollarle insieme nell’ordine corretto. Naturalmente acquistare sequenze di DNA di patogeni può essere fatto allo scopo legittimo di creare cure o vaccini contro quegli stessi patogeni, tuttavia, sostiene ancora il giornalista del “The Guardian”, le leggi lassiste della Gran Bretagna permettono che le industrie attive in questo campo relativamente nuovo e regolato da normativa inadeguata, possano vendere confezioni su richiesta di DNA senza fare controlli sulle identità degli acquirenti. Non a caso il giornalista aveva acquistato con facilità un campione di DNA di patogeno, chiedendo però nell’ordine che vi fossero apportate tre modifiche per renderlo inoffensivo. La società che lo aveva inviato ha dichiarato in seguito che non era a conoscenza del fatto che il materiale inviato fosse una sequenza di DNA modificato di vaiolo. Le modifiche nel DNA erano state chieste dal Guardian per evitare di violare la legge britannica anti-terrorismo del 2001 che identifica gli agenti patogeni fuori-legge, e anche perché, rivela il giornalista, esiste un sistema di controllo chiamato blackwatch che individua ordini dubbi, rilevando sequenze di lettere di DNA sospetti.
Ad aumentare l’allarme mediatico vi sono poi casi particolari, curiosi. Due sono gli strani incidenti avvenuti tra i drogati di eroina in Scozia e Germania. In Scozia sembra che a circa 24 eroinomani sia stata diagnosticata una infezione da antrace, e di questi 12 sarebbero morti. Almeno un caso simile è stato riportato in Germania. Come interpretare questi episodi? Eminenti esperti (4) si sono interrogati sulla questione asserendo che poiché è difficile che la droga possa essere stata tagliata con antrace, molto più probabilmente sarebbe stata esposta a tale sostanza durante la produzione, forse in una zona in cui l’antrace è endemica. Ma allora, se la concentrazione della sostanza nella droga è tanto alta da risultare letale, perché non ha contaminato i produttori e gli spacciatori? La riposta starebbe nell’ipotesi di bioterrorismo, che avrebbe colpito gli eroinomani come simbolo più aberrante della decadenza del mondo occidentale, e inoltre, il traffico illegale di stupefacenti avrebbe diminuito la possibilità di intercettazione da parte delle forze dell’ordine, permettendo che la sostanza raggiungesse “facilmente” ampi centri abitati. I fatti, riportati nel 2010, sollevano, come peraltro fanno gli studiosi che riportano il caso, la questione del rischio costante e della difficoltà di prepararsi all’evento.
E poi, Al Qaeda ha affermato chiaramente di avere intenzione di usare armi biologiche….


Nulla di nuovo

Eppure c’è chi sostiene che non si tratti del problema più impellente e più serio. Secondo Leitenberg, dello Strategic Studies Institute dello United States Army War College, i programmi di evoluzione di armi biologiche portati avanti da diversi Stati sono diminuiti negli ultimi venti anni e in altri sono stabili e non risulta che nessuno Stato abbia assistito attori non statali o gruppi terroristici nella realizzazione di armi biologiche. Ancora, l’evoluzione delle capacità di produrre armi biologiche da parte di attori non statali e terroristi non è facilmente valutabile. Varia molto, come dimostrano i casi noti, come ad esempio Aum Shinrikyo che non riuscì ad ottenere, produrre e diffondere antrace e botulino, e Al Qaeda che invece era sicuramente molto più avanti nella possibilità di produrre armi biologiche di quanto gli USA non avessero percepito nel 2001 prima dell’occupazione dell’Afghanistan, anche se oggi si dice non sia riuscita a lavorare con i patogeni (ma forse questa valutazione potrebbe cambiare).
Da più parti si sostiene provocatoriamente che proprio il gran parlare di bioterrorismo abbia suggerito ai potenziali terroristi cosa fare, e cioè, ad esempio, usare agenti patogeni classici, senza DNA modificato. Tuttavia, realizzare tali patogeni è estremamente difficile e molto improbabile che veri terroristi siano in grado di farlo se non ricorrendo a esperti del settore. Per questo è chiaro che la minaccia è stata deliberatamente esagerata, soprattutto a causa della coincidenza tra 11 Settembre e attacchi di antrace nel 2001, che ha comportato un’enorme quantità di eventi, investimenti, programmi, conferenze e altro che ad essi sono seguiti. Una simile critica è stata mossa anche in Europa da studiosi che sottolineano che l’interazione tra gli esperti di politica ed altri attori influenza la definizione delle priorità a livello politico anche nel campo della sicurezza, in qualche caso esagerando: senza un ‘demos’ pubblico, uno spazio politico veramente europeo e media veramente pan-europei, il cosiddetto agenda setting e conseguente definizione di strategie a livello UE sembra riflettere le percezioni di una élite, più che esprimere una vera ambizione comune (5) .
Tornando a Leitenberg, egli conclude con una serie di raccomandazioni in cui appare evidente l’accusa di eccesso di spesa di denaro pubblico per la biodifesa (30 miliardi di USD in quattro anni) in proporzione a una minaccia non correttamente valutata. Ma la dimensione economica è seria anche in caso contrario, perché è stato calcolato che l’impatto di un eventuale attacco sarebbe pari a circa 26.2 miliardi di USD ogni 100.000 persone esposte, senza parlare dei costi per la decontaminazione (nel 2001 dopo l’attacco di antrace al palazzo del Senato a Washington si spesero circa 23 milioni di USD).


Consapevolezza del rischio

Riprendendo il tema della preparazione e della valutazione del rischio effettivo, ancora una volta facciamo ricorso a dati statunitensi, secondo cui è un problema proprio il metodo seguito per prepararsi a eventuali attacchi: non solo mancano i fondi, ma il personale non è adeguatamente preparato in tutti i campi, da quello sanitario a quello della comunicazione (6) .
Da una parte all’altra dell’Atlantico, la consapevolezza della vulnerabilità è aumentata, e sono state elaborate ulteriori strategie di contrasto, interrogandosi sul concetto di bio-sicurezza. Le nuove sfide sono infatti, così come le identifica l’FBI, principalmente costituite dagli avanzamenti tecnologici, e dagli organismi viventi che si trovano nell’ambiente, e dalla necessità assoluta di superare le percezioni e i pregiudizi tra le forze dell’ordine e la comunità scientifica, che rappresentano culture molto diverse anche nel modo di concepire la sicurezza. Un concetto molto importante quest’ultimo. Non a caso infatti, queste sollecitazioni sulla necessità di costante allarme, qui riportate solo brevemente per necessità di sintesi, possono suscitare perplessità e sospetto.
Jane Burgermeister, una giornalista scientifica, ha depositato nel 2009 presso l’FBI una denuncia contro le Nazioni Unite, l’Organizzazione Mondiale della Sanità e varie società farmaceutiche accusandole di aver deliberatamente creato il virus H1N1 (l’influenza suina) in laboratorio e di averlo diffuso con intenzioni malevole per profitto (7) .
Intanto nell’Aprile 2010 è arrivato un nuovo allarme: un attacco di bioterrorismo è inevitabile, avverte un esperto (8) . L’esperto è il noto epidemiologo Peter Katona, che come lasso temporale parla dei prossimi dieci anni, e sottolinea che un attacco di bioterrorismo ben organizzato potrebbe produrre una pandemia globale, con effetti rovinosi ad ampio spettro, dalle perdite di vite umane, allo stato di paura, al crollo dell’economia, impatto sulle relazioni internazionali, cambiamento climatico globale e molto altro. Ma è una storia che si ripete ciclicamente, perché già nel 2003 il Financial Times riportava le parole del segretario per la sanità pubblica statunitense Tommy Thompson che affermava “Ci sarà un attacco. Che sia in Europa occidentale, negli USA, in Africa, Asia o ovunque, ci sarà un attacco, e l’unica cosa che possiamo fare è prepararci” (9) . L’allarme veniva a seguito di numerosi arresti in Gran Bretagna, Francia, Spagna e Italia e la scoperta di tentativi di terroristi di creare il veleno mortale “ricina” (10) che rendevano e rendono la questione più impellente, e il coordinamento tra i paesi necessario (11) .
La vulnerabilità, di cui sembra ci si sia accorti veramente solo dopo l’11 Settembre, per quanto di attacchi di bioterrorismo ve ne siano stati molti nella storia, è ampia. Un tipo di target sicuramente semplice è il cibo, perché è facilmente accessibile ovunque. L’attacco può avvenire in piccole aree come ristoranti o bar o in altre zone di refezione e sarebbe secondo gli esperti impossibile da preveni re (12) . Un attacco su larga scala è altrettanto temibile, e avverrebbe tramite la dispersione di patogeni su colture e bestiame, causando enormi danni di tipo economico, ma anche sociale e politico. Una recente ricerca statunitense in merito sintetizzava i maggiori problemi di decontaminazione dopo un grande attacco in questi punti (13) : normativa e responsabilità non sono chiare a livello federale; la ricerca non è coordinata tra le agenzie federali e i finanziamenti sono esigui; mancano risorse e metodi adeguati per il campionamento, i test e le analisi; vi sono questioni scientifiche e tecniche irrisolte; il personale addestrato è insufficiente; non vi sono sufficienti direttive per i proprietari di immobili in merito a come prevenire e come reagire ad un attacco.


Prepararsi

Siamo consapevoli del rischio? Nel settembre 2009 è stata condotta a Varsavia la terza edizione di un’esercitazione ospitata dalla INTERPOL Bioterrorism Unit (14) nell’ambito del Bioterrorism Prevention Program cui hanno preso parte esponenti delle Forze dell’ordine, professionisti della sanità pubblica di sei paesi dell’Europa centrale e orientale ed esperti di organizzazioni internazionali. L’esercitazione partiva da uno scenario ipotetico che immaginava che vi fosse stato un attacco di bioterroristi che avevano diffuso una epidemia nei loro paesi, che ispirava poi le reazioni politiche e strategiche.
Di esercitazioni se ne fanno molte. A Baltimora nel 2005 il Center for Biosecurity del Centro medico dell’Università di Pittsburgh, Center for Transatlantic Relations della Johns Hopkins University, e la Transatlantic Biosecurity Network hanno organizzato Atlantic-Storm, una simulazione di attacchi di vaiolo in varie città (Istanbul, Francoforte e Rotterdam) seguiti da attacchi negli USA. In questo caso la simulazione si concentrava sulla reazione dei leaders mondiali, i quali dovevano discutere della disponibilità di vaccini nei loro paesi e altro (15) . Purtroppo, è stato commentato in seguito, l’esercitazione ha dimostrato che nessuna organizzazione internazionale, incluse NATO, Nazioni Unite o Unione Europea, ha dimostrato di essere in grado di affrontare le sfide poste da un attacco che si sviluppi simultaneamente in varie nazioni (16) .
L’Europa una risposta in questo senso l’ha data nel 2003 quando la Commissione Europea ha pubblicato un documento che descrive quali passi ha mosso la Commissione nell’elaborazione di strategie di contrasto al bioterrorismo. Dal 2002 vi è ad esempio il Ras-Bichat, un programma di cooperazione su preparazione e risposta ad attacchi di bioterrorismo: è una sorta di sistema di allarme collegato con sistemi di allarme legati alla sicurezza animale e alimentare e con i sistemi di allarme della Organizzazione Mondiale della Sanità e al sistema centrale di coordinamento in caso di crisi Argus, che permette alla Commissione di sapere se vi sono emergenze nei paesi dell’UE, compresi attacchi terroristici o epidemie. Ancora, lo European Centre for Disease Control and Prevention (ECDC), creato nel 2004 e divenuto operativo nel 2005, ha il compito di sorveglianza per quanto riguarda malattie e preparazione in caso di pandemie a seguito di attacchi di bioterrorismo.
Dai falliti attentati di Londra del 2005, quando l’intelligence rivelò che alcuni esplosivi liquidi stavano per essere usati su aerei diretti negli USA, è stato elaborato dalla Commissione un libro verde sulla bio-preparazione invitando gli attori interessati a fornire suggerimenti su come aumentare lo stato di preparazione e ridurre i rischi. Tuttavia, molti sostengono che il sistema di sorveglianza europeo non sia ancora integrato così come il sistema sanitario, e che il livello di preparazione nel caso di attacco di bioterrorismo sia scarso. La creazione dell’ECDC europeo ha costituito un significativo passo avanti, ma la preparazione avviene più sul piano nazionale che non sul piano dell’UE, in quanto non vi sono mandati europei che impongono ai paesi membri di stoccare vaccini e sostanze antivirali e non è stata istituita una risorsa di risposta alle emergenze a livello EU. Solo nove paesi, ad esempio, hanno un piano anti-bioterrorismo accessibile on-line, e anche se i piani non sono onnicomprensivi ma riguardano per lo più la minaccia di vaiolo. Molti paesi non sono attrezzati per contrastare l’antrace o agenti dello stesso livello di pericolosità. Per non parlare poi della sicurezza delle frontiere, un aspetto molto importante nell’UE, soprattutto nel sistema Schengen che nel caso del bioterrorismo può diventare un vantaggio per la penetrabilità, e va adeguatamente predisposto al contrasto (17) .
Va detto che esiste un piano di sicurezza sanitaria (Health Security Programme) a livello europeo che prevede venticinque azioni raggruppate in quattro obiettivi (18) , e inoltre è stata istituita nel 2002 una task force (di cui fa parte anche l’Istituto Superiore di Sanità italiano) allo scopo di mettere in atto il programma di sicurezza sanitaria.
Esiste una rete di comunicazione europea molto ampia, in cui la parola d’ordine è la rapidità in tutti i sensi. Anche l’EMEA, l’agenzia europea per la valutazione dei prodotti medicinali ha elaborato delle linee guida in caso di deliberata diffusione di agenti patogeni (19) . Nel 2001 il Consiglio dei Ministri della Sanità dell’EU ha creato un Comitato informale per la sicurezza sanitaria (HSC) presieduto dalla Commissione, che ha elaborato programmi pluriennali. Il programma sanitario 2007-2013 prevede anche il finanziamento di progetti per la sicurezza sanitaria. Inoltre, il consiglio Giustizia e Affari Interni nel 2007 ha approvato le conclusioni su “come affrontare i rischi chimici, biologici, radiologici e nucleari e la bio-preparazione”, e nel 2009 ha diffuso una comunicazione sul rafforzamento della sicurezza chimica, biologica, radiologica e nucleare nell’UE, accompagnata da un piano d’azione nell’ambito della prevenzione, della risposta e della individuazione. Sono stati anche approvati finanziamenti per 100 milioni di Euro. Il piano triennale 2009-2011 della Commissione Europea è incentrato sulla lotta al terrorismo dal punto di vista anche del traffico e della proliferazione delle armi di distruzione di massa. Questo programma prevede di individuare i legami tra terrorismo e criminalità organizzata anche nei traffici di materiali CBRN, e può attingere ad un budget di 225 milioni di Euro, intendendo coprire tutte le aree previste dalla Strategia di Sicurezza Europea. L’UE coordina a livello globale iniziative come il centro di monitoraggio delle armi di distruzione di massa del Consiglio Europeo (WMD-MC) (20) .
Molto ancora si potrebbe dire, ma concludiamo dicendo che per far fronte alle sfide poste ai sistemi di sicurezza sia in Europa sia negli USA come il bioterrorismo, è necessario che dalle due parti dell’Atlantico si riconosca l’interdipendenza, dovute ad esempio a spill over, con effetti sulla libertà di movimento e sui mercati interni (21) .
Intanto nel mondo del cinema, specchio ormai degli orientamenti sociali, ci si interroga se la gente abbia ancora voglia di farsi sconvolgere da film del genere horror/fantascienza - che pure sono andati molto di moda - in cui l’ansia veniva suscitata proprio da attacchi di germi da altri pianeti o da pandemie apparentemente in arginabili. Uno fra tutti “Outbreak” di Wolfgang Petersen (1995) che vedeva scienziati di altissimo livello alle prese con la “fuga” di un virus simile alla peste.
Molto è cambiato dai tempi di Godzilla il mostro che personificava il potere atomico di distruzione. Quello che affascina oggi è piuttosto l’elusività del rischio. Pur essendo il rischio che deriva dal bioterrorismo emblematicamente elusivo, mentre imperversa il dottor House (epidemiologo, ma alle prese con casi individuali), la serie televisiva della NBC Medical Investigation creata nel 2004, in cui un’equipe di medici si trovava a fronteggiare casi di epidemie complessi (e sensazionali) per sconfiggerli, non ha avuto sufficienti ascolti ed è stata cancellata. Alcuni sostengono che le trame fossero troppo inverosimili.
Una cosa va quindi aggiunta alla lista dei punti fondamentali della strategia di contrasto al bioterrorismo: un lavoro di diffusione della consapevolezza del rischio, lavorando sull’immaginario collettivo e sulle paure che da esso derivano, spesso sottovalutate sia quando sono eccessive, sia quando sono troppo superficiali.



(1) J. Warrick, A. E. Kornblut, U.S. is unprepared for major bioterrorism attack, commission finds, in: The Washington Post, 27 gennaio 2010; M. Stern, A. Piore, Are We Safer Since 9/11? A Special Report Investigates. Seven years after 9/11, a deadly anthrax attack, and billions of dollars spent on homeland security, experts say we may be more vulnerable than ever to bioterrorism. A special report., in: www.rd.com (accesso: dicembre 2010).
(2) Agencies fail to collaborate to thwart bioterrorism attacks, 6 Gennaio 2010, http://www.unbossed.com/ index.php?itemid=2788 (accesso: dicembre 2010).
(3) James Randerson, “Revealed: the lax laws that could allow assembly of deadly virus DNA. Urgent calls for regulation after Guardian buys part of smallpox genome through mail order”, in: The Guardian, 14 Giugno 2006, in: http://www.guardian.co.uk/world/2006/jun/14/terrorism.topstories3 (accesso: dicembre 2010).
(4) D.A. Donahue, Anthrax bioterror in Europe¸ 31 Marzo 2010, in: www.washingtontimes.com (accesso: dicembre 2010).
(5) S. Princen, M. Rhinard, “Crashing and Creeping: Agenda Setting Dynamics in the European Union”, in: Journal of European Public Policy, Vol. 13, N. 7, Settembre 2006, pp. 1119-1132.
(6) Nancy Khardori, Bioterrorism and Bioterrorism Preparedness: Historical Perspective and Overview, in: Infectuos Disease Clinic of North America, n. 20, 2006, pp.179–211.
(7) Il caso è consultabile sul sito di Jane Burgermeister: www.theflucase.com (accesso: dicembre 2010).
(8) “Bioterrorism attacks inveitable, expert warns”, 28 Aprile 2010, in: www.students.hw.com (accesso: dicembre 2010).
(9) “US warns that bioterror attack is inevitable”, Brian Groom in Davos in: Financial Times, Jan. 26, 2003 in: www.ft.com (accesso: dicembre 2010).
(10) Terror police find deadly poison, 7 Gennaio 2003 in: www.bbc.co.uk (accesso: dicembre 2010);
(11) “US warns that bioterror attack is inevitable”, Brian Groom in Davos in: Financial Times, Jan. 26, 2003 in: www.ft.com (accesso: dicembre 2010).
(12) M. Brandolino, Agricultural Bioterrorism, 11 Novembre 2010, in: www.suite101.com (accesso: dicembre 2010).
(13) C. Franco,N. Bouri, “Environmental Decontamination following a large-scale bioterrorism attack: federal progress and remaining gaps”, in: Biosecurity and Bioterrorism: Biodefense Strategy, Practice, and Science, Volume 8, N. 2, 2010, pp. 107-117.
(14) International Bioterrorism Tabletop Exercise, in: www.interpol.int (accesso: dicembre 2010).
(15) Exercise illuminates Transatlantic Leader’s Reactions to Bioterror Attack , in: www.atlantic-storm.org (accesso: dicembre 2010)
(16) Nancy Khardori, op. cit., pp.182
(17) A. Tegnell, P. Bossi, A. Baka, F. Van Loock, J. Hendriks, S. Wallyn, “The European commission’s task force on bioterrorism”, in: Emerging Infectual Diseases, 2003 in: www.cdc.gov (accesso: dicembre 2010).
(18) Cfr.: Health Security in the European Union and Internationally, Brussels, 23.11.2009, SEC(2009) 1622 final, in: http://ec.europa.eu/health/preparedness_response/docs/commission_staff_healthsecurity_en.pdf (accesso: dicembre 2010).
(19) Cfr.: http://www.emea.eu.int/index/indexh1.htm (accesso: dicembre 2010).
(20) Cfr.: Health Security in the European Union and Internationally, Brussels, 23.11.2009, SEC (2009) 1622 final, in: http://ec.europa.eu/health/preparedness_response/docs/commission_staff_healthsecurity_en.pdf (accesso: dicembre 2010).
(21) B. Sundelius, J. Grönvall, “Strategic Dilemmas of Biosecurity in the European Union”, in: Biosecurity and Bioterrorism: Biodefense Strategy, Practice, and Science, January 2004, 2(1), pp.17-23.

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