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GNOSIS 4/2010
LA CRONOLOGIA

UN RACCONTO

All'ombra dei Palici e delle zagare


articolo redazionale

(1) Scilla e Cariddi sono fauci assetate di naufragi e di incubi che sembrano custodire della Sicilia l’antica sicumera… la magia unica di un irripetibile Eden.
Sono il simbolo dell’isolanità della Trinacria…
Più a sud, all’ombra dell’Etna, altra mitologia assiste un quotidiano umido di scirocco: nella vallata distesa verso la costa meridionale – nota come “la Piana”- tra le zolle arse s’aprono occhi lacustri che specchiano le profondità del cielo in quelle degli Inferi.


Veduta di Palagonia ( Foto da www.postecode.php?code)
 
I Palici, per i sicilioti pre greci, erano figli del dio Adrano e della ninfa Etna. Dalle acque sulfuree di quelle gemelle sorgenti che si perdevano nel lago Naftia emergevano verità inconfessate, arcaiche, sacre… nel vicino santuario le genti dedicavano agli dei il loro giuramento e si affidavano, in caso di spergiuro, alla divina furia vindice che dei traditori strappava gli occhi o ne riduceva i corpi in cenere.
Da quelle terre trae origine Palagonia, polveroso paese ai margini della strada che scorre veloce come una ferita tra Catania, Caltagirone e Gela.
Gente operosa, aranceti preziosi di zagara e fiori colorati…
Snodo, anche, di strade e abbracci scuri di morte e di mafia tra il nisseno e l’etneo.
In questa terra antica che intreccia antiche rocche, da Borgo Lupo a Mineo sino a Ramacca, la gente s’affaccia ancora sui bagli di pietra e inventa li cunti, mescendo verità e menzogne con lo stesso agrodolce delle caponate delle vecchie generazioni.
“Iddu, è stato preso proprio Iddu”
Iddu è Saruzzo, uno dei principali boss della Piana, di quei Paesi che fanno da corolla ai Palici, il traghettatore della mafia degli aranceti e degli ovili a quella delle imprese…
“Mica sulu iddu, tutta a cacocciola si futtirunu”.
Ramacca è terra di cacocciole, carciofi appuntiti e magri che mimano l’accoscamento e l’affratellamento… che rallegrano le fiamme dei camini e le braci dei banchetti… Molte le “manciatine”, nel ramacchese, cui i tanti zii Saruzzo sparsi nell’area partecipavano con avidità trimalcionica… dividendosi le cacocciole e le punte doppie e traditrici delle “canne mozze” ... è un evento l’incontro tra boss, ciascuno mette quel po’ di zolla che farà giardino… Così si perpetua il rito del comando nelle povere terre della Piana…
“Iddu, e chiddi che stanno con la cravatta a dirigere i lavori… è l’orchestra… tutta a musica se portarunu.”
Come le cosche del carciofo gli uomini d’onore s’incontrano e si riconoscono, si dividono appalti e prebende, sostengono il loro referente nel gotha mafioso catanese, quello che deve “salire” ai vertici della famiglia, perché altrimenti , se salgono altri, chiddi ci stutano a tutti pari… l’istinto parco della sopravvivenza anima lo spirito del criminale…
E’ lotta per lo spazio vitale, nell’etneo, sono troppi i clan dentro e fuori Cosa Nostra, troppi da mettere d’accordo, da guidare, … ci sono pecure e crastuni… come in ogni gregge…. Tra di loro troppi crasti…
Non puoi, però, combatterli tutti. “Si a ogni cani c’abbaia ci tiri `na petra, non t`arrestunu vrazza”.
Non basterebbero le risorse a disposizione per fronteggiare tutti i potenziali nemici… per questo ci si allea e ci si prepara a tradire…
A Palagonia sono arrivati gli sbirri…
Di notte, come sempre, a mimare il gioco delle ombre…“Mi! A tutti si portaru”.
C’erano i vecchi sacerdoti della mafia locale, venuti da lontano, da Palma di Montechiaro, negli anni 70, a colonizzare un’area vergine, utile a “metterci i latitanti”, come nella contrada ramacchese “Margherito” che servì anche a famosi ricercati palermitani…
Resta poco di quella mafia…
La si vorrebbe oggi diversa… Eppure gli attori sono gli stessi, si perpetuano, si scelgono e si promettono, si versano come veleno nelle imprese locali per togliere loro l’anima e la libertà.
Si incontrano ancora, dicono gli sbirri, nelle masserie di campagna e fanno il verso al vecchio tavolino di Siino che non c’è più… è rimasta, però, la volontà malata di dividersi gli affari tra mafiosi, imprenditori e amministratori collusi, come già “nei giorni della civetta”, come spesso accade o può accadere ancora.
I don Arena di sciasciana memoria sono invecchiati, talvolta parlano, non sempre vengono ascoltati… il futuro è nei Saruzzo, è nell’energetica voglia di sembrare un uomo arrivato…
“Mi, buoni amici ave’ Saruzzo”
Saruzzo aveva fatto crescere pastori e li aveva vestiti da uomini per bene…
Aveva nelle mani anche imprenditori di tanti affari e di troppi compromessi, gente “gradita” che sapeva vincere gli appalti e, anche quando non avrebbe potuto farlo, arrivava a gestire comunque i lavori…
Il potere, nella Piana, è nel polveroso e sciroccoso compromesso che unisce nel sudore del profitto gente di ogni specie… sempre riconoscente a qualcuno o per qualcosa…
“Ave boni amici, Saruzzo”.
“A Pippu, o’ Ercolano, è strittu iddu, cu i’ nittioti di Santapaola…”
Dalla Piana, l’Etna è uno spettro che sfida il tramonto…
Da quella parte guardava spesso Saruzzo e immaginava che la strada statale di Palagonia fosse la continuazione di via Etnea…
Quel filo gli sbirri hanno tagliato…
Già nuovi occhi guardano allo spazio libero, cercando nuove opportunità…
Quando gli sbirri lasciano il campo gli sciacalli s’avvicinano sperando in un posto migliore…
“Che fanno chiddi picciotti?” “Circano scecchi morti pì tiraricci li ferri”.


(1) E'un prodotto di narrazione di fantasia per cui ogni riferimento a fatti, luoghi e/o persone è da intendersi assolutamente casuale.

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