GNOSIS 4/2010
LA CULTURA RECENSIONI Secret Intelligence Service: al servizio di Sua Mestà |
Alain CHARBONNIER |
Un altro archivio si apre, con cautela e soltanto per tempi lontani. L'intelligence inglese, questa volta il MI6, il servizio di spionaggio estero, racconta i suoi primi 40 anni di vita, dal 1909 al 1949. Si è affidato a uno storico, il professore Keith Jeffery, dell'Università di Belfast, che ha avuto a disposizione i documenti segreti del Secret Intelligence Service. Una lettura interessante, per molti versi avvincente, per chi si occupa di intelligence. Per ora si può trovare soltanto nell'edizione inglese. E per una storia vera un romanzo verosimile, scritto da un maestro come Frederick Forsyth. Questa volta si occupa della guerra alla droga, anzi ai cartelli della droga. Un libro che sembra quasi un suggerimento verso drastiche scorciaoie, ma con un avvertimento finale. Un secolo di vita va festeggiato. E così, dopo il MI5 , anche l’MI6 mette le carte in tavola e per ora racconta i suoi primi 40 anni. Quarant’anni che hanno attraversato momenti cruciali nei rapporti internazionali, due guerre mondiali, si sono affacciati sulla Guerra Fredda, con l’intermezzo della rivoluzione bolscevica, le guerre d’Etiopia e di Spagna, la nascita dei movimenti anticolonialisti e l’indipendentismo dell’India, la prima guerra fra arabi e isreaeliani. 832 pagine, sette parti e ventidue capitoli. Sono i numeri del volumone edito in Inghilterra e non ancora tradotto in italia. Un libro che condensa i documenti dell’intelligence britannica, finalmente messi a disposizione degli studiosi, con un scelta accurata, attenta a dire molto e a rivelare poco. Keith Jeffery: “The Secret History of MI6 1909-1949, Bloomsbury, Londra 2010, Professore alla Queen’s University di Belfast, per la prima volta Keith Jeffery ha avuto accesso agli archivi del Secret Intelligence Service (SIS). Ma soltanto per il periodo compreso dalla fondazione, 1909, sino allo scoppiare della Guerra Fredda. Una fase storica per la quale il tempo trascorso sembra ancora troppo breve per rimuovere il segreto e rivelare i doppigiochi, i tradimenti, i trucchi, le operazioni sporche, i sabotaggi per fermare le navi che portavano in Palestina gli ebrei scampati all’Olocausto. “Questi archivi - ha raccontato il professore Keith Jeffery - sono il santo Graal di ogni archivista. Quando sono entrato è stato un po’ come essere un bambino in un negozio di caramelle”. Ha lavorato sodo e bene, il professore di Belfast, esaminando con attenzione il materiale a sua disposizione (lo testimoniano i rimandi e le note del libro), tutto di grande interesse storico, anche se non mancano, talvolta, lacune, documenti inutili o rapporti privi di valore. “Diverse raccolte di documenti sono andate distrutte nel corso degli anni - ha detto ancora Keith Jeffery - ma ce n’è comunque per raccontare la storia delle persone, persone vere, i responsabili di tante azioni coraggiose”. In Gran Bretagna nessuno si è mai sognato di stabilire per legge chi può fare l’agente segreto. Il principio fisso e mai scalfito, rimane: “right or wrong my country”. E “servire” nell’intelligence è sempre stato un titolo di merito. Il MI6 non ha mai avuto scrupoli nell’utilizzare come “operativi” persone di ogni risma. Per la prima volta rivela che nelle sue file hanno militato scrittori come Graham Greene, Arthur Ransome e W.Somerset Maugham, Compton Mackenzie e Malcolm Muggeridge. E poi il filosofo Alfred Jules “Freddie” Ayer. E non sono tutti. Si sapeva, si diceva, adesso la conferma è ufficiale. In una nota a premessa è precisato: “Il SIS non rivela i nomi di agenti o di appartenenti alla struttura ancora in vita e solo eccezionalmente accetta di rinunciare all’anonimato del personale deceduto”. Arruolare intellettuali, giornalisti, professori universitari, senza distinzione di materie, significa utilizzare persone con ampie conoscenze, capaci di avvicinare tranquillamente personaggi di rilievo e senza che i loro spostamenti attraverso il mondo suscitino eccessiva curiosità. Anche in piena guerra. Nello scacchiere internazionale, l’Italia non è fra le nazioni che riscuotono la maggiore attenzione degli inglesi. Durante la Prima Guerra Mondiale, il SIS collabora con i nostri neonati Servizi. Ma l’avvento del Fascismo, la nostra posizione nel Mediterraneo e la crescita della potenza navale, spingono Londra a mettere “sotto osservazione” il nostro Paese. Il MI6 dispiega la sua attività con l’avvicinamento alla Germania, durante la guerra in Etiopia e quella di Spagna, premesse della Seconda Guerra Mondiale. Dai documenti citati dal professor Jeffery emerge che proprio in quel periodo, nell’ambito dell’“Organizzazione 22000”, incaricata di infiltrare l’Italia e la Germania, il SIS agganciò come informatore un parente del conte Galeazzo Ciano, ministro degli Esteri italiano e genero di Mussolini. Una fonte di informazioni che il Foreign Office riteneva particolarmente preziosa. Ancora i documenti dell’MI6 fanno giustizia anche di leggende per anni accreditate per fatti realmente accaduti. Una di queste voleva che il Servizio segreto inglese fosse coinvolto, nel complotto contro il monaco russo Rasputin, ucciso nel 1916, quando addirittura non ne era stato il braccio operativo. Il MI6 avrebbe tramato contro lo “starec” perché sosteneva tesi pacifiste e conciliatorie nei confronti della Germania. La fine delle ostilità sul fronte orientale (come poi avvenne con la rivoluzione bolscevica) e il disimpegno della Russia, avrebbe permesso alla Germania di riversare le sue truppe contro gli Alleati. Intervistato da The Guardian sulla questione Rasputin, Jeffery ha affermato che non ci sono tracce di questa vicenda negli archivi del MI6. Fra le curiosità, almeno un paio meritano di essere citate. La storia dell’agente ‘Ecclesiastic’, giovane e attraente “centro europea”, reclutata a Lisbona dal SIS nel 1944. Aveva 22 anni ed era l’amante di Franz Koschnik, ufficiale della Abwehr, il servizio di spionaggio militare tedesco. Fino al 1945, Ecclesiastic “intossicò” i tedeschi con false informazioni, fingendosi una loro collaboratrice. Un documento risalente all’immediato dopoguerra, trovato dal professor Jeffery rivela: “La fonte non è contaminata ed è pronta per essere utilizzata in altre sfere”. E’ l’ultimo file che riguarda la giovane spia. Non fu più possibile ricorrere ai suoi servigi, perché da quel momento di lei si perdono le tracce. Sicuramente imbarazzante il metodo usato da un agente per inviare i suoi messaggi, del quale l’archivio dell’intelligence conserva traccia. Tutti conoscono l’inchiostro “simpatico”, usato per scrivere in modo leggibile, senza utilizzare un rivelatore. Evidentemente, a corto di succo di limone o di altri liquidi simili, nel 1915 un agente inglese si rese conto che il liquido seminale era immune al vapore di iodio e quindi poteva essere usato come inchiostro “simpatico”. Il MI6, in oltre un secolo di vita, non ha mai disdegnato di infiltrare paesi amici e nemici, di cercare “onorevoli corrispondenti” a destra come a sinistra. E in questo senso l’Italia è stata una sua zona d’operazioni, come abbiamo già visto. All’indomani dello sbarco in Sicilia e dell’avanzata sul fronte meridionale, l’“Unità 1” di Bruce Lockhart aveva stabilito a Bari la base dell’intelligence nel Mediterraneo. Dall’autunno-inverno 1943, due i compiti da assolvere: agganciare i Servizi segreti italiani per le loro fonti nella cosiddetta destra e allo stesso tempo collaborare con il partito comunista, con lo scopo di monitorare l’esercito tedesco e potenziare i collegamenti fra la Resistenza nell’Italia occupata e le forze politiche nell’Italia già liberata. Proprio in quel periodo, Bruce Lockart preleva a Tunisi un “leading party activist”, cioè un dirigente del partito comunista in esilio, che ha un nome in codice significativo: “Rosso”. Deve occuparsi dell’organizzazione del partito nel Sud dell’Italia. In realtà di “Rosso” Jeffery non conosce l’identità. Ed ancora, tra i documenti del MI6, la città di Bari che rappresentò una importante base operativa soprattutto per operazioni “coperte”, lanciate verso i Balcani, a cominciare dall’Albania, vanificate dal doppiogioco di Kim Philby che puntualmente rivelava ai Servizi dell’Est come, dove e quando sarebbero sbarcati o sarebbero stati paracadutati i clandestini che avrebbero dovuto fomentare la ribellione anticomunista. Fecero tutti una brutta fine. E sempre Bari era la base operativa dell’operazione “Embarrass”, fra il 1947 e il 1948. Era il piano dell’intelligence per mettere in condizione di non nuocere la rete “Trespass”, che organizzava la migrazione verso il “focolare” palestinese degli ebrei europei, molti dei quali superstiti dei campi di sterminio nazisti, fino a impedire la partenza delle navi verso la Palestina. Insomma questo libro non è un romanzo. Va letto con attenzione, in inglese per chi può e in italiano non appena sarà tradotto. Un romanzo è, invece, l’ultima fatica di un prolifico scrittore: Frederick Forsyth “il Cobra”, 310 pagine, Mondadori, 2010 “Il Cobra” è la storia di un “ordine esecutivo” della Casa Bianca per distruggere l’impero della cocaina. Uno di quegli “ordini esecutivi” dei quali nessuno si assumerà mai la paternità, ma porterà uomini e donne ad agire nell’ombra, senza che nessuno sappia mai dei loro successi e destinati ad essere abbandonati a se stessi in caso di fallimento. Forsyth conosce bene i meccanismi della società di comodo, dei trasferimenti bancari non rintracciabili, il modus operandi delle operazioni coperte. La leggenda racconta che quando scrisse “I mastini della guerra”, Forstyth non aveva fatto altro che raccontare la storia di un vero colpo di stato in un paese africano con l’appoggio di un gruppo di mercenari. Anche questa volta il romanzo si rivela oltremodo informato, ma soprattutto si rivela una sorta di appello a intervenire drasticamente contro i cartelli della cocaina. Il metodo suggerito da Forsyth non è dei più ortodossi e giuridicamente corretto, sia sotto il profilo dei rapporti internazionali, sia sotto quello dei diritti umani. Ma sicuramente va al cuore del problema e individua il punto sensibile dei signori della coca: il denaro. E’ il discorso applicato alle mafie italiane: colpirle nel patrimonio. Certo, sono stati utilizzati strumenti giuridico-legali, leggi che consentono interventi per risalire i flussi di denaro illecito. Anche Forsyth suggerisce questa strada, ma come corollario all’azione violenta. Ma, si sa, è un romanzo: tutto è consentito. Non è però la prima volta che un romanzo anticipa in tutto o in parte la realtà. Non riveleremo come si conclude “Il Cobra”, diremo soltanto che contiene un avvertimento a chi imbocca la strada della lotta alla droga: non esistono mezze misure. |