GNOSIS
Rivista italiana
diintelligence
Agenzia Informazioni
e Sicurezza Interna
» ABBONAMENTI

» CONTATTI

» DIREZIONE

» AISI





» INDICE AUTORI

Italiano Tutte le lingue Cerca i titoli o i testi con
GNOSIS 3/2009
Il FORUM



Disagi giovanili e possibili derive


a cura di Emanuela C. DEL RE



Foto Ansa
Il disagio giovanile è da taluni considerato una "patologia sociale". Molte le notizie che riguardano episodi di violenza perpetrati da giovani - quando non crimini veri e propri - riportate dai mezzi d'informazione con preoccupante frequenza. Per quanto vi sia un fenomeno di amplificazione delle notizie da parte dei media, che a volte rendono alcuni fenomeni più allarmanti di quanto non siano in realtà, la questione delle derive giovanili non può e non deve essere sottovalutata.
Il disagio giovanile peraltro è diffuso trasversalmente. Sarebbe una semplificazione ridurre il problema a una questione di marginalità, demandarne la responsabilità a famiglie sconnesse o quantomeno "disattente", e circoscrivere il fenomeno alle classi sociali più disagiate. Numerosi episodi hanno visto protagonisti ragazzi appartenenti alla classe media, e gang o altre forme di aggregazione tra pari che cadono in eccessi e violenza si formano ovunque. Le istituzioni di socializzazione, sembrano incapaci di rispondere ai mutati scenari della gioventù e diventano spesso esse stesse fonte di disagio, restando spettatrici impotenti.
Vi è davvero un rischio derivante dai giovani e dalle loro derive? In quale proporzione? Gli eccessi del sabato sera, come l'abuso di alcool e di sostanze psicotrope che alterano le coscienze, possono trasformare alcuni giovani in pericolosi potenziali kamikaze, e questo rappresenta un rischio definito. Ma anche senza l'uso di tali sostanze, in determinate situazioni si sono verificati atti inusitati, quale il lancio di pietre dai cavalcavia dell'autostrada, assurto, in un certo momento della nostra storia, ad atto paragonabile ad uno sport e mai del tutto esaurito, come dimostrano i sassi lanciati dal ponte di villa Borghese, a Roma, sulle auto che transitavano per il viale del Muro Torto, il 18 settembre scorso.
Questo tipo di crimine giovanile viene spiegato dagli stessi responsabili come conseguenza di noia, senso di alienazione, mancanza di prospettive per il futuro, così come molti atti di vandalismo gratuito, che dimostrano come talvolta il problema stia nelle difficoltà di aggregazione dovute alla mancanza di luoghi dove le energie vengano convogliate in qualcosa di positivo.
Sezioni di partito e oratori delle parrocchie, indicati come i luoghi di aggregazione per eccellenza, diffusi sul territorio e radicati nella vita sociale, non sembra siano riusciti ad adeguarsi ai cambiamenti della società, che ha fatto del successo e della crescita economica individuale il modello da seguire. Tra oratori meno frequentati di un tempo e sezioni di partito dove l'età media si è innalzata considerevolmente, la diffusione dei valori fondamentali della società è affidata ai mezzi di comunicazione e alle famiglie. Sono dunque queste ultime le responsabili del malessere che affligge la gioventù?
Solitudine, fragilità e crisi dei valori sono certamente anch'essi ingredienti del disagio giovanile, ma sono riconducibili ad una crisi educativa, al punto che molti esperti identificano il disagio giovanile con una più definita "emergenza educativa", dove le famiglie giocano il loro ruolo, certamente importante, ma non dimenticano le responsabilità della scuola e delle Istituzioni.
Il disagio si può trasformare in devianza, e quest'ultima in crimine. È il caso delle cosiddette baby gangs, fenomeno relativamente recente in Italia, che si dedicano ad attività illecite quali furto, aggressione, atti vandalici e reati connessi all'uso di droghe. I reati compiuti da minorenni appartenenti a queste bande sono per lo più aggressioni e vandalismo e piccoli reati collegati con la detenzione di sostanze stupefacenti; quando invece si tratta di reati in concorso con maggiorenni, si tratta di reati ben più gravi quali rapine, e spaccio (1) .
Il crimine giovanile in Italia non è omogeneo e presenta caratteristiche diverse tra il Nord ed il Sud della penisola: sarebbe il Nord a subire il maggior numero di reati giovanili secondo il rapporto "Minori stranieri e giustizia minorile in Italia" (2) del Dipartimento Giustizia Minorile, 2007. I dati si riferiscono alle denunce, e ciò potrebbe anche significare che nel meridione i reati commessi vengono denunciati meno spesso che al Nord. Il rapporto indica anche che il 29% dei denunciati non sono italiani e che esiste una suddivisione delle attività criminali minorili su base nazionale. I minori stranieri, inoltre, sono meno coinvolti di quelli italiani in reati contro la persona.
Ancora, in ambito europeo l'Italia è il paese dove i reati commessi da minori rappresentano la percentuale più bassa (2,5%). Secondo i dati del Dipartimento per la Giustizia Minorile dell'UE del 2006, i Paesi dell'Europa centro-settentrionale presentano invece un tasso elevato di delinquenza minorile (Germania 13%, Francia 21%, UK 24%). Probabilmente, la motivazione sta nel miglior tessuto familiare e nel ritardato accesso alla responsabilità individuale visto che i giovani restano in famiglia più a lungo. Bisogna chiedersi come la normativa si adegui ai cambiamenti anche in ambito criminale e come le Istituzioni preposte rispondano in base agli strumenti di cui dispongono.


Una questione complessa, dalle molte sfaccettature che merita una riflessione approfondita, interdisciplinare. Ne discutiamo in questo forum con il sociologo Franco Ferrarotti, che ha sempre osservato con estrema attenzione l'universo giovanile; il magistrato minorile Luciana Izzo, Maria Mansi, dirigente scolastico ed i giornalisti Giancarlo Rossi e Ilaria Sotis.




D. Come potrebbero essere definiti i giovani oggi, e in particolare i minori?

Franco Ferrarotti
I giovani di oggi potrebbero essere definiti come una generazione orfana. Rispetto a quelli della contestazione studentesca e giovanile del 1968, i giovani di oggi, specialmente i giovanissimi, stanno crescendo in un contesto di crisi economica piuttosto grave. Ciò vuol dire che non si propongono più di trasformare il mondo. Sono invece alla ricerca, talvolta spasmodica, di un posto di lavoro fisso e di un guadagno passabilmente regolare. Sono giovani che si sentono abbandonati: dalla famiglia di origine, i cui membri, padre e madre in prima fila, sono occupati fuori casa (la società tecnicamente progredita è una società panlavorista e iperproduttivistica); risentono della crisi della parrocchia e degli oratori; della crisi dei partiti e delle loro sezioni giovanili, ormai tutte chiuse, e dei sindacati, ancora legati alle vecchie categorie di mestiere; della crisi degli organismi istituzionali di rappresentanza politica. Restano disponibili, a questa generazione orfana, solo due punti di aggregazione: il concerto rock e la discoteca.
Maria Mansi
Non è semplice rispondere a questa domanda in quanto ci pone di fronte all'universo giovanile e ci chiede di descriverlo. Nel definire i confini del campo di osservazione faccio riferimento al mondo giovanile dei ragazzi e degli adolescenti. Questi sono nel momento di crescita in cui si costruisce la propria identità e si va alla ricerca del senso della realtà. In questa fase di vita non avviene tutto in modo lineare ma è l'intero assetto della persona che cambia in modo radicale e confuso, dalla trasformazione del proprio corpo e quindi della immagine fisica, al rapporto con le figure importanti fino al coinvolgimento in prima persona nella costruzione di un progetto di vita. Il tutto avviene a volte in tempi veloci e in situazioni di vita reale complesse e complicate laddove la confusione del singolo si innesta in un disordine di valori e di ruoli nel contesto. In questo scenario i giovani di oggi manifestano a volte comportamenti problematici, spesso devianti dalla norma, che attentano al loro benessere fisico, psicologico e sociale. Ne consegue spesso l'immagine di ragazzi soli, fragili dal punto di vista psichico ed emotivo, alla ricerca di mete da raggiungere e senza un orizzonte di riferimento chiaro.
Giancarlo Rossi
Ognuno di noi ha vissuto la propria adolescenza e il passaggio all'età adulta come un periodo difficile, pieno di trappole, di gioie e profonde delusioni, di scoperte e disillusioni. Lo stesso varrebbe per i nostri padri o nonni, che hanno dovuto, per fare un solo esempio, affrontare la terribile realtà della guerra. Eppure penso che poche epoche storiche possano essere definite tanto insidiose quanto quella attuale. La conseguenza è che i giovani si sentono esclusi o strumentalizzati, superflui o schiacciati da situazioni che non possono cambiare. La famiglia non offre sempre loro un riparo, o delle certezze. Spesso è fonte di ansia per le difficoltà personali o lavorative dei genitori. Il futuro è quantomeno incerto, ricco di opportunità che possono però dissolversi in un attimo. La personalità dei giovani, minori o no, risente di questa situazione fluida e inafferrabile. C'è chi rivolge l'angoscia verso sé stesso e chi la scaglia contro il mondo esterno. Non credo che esistano ricette miracolose per uscire in breve tempo da questa situazione, che dipende da variabili che sfuggono al nostro controllo. Ma compito di ciascuno di noi, come genitore e/o come cittadino, è quello di aiutare i giovani innanzitutto a capire, senza offrire soluzioni semplicistiche e banali.
Luciana Izzo
I giovani di oggi sono estremamente fragili, al pari degli adulti da cui sono circondati e che dovrebbero aiutarli nel percorso di crescita. La condizione di fragilità discende dalla solitudine affettiva in cui si vive. Questa tende ad aggravarsi poiché vanno sempre più riducendosi gli spazi familiari, i momenti di comunicazione degli affetti e dei sentimenti, le occasioni d'incontro e di confronto sociale, ciascuno rifugiandosi nel suo privato e, sempre più, in un mondo virtuale.
Ilaria Sotis
I giovani oggi sono disorientati e scalpitanti: non sanno bene dove andare e come ma sanno che vogliono andare da qualche parte. C'è però una larga fetta, più ampia di quello che non si crede che ha gli strumenti (comunque cerca di costruirli) per affrontare il futuro a testa alta e schiena dritta.


D.Si parla di giovani violenti, che ambiscono a emozioni forti e poco impegno, che si aggregano sulla base della condivisione di ideali effimeri, capaci di azioni violente e di freddo cinismo. Un ritratto preoccupante, se si crede all'immagine mediatica. Vi è davvero un allarme sociale riguardo le nuove generazioni?

Luciana Izzo
La condizione dei giovani e dei minori è speculare a quella del contesto sociale. Purtroppo sono in crisi gran parte dei valori fondanti della nostra società, quali il rispetto degli altri, la solidarietà e la tolleranza verso i più deboli, gli emarginati e i diversi. La scuola ed i soggetti, che attraverso gli organi di informazione di massa (televisione, cinema, musica, stampa periodica e non) hanno il potere-dovere di promuovere cultura e modelli sociali, diffondono poco tali capisaldi, quasi come se fossero sentimenti superati e, non già, la base della convivenza civile e sociale. Vengono invece enfatizzati come aspirazioni primarie il successo, la ricchezza e lo star bene, comunque conseguìti, anche se realizzati con furbizia e/o disonestà ed ottenuti in modo artificioso ed effimero. Di fronte al dilagare di questi stili di vita, che pervadono ormai tutta la struttura sociale, la famiglia (che ne fa parte) o li riconosce come importanti poiché li condivide, o vi si adegua perché non ha la forza di dissentire e, in entrambi i casi contribuisce a diffonderli, o, se invece vi si oppone, si trova talmente sola in tale atteggiamento critico da avere difficoltà a promuoverli intorno a sé. A ciò si aggiunga che spesso gli equilibri familiari sono deteriorati e che la Chiesa e le altre istituzioni religiose fanno sempre più fatica, per mancanza di vocazioni autentiche e di coerenza nelle scelte dei modelli comportamentali, a rispondere alle esigenze dei giovani, che chiedono soltanto affetto e sono assetati di spiritualità, così come, al negativo, appare confermato dal sempre più ricorrente ricorso alle pratiche magiche e alle scienze occulte. Pertanto, in conseguenza di tutto ciò, risultano in crescita gli episodi d'insofferenza verso gli emarginati e gli emigrati di ogni tipo, gli atti di esclusione dei diversi - poiché ciò che non si conosce si teme - le azioni di bullismo, di violenza gratuita verso i più deboli e verso le donne, furti, truffe, estorsioni, rapine, delitti familiari ecc..
Maria Mansi
La realtà socio-culturale di questi anni tende a rafforzare il valore individuale di una persona, in quanto svincolata dalla sua appartenenza ad una collettività. I giovani in fase di ricerca di modelli di riferimento o si ritrovano soli a farsi carico della capacità di crescere o in dipendenza affettiva ed emotiva dall'adulto, che da una parte li abbandona nella ricerca di un'identità e di uno status sociale, dall'altra li definisce irresponsabili o immaturi.
L'ansia da fallimento e la solitudine, il delirio di onnipotenza e la ricerca di emozioni forti e di esperienze rischiose possono trovare spiegazione nel bisogno di dimostrare a se stessi e agli altri di esserci e di avere un posto nella società: è in ogni caso una forma di comunicazione e una richiesta di ascolto e di attenzione. Solitudine e ricerca di autonomia spiegano anche la tendenza ad aggregarsi o comunque a far riferimento a gruppi di coetanei con i quali condividere il disagio esistenziale. Non sottovaluterei in tutto questo il ruolo dei mass-media e dei new media, che con il supporto della rappresentazione di atti violenti inducono a pensare che l'atto del filmare sia ancora più importante della violenza perpetrata. Più che di allarme sociale io parlerei di "emergenza educativa", senza esagerare, perché è fuor di dubbio che la stragrande maggioranza dei ragazzi è lontana dal concepire e attuare atti di violenza quali quelli di cui si parla in questi ultimi tempi.
Giancarlo Rossi
È innegabile che i giovani reagiscano come possono a un clima sociale poco favorevole all'impegno comune e all'azione collettiva. Se ricordiamo la famosa frase di Margaret Thatcher "non esiste la società, esistono soltanto gli individui", possiamo renderci conto del fatto che a partire dalla fine degli anni Settanta è prevalsa nei più importanti Paesi occidentali una cultura della realizzazione individuale, che deve avere la meglio su qualsiasi altra istanza di regolazione sociale. Nella maggior parte dei casi, questa realizzazione dell'io viene equiparata al successo economico, da ottenere anche con mezzi illeciti purché efficaci. Ma al livello dell'individuo può anche farsi strada la consapevolezza della precarietà di una tale situazione, e allora ecco perché si diffonde un edonismo dall'orizzonte temporale limitatissimo. Tuttavia sarebbe sbagliato trarre la conclusione di nuove generazioni divise tra lo sballo del sabato sera e la ricerca del successo a tutti i costi. Basta dare un'occhiata a internet e visitare siti come quello del Forum nazionale dei giovani per capire che per molti la dimensione sociale della cittadinanza è essenziale, e che iniziative di volontariato in vari settori sono molto diffuse. Un tema che a mio parere sarà sempre più sentito dai giovani in futuro è quello ambientale. È ormai patrimonio comune la consapevolezza che le risorse del pianeta non sono infinite e che occorre un cambiamento radicale nello stile di vita per evitare che non solo i giovani di oggi ma le generazioni future ricevano in eredità una situazione catastrofica. Molti si impegnano per scongiurare questo scenario, e lo Stato potrebbe cogliere questa opportunità per offrire uno spazio d'azione a giovani che, altrimenti, finirebbero per sentirsi emarginati e inutili.
Franco Ferrarotti
La violenza, a mio parere, è un abbraccio mal calcolato. Oppure la disperata espressione di un bisogno di visibilità, se non una richiesta di aiuto. La violenza ha una valenza anche positiva, che non viene riconosciuta dalle strutture istituzionali e che resta inutilizzata. In questo senso, a parte i comportamenti delinquenziali di tipo tradizionale, dal furto all'omicidio, la violenza è una riserva di energia, che ha deragliato anche perché la società organizzata e civilmente orientata non ha saputo riconoscerla tempestivamente e indirizzarla in senso positivo.


D. Eppure si continua a parlare di allarme sociale. Cosa avrebbero dunque sbagliato le vecchie generazioni?

Maria Mansi
Di fronte ad una società nella quale si riduceva sempre più lo spazio dedicato alla riflessione, al pensiero autonomo e alla coscienza civile, mentre si ampliava a dismisura l'influenza del mondo delle immagini e dello spettacolo, le generazioni precedenti non hanno capito in tempo che si stava aprendo una frattura fra le regole del passato e una nuova realtà sociale che andava assumendo anche una valenza universale e non sono riuscite a salvaguardare la continuità con il passato nella ricerca di adeguare le sue regole e di rinnovarle in base alle esigenze dei tempi.
Giancarlo Rossi
Non credo che si possa ragionare in termini di errori commessi volontariamente o meno. Penso invece che ci troviamo di fronte a cambiamenti storici che portano a equilibri nuovi. Penso per esempio alla questione del ricambio generazionale nella società. Oggi non è più inverosimile ipotizzare un allungamento della vita lavorativa fino a 75 anni, il che era fino a poco tempo fa prerogativa di poche categorie professionali (magistrati, docenti universitari, medici). Che conseguenze ha però questo fenomeno su giovani che si trovano all'età di 40 anni e vedono ancora chiuse le loro prospettive di sviluppo personale e lavorativo? Parallelamente si nota una tendenza delle grandi aziende a scegliere top manager di 40-50 anni di età. Ma si tratta di una ristrettissima élite che spesso può godere di scorciatoie amicali o familiari. Se dunque dovessi formulare una critica alla generazione del baby boom degli anni Sessanta, direi che non è stata in grado di capire che avrebbe dovuto dare ai propri figli le stesse opportunità di cui aveva goduto, in rapporto per esempio alla generazione del primo dopoguerra.
Franco Ferrarotti
Le vecchie generazioni hanno sbagliato per viltà e assenteismo. Per es. (ma non è il solo, anche se si presenta come il più eclatante) i sindacati operai per anni hanno, del resto meritoriamente, insistito sulla necessità di adeguare salari e stipendi, a torto convinti che tutto il resto - formazione del cittadino, dimensione pedagogica, assunzione di responsabilità verso il compito - sarebbe stato dato in sovrappiù, quasi come un effetto automatico delle migliorate condizioni economiche. Si è persino arrivati a monetizzare i problemi della salute operaia, accettando condizioni di lavoro nocive purché adeguatamente compensate. La viltà è consistita in un generalizzato rifiuto ad esercitare l'autorità autorevole, scambiandola sistematicamente per autorità autoritaria. In questo senso, ai giovani che chiedevano orientamenti, consigli, precetti di vita, si è risposto con un maestoso silenzio ritenuto apertura democratica. Si trattava invece di un vuoto morale pressoché assoluto.
Luciana Izzo
L'emergere dei suindicati aspetti e il proliferare di condotte antisociali destano allarme. Come ho già accennato, i giovani sono il prodotto del modo di essere degli adulti: essi non sono diversi dai medesimi. L'assenza dei valori da parte degli adulti e la loro sregolatezza di vita inducono i giovani a comportamenti conformi.


D. L'aumento del ricorso alla violenza - anche psicologica - da parte di minori e giovani, viene continuamente riportato dai mass media come fenomeno ampio e preoccupante. Si tratta di una percezione o di un fatto reale? Se davvero manca un senso di consapevolezza, una capacità di convivenza civile, quale ne è la motivazione?

Giancarlo Rossi
I dati sembrano confermare una volta tanto che i mass media non esagerano una situazione di disagio. Se è vero infatti, come confermano le relazioni del ministero dell'Interno, che gli omicidi sono diminuiti, sono in aumento forme di violenza sociale e intrafamiliare che non sfociano nella soppressione dell'antagonista ma provocano l'allarme generale di cui i mezzi di comunicazione di massa si fanno interpreti e cassa di risonanza. In questo scenario, aumenta anche la percentuale di minori che commettono atti violenti. Una possibile interpretazione, avanzata ad esempio dal criminologo Marco Strano, è quella di un rapporto diretto fra il maggiore consumo di alcool e di sostanze stupefacenti da parte dei minorenni e la loro propensione a commettere atti violenti. La spiegazione sarebbe che tali sostanze abbassano la soglia di controllo di sé del soggetto che le assume e quindi sono ancora più negativamente efficaci nel caso di minorenni. Se questo è vero, strategie proibizioniste sono forse inadeguate, ma occorre dare ancora più spazio a campagne informative che rendano i giovani consapevoli degli effetti negativi che anfetamine, ecstasy, superalcolici possono avere sulla loro psiche.
Franco Ferrarotti
È tipico dei media esaltare il dato nel momento stesso in cui viene riferito. La loro vocazione originaria consiste nella teatralizzazione amplificante. I media non mediano, vale a dire non aiutano a comprendere il dato di cronaca perché ignorano l'antefatto, oscurano il contesto e schiacciano tutto sull'immediato. In questo senso non riescono a distinguere fra la fisiologica autoaffermazione, anche brusca e energica, degli adolescenti che debbano emergere nei loro termini specifici contro la generazione dei padri e i comportamenti devianti che bloccano qualsiasi sviluppo civile e si pongano come sprovvedute regressioni, che vanno dal capriccio infantile alla violenza fisica contro le persone.
Luciana Izzo
La violenza fa parte del tessuto sociale, pieno di contraddizioni e di forti squilibri. L'aggressività dei toni, unita ad una superficialità dei contenuti, è diventata modalità espressiva anche dei media e della politica, che usano un linguaggio violento e superficiale, teso a sorprendere più che a far conoscere. Non contano tanto le idee e le competenze, quanto gli spazi che essi occupano, cioé, la loro audience e visibilità. E, poiché l'aggressività dei toni fa aumentare l'audience, la violenza finisce con il caratterizzare i comportamenti umani e la visibilità viene assunta a valore in sé. I giovani, poi, ancor più, sono vittime di questa suggestione: lasciati soli di fronte ai problemi della vita, non educati al rispetto degli altri, stretti dall'esigenza di esistere e di affermarsi sacrificano i diritti altrui per emergere ed apparire, utilizzando tutti gli strumenti tecnici moderni (internet, media, ecc.), nella convinzione che in tal modo possano essere dei protagonisti ed ottenere successo. Ovviamente, quanto più essi sono stati soli nel loro percorso di crescita, tanto più sono disabituati al confronto delle idee e al rispetto degli altri e nascondono questa loro fragilità con comportamenti prevaricatori e irridenti.
Ilaria Sotis
A mio avviso si tratta di un fatto reale e grave anche se non ampio. E, sì, penso che manchi un senso di consapevolezza: ma perché il quadro sociale nel quale ci muoviamo tutti in questo tempo è molto più settorializzato che in passato, o meglio, è tornato ad esserlo dopo che la strada intrapresa era stata quella della condivisione e dell'allargamento.
Maria Mansi
No, non è solo percezione, è un fatto reale. I numerosi episodi di bullismo ripresi e diffusi dagli stessi ragazzi su internet, spazio virtuale di scambio e di dialogo, denunciano la mancanza di modelli culturali sociali ed educativi capaci di contrastare e modificare i nuovi sistemi valoriali caratterizzati dall'individualismo esasperato e dalla ricerca dell'affermazione personale a scapito di un altro. Inoltre, mentre si va progressivamente sfaldando l'idea che in una comunità la rete di relazioni leghi i membri attraverso un rapporto di aiuto e di sostegno reciproco, di solidarietà, di cooperazione e di corresponsabilità, l'egoismo, l'esaltazione di se stessi e l'incapacità di cogliere il valore significativo dell'incontro con l'altro rendono possibile la violenza, la sopraffazione, la prevaricazione. In questo scenario la crisi dei contesti di aggregazione sociale, tra i quali la famiglia e la scuola, contribuisce a diffondere un'errata forma di affermazione dell'identità personale.

D. Un aspetto nuovo è dato dall'aumento di ragazzi che manifestano problemi di tipo psichiatrico. L'estensione del fenomeno è considerato dagli esperti del settore come una patologia sociale. La collaborazione degli etno-psichiatri, poi, è diventata indispensabile per diminuire le difficoltà dell'inserimento dei ragazzi stranieri nelle comunità educative. Quanto agli italiani, viene riportato un aumento di ragazzi di tutte le fasce sociali con gravi problemi in ambito familiare. Questo preoccupa perché in Italia i tassi di devianza minorile sono decisamente più contenuti rispetto ad altre nazioni europee proprio grazie all'ambito familiare, e quindi l'aumento di disagio psichiatrico potrebbe indicare una perdita di tenuta delle famiglie. Come interpretare questo dato?

Luciana Izzo
Come ho già accennato, è la solitudine che genera la sofferenza del vivere e tale patologia riguarda tutte le fasce di età e tutti gli strati sociali. Quando poi all'assenza degli affetti si unisce anche l'emarginazione, sia nella forma dell'isolamento dagli amici che dagli altri contesti di vita, l'esigenza di autoaffermazione dell'individuo assume manifestazioni ancora più improntate alla violenza. Al Centro e al Nord i giovani vivono in condizioni di maggior benessere economico ma di più forte isolamento affettivo rispetto ai coetanei del Sud: le famiglie sono per lo più mononucleari e tutti i componenti hanno un'occupazione lavorativa sì che le occasioni d'incontro e di dialogo sono minime. Inoltre la caduta dei valori e il lievitare delle disgregazioni familiari favoriscono in tali territori il ricorso a esperienze esistenziali di fuga dalla realtà, attraverso l'iniziazione alla droga, all'alcool o all'esoterismo, o attraverso l'inserimento in gruppi violenti, intolleranti verso i diversi e liberticidi. Il calo demografico e la maggiore concentrazione in tali territori della ricchezza e delle imprese hanno determinato il sopraggiungere di molte forze lavoro straniere che, al pari degli immigrati meridionali, di cui hanno preso il posto, vivono in condizione di esclusione sociale. I loro figli, che pure si trovano inseriti in un ambiente estraneo alle loro tradizioni culturali e religiose, se sono legati alle origini e sono sensibili agli insegnamenti dei familiari, sono portatori di forti valori identitari che riescono a conciliare con le abitudini occidentali; se, viceversa, rifiutano le loro radici, sono esposti ad una doppia emarginazione, quella del contesto di provenienza e quella dell'ambiente del luogo di vita. Al Sud influiscono anche altre cause di devianza, quali degrado socio culturale, bassa scolarizzazione, povertà e mancanza di sbocchi lavorativi, interdipendenza con la criminalità organizzata, convinzione di sostanziale impunità, mancanza di senso civico e del valore della legalità ecc..., ragioni tutte, che fanno apparire incontrollabili i minori e inadeguate le norme che li riguardano.
Ilaria Sotis
Esattamente come viene impostato nella domanda: le difficoltà che circondano le famiglie (italiane e straniere) vengono vissute quasi esclusivamente all'interno delle stesse (mancanza di alternative sociale e di servizi), con la conseguenza che se un nucleo famigliare ha dei problemi questi si ripercuotono su tutti i componenti.
Maria Mansi
Mi è venuto in mente, mentre leggevo la domanda, un convegno a cui ho partecipato nella scorsa primavera, organizzato dal Corso di laurea in Scienze della Formazione Primaria della Università degli studi Roma Tre, con la partecipazione della SIMPAT, Società Italiana di Metodologie Psicoterapeutiche ed Analisi Transazionale, sul tema: Scoprire di esistere decidere di vivere. I vari studiosi che sono intervenuti, pedagogisti ed esperti di psicologia dello sviluppo, hanno riconosciuto la necessità di un impegno educativo per cogliere i drammi relativi alle forme di autolesionismo, di svalutazione di sé e di autodistruzione che emergono nei bambini, fin nella scuola dell'infanzia e, se non efficacemente affrontati, si sviluppano per tutta l'età evolutiva, sino all'età adulta. Per decidere di vivere, bisogna scoprire di esistere, e questo è possibile solo grazie agli altri, nel rapporto con la madre fin dai primi giorni di vita, attraverso gli altri prima in famiglia, poi a scuola, dove il bambino riconosce se stesso attraverso i compagni. Se uno dei passaggi necessari per promuovere autostima e per riconoscere la propria identità all'interno di un gruppo, insieme con gli altri, non c'è o si interrompe o appare confuso o addirittura pericoloso è chiaro che bisogna intervenire in modo efficace nella relazione d'aiuto perché il soggetto ritrovi i motivi per decidere di vivere.
Franco Ferrarotti
Ci sono troppe persone che pensano legittimo far pagare agli altri le loro idiosincrasie. Occorre invece comprendere due cose: la prima riguarda il fatto individuale clinico come segno e testimonianza di malessere sociale: la seconda riguarda il fatto che i problemi dell'individuo non si esauriscono mai in una questione puramente individuale.
Giancarlo Rossi
I dati a disposizione di psicologi e psichiatri confermano che i casi di giovani in difficoltà aumentano. Va anche tenuto conto del fatto che oggi il concetto di adolescenza si è notevolmente allargato, dai 12-13 anni di età fino alla "terza adolescenza", che comprende persone che possono avere anche 25-28 anni. Le patologie più frequenti sono legate all'ansia e alla depressione. C'è chi interpreta, come la psicologa Benedetta Vanenti, questi disturbi come una conseguenza di crisi familiari. La separazione dei coniugi è vissuta come un lutto, aggravato talvolta dal rapporto con fratelli e sorelle nati nell'ambito di un nuovo matrimonio. Ma nella nostra società è destinato a diventare ancora più importante il ruolo degli etno-psichiatri, che hanno il compito di aiutare i ragazzi che vivono in Italia ma sono nati in famiglie con radici culturali lontane da quelle occidentali. Essi infatti dovrebbero riuscire a integrarsi in una società individualista e permissiva senza però perdere contatto con genitori e parenti che di tale società non condividono i princìpi. Si tratta ovviamente di un'impresa assai impegnativa, resa ancora più difficile dai problemi economici che impediscono molto spesso a questi giovani di avere un orizzonte lavorativo stabile e tranquillizzante.


D. Vi è stato un incremento in Italia delle denunce per alcuni tipi di reato che comportano l'esercizio di violenza: non direttamente reati contro la persona, ma reati contro il patrimonio - rapine ed estorsioni. Stando ai dati, i reati vengono commessi da ragazzi stranieri presenti soprattutto al Nord ed al Centro, da ragazzi italiani che vivono in condizioni socio economiche di emarginazione - presenti soprattutto nel Sud e nelle isole - e giovani italiani che vivono in condizioni di benessere socio-economico in tutto il territorio nazionale. Come si spiega questa trasversalità del fenomeno?

Franco Ferrarotti
In effetti il comportamento deviante e criminale o criminoso non può essere attribuito come attributo congenito di alcun gruppo etnico. Evidentemente, in una società che ponga come valori fondamentali il denaro e l'opulenza, coloro che non possono per vie legali raggiungere questi "valori", si sentono legittimati, siano essi autoctoni o stranieri, a tentare di raggiungere la ricchezza ostentata come valore superiore attraverso le rapine, le estorsioni, le invasioni di case private e tutta la serie di frodi, non solo perpetrate dai miserabili ma forse in primo luogo quelle ascrivibili ai "colletti bianchi".
Giancarlo Rossi
Dalle ricerche di psicologi e psichiatri sembra emergere un desiderio di riconoscimento che accomuna giovani appartenenti a categorie sociali diverse. Se è vero infatti che per molti adolescenti che vivono in aree del Sud del Paese, in cui la criminalità organizzata è forte, commettere reati significa per lo più imitare un modello di successo o garantirsi un reddito, per i loro coetanei che provengono da famiglie benestanti la motivazione a scrivere sui muri, a molestare coppie o sfasciare la vetrina di un negozio è meno concreta ma altrettanto pressante. Si tratta di dare un segnale di esistenza, di esprimere un dissenso confuso ma profondamente sentito rispetto a un mondo percepito come alieno. Per i giovani di origine straniera alienazione culturale e disagio economico si sommano in una condizione di emarginazione e mancanza di prospettive che rappresenta un fatto nuovo nella nostra società, dove ormai l'emigrazione di massa degli ultimi 100-150 anni non è più possibile e dove anzi occorre fronteggiare un afflusso di persone pronte ad accettare condizioni retributive ancora più basse di quelle che i lavoratori sono costretti oggi ad accettare.
Luciana Izzo
I dati statistici vanno letti con prudenza, poiché non tutti i comportamenti antisociali e illeciti vengono denunziati. Ciò avviene in particolare nel distretto giudiziario di Napoli. Qui le vittime dei reati preferiscono non denunciare gli eventi delittuosi per l'elevata sfiducia sulla capacità dello Stato e delle istituzioni di riuscire a perseguire i colpevoli, per la preoccupazione di esporre inutilmente a grave rischio l'incolumità personale loro e dei familiari, per la convinzione di connessioni, tra i delinquenti comuni e le associazioni camorristiche, da un lato, e con persone inserite nella pubblica amministrazione e-o nella politica, dall'altro. Pertanto vengono denunciati o reati gravissimi o reati suscettibili per il danneggiato di effetti indiretti (es. furti di documenti d'identità) o ancora di rivendicazioni risarcitorie. Le Forze dell'ordine, d'altro canto, distolte dalla grave situazione di criminalità concernente i maggiori d'età, non svolgono sui minori devianti un controllo capillare e continuo, forse anche in parte nella convinzione che esiste una legislazione penale minorile troppo protettiva nei confronti di quest'ultimi e che i loro interventi non comporterebbero effetti restrittivi immediati. Segue che i minori, non controllati né in famiglia né dagli organi deputati al controllo della legalità, continuano ad agire in aperta violazione delle leggi nella convinzione dell'impunità ed hanno comportamenti sempre più violenti e pericolosi. A ciò si aggiungono l'insufficienza e la disorganicità degli interventi socioassistenziali e la crisi del servizio giustizia, non dotato di persone e mezzi sufficienti e reso più lento dalle riforme processuali penali, pensate per gli adulti e inconciliabili con le esigenze di celerità del processo minorile. I reati più diffusi tra i minori sono quelli che aggrediscono la sfera patrimoniale delle persone, essendo funzionali all'acquisizione di ricchezza. L'uso della violenza è congeniale alla loro modalità di relazione. Spesso è del tutto inutile per il conseguimento dello scopo ed è sproporzionata rispetto al valore del bene su cui viene esercitata, sì da apparire del tutto gratuita e quasi una forma di esercitazione di forza. È assai diffuso l'uso dei coltelli, che non vengono soltanto esibiti, ma normalmente usati. Le azioni scherzose di gruppo assumono spesso connotazioni violente e si trasformano in risse o spedizioni punitive. Le violenze alle donne non sono sempre l'effetto di pulsioni sessuali ma, spesso, esclusivamente, manifestazioni di dominio e di potere. La libertà, la vita, il rispetto degli altri non sono avvertiti come valori. I giovani appaiono molto insicuri e incapaci di relazioni profonde, mancano di autocontrollo e sono superficiali nelle scelte. Ciò in tutti gli strati sociali.

D. La violenza giovanile non sembra essere un fenomeno isolato, ma parte integrante dell'evoluzione in atto nella società. Le ragioni della crescente propensione dei giovani alla violenza va ricercata all'interno della società stessa. La maggior parte degli atti di violenza giovanile che i media riportano è provocata da gruppi estremisti, sia politici che sportivi. L'estremismo è generatore di violenza o, piuttosto, svolge la funzione di incanalare quei giovani che sono già violenti?

Franco Ferrarotti
L'estremismo è paragonabile ad una caricatura; non è di per sé un fattore di violenza ma il prodotto di una mentalità dogmatica, che trascura, come irrilevanti, le mediazioni e che considera, quindi, tutti i compromessi come fatti negativi, anche quando si pongano come passi necessari verso il raggiungimento di mete socialmente desiderabili.
Luciana Izzo
La condizione di fragilità induce i giovani a cercare nel gruppo la forza di cui sono privi. Essendo caratterizzati da una personalità debole, il consenso e l'approvazione dei compagni è avvertito come essenziale e la partecipazione ad azioni anche aberranti non è sentita come grave, quasi come se, pure in presenza dell'evento morte, le responsabilità venissero annullate dal numero dei compartecipi. Le azioni estreme non sono precedute da particolare progettualità, essendo l'esasperazione e l'esaltazione caratteristiche ricorrenti della personalità giovanile. L'estremismo di gruppo, sia esso politico o sportivo, è lo sbocco naturale delle loro difficoltà evolutive e delle loro fragilità. È ad un tempo generatore e contenitore di violenza poiché, da un lato, contribuisce ad alimentare l'aggressività di ciascuno e, dall'altro, l'incanala.
Giancarlo Rossi
Dalla mia esperienza di giornalista e di cittadino che cerca di interrogarsi su quanto accade credo che non si possa dare una risposta univoca a questa domanda. È vero che, come spiegavo prima, viviamo in una società in cui il concetto di competizione e quindi di lotta, è stato assunto quasi come principio regolatore dei rapporti fra le persone. Ciò non può non avere conseguenze negative, a mio parere, sull'aggressività che ognuno di noi deve in un certo senso coltivare, per restare a galla. Ma penso che esista sempre un margine di responsabilità personale che dovrebbe bloccare la violenza, giovanile o meno. Quanto poi alla funzione di gruppi estremisti, credo che nel caso di gruppi di tifosi il singolo sia portato a esprimere senza inibizioni, con slogan o con atti di teppismo, l'aggressività che è insita nella sua personalità e che magari da solo non avrebbe il coraggio di portare alla luce. Penso invece che gruppi politici le cui ideologie fanno esplicito riferimento alla violenza come mezzo di soluzione dei conflitti possano generare in individui pacifici la convinzione che, pur se a malincuore, l'attacco o la soppressione di un individuo sia un mezzo giustificato dal fine.


D. In ambito europeo l'Italia emerge come il Paese dove i reati commessi da minori rappresentano la percentuale più bassa (2,5%). Secondo i dati del Dipartimento per la Giustizia Minorile dell'UE del 2006, i Paesi dell'Europa centro-settentrionale presentano, invece, un tasso elevato di delinquenza minorile (Germania 13%, Francia 21%, UK 24%). Come si possono interpretare questi dati?

Franco Ferrarotti
In tutte le società opulente si nota un fenomeno in apparenza contraddittorio: aumenta la longevità media della popolazione e, nello stesso tempo, si rileva una crescente precocità che, a detta di alcuni medici, riguarda anche l'età della pubertà, sia per le donne che per gli uomini. Ciò significa che siamo in presenza di un fenomeno in sé contraddittorio: i giovani, anche per la semplice preparazione all'ingresso nel mercato del lavoro, abbisognano di una formazione scolastica notevolmente più lunga di quella tradizionale (in Italia si è passati dagli 11 ai 15 ai 18); nello stesso tempo, data la precocità sopra menzionata, i giovani sono ancora mantenuti a carico della famiglia di origine quando già avvertono il bisogno di farsi una propria famiglia, o comunque di avere legami anche sessuali, che un tempo venivano preclusi. Ciò significa che l'età della non punibilità dei crimini commessi da minori andrà ridotta, per esempio, dai 18 ai 15 anni.
Giancarlo Rossi
Non si possono considerare questi dati come la prova che nei Paesi dell'Europa centrosettentrionale citati la delinquenza minorile sia più frequente che in Italia. Magistrati minorili, avvocati e Associazioni di recupero hanno calcolato ad esempio che l'80% dei delitti imputabili a minori non viene alla luce. Non si possono, inoltre, mettere sullo stesso piano fenomeni di trasgressione delle norme che spesso vedono come responsabili minori europei ( i cosiddetti delitti di "incivilité") e le vere e proprie associazioni a delinquere formate a volte soltanto da minori in diverse zone dell'Italia centro-meridionale. Nel quartiere napoletano di Scampia, ad esempio, l'80% della droga che viene commercializzata è consegnata ai tossicodipendenti da minori. Occorre quindi valutare qualitativamente più che quantitativamente i dati sui delitti commessi da minori in Italia.
Luciana Izzo
I dati statistici vanno considerati con cautela per i motivi sopra esposti. Tuttavia sono gli unici parametri utilizzabili per lo studio dei fenomeni sociali. Ora sicuramente può sorprendere (cfr. i dati del Dipartimento per la Giustizia Minorile dell'UE del 2006) che i Paesi dell'Europa centro-settentrionale presentino un tasso elevato di delinquenza minorile (Germania 13%, Francia 21%, UK 24%), di gran lunga superiore a quello dell'Italia (2,5%), ma questa rilevazione sta a confermare che le radici della devianza vanno individuate nella crisi dei valori sopraindicati, ancora più estesa nei cd. paesi del benessere, i quali prima dell'Italia l'hanno subita e prima di essa si sono scontrati con l'emergenza immigratoria. Inoltre, diversamente dai Paesi europei, l'Italia si è dotata di strumenti giuridici, processuali e amministrativi flessibili, più rispondenti al trattamento dei minori.

D. Il binomio minori e criminalità organizzata (mafia, camorra, 'ndrangheta) è noto da anni. Sembra che il potere delle organizzazioni criminali eserciti una notevole attrattiva su giovani "più plasmabili" e che questa attrattiva abbia radici in un "bisogno di appartenenza criminale". Quale tipo di meccanismo di aggregazione è collegabile all'appartenenza alle organizzazioni criminali? Quali strategie di prevenzione dovrebbero essere messe in atto da servizi ed operatori per contrastare questo fenomeno?

Giancarlo Rossi
Dalla mia esperienza di cronista, suffragata anche da colloqui con esperti del settore, posso dire che le ragioni per le quali un ragazzo entra a far parte di un clan della mafia, della camorra o della 'ndrangheta sono sostanzialmente due. La prima è il fatto di vivere in un quartiere o in una zona dell'Italia meridionale in cui la criminalità organizzata è radicata. La seconda è che se non si hanno opportunità lecite di guadagnarsi da vivere perché, ad esempio, la propria famiglia di origine è povera, è molto facile cadere nelle lusinghe di ragazzi che hanno qualche anno di più e rappresentano un modello di successo sociale grazie ai simboli della ricchezza (automobili, donne, droga) che ostentano. Per dare un esempio di una possibile strategia di prevenzione noto che non si è mai riusciti finora a localizzare un istituto alberghiero nel quartiere napoletano di Scampia. Eppure una scuola potrebbe essere un'opportunità di formazione in un settore che ha bisogno di lavoratori specializzati e potrebbe dare risultati altrettanto positivi dell'impiego dell'esercito in Campania.
Luciana Izzo
Nelle regioni d'Italia in cui è radicata la criminalità organizzata è forte l'influenza della stessa sui giovani. Le ragioni per cui gli stessi aderiscono alle associazioni criminali sono diverse. Per prima cosa, l'appartenenza a nuclei affiliati ai clan. In questo caso essi condividono con tutti i componenti della famiglia un'atmosfera di potere e di benessere che ostacola ogni possibile riflessione critica del loro modus vivendi e pertanto un loro effettivo recupero è illusorio. Ancora, l'assenza di risorse di lavoro, da un lato, e prospettiva di guadagni facili e cospicui, dall'altro. Poi vorrei aggiungere la cultura dell'illegalità, l'abitudine alla sopraffazione e il desiderio di superiorità e d'onnipotenza. Inoltre, la mancanza di senso dello Stato e delle istituzioni, vissuti come lontani, ostili e inaffidabili. Di certo gioca un ruolo importante anche il convincimento di poter sfuggire alla giustizia. Infine, bisogna porre l'attenzione sulla disorganicità degli interventi delle autorità.
Siffatte ragioni possono ricorrere tutte insieme o separatamente. Soltanto agendo sulle stesse la criminalità può essere combattuta. Purtroppo le frequentazioni violente e l'abitudine all'illegalità, la vischiosità del territorio e le radici familiari devianti rappresentano dei grossi ostacoli, talvolta insuperabili, anche per quei giovani che inizialmente aderiscono ad un programma di recupero. In tali casi il reinserimento è possibile soltanto con lo sradicamento del giovane dal territorio e dalla famiglia.
Franco Ferrarotti
I media, che danno notizie dei crimini commessi anche, se non soprattutto, da giovani, spesso trasformano involontariamente il giovane criminale in un divo, che proprio per questo viene concepito come un archetipo o come un eroe positivo da imitare. Se è vero che questa è una generazione orfana e che gli adulti sono assenti, il bisogno più forte per dei giovani e dei giovanissimi è l'appartenenza, non generica, ma a un gruppo specifico, gerarchico, radicato su un territorio circoscritto (rione, quartiere, periferia) in grado di esprimere e far sentire quella congeniale fraternità che le istituzioni non sono più in grado di offrire. L'appartenenza dà la visibilità. La visibilità la si ottiene con l'azione. L'azione più visibile e significativa è quella violenta perché ottiene subito il suo scopo. I giovani non sono naturalmente violenti. Lo diventano nel vuoto educativo istituzionale, dalla famiglia alla scuola alla chiesa, agli organismi politici e sindacali.
Ilaria Sotis
Aggregazioni di vario tipo: dalla povertà alla mancanza di alternative (non c'è lavoro) alla "facilità" iniziale con cui i giovani entrano in contatto con le bande del territorio. Importante è anche il bisogno che hanno le stesse organizzazioni di impadronisri del territorio attraverso i ragazzi. Le strategie sono ovvie: intensificare la lotta alla criminalità organizzata, fornire alternative sociali efficienti (scuola, lavoro, prospettive culturali) e soprattutto evitare che un mafioso o un camorrista diventi per un ragazzo un modello!

D. L'estremismo rivoluzionario ed eversivo pesca nel bacino del disagio giovanile per reclutare. L'adesione dei giovani affiliati a organizzazioni che propugnano la lotta politica violenta, contrariamente al passato, sembra sia basata sulla simbologia più che sull'analisi, sulla moda come senso di appartenenza più che su riflessione e dibattito politico. È vero? A cosa va imputato questo atteggiamento?

Franco Ferrarotti
Evidentemente l'estremismo violento nega, in radice, la riflessione progettuale razionalmente articolata; incontra il favore dei giovani perché i giovani hanno fretta, vogliono tutto e subito. Per questa ragione la loro contestazione non è mai riuscita a trasformare la protesta, spesso legittima, in progetto. È mancata l'analisi perché per definizione l'analisi ha bisogno di dati empirici circostanziati, che di regola appartengono alle generazioni adulte. Queste, spaventate dai rumori pseudo rivoluzionari delle manifestazioni giovanili, si sono chiuse in se stesse, arroccandosi e avvitandosi su di sé, e hanno così negato ai giovani quell'aiuto di cui avevano bisogno per non cadere nel rivoluzionarismo velleitario e inconcludente.
Luciana Izzo
L'adesione dei giovani affiliati ad organizzazioni che propugnano la lotta politica violenta non è costruita, allo stato, sulla riflessione e sul dibattito politico. L'aggregazione si fonda sull'esigenza di trovare nel gruppo la propria identità e di coprire la propria fragilità con la forza che si mutua dai compartecipi del gruppo. Tuttavia è possibile che si possa avviare da parte di alcune forze politiche estreme, non rappresentate in parlamento, un'attività di reclutamento che peschi nel bacino del disagio giovanile.
Giancarlo Rossi
È certamente corretto motivare l'adesione di giovani a organizzazioni estremistiche di destra o di sinistra a un impulso poco razionale, che non passa attraverso una riflessione politica approfondita, come quella che per esempio portò diversi terroristi negli anni Settanta ad abbandonare il partito comunista o il movimento sociale per darsi alla lotta armata. Tuttavia occorre non fare l'errore di considerare tale adesione come l'effetto di una moda. Mi spiegava la scrittrice Elisa Davoglio, autrice del romanzo "Onore ai diffidati", che il tifo violento e l'adesione di diversi giovani ai gruppi che si dividono sulla base di criteri molto rozzi come "fascismo-antifascismo" sono a suo parere l'espressione di un "grande no" alla società contemporanea, un no alla mancanza di opportunità sociali, all'emarginazione e certo anche alla mercificazione di ogni aspetto della vita di relazione. È vero che molti ragazzi vanno allo stadio e durante la settimana seguono i reality vestendosi come i protagonisti di quelle trasmissioni, ma sono anche confusamente consapevoli che quei modelli di comportamento non offrono loro nulla di concreto e valido per orientarsi nelle scelte che devono fare.

D. Momenti di aggregazione come il tifo sportivo e le manifestazioni politiche possono essere utilizzati da estremisti come occasione di reclutamento. Questo comporta il rischio che carriere criminali inizino in giovane età. Come intervenire? Gli strumenti adottati sono adeguati, sono sufficienti?

Giancarlo Rossi
Come accennato nella risposta precedente, militanza politica e tifo sportivo sono due possenti calamite per i ragazzi e le ragazze - elemento quest'ultimo da non sottovalutare - che sono alla ricerca di modelli di comportamento e di espressione sociale. Ciò che li accomuna è appunto un'adesione non mediata dalla riflessione: si sceglie un'ideologia come si sceglie una squadra, una maglia alla quale affezionarsi. In questo senso, forse l'errore da non commettere, potrebbe essere quello di contrapporsi frontalmente a questi gruppi organizzati, in modo che le Forze dell’ordine non siano identificate con il nemico. Da questo punto di vista, forse una strategia di dialogo più che di repressione sul tema del tifo violento può essere proficua e attenuare le contrapposizioni che stanno emergendo, per esempio, sul tema della "tessera del tifoso".
Franco Ferrarotti
La riserva ideale per il reclutamento sia dell'estremismo di tipo politico che della criminalità organizzata è il carcere, definibile come una vera e propria università del crimine. Gli assembramenti di massa, come gli stadi sportivi o i concerti rock e così via, sono certamente importanti come "brodo sociale", ma sono nello stesso tempo troppo indiscriminati per consentire una effettiva opera di reclutamento.
Luciana Izzo
Momenti aggregativi, quali il tifo sportivo e le manifestazioni politiche, possono essere utilizzati da estremisti come occasioni di reclutamento. Il controllo di questo fenomeno è difficile poiché, quanto al tifo sportivo, vi sono enormi interessi economici che lo alimentano e, quanto alle manifestazioni politiche, vi è il confluire di movimenti ultranazionali non gestibili.
Ilaria Sotis
Impegnarsi affinché una cosa bella come lo sport non venga sporcata: e dunque proporre modelli positivi e soprattutto far in modo che stia il più lontano dai soldi. Mi ha molto colpito scoprire (spero di non sbagliare) che l'unico sport nel quale a livello agonistico non vi sono stati casi di doping è la pallavolo: segno che si può fare se non si è succubi del dio denaro.

D. L'eversione, ad esempio, controlla le tifoserie, alla ricerca di nuovi adepti, mentre il crimine - secondo la strategia dell'abbattimento del rischio - cerca minori per compiere azioni criminose, nelle sacche di povertà ed emarginazione. In quale modo si possono colpire i reclutatori e quali strumenti sono a disposizione delle Istituzioni?

Luciana Izzo
Le tifoserie sono controllate non soltanto dai movimenti eversivi ma anche dalle organizzazioni criminali, presenti ovunque vi sia circolazione di soldi. In occasione delle note vicende che hanno portato nel gennaio 2008 al blocco stradale e agli incendi della spazzatura, a Napoli, il clan camorristico contrario all'apertura della discarica di Chiaiano, nell'immediata periferia della città, aveva ingaggiato per pochi soldi giovani già noti per il tifo violento. Le associazioni criminali controllano l'intero territorio e non sono loro a cercare adepti, ma sono le stesse famiglie e gli stessi ragazzi, che si mettono al loro servizio.
Giancarlo Rossi
Forse è eccessivo dire che l'eversione controlla le tifoserie calcistiche, ma esistono rapporti ben documentati fra gruppi estremisti e ultrà. È noto che alcuni club sono considerati di "destra" e altri di "sinistra" e si suppone che il tifoso si adegui a tale etichetta. La differenza è che oggi l'impulso emotivo che spinge il giovane di Roma a schierarsi per la Roma o per la Lazio è simile a quello che lo porta a prendere una posizione di estrema destra o sinistra. Di questo sono consapevoli coloro i quali vogliono strumentalizzare persone con scarsi strumenti culturali a disposizione e ancora immature ai loro fini politici o illegali, come hanno dimostrato le indagini sui clan camorristici che avevano tentato di prendere il controllo della Lazio. Credo che occorra potenziare, in uno scenario del genere, la penetrazione delle Forze dell’ordine nei club di tifosi in modo da poter identificare preventivamente chi non è interessato al calcio, ma al potere che il calcio può dare, così come l'attività di intelligence è essenziale anche nella lotta al terrorismo. Per quanto riguarda la criminalità organizzata, rimando a considerazioni già svolte.
Franco Ferrarotti
Rispetto a questi problemi ci si trova in una situazione di sottoconoscenza degli agenti criminali. È comunque errato stabilire un nesso di casualità tra miseria e povertà da un lato e comportamenti criminali dall'altro. Seguendo questa strada si rischierebbe di cadere nel vecchio pregiudizio ottocentesco e, almeno in parte, lombrosiano, che scorgeva nelle classi povere una naturale pericolosità sociale. Oggi sia il reclutamento che l'organizzazione stabile del crimine riguardano non più e non soltanto le "sacche di povertà" bensì i ceti opulenti, i nuovi benestanti, quei gruppi che, nel mondo degli affari, hanno scoperto, per esempio con il riciclaggio e il narcotraffico, canali straordinariamente efficienti di ricchezza in denaro contante e da questo denaro contante traggono e consolidano posizioni di potere in grado di consentire ancor maggiori accumulazioni di capitali finanziari.
Ilaria Sotis
Insegnare ai ragazzi, fin dai primi anni cosa significa essere una persona e dunque creare occasioni nelle quali si ha la possibilità di assorbire e mettere in atto valori importanti. Per esempio attraverso testi condivisi: la Dichiarazione dei Diritti dell'uomo, o quella del fanciullo o la nostra bella Costituzione.


D. Se è vero, come sostiene Pier Luigi Vigna, che a seguito della recrudescenza delle B.R., queste tentano di reclutare in particolare giovani e minori, bisogna chiedersi quale attrattiva siano in grado le B.R. di esercitare ancor oggi...

Luciana Izzo
Non vi è un retroterra ideologico tale da far temere per la recrudescenza delle B.R.. I giovani si sono allontanati dai movimenti culturali e, all'attualità, le loro aggregazioni sono per lo più di tipo ludico. Inoltre la confusione tra le varie ideologie e la circolazione istantanea attraverso internet delle idee non favoriscono il controllo dei giovani da parte di gruppi organizzati ma, piuttosto, la diffusione di movimenti sopranazionali, unificati, non tanto, da progetti politici precisi quanto, da intenti globalmente oppositivi ai governi in carica.
Franco Ferrarotti
Occorre rifiutare il termine di minori. I cosiddetti minori non sono più minori in senso tradizionale. Soprattutto fisicamente sono uomini e donne in grado di assumersi compiti in tutto tradizionalmente svolti da adulti. L'attrattiva che il crimine esercita sui cosiddetti minori va vista in corrispondenza con la possibilità di inserimento positivo nel mercato del lavoro, la riduzione del precariato diffuso e, quindi, l'uscita di molti giovani di oggi da condizioni di lavoro subordinato che si possono definire come neo schiavili.
Giancarlo Rossi
Credo che la "fine delle utopie" seguita al crollo del muro di Berlino abbia profondamente influenzato i giovani che sono nati in quegli anni. Ritengo assolutamente improbabile dunque un'adesione di massa a organizzazioni terroristiche come le Brigate Rosse o a gruppi eversivi di destra, anche se la mancanza di prospettive per il futuro è dolorosamente chiara a molti giovani con una eccellente formazione culturale. Ma poiché storicamente i gruppi terroristici sono stati sempre assai ristretti, non si può certo escludere che qualcuno si faccia convincere a abbracciare la lotta armata per vendicarsi di un declassamento sociale vissuto come ingiusto piuttosto che per realizzare un sogno di palingenesi sociale.


D. Secondo dati del Ministero dell'Interno cui si è fatto molto riferimento negli ultimi anni, la percentuale di minori e giovani stranieri che delinquono è alta. Un minore su due condannato è di nazionalità straniera. Secondo i dati principali resi noti dal Dipartimento per la giustizia minorile, nel corso della presentazione dello studio Minori stranieri e giustizia minorile in Italia del 2008, dei minori entrati in un CPA (Centro di Prima Accoglienza) il 48% circa sono stranieri. Furti, borseggi e accattonaggio sono i crimini maggiormente perpetrati dai minori stranieri, che si concentrano soprattutto nelle regioni del Nord e del Centro Italia. È fondato questo allarme sui minori stranieri? Davvero ci si possono aspettare fenomeni come gli episodi delle banlieu parigine anche da noi in futuro? Come si spiega questa maggiore presenza nel Nord e nel Centro Italia?

Franco Ferrarotti
No, la situazione italiana è molto diversa da quella inglese e, in particolare, da quella francese. I numeri sono diversi. Ma in particolare in Italia non c'è un passato colonialista in senso pieno. Non ci sono i pieds noirs algerini per la Francia, non ci sono gli ex cittadini dei dominios in GB. Di più: l'immigrazione extra comunitaria in Italia è più recente. Gli incendi della banlieue parigina erano dovuti alla seconda e terza generazione di immigrati che, benché in possesso degli stessi diplomi e stesse lauree, si sentivano discriminati e scorgevano nella sommossa e negli incendi la sola possibilità di presenza. La situazione italiana è certamente meno drammatica, ma potrebbe, con il crescere della seconda generazione e in mancanza di efficaci politiche di integrazione, diventarlo.
Giancarlo Rossi
Ormai minori italiani e stranieri delinquono nella stessa misura, anche se i reati commessi sono diversi. Per quanto riguarda la maggiore frequenza di reati commessi da minori stranieri nel Centro-Nord, ritengo che le cause siano due. La prima è che nelle regioni più industrializzate del Paese vivono più lavoratori provenienti di Paesi stranieri. La seconda è che il controllo del territorio da parte della criminalità organizzata è meno pervasivo, quindi è più facile delinquere senza far parte di un clan. Mafiosi e camorristi non hanno interesse a lasciare che, ad esempio, si sviluppino le attività disordinate di piccoli borseggiatori che esasperano i cittadini, attirano l'attenzione dei mass media e impongono alle Forze dell’ordine una serie di attività supplementari che finiscono per intralciare attività illecite più remunerative. Non credo invece che nel futuro immediato si possa assistere in Italia a rivolte di massa come quelle che hanno messo a ferro e fuoco le banlieu parigine. La crisi economico-finanziaria scoppiata nel 2007-2008 mette indubbiamente ancora più in difficoltà categorie sociali declassate, ma in Francia le proteste sono state opera di un gruppo ben caratterizzato, ovvero i giovani che hanno la cittadinanza ma sono originari di famiglie provenienti dai Paesi ex colonie del Nordafrica. In Italia penso che oggi le diverse etnie e nazionalità siano ancora troppo frastagliate e divise da rivalità e diffidenze reciproche per dare origine a un movimento di protesta esteso e coordinato.
Ilaria Sotis
L'allarme è fondato ma non l'allarmismo. Il dato che vede più minori stranieri condannati può essere dovuto a tanti fattori: anche il fatto che non hanno buoni avvocati. Io penso che nei confronti dei minori stranieri la risposta debba essere inclusiva e di accoglienza e, dunque, preventiva.
Luciana Izzo
Come già accennato, le regioni del Centro e del Nord sono state interessate dal fenomeno migratorio prima di quelle meridionali per la concentrazione in tali territori della ricchezza e delle imprese. Se l'accoglienza degli stranieri fosse effettiva, con la predisposizione e l'attuazione di progetti sociali multi-etnici, che rispettano le origini di ciascuno e valorizzano le diversità, a favore di un'integrazione non soltanto di facciata, le condotte antisociali, che sono sempre connesse allo sradicamento, all'emarginazione e all'isolamento affettivo, potrebbero essere contenute. Perché ci sia vera integrazione è necessario che lo straniero viva la propria diversità come un valore e abbia attaccamento verso la propria storia familiare e le proprie tradizioni. Gli extracomunitari si trovano, oggi, in una situazione socioambientale simile a quella in cui negli anni 50/60 erano i meridionali, aggravata dalle diversità di lingua, tradizioni, religioni, civiltà ecc., quindi, con infinite difficoltà di vera integrazione ed accettazione reciproca. Al Sud questo fenomeno è più contenuto poiché, essendo aree dove non ci sono né imprese né ricchezza, vi è una minore affluenza di cittadini stranieri.
Secondo recenti dati del Ministero dell'Interno la percentuale di minori stranieri che delinque rispetto ai coetanei italiani è alta. Ciò non vuol dire che i minori stranieri commettono più reati di quelli italiani. Innanzitutto va osservato che il calo delle nascite ha ridotto fortemente in quei territori la popolazione minorile italiana e di ciò nel raffronto statistico si deve tenere conto. Inoltre, prima dell'introduzione del sistema identificativo CUI, il minore straniero clandestino, avviato al crimine dal gruppo familiare (es. Rom), quando veniva fermato dalle Forze dell'ordine, al momento della commissione dei reati rilasciava identità sempre diverse, con l'effetto che, risultando il fatto commesso da un incensurato, non veniva arrestato e scompariva nel nulla, insieme alla falsa identità fornita: la persona fisica che commetteva il reato era quindi sempre la stessa, anche se apparivano tante le identità statisticamente rilevate. Anche i dati (48%) diffusi dal Dipartimento per la giustizia minorile concernenti i minori entrati in condizione precautelare presso i Centri di Prima Accoglienza vanno interpretati. Il Codice di procedura penale minorile (art. 18 bis, 4° comma, D.P.R. n. 448/98) per i reati meno gravi, in caso di flagranza, consente l'accompagnamento coatto in un C.P.A. per i minori privi di identità, di abitazione o di figure educative idonee, condizioni queste meno ricorrenti per i ragazzi italiani. Ora, se i dati suindicati sono riferibili a reati di scarsa rilevanza criminale (borseggi, furti ecc), è probabile che afferiscano a minori stranieri per i quali l'intervento cautelare è reso necessario dall'assenza di riferimenti familiari tranquillizzanti e dalla preoccupazione che gli stessi possano divenire preda di organizzazioni criminali.
Al Centro Nord il fenomeno migratorio è più risalente e, pertanto, i giovani stranieri che delinquono appartengono anche a famiglie apparentemente inserite nel tessuto sociale. In tali casi le manifestazioni della devianza sono più preoccupanti perché hanno connotazioni di aggressività e di esasperazione, tipiche di tutti gli individui soli ed emarginati. Se nella programmazione degli spazi cittadini e negli interventi socio-educativi non si fa uno sforzo per promuovere l'accettazione degli stranieri e far sentire a ciascuno la diversità come un valore da favorire, è fortemente probabile che si possano verificare anche in Italia vicende analoghe (atti di teppismo, incendi, ecc.) a quelle che si sono manifestate nella banlieue di Parigi e che tra gli stranieri, anche se occidentalizzati, si possa divulgare il seme del terrorismo.

D. Vi sono fenomeni preoccupanti di intolleranza e razzismo da parte di giovani e minori, che hanno portato a episodi di violenza gravi perpetrati da minori italiani a danno di stranieri. Come si spiega questo fenomeno?

Giancarlo Rossi
L'almanacco quotidiano della cronaca ci fornisce senza sosta esempi di atti di violenza che coinvolgono giovani italiani ed extracomunitari. Per i ragazzi della movida romana tenere in tasca un coltellino a serramanico è motivo di orgoglio come per i "minenti" della Roma di Belli. Un gruppo di ragazze ha picchiato e insultato una donna nera con le figlie perché aveva chiesto loro di non fumare in autobus. Un quattordicenne marocchino è stato accoltellato alla schiena da un maggiorenne extracomunitario che aveva rivolto pesanti apprezzamenti alla giovane italiana che lo accompagnava. Ci si difende da un pericolo immaginato attaccando il potenziale aggressore. Il pericolo può essere quello di non controllare il territorio o, più frequentemente, quello di essere sconfitto nella lotta per la sopravvivenza che tutti i giovani, ma in particolare quelli che hanno una formazione scolastica di basso livello, sanno di dover ingaggiare con rivali di tutto il mondo. E il concorrente nella "race to the bottom" che si incontra e si vede ogni giorno diventa un bersaglio irresistibilmente attraente. Si tratta di un problema di ordine pubblico non trascurabile. Ma il rischio più grave che vedo a lungo termine è quello di avere una fascia molto ampia della popolazione che rifiuta il contatto con il mondo, che ha paura di andare oltre il proprio cortile in un periodo storico in cui ogni Paese è inserito in un ordine economico e politico dalle caratteristiche globali. Possiamo criticare la situazione attuale, cercare di cambiarla, ma non isolarci.
Luciana Izzo
La cultura dell'intolleranza che si sta diffondendo sempre più genera, a catena, odio ed esclusione: essa è diventata in alcuni gruppi giovanili un sentimento che aggrega i componenti più giovani, delusi per gli insuccessi personali e incapaci di dialogo, e che li fa sentire migliori e più forti. Tale comportamento è diretto contro tutti i diversi, siano essi italiani o stranieri e, tra questi, contro quelli che appaiono perdenti.
Franco Ferrarotti
Questi episodi per fortuna sono rari e sono stati indebitamente spettacolarizzati. Non voglio dire che andrebbero censurati ma non andrebbero amplificati. È noto che gruppi di ex borgatari autoctoni vedano nei diversi, nei nuovi immigrati, le loro vittime designate. La loro identità sociale dipende dal sentirsi qualcuno sotto i piedi e, quindi, di non essere più nei bassifondi della società. Pestare lo straniero significa allora avercela fatta, essere buoni cittadini, non essere più ultimi ma almeno penultimi.
laria Sotis
Si spiega con il fatto che non è mai facile confrontarsi con chi è diverso e con chi vive in modo diverso. Non lo è quando si è adulti, tanto meno quando si è giovani: a meno che non si sappia che la diversità è ricchezza, ma questo è un concetto che si introietta solo se è condiviso dalla società.

D. In un recente sondaggio della Fondazione Intercultura è emerso che l'immigrazione desta preoccupazione tra i giovani. Nelle periferie dove il cosiddetto disagio urbano è maggiormente avvertito, si creano gruppi che tendono ad essere etnicamente omogenei e che sono responsabili di aggressioni e violenze, soprattutto ai danni di immigrati. Che cosa non funziona in un sistema che invece professa una forte vocazione all'integrazione?

Franco Ferrarotti
Quello che non funziona è che questa integrazione è predicata ma non praticata.
Giancarlo Rossi
Avrei molti dubbi ad affermare che oggi il sistema Italia si sforzi veramente di integrare le minoranze che vivono all'interno del suo territorio, al di là delle petizioni di principio del Governo o della Chiesa cattolica. Non penso nemmeno che la maggioranza dei cittadini italiani sia razzista o desideri l'espulsione degli stranieri, ma sono convinto che serpeggi un forte senso di insicurezza e di incertezza per il futuro, aggravato dalla terribile crisi economico-finanziaria che si è abbattuta anche sull'Italia. In tale contesto, gli adulti sono evidentemente preoccupati e i loro figli o nipoti assorbono timori che per loro, che si affacciano alla vita lavorativa, sono ancora più assillanti. La regressione sociale che stanno vivendo intere categorie professionali, dagli operai agli impiegati, si concretizza poi nel degrado di interi quartieri periferici o semiperiferici delle grandi città. Il rischio di guerriglie urbane fra gruppi di italiani contro stranieri è reale, ma non potrà essere sventato in tempi brevi o con misure tampone. Occorrerebbe una congiuntura economica più favorevole, ma ad oggi sembra un miraggio. E andrebbe ripensata tutta la politica urbanistica dei grandi centri, dopo che la bolla immobiliare degli ultimi anni ha fatto salire vertiginosamente i prezzi delle case e obbligato milioni di persone a vivere in estrema periferia o nei centri satellite che circondano le metropoli. Ma su questa situazione si sono consolidati interessi economici talmente forti che non saranno scalfiti da qualche rissa tra immigrati e italiani impoveriti.
Luciana Izzo
Gli immigrati sono per lo più stanziati nelle periferie delle città o nei quartieri più poveri, dove gli spazi dedicati alla socializzazione sono pressoché inesistenti. In assenza di iniziative tese alla coesione sociale si formano gruppi omogenei per etnia e religione, che vengono vissuti dai giovani estremisti come potenzialmente pericolosi in quanto ne ignorano i valori e, pertanto, sono oggetto di gratuite aggressioni.
Ilaria Sotis
Forse che il sistema professa una forte vocazione all'integrazione ma poi le risorse che vengono messe a disposizione sono poche. Il tema dell'integrazione è poi uno di quelli sui quali maggiormente il cittadino sente la politica spaccarsi.


D. Secondo alcune fonti, nei confronti dei minori in Italia l'investimento di risorse è consistente. Enti locali, Regioni, privati (banche e grandi aziende) finanziano i progetti in questo ambito, cosa che consente di sopperire alla diminuzione degli stanziamenti da parte dello Stato, che nel 2009 ha operato un taglio di spesa del 30% in più rispetto al 2008.

Giancarlo Rossi
Apparentemente il sostanziale equilibrio dei flussi di spesa non dovrebbe preoccupare. A mio parere esistono dei rischi legati al prevalere di investimenti dei giovani affidati ai privati e agli Enti locali. Per quanto riguarda i privati, mi vengono in mente le parole dell'ultimo documento della Conferenza Episcopale italiana sulla scuola, che non dovrebbe soltanto "addestrare" i giovani. Si possono condividere o meno le proposte dei Vescovi, ma penso che una scuola gestita in base alle esigenze delle aziende avrebbe come conseguenza che si porrebbe l'accento soprattutto, se non esclusivamente, sulla formazione pratica degli studenti. Ciò sarebbe deleterio anche perché in un mondo così mutevole anche il modo di lavorare cambia e, quindi, non può essere la scuola a fissare criteri validi per un lungo periodo, piuttosto si dovrebbe insegnare ai giovani a capire le ragioni dei mutamenti e ad adattarvisi attivamente. Per quanto riguarda invece la territorializzazione degli investimenti pubblici, occorre evitare che i progetti finanziati a livello regionale non finiscano per favorire, in base al federalismo fiscale, quelle aree in cui forse il disagio giovanile è minore e lasciare in difficoltà quelle regioni, in particolare al Sud, in cui i fondi sono piuttosto scarsi. La conseguenza potrebbe essere proprio di dare nuovo spazio alla criminalità organizzata, che potrebbe fare proseliti fra giovani che si sentono abbandonati dalle Istituzioni.
Franco Ferrarotti
I fondi stanziati a livelli comunali, regionali e provinciali non sono utilizzati per ricerche attendibili che, comunque, non vengono adeguatamente valutate. In queste condizioni i risparmi del Governo centrale sono purtroppo frustrati, vanificati dagli sperperi locali.
Ilaria Sotis
Si può commentare con l'osservazione di quanto accade sul territorio: in alcuni comuni politiche sociali a favore dei giovani presenti e efficaci e in altri scarse: decidere di investire sui giovani premia sempre ma a lungo termine, non tutti i politici (anche gli amministratori locali sono politici) decidono che vale la pena.
Luciana Izzo
La Comunità Europea e gli enti locali promuovono progetti tesi a favorire il recupero sociale dei minori devianti. Si tratta però di investimenti spesso scoordinati che, per tale motivo, non conseguono i risultati sperati. Inoltre, poiché spesso lo Stato diminuisce gli stanziamenti ai Comuni finalizzati all'integrazione sociale, le attività promosse vengono interrotte, con grave danno per i minori.

D. Il sensazionalismo mediatico dipinge i giovani e in particolare i minori come mostri. Abbiamo bisogno di avere paura di loro? Il riavvicinamento generazionale seguito al '68 sta andando in tilt? Non sappiamo fare i genitori e, quindi, ci giustifichiamo dicendo che i nostri figli sono dei mostri?

Franco Ferrarotti
Come già abbiamo più sopra osservato, è insita nel mezzo televisivo la teatralizzazione amplificante nel momento stesso in cui si dà la notizia. Ciò non vuol dire che sia auspicabile la censura ma certamente una maggiore sobrietà e, soprattutto, un'attenzione critica all'antefatto e al contesto.
Giancarlo Rossi
Come in qualsiasi altra situazione, la paura non è una buona consigliera anche nell'avvicinarsi ai giovani. È indubbio che il contrasto tra valori e visioni del mondo spesso opposte che ha caratterizzato i rapporti tra genitori e figli dall'Ottocento fino al dopoguerra si è attenuato, proprio in seguito al distacco netto dal passato, frutto della contestazione giovanile. Ma oggi penso che ci siano altri motivi di disaccordo, che derivano prevalentemente, a mio parere, dal dato di fatto che la prospettiva di miglioramento sociale e personale aperta dopo la guerra alle giovani generazioni si è esaurita. Non si può più pensare, dunque, di risolvere tutti i problemi grazie all'aumento del benessere. Occorre allora cementare un rapporto basato su intese immateriali. Qui entrano però in gioco tutti i fattori (stress lavorativo, molteplicità di impegni degli studenti, famiglie in cui i genitori sono separati) che rendono oggettivamente complicato un dialogo che necessiterebbe di tempo e disponibilità reciproca. Piuttosto che demonizzare i giovani, quindi, sarebbe meglio prendere atto delle loro esigenze e problemi, anche se questi possono rimandarci a errori commessi in passato.
Luciana Izzo
Come già accennato, i giovani non sono diversi dagli adulti, di cui sono il frutto. Se ci appaiono dei mostri evidentemente i genitori hanno perso la capacità di amarli e di comprenderli.

D. Che incidenza hanno droga, alcool, ma anche forme di aggregazione come le discoteche, ad esempio, nella definizione del percorso potenziale dei giovani? Questi elementi hanno mutato radicalmente il loro modo di vivere? Possono essere queste le motivazioni delle derive giovanili?

Franco Ferrarotti
Di fronte alle assenze delle generazioni adulte e alla mancanza di punti di aggregazione che un tempo andavano dalle parrocchie e alle sezioni giovanili dei partiti, stadi e discoteche si potrebbero definire rimedi di emergenza. Si tratta di aggregazioni incontrollate, spesso, se non sempre, soprattutto nelle discoteche, caratterizzate dall'uso di droghe e di bevande eccitanti. Come tali, vale a dire come rimedi di emergenza al bisogno di aggregazione da parte dei giovani, sono luoghi che richiederebbero maggiori controlli, almeno per quanto riguarda la guida delle automobili da parte dei giovani che si apprestano a rincasare. Alcune misure sono state già prese, in questo senso.
Luciana Izzo
Le discoteche, la droga e l'alcool sono delle vie di fuga del disagio giovanile, non certo, la causa. Essi alimentano la solitudine, che i giovani si portano dentro, accrescendone la sofferenza.
Giancarlo Rossi
Secondo il sociologo Vanni Codeluppi, viviamo in un'epoca ipermoderna, in cui l'espressione della personalità si concretizza spesso in forme di divismo personale o di adorazione di personaggi della moda e dello spettacolo. Se questo è vero, è inevitabile che luoghi di aggregazione come le discoteche, o anche i rave party, abbiano un ruolo molto più importante che in passato, quando i giovani si incontravano al cinema, in parrocchia o nella sezione di partito, dove vedere o essere visti era secondario rispetto alle motivazioni che avevano provocato l'incontro. D'altra parte, la selezione rispetto al look è spietata: si è dentro o si è fuori. Quindi l'uso di droghe o alcool può essere provocato dal bisogno di farsi forza per affrontare un giudizio impietoso o per sopportare l'esclusione dal gruppo. Non è facile però gestire l'aiuto ambiguo che questi stupefacenti possono dare, ed ecco perché poi può svilupparsi la dipendenza, o almeno la sensazione di non poter vivere senza aiuti esterni che permettano di sopportare situazioni dolorose e umilianti.
Ilaria Sotis
Droga e alcool rischiano di interrompere la definizione di un discorso potenziale. Ma quando c'è un deriva si può e si deve tentare di recuperare. Non vanno criminalizzati i luoghi di aggregazione (discoteche o social network) ma capiti, osservati e bisogna responsabilizzare chi li gestisce.

D. Con i cambiamenti avvenuti nella società, sono cambiati anche gli strumenti di intervento. In ambito giuridico sono stati adottati strumenti innovativi, tra cui la messa alla prova, adottata nel 1991. La messa alla prova sospende il processo per consentire al ragazzo di dedicarsi a un progetto di recupero che può durare da un mese a tre anni (la media è di poco inferiore ai dieci mesi). Trascorso quel periodo, il giudice valuta i risultati del lavoro svolto: se è convinto che sia servito, dichiara l'estinzione del reato, come se non fosse mai stato commesso. In 15 anni la giustizia minorile ha quadruplicato l'adozione dei provvedimenti di messa alla prova: da 788 nel 1992, sono diventati 2.339 nel 2007. Come commentare questo dato? Esistono altri strumenti interessanti in questo senso? Quali i successi e gli insuccessi?

Luciana Izzo
Il D.P.R. 448/88 ha inteso dare una spiccata configurazione trattamentale al processo penale minorile, prevedendo all'art. 1 la natura tutta specialistica delle relative disposizioni e l'ottica educativa e rieducativa cui tutte le misure penali e la stessa pena devono ispirarsi.
Significativa è la previsione che il giudice deve chiarire al momento del processo al minore il significato delle attività processuali che si svolgono in sua presenza nonché il contenuto e le ragioni etico sociali delle decisioni che lo riguardano.
Istituti tipici del processo penale minorile sono l'accompagnamento coatto, la comunità, la permanenza in casa, le prescrizioni, la messa alla prova, l'irrilevanza del fatto, istituti nei quali l'ottica non è quella di criminalizzare, attraverso una sentenza di condanna, il minore che ha commesso un reato bensì di favorirne il reinserimento.
Tra gli istituti richiamati è interessante quello della messa alla prova (art. 28 D.P.R. n. 448/88), che comporta il coinvolgimento attivo del minore al cambiamento. Esso determina l'estinzione di reati anche gravissimi. Nella scelta di tale strumento processuale il Tribunale è arbitro pressocchè assoluto, non essendo consentita l'impugnazione nel merito della relativa decisione, ma soltanto il ricorso per Cassazione per violazione di legge. Perché si possa dare ingresso allo stesso sono necessarie alcune condizioni: 1) la sussistenza di elementi di prova che fanno ragionevolmente supporre la riferibilità del reato al minore; 2) la determinazione di quest'ultimo a valutare criticamente la propria condotta (il che presuppone un riconoscimento, anche solo parziale, di responsabilità), a riparare le conseguenze del reato, ad avere una condotta conforme alle prescrizioni che il giudice gli imporrà per la sua responsabilizzazione; 3) la predisposizione di un progetto serio da parte dei Servizi sociali minorili per il raggiungimento di tale scopo. Poiché il minore mette in gioco se stesso per il proprio cambiamento è necessario che tale progetto sia concreto ed effettivamente teso al suo recupero, potendo essere per lui il relativo fallimento una conferma della propria irrecuperabilità e, quindi, una spinta ulteriore ad una condotta antisociale.
Il progetto (art. 27 D.L.vo n. 272/89) "deve prevedere, tra l'altro: a) le modalità di coinvolgimento del minorenne, del suo nucleo familiare e del suo ambiente di vita; b) gli specifici impegni che il minorenne assume; c) le modalità di partecipazione al progetto degli operatori della giustizia e dell'ente locale; d) le modalità di attuazione eventualmente dirette a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione del minorenne con la persona offesa."
La durata della messa alla prova deve essere congrua, sufficiente a promuovere il cambiamento dello stile di vita. Non può ragionevolmente essere inferiore ai 4/6 mesi. Inoltre, poiché vi è la presa in carico da parte di istituzioni e servizi di una serie di interventi anche costosi, non viene di regola adottata in relazione a fatti di lieve entità o a comportamenti devianti occasionali, per i quali sono previsti altri strumenti processuali. Tuttavia può capitare che venga disposta dal Tribunale anche in assenza di queste condizioni, rispondenti ad esigenze di ragionevolezza. Come si è già accennato, l'ordinanza non è soggetta ad appello e, ad avviso di chi scrive, sarebbe necessario un correttivo normativo che lo introduca. Durante il periodo di messa alla prova il processo è sospeso e i servizi sociali informano periodicamente il giudice dell'attività svolta e dell'evoluzione del caso, proponendo, eventualmente modifiche al progetto o, in caso di ripetute violazioni, la revoca del provvedimento di sospensione. Decorso il periodo di sospensione ovvero prima, in caso di gravi violazioni delle prescrizioni, il giudice fissa una nuova udienza in cui valuta l'esito della messa alla prova: se è positivo dichiara con sentenza estinto il reato, se negativo, il processo riprende nello stato in cui si trovava e viene definito secondo le formule di rito.
La messa alla prova ha una durata massima: non può essere superiore ad 1 anno quando si procede per reati per i quali è prevista la reclusione inferiore nel massimo a 12 anni (ad es.: furti pluriaggravati, scippi, rapina semplice, estorsione semplice, sequestro di persona, violenza sessuale non aggravata ecc) così come non può essere superiore ai 3 anni quando si procede per un reato punibile con la reclusione superiore a tale pena (ad. es. rapina pluriaggravata, estorsione aggravata, sequestro di persona a scopo di estorsione, omicidio volontario, ecc.). Tali limitazioni sono, ad avviso di chi scrive, eccessivamente rigide, specialmente in presenza di reati che, per la loro entità, le modalità di esecuzione e per la personalità del minorenne richiederebbero dei tempi più lunghi di osservazione. Sarebbe pertanto opportuno una modifica normativa in tal senso. Si ritiene invece inopportuna l'esclusione della messa alla prova per alcune figure criminose (omicidio e violenza sessuale), come è stato proposto nel disegno di legge governativo n. 2517, in quanto vi possono essere fatti pur gravi (omicidi familiari o violenze tra adolescenti) che non sono tuttavia espressione di effettiva devianza, ma soltanto di sofferenza e di disagio evolutivo, che potrebbero ben risolversi con un rigoroso e severo percorso trattamentale di messa alla prova.
L'uso sempre più diffuso di tale strumento processuale dipende dal fatto che risponde ad una serie di esigenze: innanzitutto ha il vantaggio di far sperimentare subito la possibilità di recupero del minore, senza aspettare il momento esecutivo (istituto per alcuni versi simile è quello dell'affidamento in prova al servizio sociale che, però, non elimina il processo e che non estingue il reato); inoltre, rappresenta un forte stimolo per il giovane al cambiamento, cambiamento tanto più possibile quanto più la sua struttura della personalità è in fase evolutiva e meno forte è il consolidamento di abitudini criminali; altresì, è una reazione immediata dello Stato ad un comportamento deviante che, proprio per la tempestività che solitamente la caratterizza, viene accettata dal minore come giusta e, pertanto, ha effetto stimolante; infine riduce fortemente il numero dei processi e, quindi, consente una gestione più veloce della giustizia.
Giancarlo Rossi
La magistratura minorile giudica in maniera nettamente positiva i risultati dello strumento giuridico consistente nella messa alla prova dei minori. Il ricorso più frequente a questa procedura, che non sospende la pena ma l'intero processo, è dovuto al fatto che inizialmente molti giudici la consideravano un'avventura, ma poi ne hanno constatato gli effetti positivi. Secondo dati della Direzione del Dipartimento della Giustizia minorile infatti, le relazioni dei servizi sociali hanno permesso di accertare che più del 60% dei minori cui era stata concessa la messa alla prova hanno portato a termine un percorso educativo che ha permesso di considerare chiusa l'esperienza negativa di cui il reato commesso era il frutto. Così facendo, l'Italia applica nella maniera migliore le Convenzioni internazionali, come quella di New York del 1989, in cui si impegna alla rieducazione del minore che sbaglia. Occorre anche sottolineare che l'Italia è all'avanguardia proprio grazie all'adozione di questo strumento giuridico.
Ilaria Sotis
Da un lato forse è il sintomo di un servizio sociale che funziona, dall'altro testimonia un aumento di minori che delinquono. Ma come mi ha detto recentemente un educatore che lavora in un carcere minorile oggi questi ragazzi delinquono con motivazioni molto diverse, molti "per moda", altri "per noia", per "emulare", altri ancora ma sono una minoranza perché risentono dell'ambiente in cui crescono. Tanti di loro dunque vanno intercettati prima.

D. I mutamenti sociali hanno dato origine anche a riflessioni sul sistema penale, che andrebbe adeguato, secondo alcuni, alla nuova composizione sociale che vede anche minori stranieri sul territorio e che, quindi, deve far riferimento anche a culture della legalità diverse. Si parla anche di abbassare il limite di imputabilità a 12 anni. I minori sono, dunque, più adulti oggi?

Luciana Izzo
I minori infraquattordicenni, siano essi stranieri o italiani, sono in una fase della crescita particolarmente delicata e, pur se la vita di strada che conducono li porta ad essere più svegli e pericolosi, sicuramente sono privi di qualsiasi autocontrollo e, pertanto, di capacità di volere, che è una condizione essenziale dell'imputabilità. La proposta, da più parti avanzata, di anticipare l'età imputabile ai 12 anni, non è pertanto da condividersi. Pur se i suoi proponenti partono dalla considerazione che la società è cambiata e che i ragazzi fanno esperienze di vita che portano ad anticipare in essi l'acquisizione di conoscenze e di responsabilità e che occorre punirli quando commettono reati per educarli al rispetto delle regole, deve osservarsi per contro che i minori, nonostante l'apparente loro precocità, vivono in tali condizioni di solitudine e di abbandono affettivo da essere più immaturi e deboli dei coetanei delle generazioni precedenti. Né si avrebbe l'effetto intimidatorio prefigurato. Il giudice, infatti, è comunque tenuto ad accertare in concreto l'imputabilità, con il risultato che, essendo probabile l'insussistenza della stessa per gli infraquattordicenni, le loro condotte ben difficilmente darebbero in ogni caso luogo a sentenze di condanna. Si avrebbe pertanto una lievitazione dei procedimenti penali inutile e dannosa perché non sfocerebbe in sanzioni penali, farebbe tardare altri possibili interventi giudiziari nei settori propri (rieducativi e civili) e creerebbe disappunto nei cittadini, chiamati a testimoniare e ad esporsi (non si dimentichi che in alcuni distretti giudiziari il testimone è spesso sottoposto a vendette e a minacce personali) senza nessun effettivo risultato.
Inoltre, seppure si pervenisse a condanna, il momento esecutivo interverrebbe molto tempo dopo dalla data del fatto sì che la sanzione sarebbe diretta a soggetto personologicamente diverso da quello che l'ha commesso (ciò è tanto più vero per i minori per i quali il decorso del tempo ha una valenza esponenziale) e pertanto sarebbe incongrua e non perseguirebbe l'effetto intimidatorio ed educativo che la modifica si propone.
Infine, in sede di esecuzione sono previste una serie di benefici e di soluzioni alternative alla pena detentiva anche per reati gravi (guardandosi, non già, al titolo del reato, ma alla pena residua da scontare), per cui il giovane, anche se condannato, non sarebbe seriamente dissuaso dal commettere reati. Pertanto, se lo scopo è quello di correggere la condotta deviante dei minori e preservare la società civile dalle loro azioni violente, sarebbe preferibile agire sul versante della pericolosità sociale, di cui le misure di sicurezza sono espressione. Tali misure, com'è noto, si applicano alle persone socialmente pericolose, anche se non imputabili o non punibili (artt. 49 e 115 c.p.) che abbiano commesso un reato ed è probabile che ne commettano degli altri (art. 203 c.p.). Esse possono accedere ad una sentenza di condanna o anche di proscioglimento e richiedono, sempre, una valutazione attuale e in concreto della pericolosità. A seguito di una serie di interventi da parte della Corte Costituzionale e del legislatore ne è stata fortemente ridotta la portata. Ora sarebbe necessario adattare alle concrete esigenze della delinquenza minorile siffatte misure, ampliandone l'applicabilità sia provvisoria sia definitiva e prevedendone l'esecuzione anche in strutture più contenitive delle comunità, quando il minore se ne allontani ovvero rifiuti gli interventi di recupero o, comunque, sia pericoloso.
Giancarlo Rossi
Quello sull'abbassamento a 12 anni dell'età imputabile è un dibattito che viene riaperto periodicamente. Quello che i magistrati minorili sottolineano è che non esistono argomenti scientifici a favore di una tale misura. Soprattutto, si perderebbe il fine della rieducazione del minore, che è prevalente per il singolo e la società nel suo insieme quando si è minorenni. Occorre inoltre notare che molti Paesi i cui Codici penali prevedono l'imputabilità a 12 anni stanno pensando di rivedere questa norma. Sembra dunque fuori luogo prendere spunto dall'esistenza di diverse culture della legalità, meno avanzate della nostra, per tornare su una misura che ormai ha 80 anni. Si tratterebbe di una regressione sociale di cui non abbiamo bisogno e che, forse, punta a risparmiare i soldi che servono per mettere in piedi un efficiente servizio di assistenza sociale ai minori in difficoltà.
Ilaria Sotis
Io sono contraria ad abbassare il limite di imputabilità.

D. La scuola è un osservatorio privilegiato. Molte le notizie preoccupanti diffuse dai media secondo cui i giovani sono capaci di azioni aberranti in ambito scolastico, che peraltro poi diffondono freddamente su internet, come le riprese del pestaggio di un ragazzo down. Si tratta di episodi isolati oppure sono espressioni di una situazione diffusa? Questi atteggiamenti come si spiegano? La scuola è in grado di intervenire nella prevenzione di simili fenomeni?

Maria Mansi
Non si tratta di fenomeni isolati. Al contempo non mi sento di affermare che si tratta di una situazione diffusa. Il problema è presente nelle scuole e mentre in precedenza si registrava solo nelle scuole secondarie, oggi si hanno notizie di episodi di bullismo anche nella scuola primaria.
Molte sono le variabili che influiscono sui comportamenti aggressivi che sono alla base del fenomeno bullismo. Una è quella, già citata in precedenza, dei mass media e dei new media che propongono e diffondono in modo frequente ed incontrollato comportamenti violenti, situazioni di prevaricazione, di prepotenza e di aggressività.
Un'altra è quella dello stile educativo della famiglia, laddove c'è una famiglia di riferimento. Un clima relazionale non positivo può essere caratterizzato sia da un'assenza di coinvolgimento, di attenzione, di ascolto, di dialogo interattivo fra genitori e figli, sia da un'eccessiva tolleranza o anche da indifferenza verso atteggiamenti aggressivi.
La scuola da luogo di sicurezza e di protezione, di educazione e di apprendimento, di solidarietà e tolleranza si trasforma spesso in luogo di sopraffazione.
Altra variabile che favorisce il diffondersi di episodi di violenza è quella del gruppo dei pari (il branco), all'interno del quale si riduce il controllo dei comportamenti trasgressivi e negativi e la responsabilità individuale si annulla in quella del gruppo.
Non è da sottovalutare la variabile delle caratteristiche caratteriali della persona, sia essa il bullo o la vittima. L'uno e l'altra sono persone fragili, a volte il bullo lo è più della sua vittima.
Nella prevenzione del bullismo la scuola è in grado di intervenire, anche se non può farlo da sola.
La specificità di un intervento preventivo deve essere rivolto a tutti gli alunni e non solo, ma anche ai docenti, agli operatori che collaborano a vario titolo al lavoro didattico-educativo e ai genitori.
La finalità dell'intervento deve essere quella di promuovere in tutti la cultura del rispetto e della solidarietà.
La scuola e la famiglia devono stringere un patto di alleanza per offrire agli alunni esempi e stili di vita comuni all'interno di un sistema di valori condiviso.
I docenti devono saper osservare, cogliere messaggi ed intervenire per modificare atteggiamenti inadeguati; inoltre devono dialogare con i genitori non solo informandoli ma coinvolgendoli in un patto di corresponsabilità, con l'obiettivo di migliorare il clima educativo della famiglia grazie ad un rapporto di fiducia e rispetto reciproco.
Utile può essere promuovere iniziative, magari non episodiche ma ricorrenti, di formazione condivisa tra gli operatori della scuola e le famiglie.
Quanto mai importante è creare un clima di accoglienza, di ascolto, di rispetto e di buone pratiche, non ultima quella del fare buona scuola.
Giancarlo Rossi
Non c'è forse un settore dell'osservazione sociologica in cui l'effetto delle nuove tecnologie sia più evidente e concreto di quello degli atti di violenza di cui i giovani sono responsabili a scuola. L'esperienza degli insegnanti, mi ha spiegato il professor Giorgio Rembado, Presidente dell'Associazione Nazionale Dirigenti scolastici, sembra contraddire le preoccupazioni dei genitori e, più in generale, dell'opinione pubblica. Non ci sarebbe un aumento dei casi di violenza, che però sono amplificati dalle opportunità di riproduzione e diffusione offerte da telefoni cellulari, macchine fotografiche digitali e siti internet. È una questione di psicologia dei gruppi, ma quel che è certo è che la scuola ha meno strumenti a disposizione da un punto di vista tecnologico. Quello che può modificare la situazione è una nuova alleanza fra insegnanti e genitori.
Luciana Izzo
La scuola e la famiglia devono correre ai ripari, educando alla diffusione dei valori fondanti della nostra società, all'osservanza delle regole, al confronto delle idee, al rispetto dei più deboli. Ma non può esservi educazione se non si è coerenti con quanto si afferma. Parimenti non ci sarà ascolto se le idee non appariranno sostenute dal rispetto e dall'interesse verso l'altro. Come già detto, vanno ampliati gli spazi del dialogo sia in famiglia sia fuori, così come vanno ricercati i momenti di ricerca dell'io, sia attraverso la lettura sia approfondendo le tradizioni familiari, infine, vanno posti dei limiti alla sfrenatezza dell'esistenza, educando i giovani alle rinunzie e al senso del dovere. Non bisogna lasciare i figli da soli dinanzi alla vastità del mondo virtuale, se prima non saranno stati educati alle relazioni corrette e alle scelte equilibrate.
Ilaria Sotis
La scuola, benché dileggiata e umiliata spesso è assolutamente in grado. Per una classe dove le cose non vanno ce ne sono 100 con bravi docenti e ragazzi che studiano. Il che non significa che il problema non esiste: conoscere le dimensioni e i contorni del fenomeno è fondamentale.
Franco Ferrarotti
I problemi della scuola non riguardano tanto i comportamenti dei giovani alunni, che sono una variabile dipendente, quanto invece i comportamenti del corpo docente. Si nota un calo preoccupante di autorevolezza. Questo non è da attribuirsi soltanto, in esclusiva, alla mancanza di rispetto da parte dei giovani e delle loro famiglie. La causa principale va cercata nella de-motivazione dei docenti. Da dove nasce? Dalla caduta degli orientamenti profondi della società globale.

D. Di bullismo si è parlato molto negli ultimi anni. In realtà vi è sempre stato - penso al giovane Törless ad esempio. Esiste oggi una vasta bibliografia per ragazzi dedicata al fenomeno e a strategie di difesa. Cosa è cambiato? È fondato il timore dei genitori che i loro figli siano vittime di bullismo? Si tratta di sensazionalismo? Come intervenire, prevenire?

Franco Ferrarotti
Il bullismo tra giovani è sempre esistito, ma oggi, nel venir meno dell'autorevolezza delle famiglie e dei docenti scolastici, il bullismo appare crudamente nella sua realtà di sopraffazione gratuita. La presenza dell'autorità autorevole ma non necessariamente autoritaria è l'unico rimedio contro il dilagare del bullismo. I docenti che hanno giorno per giorno un contatto diretto con i loro allievi, conoscono e sanno chi sono i potenziali violenti. Vanno affrontati e quasi subito cederanno perché si tratta spesso di fenomeni di viltà di gruppo che si scatena contro deboli e isolati.
iancarlo Rossi
In buona parte, secondo gli esperti, il circolo vizioso della comunicazione amplifica fenomeni che da un punto di vista strettamente quantitativo non sembrerebbero più frequenti che in passato. L'emulazione gioca certamente un ruolo determinante, ma non è l'unico fattore. Del resto, se l'amplificazione delle notizie può rafforzare tendenze alla violenza, è anche vero che l'atteggiamento coraggioso di molte vittime, che denunciano i soprusi subiti e identificano i responsabili, può aiutare tutti a prendere coscienza del problema. Anche nel caso del bullismo, come più in generale per tutti i casi di violenza a scuola, gli insegnanti sottolineano che la contrapposizione fra le due "agenzie di formazione" più importanti, ovvero la famiglia e la scuola, è deleteria per i ragazzi. Occorrerebbe dare segnali coerenti e univoci, cercando di rinnovare un'intesa che la cronaca quotidiana smentisce, come quando si legge di genitori che aggrediscono insegnanti colpevoli, a loro parere, di trattare i loro figli con eccessiva severità.

D. Parlando di ragazzi più grandi, che frequentano l'università, come ci si può immaginare un futuro in cui gli adulti saranno coloro che sono giovani ora?

Franco Ferrarotti
Parlare per tipi medi a proposito di questi argomenti è singolarmente fuorviante. Alla base di questa incertezza ci sono due errori: ritenere che si possa avere un'università di massa senza investimenti, sociali e scientifici, massicci; in questo caso volere l'università per tutti significa non averla più per nessuno. In secondo luogo, si è confusa la necessaria eguaglianza per l'accesso all'università e all'istruzione superiore in generale, secondo il dettato costituzionale, e il carattere necessariamente selettivo dei risultati ottenuti dai singoli; in altre parole, va garantita l'uguaglianza alle basi di partenza, ma poi deve essere fatto valere un criterio selettivo, da non confondersi con gli indebiti favori degli studenti più ricchi, rispetto al merito effettivamente riconosciuto; si è creduto che l'università diventasse democratica promuovendo tutti, ma in questo modo la si è semplicemente distrutta come luogo della conoscenza scientifica a livello critico e non invece delle conoscenze nepotistiche che favoriscono i meno volenterosi e dotati per ragioni extra scientifiche.
Giancarlo Rossi
Un tratto interessante che a mio parere emerge dalle inchieste e dai sondaggi realizzati sui giovani studenti universitari è la sfiducia e il distacco nei confronti del nostro Paese, visto come una palude in cui chi merita ed ha voglia di fare è ostacolato da una rete di protezione organizzata per perpetuare situazioni di privilegio immeritato. Non vorrei che in futuro uno dei tratti caratteristici dell'Italia fosse quello di un Paese in cui le energie migliori sono state costrette a emigrare per trovare il riconoscimento del proprio valore. Si tratterebbe di un handicap gravissimo in una situazione storica in cui i legami storico-sociali con la propria nazione di origine sono sempre più tenui. È importante che le istituzioni agiscano decisamente per ristabilire un clima di fiducia, tanto più perché gli incentivi economici ad emigrare possono difficilmente essere pareggiati da datori di lavoro italiani sia pubblici che privati.

D. I giovani costituiscono davvero un fattore di rischio? Se sì, che messaggio darebbe alle Forze dell’ordine in merito al loro ruolo in questo ambito?

Giancarlo Rossi
Non si può certo definire la parte più attiva e interessante della nostra società un fattore di rischio! Ciò equivarrebbe a mandare un segnale di profonda sfiducia di tutto il Paese nel futuro. Del resto, ragionare per stereotipi non permette mai di affrontare nel modo giusto i problemi. Quindi penso che le Forze dell’ordine debbano essere coscienti che il disagio giovanile può esprimersi in varie forme contrarie alla legge e, quindi, debbano prestare particolare attenzione a come i giovani, minori o no, fanno il loro ingresso nella vita sociale. Ma non si può partire da un presupposto negativo nei confronti di una categoria sociale così ampia e frastagliata, altrimenti si corre il rischio di ottenere il risultato opposto, ovvero quello di alienarsi una fascia cospicua di popolazione e di alimentare una contrapposizione deleteria.
Franco Ferrarotti
Una società come quella italiana, senescente e gerontocratica, trova nella scarsità relativa dei giovani la ragione più grave di preoccupazione per il suo avvenire. Se non fosse per l'apporto degli immigrati extra comunitari, l'andamento demografico dell'Italia indicherebbe un fenomeno disperato. Integrare i figli degli immigrati e riconoscere loro la cittadinanza italiana in tempi brevi è l'unico rimedio a una drammatica carenza di giovani autoctoni e al peso crescente di un numero sproporzionato di pensionati e di vecchi inabili.
Maria Mansi
In precedenza ho definito il disagio giovanile una "emergenza educativa", utilizzando una definizione già adottata da altri. Non intendevo, però, attribuire al termine emergenza un valore negativo. A mio parere c'è una spia rossa la quale ci sta avvertendo che è tempo di lavorare per costruire un progetto educativo, difendere la società dagli attacchi reali o virtuali che la colpiscono e impegnarla nel reperire soluzioni finalizzate al raggiungimento di un benessere comune.
Ilaria Sotis
Secondo me no, i giovani non costituiscono un fattore di rischio piuttosto sono un fattore spesso a rischio.

D. Le Istituzioni stanno agendo nel modo giusto nei riguardi dei giovani? Cosa può e deve fare per e con i giovani oggi l'Istituzione che rappresentate?

Maria Mansi
Molti sono gli interventi messi in atto dalle Istituzioni nei riguardi dei giovani. Ad esempio, nel campo della formazione, la prevenzione e la lotta al bullismo costituiscono, oggi, una delle priorità della politica scolastica nazionale e locale. Una Direttiva del Ministro Fioroni nel 2007 ha dato il via alla campagna denominata "Smonta il bullo". In seguito sono stati istituiti presso ciascun ufficio scolastico regionale degli Osservatori Regionali Permanenti sul fenomeno del bullismo. Ogni osservatorio è diventato un centro polifunzionale al servizio delle Istituzioni scolastiche che operano sul territorio. In base alle indicazioni contenute nella direttiva del Ministro alcune Regioni si sono attivate per progettare un Piano regionale relativo a varie attività di intervento, come la formazione, la consulenza, il monitoraggio e la documentazione.
In linea con quanto si sta realizzando in ambito regionale, ogni istituzione scolastica deve lavorare perché la scuola sia un luogo di formazione e di crescita per tutti e proporsi come punto di incontro culturale e centro di riferimento e di aggregazione per il contesto territoriale.
Franco Ferrarotti
Le Istituzioni latitano. Sono assenti e lontane. Permettono che si stia realizzando oggi il genocidio di due generazioni attraverso il precariato diffuso e condizioni di lavoro giovanile tipiche del cosiddetto popolo dell'"IVA" che appare legittimo definire neoschiavili.
Giancarlo Rossi
Sono rimasto molto impressionato da quanto accaduto un sabato sera di qualche settimana fa nella notissima piazza di Campo 'de Fiori a Roma. I carabinieri avevano fermato un pusher che stava vendendo droga, quando un gruppo di ragazzi li ha aggrediti e ha cercato di liberare il criminale, per evitare che le Forze dell’ordine ostacolassero la ricerca di divertimento e di evasione che in quel momento sembrava l'unico bisogno di chi era in piazza. È evidente che di fronte a episodi del genere lo Stato non può che riaffermare il proprio controllo del territorio e il rispetto delle leggi. Ma una sorveglianza troppo incombente, che veda nel giovane, che sia o meno minore, soltanto un criminale in potenza, può avere l'effetto opposto di accentuare tendenze alla contrapposizione con il mondo degli adulti che in realtà sono sempre esistite e forse fanno parte di un processo di maturazione della personalità. Un altro esempio è quello dei controlli della polizia stradale per evitare gli incidenti stradali provocati da conducenti, molto spesso giovani, che sono sotto l'effetto di droghe o dell'alcool. Da un punto di vista statistico, i dati ci confermano ogni settimana che le vittime di incidenti stradali mortali sono soprattutto giovani. Ma a mio parere il controllo deve sempre andare di pari passo con la proposta di opzioni alternative, come le facilitazioni ai gruppi in cui uno dei ragazzi entra gratis nei locali se si impegna a non bere. In sostanza, si tratta di fare appello al raziocinio e alla sensibilità dei giovani, oltre a far capire loro che la violazione delle leggi non passerà inosservata e sarà punita.
Ilaria Sotis
Se la domanda è rivolta all'istituzione che rappresento io (immagino l'informazione) penso che debba, come sempre, essere onesta e precisa nel racconto della realtà.

D. In una logica di mercato, ai bisogni manifestati dai giovani oggi quale risposta/offerta deve dare la società?

Maria Mansi
Per rispondere a questa domanda ho pensato al libro di Francois Bégaudeau, La classe, Einaudi, Torino 2008 (t.o. Entre le murs, Gallimard, Paris, 2006), la cui trasposizione cinematografica è stata premiata al Festival del Cinema di Cannes nel 2008. Il libro è un rapporto sulla scuola europea scritto dall'interno della situazione da un insegnante, giornalista e scrittore il quale descrive la vita scolastica che scorre davanti ai suoi occhi. Il libro ed il film invitano a riflettere sul lavoro degli educatori e ci pongono di fronte alla domanda di che cosa sia ineliminabile nell'educazione: la ricerca del giusto, il comportamento volto al riconoscimento del vero, l'apprezzamento del bello; i buoni sentimenti; la curiosità per la conoscenza; la speranza. Tutto ciò costituisce una sfida da raccogliere per la società che guarda al futuro e vuole progettare itinerari formativi per i giovani di oggi.
Ilaria Sotis
Aiutarli a non avere paura del futuro e dunque fare in modo che lungo la strada trovino (e a volte conquistino), gli strumenti che serviranno loro per arrivare attrezzati all'età adulta.
Giancarlo Rossi
A giudicare dalle risposte che i giovani stessi, a prescindere dalla loro situazione sociale, danno a domande su come la comunità nazionale debba rispondere ai loro bisogni, sembrerebbe che l'unica richiesta generalmente condivisa sia quella di pari opportunità per tutti, uomini e donne, nella competizione per il successo individuale. Ciò comporta servizi scolastici e universitari di buon livello e accessibili a tutti e, poi, un ingresso nel mondo del lavoro che si realizzi sulla base della meritocrazia e non del privilegio. Nello stesso tempo, però, sono fortemente sentite richieste, come quella di affitti agevolati per le giovani coppie o di incentivi economici per i cittadini che non hanno un contratto lavorativo a tempo indeterminato nell'accensione di un mutuo, che implicano un ruolo attivo dello Stato nella vita sociale. Tenuto anche conto delle difficoltà di bilancio dovute all'indebitamento pubblico e alle conseguenze della crisi finanziaria, si tratta a mio parere di concentrare le risorse su pochi ambiti d'intervento, in particolare il miglioramento del sistema dell'istruzione, in modo che lo Stato sia percepito come un'entità favorevolmente attiva e non solo repressiva nei confronti dei giovani.
Luciana Izzo
I giovani non possono essere considerati dei fattori di rischio. Essi sono il nostro futuro e su di loro dobbiamo investire tutte le nostre risorse, così come appena indicato. Le Istituzioni locali e l'Autorità giudiziaria minorile devono contribuire a promuovere la loro crescita individuale e sociale equilibrata con interventi tempestivi di protezione. In particolare il Procuratore per i minorenni non deve esaurire la sua funzione nell'esercizio dell'azione punitiva ma, essendo il soggetto processuale al quale l'ordinamento conferisce il potere di intervenire a tutela del minore nella situazione di patologia della famiglia, deve svolgere sul territorio attività di promozione sociale e di tutela della legalità. Dovrà stimolare i servizi sociali, gli organi di polizia, gli educatori, i sanitari, i pediatri, i responsabili degli istituti a riferire le situazioni di disagio familiare e di pericolo del minore, in modo da intervenire senza ritardo in sua tutela. Esso rappresenta in qualche modo una cerniera tra amministrazione e i vari giudici che si occupano della famiglia. Infatti per il suo carattere monocratico e per le relazioni frequenti con il territorio e con tutte le altre istituzioni, può assicurare l'acquisizione di informazioni dettagliate sulla storia familiare del minore, potrà svolgere attività d'intesa e di coordinamento con gli altri Uffici del P.M. ordinario in modo che gli interventi di protezione che intende promuovere non siano causa d'inquinamento o di confusione negli altri procedimenti pendenti, dovrà indirizzare gli operatori sociali e gli educatori a vigilare e a sostenere il minore nei momenti di maggiore tensione processuale, dovrà coordinarsi con il giudice della separazione e del divorzio per accrescere il livello di informazioni del medesimo e per evitare prospettazioni manipolatorie delle vicende familiari da parte dei genitori, dovrà coordinarsi con il giudice tutelare perché vigili sull'osservanza delle decisioni di altro giudice. Tale attività è complessa e richiede grosse energie. Non va però trascurata, poiché soltanto assicurando l'ordine delle famiglie potrà assicurarsi l'ordine sociale.
Franco Ferrarotti
La società di oggi dimostra le carenze del mercato concepito come supremo volano dell'equilibrio sociale; il mercato è perfettamente legittimo come foro di negoziazione e di varie forme di contrattazione, ma non può, di per sé, offrire orientamenti sicuri e dinamici, aperti verso l'avvenire, alla società globale. I giovani oggi chiedono un inserimento positivo e a tempo indeterminato nel mercato del mercato del lavoro per uscire dal limbo dell'incertezza e costruire la propria famiglia assumendo finalmente la responsabilità del proprio destino.


(1) Samanta Castellan, "Baby gang anche in Italia?" in Transcrime, 27 gennaio 2001, www.questotrentino.it/2001/02/transcrime2_01.htm, accesso settembre 2001.
(2) Citato in: Claudio Tucci, "Centro e Nord fulcro della criminalità giovanile", in Il sole24ore, senza data, http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Italia/2008/03/giustizia-minori.shtml?uuid=a5823c30-ef84-11dc-8c36-00000e25108c&DocRulesView=Libero, accesso ottobre 2009.

© AGENZIA INFORMAZIONI E SICUREZZA INTERNA