GNOSIS 3/2009
Crisi del sistema finanziario Vigilanza ed attività sanzionatoria |
INTERVISTA a LAMBERTO CARDIA Presidente della Commissione Nazionaleper le Società e la Borsa (Consob) a cura di Pio Marconi |
Affrontiamo il terreno specifico sul quale opera la Consob. Quali gli effetti della crisi sulla Borsa italiana? Di quale dimensione la flessione? Esistono segnali di ripresa? Sulla Borsa italiana l’impatto della crisi è stato pesante. Dopo l’insolvenza di Lehman Brothers, a metà settembre del 2008, gli indici di Piazza Affari hanno registrato perdite più consistenti rispetto a quelle subìte da altre piazze finanziarie, come New York e Londra, che pur erano l’epicentro del sisma. La crisi, come noto, è nata nel sistema bancario statunitense dal settore dei mutui a basso merito di credito. Si è subito propagata al mercato britannico, per poi dilagare in tutto il mondo, contagiando prima la finanza e poi, a cascata, anche l’economia reale. Per l’Italia è stata una crisi d’importazione. Nel confronto internazionale il nostro sistema creditizio è rimasto relativamente al riparo e ha dato prova di una buona capacità di tenuta. I danni sono stati assai più contenuti che altrove. Ciò nonostante la Borsa italiana ha sofferto più di altre piazze. Nel corso del 2008 ha perso quasi il 50%. Questo è dovuto, tra l’altro, al fatto che nel paniere degli indici i titoli del settore bancario hanno da noi un peso percentuale superiore a quello che hanno negli indici di altre Borse, dove il paniere è meno esposto all’andamento del settore creditizio. La crisi si è fatta sentire anche in termini di dimensioni del listino. Diverse società, una trentina, hanno approfittato delle quotazioni a prezzi stracciati per riacquistare nei mesi scorsi le proprie azioni ed uscire dalla Borsa, il cosiddetto delisting. Altre hanno visto i propri titoli penalizzati al di là di ogni ragionevolezza economico-finanziaria. Si è ridotta la capitalizzazione di Borsa che, in relazione al Pil, è tornata al livello della metà degli anni Novanta. Segnali di ripresa ce ne sono ormai da qualche mese, anche se è difficile valutarne la consistenza e i tempi. Il giudizio prevalente degli addetti ai lavori è che il peggio sia alle spalle. Vedremo. Intanto nel mondo delle imprese forse qualcosa comincia a muoversi. Da un anno e mezzo in Borsa si registrano soltanto società in uscita e nessuna in entrata. Adesso qualche aspirante matricola potrebbe tornare a bussare alle porte di Piazza Affari. Ma è prematuro parlare di inversione di tendenza. Non è una rondine che fa primavera. La vigilanza sul mercato azionario e sulle Borse è svolta da Istituzioni nazionali. La crisi ci ha mostrato che i fattori di crisi agiscono fuori dai confini. Quanto sono condivisibili le proposte di introdurre organi sovranazionali di vigilanza e come potrebbe realizzarsi il coordinamento con le Autorità nazionali? Questo è un punto cruciale. Non c’è dubbio che uno degli insegnamenti che dobbiamo trarre da quest’ultima crisi è che il sistema internazionale della vigilanza sui mercati finanziari va rivisto. L’architettura complessiva del sistema deve essere riconsiderata proprio alla luce delle esperienze fatte in questi ultimi due anni. Serve più coordinamento a livello internazionale. In ambito europeo bisogna, a mio parere, fare un passo in più. Non basta rafforzare il coordinamento fra le autorità nazionali di vigilanza. Serve un primo nucleo di autorità sovranazionale. Il modello potrebbe essere quello del Sistema europeo delle banche centrali, articolato su un perno, analogo a quello della Bce, intorno al quale continuano a muoversi gli istituti nazionali come strumenti operativi di presidio dei singoli mercati. Su questo sono in corso riflessioni al massimo livello istituzionale in Europa e in Italia. In ambito comunitario è in fase avanzata di discussione un progetto della Commissione per dar vita ad un Sistema europeo delle autorità di vigilanza finanziaria, che prevede, tra le altre cose, la costituzione di tre nuove autorità sovranazionali: una per il settore bancario, una per i mercati finanziari e una per le assicurazioni e i fondi pensione. In Parlamento è in corso un’indagine conoscitiva, che potrebbe contribuire a far maturare una posizione nazionale in materia. La strada intrapresa dall’Europa mi sembra condivisibile, anche se si tratta di definire meglio diversi dettagli e di contrastare quanto più possibile il rischio di creare strutture farraginose e burocratizzate. Il Presidente Obama ha introdotto significativi cambiamenti nelle funzioni della FED e mutato il vertice della SEC, l’Autorità statunitense di vigilanza sulle borse. In Italia l’attenzione e le critiche non si sono rivolte alle Istituzioni di vigilanza del mercato delle azioni piuttosto al sistema del credito. Ritiene, comunque, necessarie alcune modifiche all’attività della Consob? È vero. Malgrado la bufera il nostro sistema di vigilanza è rimasto al riparo. Del resto, come dicevo prima, l’epicentro del terremoto non è stato da noi, ma altrove, nei mercati di tradizione anglosassone. Nel mirino delle critiche è finito il modello della vigilanza dal “tocco leggero”, fondato sulla fiducia nelle capacità di autoregolamentazione del mercato. Per anni questo modello, radicato negli Stati Uniti e nel Regno Unito, è stato indicato ad esempio anche in Italia da molti osservatori nostrani. La crisi dei mutui subprime ha messo in luce le debolezze di questo approccio. Le autorità di vigilanza di quei Paesi, la Sec negli Usa e la Fsa in Gran Bretagna, hanno dovuto recitare pubblicamente il “mea culpa”. I loro vertici sono stati cambiati. In Italia l’attenzione del dibattito pubblico si è concentrata più sulla solidità delle banche, sui loro requisiti patrimoniali, sui cosiddetti Tremonti bonds. Ma non c’è stato processo alle Autorità: da noi, infatti, non c’è stato l’assalto dei risparmiatori agli sportelli bancari né si sono verificati fallimenti eclatanti come quello di Lehman Brothers. Ciò nonostante per le autorità italiane, come per le altre, la crisi è un’occasione di crescita, di ricerca di una comune, forte regolamentazione e di affinamento delle tecniche di vigilanza. Le autorità hanno sempre molto da imparare dalle crisi. Lo schema ideale è prevenire il più possibile; reprimere quando è necessario. Lo sforzo consiste proprio nell’affinare sempre di più le capacità di analisi e di ascolto del mercato, per cogliere tempestivamente i sintomi della malattia quando ancora sono curabili e prima che si arrivi a situazioni patologiche. In Consob stiamo lavorando da tempo in questa direzione. Non è un compito facile. La realtà con cui le Autorità si confrontano è quella di un mercato in continua trasformazione, che trova sempre nuovi canali per aggirare ed eludere le normative introdotte di volta in volta dai Governi, dai Parlamenti e dalle stesse autorità per contrastare abusi e irregolarità. Si tratta di inseguire e afferrare un bersaglio mobile e velocissimo, capace di assumere le forme più diverse. Tra i temi sottoposti dal Governo italiano alla discussione dei ministri economici del G8 si è proposta una rinnovata azione di repressione dell’illecito, della corruzione, del denaro sporco, degli abusi del segreto bancario. Come ha funzionato l’attività sanzionatoria della Commissione? Come si coordina la Consob con l’Autorità Giudiziaria? A partire dal 2005, per effetto del recepimento di diverse direttive europee e grazie anche all’entrata in vigore della riforma del risparmio, i poteri di vigilanza della Consob sono stati significativamente rafforzati. L’autorità è stata dotata di più strumenti e di più risorse. L’impianto sanzionatorio della nostra normativa è stato modificato, per renderlo più dissuasivo. I risultati non si sono fatti attendere. Abbiamo registrato un’impennata dell’attività repressiva e sanzionatoria. Le cronache finanziarie degli ultimi anni ne hanno ampiamente riferito. A ciò si è giunti anche grazie alla buona collaborazione fra Consob e l’autorità giudiziaria, posta su nuove basi, in particolare grazie alla direttiva sulla lotta agli abusi di mercato, che ha previsto scambi di informazioni in entrambi i sensi. In precedenza, invece, tali trasferimenti di informazioni avvenivano in una sola direzione, cioè dalla Consob verso la magistratura. Questa collaborazione ha contribuito a rendere più efficace l’azione di contrasto di abusi e irregolarità sui mercati finanziari. Un ruolo non secondario lo ha avuto anche la collaborazione fra Consob e Guardia di Finanza, che ha reso più incisivi i nostri poteri ispettivi. Ovviamente l’attività di Consob si è svolta nell’ambito delle competenze che il Legislatore le ha attribuito. Travalicano questo ambito le azioni da voi menzionate, come la repressione degli illeciti legati a corruzione, denaro sporco, abusi del segreto bancario. Questo ricade piuttosto in una prospettiva più ampia, che coinvolge più soggetti: magistratura, Banca d’Italia, Unità d’informazione finanziaria (l’ex Uic), Guardia di Finanza, in parte anche Consob, eventualmente l’antimafia e gli stessi apparati di sicurezza. Tra questi soggetti è auspicabile una collaborazione sempre più stretta. In questo senso un passo molto positivo è stato fatto con l’istituzione del Comitato per la sicurezza finanziaria, che si riunisce periodicamente presso il ministero dell’Economia, al quale spettano funzioni di coordinamento. L’azionista di minoranza è oggi marginale nella definizione della politica delle aziende. Ciò allontana dal mercato azionario gli investitori. Ciò riduce i controlli. Come garantire le minoranze? La tutela delle minoranze è un punto essenziale per rafforzare la fiducia nel mercato e nelle autorità. Negli ultimi anni molto è stato fatto. La riforma del risparmio ha introdotto la figura del consigliere di amministrazione in rappresentanza delle minoranze. La Consob, attraverso la regolamentazione secondaria di attuazione, ha definito in concreto ruolo e funzioni di questa nuova figura come anche quella dei membri dei collegi sindacali espressione delle minoranze. Più volte negli ultimi anni Consob è intervenuta sul mercato per assicurare il rispetto sostanziale e non solo formale della normativa. Lo sforzo è di smascherare eventuali sedicenti minoranze, che possono in realtà essere collegate agli azionisti di riferimento. Il limite al cumulo degli incarichi per i membri degli organi di controllo interno, cioè collegi sindacali e consigli di sorveglianza, è un altro provvedimento adottato da Consob in attuazione della riforma del risparmio, che dovrebbe tradursi in una maggiore tutela delle minoranze. Ponendo un argine al proliferare degli incarichi di controllo, si contribuisce a far sì che i controlli interni siano più seri ed efficaci e non formali e di facciata. Molto lavoro resta da fare. Consob intende approvare quanto prima la nuova normativa sulle operazioni fra parti correlate, cioè quelle operazioni fra soggetti tra loro interconnessi, che fanno capo solitamente all’azionista di controllo o di maggioranza e che, in determinate circostanze, possono prevaricare gli interessi dei piccoli azionisti. La nuova disciplina, potenziando il ruolo degli amministratori indipendenti e migliorando il regime di trasparenza su questo tipo di operazioni, dovrebbe avere per effetto una maggiore protezione degli azionisti di minoranza. Altre forme di tutela sono in arrivo grazie alla direttiva comunitaria sui diritti degli azionisti, che faciliterà il più possibile l’esercizio del diritto di voto anche grazie al ricorso al voto telematico via internet. Sono provvedimenti che vanno nella direzione di dare più voce e quindi anche più tutela alle minoranze. La vigilanza si fonda sul controllo amministrativo. Ma esistono anche controlli partecipati. L’associazionismo dei consumatori. Le associazioni dei piccoli azionisti con le loro denunce spesso hanno fatto emergere le patologie. Come rafforzare il ruolo dei risparmiatori organizzati? La porta della Consob è sempre aperta per chi voglia segnalare irregolarità o abusi. Riceviamo ogni anno migliaia di esposti. Tutti vengono presi in esame. Parte di questi contiene spunti utili all’attività di vigilanza. A volte gli esposti sono presentati da gruppi organizzati, come le associazioni di piccoli azionisti o dei consumatori. In quanto arbitro Consob dà ascolto a tutti i protagonisti del mercato a prescindere dalle loro posizioni, grandi o piccole che siano. In questo esercizio può capitare che l’arbitro, se viene a trovarsi nel bel mezzo di una disputa, sia spinto da una parte o dall’altra. Spesso i contendenti sono anche rumorosi. Ma fa parte del gioco. Consob non fa tifo di parte. Esercita le sue funzioni con neutralità e disinteresse, perseguendo l’obiettivo del rispetto delle regole e dell’integrità del mercato. Nel far questo a volte capita di scontentare qualcuno dei contendenti, a volte più di uno o addirittura tutti. Ma anche questo fa parte del gioco. Non c’è dubbio, comunque, che le segnalazioni o le denunce che arrivano dalle associazioni di azionisti o di consumatori costituiscono spesso un elemento prezioso per le indagini della Consob. L’associazionismo può rafforzarsi attraverso l’istituto della class action, le azioni legali collettive. Questo strumento, in uso da tempo negli Stati Uniti e in altri Paesi, è in dirittura d’arrivo anche in Italia. Può essere un’arma potente con un forte effetto preventivo di deterrenza e di dissuasione. Ma come tutte le cose nuove anche questa dovrà essere messa alla prova, per verificare quali effetti possa produrre in concreto nel nostro ordinamento. Sappiamo che i tempi della giustizia in Italia non corrispondono alle aspettative dei cittadini e che le aule dei tribunali sono ingolfate. La class action, a mio parere, è uno strumento da maneggiare con cautela. Il rischio è un’esplosione della conflittualità con possibili ricadute negative sul sistema italiano della giustizia, già molto in affanno. È da auspicare che in un bilancio a consuntivo i benefici prevalgano sui costi. Si torna a riflettere su temi troppo velocemente abbandonati: l’economia sociale di mercato, la cogestione. Si tratta di prospettive che consentono di umanizzare l’economia e la formazione della ricchezza. Possono diventare strumenti per la trasparenza? Possono favorire una rinascita di fiducia? Nel secondo dopoguerra l’economia sociale di mercato ha dato per oltre sessant’anni buona prova di sé. I Paesi che hanno adottato quel modello di sviluppo, prima fra tutti la Germania, hanno trovato un presupposto duraturo non solo di crescita per l’economia e le imprese, ma anche di coesione sociale e di convivenza politica. È un modello che tende ad includere e a comporre anziché ad escludere e a contrapporre. Riduce la conflittualità tra i vari attori socio-economici, estende le responsabilità, coinvolge. Prevede la più ampia partecipazione possibile anche all’interno delle imprese, dove il meccanismo della co-determinazione apre le porte dei Consigli di sorveglianza ai rappresentanti dei lavoratori. La Germania post-bellica, uscita distrutta dalle macerie del nazismo, ha imboccato la strada dell’economia sociale di mercato sotto la guida del cancelliere Konrad Adenauer. Ancora oggi la Germania raccoglie i frutti di quelle scelte. Non era un appannaggio esclusivo dei cristiano-democratici di Adenauer. Era patrimonio comune di tutta la classe politica tedesca, compresi i socialdemocratici che, una volta al governo, hanno proseguito sulla stessa strada. Del resto, non deve sorprendere, visto che quel modello mette insieme e fa convergere elementi diversi: gli animal spirits del capitalismo e del mercato, temperati da un senso di responsabilità sociale e dalla solidarietà verso i più deboli. Quel modello ha funzionato e continua a funzionare. Credo che ancor oggi possa essere un valido punto di riferimento per il presente e per il nostro futuro.
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