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GNOSIS 3/2009
La parabola dei Sarno

articolo redazionale


Napoli - 27 luglio 2009
Arresto di Salvatore SARNO
 
Ponticelli è un verminaio di strade e palazzi sparsi tra il cielo e la lingua orientale del napoletano. E’ il nodo di una tela di ragno in cui scorrono febbrili fettucce autostradali, by-pass tra flussi provenienti da Nord e da Sud che sfrecciano con il carico differenziato di speranze e di memorie.
Da lì, si dipanano stellari punte verso l’area vesuviana, verso la stazione Garibaldi o l’aeroporto Capodichino, con la scia scura che si distingue dalle comete per assenza di un progetto, forse anche di ricordi.
Un tempo lontano, prima dell’ultima guerra mondiale, Ponticelli vantava il miracolo di un’agricoltura e di un’industria capaci di coabitare e di condividere le speranze di un futuro migliore.
Poi la ricostruzione e il sogno disperato di una casa hanno riempito gli spazi e sfidato ogni geometria urbanistica, creando la “leggenda” di rioni sovrappopolati dove allignava l’hobbesiano lupo camorristico.
Non è un caso che il clan Sarno, che ha governato per decenni l’area ponticelliana, si sia specializzato sin da allora nell’assegnazione delle nuove abitazioni, poi nella gestione dello sfollamento delle vittime del terremoto dell’80 sino alla “vendita”, anche recente, degli alloggi popolari, pretendendo una quota estorsiva per ogni occupazione.
I Sarno sono una famiglia numerosa, Vincenzo, Giuseppe, Pasquale e Luciano fanno da corona al capostipite criminale, il boss Ciro Sarno che, oltre a partecipare con la Nuova Famiglia alla guerra vittoriosa contro i cutoliani, riesce a legittimarsi sul territorio tanto da meritare il titolo di “o’ sindaco”.
La voglia di guardare Napoli, l’ambizione di espandersi verso il capoluogo e il Vesuvio, l’esasperato bisogno di esplodere dal concentrato spazio del Rione De Gasperi e dei Lotti Zero animano una nuova guerra di camorra: i Sarno si saldano ai Misso (Ciro e Giuseppe Misso sono cognati) e ai Mazzarella contro l’indomita Alleanza di Secondigliano che vanta boss del calibro di Licciardi, Mallardo, Contini e De Luca Bossa.
Ciro Sarno è giovane ma riesce ad accreditarsi quale esclusivo riferimento dell’area orientale, intorno a Ponticelli, dove elimina senza pietà alcuna chiunque non si pieghi al suo totale dominio, come dimostra nel 1989 la strage di sei camorristi compaesani che avevano cercato di conservare la loro autonomia.
Il clan subisce una grave battuta d’arresto solo nel 1992, quando l’arresto di Ciro, latitante in Calabria insieme alla famiglia, sembra destinato a privarlo della sua prospettiva strategica.
A Vincenzo spetta l’ònere di continuare l’opera del fratello, contro un agguerrito De Luca Bossa che cerca di eliminarlo trasferendo il Libano nei vicoli orientali di Napoli, con un’autobomba che esplode in anticipo e dilania Luigi Amitrano nipote e autista del Sarno.
E’ scontro violento dove si confrontano le intelligenze criminali migliori degli anni ’90.
Quando “l’Alleanza di Secondigliano” si scioglie sotto la pressione investigativa, i Sarno non hanno tempo per gustare il primato e si trovano ad affrontare l’arresto di Vincenzo e la tracotanza dei vecchi soci, quei Mazzarella che già avevano emarginato i Misso e che si sarebbero voluti appropriare dell’intera area partenopea.
Il tempo napoletano è una clessidra che si capovolge senza sosta e chi sembra dominare si trova presto a subire l’avversario.
La scarcerazione di Vincenzo, il 3 settembre 2008, riattiva le speranze e l’arroganza dei Sarno delusi dalla fallimentare reggenza di Giuseppe.
Tra i due fratelli si apre una frattura incolmabile.
Alla moderazione e al temporeggiamento del Giuseppe corrisponde un’animosa aggressività del Vincenzo che progressivamente si salda con tutte le organizzazioni dei Quartieri napoletani avversari dei Mazzarella, incoraggiandoli a espellere i rappresentanti locali dei nemici non disposti a “rivoltarsi”, a tradire insomma.
S’apre una nuova stagione di guerra, su di un duplice piano.
Il primo, più diretto, tra i Mazzarella e i Sarno, questi ultimi forti della liaison dangereuse con altri potentati limitrofi, quali gli Amato-Pagano dell’area di Scampìa, i Lo Russo di Miano, i Moccia di Afragola, i Sacco-Bocchetti di San Pietro a Patierno, con cui condividono sia affari legati alla droga sia i sogni di potere geomafioso sull’intero scenario partenopeo.
Il secondo, indiretto e polverizzato, spesso ambiguo e trasversale, riguarda i contrasti tra i referenti locali dei Sarno e dei Mazzarella: i Ricci, i Prinno, i Palazzo contro i Mariano, gli Elia, i Lepre, per il controllo dei “Quartieri”; i Rinaldi-Reale contro i D’Amico a San Giovanni a Teduccio; i Longobardi contro i Beneduce, a Pozzuoli, dove l’alleanza con i “napoletani” sembra offrire la possibilità di uscire dallo stallo di anni.
Si moltiplicano gli agguati, gli incontri in cui i Mazzarella sono messi all’angolo e devono camminare “muro-muro” per paura dei “botti”.
Quando i Sarno si sentono ormai padroni di Napoli, quando le dita stringono i vicoli e i quartieri brulicanti, quando il solo nominarli genera terrore o ebbrezza, proprio nell’auge massima, la reazione degli investigatori si concentra su di loro e a poco a poco ne decima le fila, sino a decapitarli.
E’ una sequenza da bollettino di guerra: da una parte, l’arresto di Vincenzo, il 1 aprile 2009 e di Giuseppe, il successivo 5 aprile, dall’altra, una teoria di interventi investigativi tra cui quelli di giugno e di luglio che decimano l’organizzazione.
Sono recisi anche i collegamenti con i forti alleati camorristici della provincia, tra cui gli Amato-Pagano, alias “gli scissionisti dei Di Lauro”, e i Longobardi di Pozzuoli, anch’essi decapitati da numerose investigazioni.
I Sarno languono. Sbandano anche i referenti nei quartieri, privi ormai del potente appoggio e sovraesposti alla controffensiva dei Mazzarella.
Non basta.
Alla sconfitta sul terreno corrisponde anche una grande ferita nell’onore della famiglia.
Giuseppe e poi altri elementi familiari decidono di collaborare con la giustizia, aprendo spiragli investigativi ancora da sondare e tracciando responsabilità decennali del clan nella gestione mafiosa del territorio.
Si tenta una reazione. Spropositata, segno dell’affaticata incapacità di fare caposaldo.
Infatti, il 27 luglio Salvatore Sarno, “Tore o’ pazz”, unitamente al primogenito di Ciro e ad altri rampolli della famiglia minaccia la madre al fine di indurre il padre Giuseppe a ritrattare le dichiarazioni collaborative.
Il conseguente arresto è il segno dei tempi, l’autofagia familistica preagonizzante, è la rabbiosa ricerca di un futuro da parte di giovani che non hanno altro cielo che quello nello stretto collo di bottiglia della camorra.
E’ l’ipercinesi della sconfitta che ruota su se stessa e si disperde, inane.
Sul finire di settembre tra i vicoli di Ponticelli si coglie l’eco della collaborazione alla giustizia in atto anche del capostipite Ciro.
A Ponticelli dopo tre decenni gli affiliati baldanzosi si nascondono nell’ombra, temendo che le vie un tempo guardate come orizzonte da conquistare ora siano le finestre da cui attendere l’arrivo di nuovi barbari.
Nelle colonie dei Quartieri, protettorati di un potere che non c’è più, i Sarno sono desaparecidos e i mazzarelliani iniziano la caccia al traditore.
Finisce l’era dei Sarno, mentre già la clessidra napoletana si riempie di una nuova camorra e inizia a disegnare un cielo capovolto.



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