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GNOSIS 3/2009
I nuovi scenari proposti dalla crisi

Intelligence al tempo del libero mercato


Francesco ZACCARIA


(Foto Ansa)
 
La crisi economica esplosa un anno fa ha comportato ampi rischi di bancarotta per le economie di diverse nazioni ed ha imposto interventi statali di supporto a vari livelli. L'economia globalizzata comporta, infatti, la globalizzazione della crisi e rischi di destabilizzazione sociale di portata incalcolabile.
È lo scenario nel quale il Professore Francesco Zaccaria colloca una nuova visione dell'intelligence che muove dalla necessità di capire e prevenire flussi economici e speculazioni finanziarie suscettibili di mettere in pericolo la stabilità politica e sociale di un paese.



Fenomeni critici di carattere naturale e
crisi economico-finanziarie



Nei secoli passati l’umanità viveva nella paura di eventi non dominabili in quanto prodotti da cause esterne: epidemie, carestie, trasformazioni climatiche incisive. Altri eventi che portavano conseguenze drammatiche erano governati da sovrani o imperatori lontani: si trattava delle guerre e delle invasioni che determinavano distruzioni, uccisioni di massa.
Oggi la situazione è mutata. Alcuni fenomeni di salute collettiva o i livelli di produzione di beni alimentari sono relativamente sotto controllo. Medicina e tecniche produttive agricole, infatti, sono in grado di evitare, nel loro ambito, fenomeni negativi di vasta portata come le epidemie o le gravi carestie. Una relativa pace è garantita nel mondo industrializzato. Ma altre vicende non facilmente dominabili toccano la vita e l’immaginario collettivo delle società: le crisi finanziarie ed economiche. Una di esse è quella che stiamo vivendo dal 2008.
In realtà le crisi finanziarie hanno da sempre caratterizzato le economie fin dalla nascita del capitalismo e maggiormente stanno caratterizzando le economie avanzate del capitalismo evoluto dei nostri tempi. Esse, per altro verso, sembrano essere il necessario prodotto del funzionamento di un sistema economico basato sul mercato. Va, peraltro, considerato che la maggioranza delle crisi ha interessato marginalmente i sistemi economici, producendo oscillazioni di attività economica relativamente poco consistenti. Alcune altre, come quella del 1929-32 e quella odierna, toccano pesantemente i sistemi economici degli stati e quello internazionale determinando instabilità finanziarie e cadute di reddito assai gravi per le collettività.
Le grandi crisi divengono, così, parte dell’esperienza storica di determinati tempi. Ad esse si ispirano opere d’arte teatrale e cinematografica o letterarie.


I caratteri della crisi del 2008-2009

Le situazioni critiche attuali traggono probabilmente la loro origine da disordini finanziari.
Nella moderna teoria economica esistono almeno due spiegazioni delle crisi finanziarie. La prima lega la crisi al ciclo del credito. La seconda individua la cause della crisi in asimmetrie informative sui mercati finanziari.
La crisi odierna trova la sua prima base ed il fattore scatenante nelle vicende dei cd. mutui subprime, cioè da mutui fondiari non assistiti da garanzie primarie. Molte banche USA, infatti, hanno erogato prestiti fondiari a privati con modalità scarsamente prudenziali. Il valore dell’immobile dato in garanzia era, in molti casi, del tutto inadeguato in relazione alla garanzia stessa. Quando il valore degli immobili è diminuito per una crisi del mercato immobiliare le insolvenze dei debitori hanno determinato situazioni di crisi degli intermediari i quali, a causa della diminuzione del valore degli immobili, non hanno potuto realizzare il pieno soddisfacimento dei loro crediti. Conseguenze assai negative sono derivate dal fatto che non pochi intermediari poco prudenti avevano cartolarizzato i loro crediti incerti. Essi, cioè, avevano ceduto in cambio di liquidità immediata i crediti così poco sicuri trasferendo gli attivi stessi ad altri intermediari fornitori di liquidità. Questi ultimi, a loro volta, hanno ceduto i crediti stessi ad altri prenditori. Una specie di gioco del cerino acceso che ha “infettato” di cattivi crediti l’intero sistema, nazionale ed internazionale, dell’intermediazione finanziaria. Per rimanere nella metafora del gioco del cerino, prima o poi è inevitabile che la fiammella bruci le dita di qualcuno. Nell’esperienza reale, peraltro, è accaduto che la bruciatura abbia toccato l’intera economia mondiale.
Il sistema internazionale dell’intermediazione finanziaria, peraltro, aveva in sé altri motivi di debolezza e di instabilità. Le banche, infatti, hanno fatto ricorso ad un gran numero di contratti derivati, con i quali in vario modo si scommette su movimenti del prezzo di strumenti finanziari sottostanti. Molte banche, alla ricerca di guadagni elevatissimi per loro o promessi ai loro clienti, hanno fortemente ampliato l’effetto leva, cioè il rapporto percentuale fra il volume di credito creato e le riserve monetarie o patrimoniali che sono a garanzia del credito stesso.
Il complesso di questi fattori ha causato una catena di crisi bancarie, fondamentale quella della Lehman Brothers.
Il disordine finanziario ha portato alla caduta della domanda di beni di consumo. Il calo della produzione di questi ultimi ha provocato la contrazione degli investimenti. Si è determinata, quindi, una riduzione del volume del reddito prodotto e del Pil. In sostanza dalla crisi finanziaria è derivata la crisi economica, definita in macroeconomia ‘recessione’.
Quello che caratterizza la crisi attuale è la dimensione planetaria. Il forte grado di interdipendenza fra le economie e la cd. globalizzazione, che caratterizzano i nostri tempi, hanno determinato la rapida diffusione delle situazioni di crisi. Lo stretto collegamento degli intermediari finanziari e dei diversi mercati finanziari ha portato alla diffusione di dissesti e di recessione in tutti i Paesi, pur con varianti determinate dalla maggiore o minore solidità delle economie e dal grado di prudenza osservato nella gestione delle vicende finanziarie ed economiche.
In realtà la spiegazione “finanziaria” della crisi non è l’unica. Non è mancato, infatti, chi ha osservato (D. Hamilton della California University) che nel 2007 si è verificato un fortissimo ed anomalo incremento del prezzo del petrolio, fino ad oltre 150 dollari a barile, e che questo incremento potrebbe porsi come fattore causale della crisi stessa. Altri autori (Roubini e Setser) hanno evidenziato con anticipo (2004) i pericoli di una crisi globale dovuta agli squilibri che caratterizzavano ed ancora caratterizzano le economie nazionali e l’assetto economico internazionale.
Probabilmente i fattori causali della crisi in atto sono plurimi, come del resto avviene in molte vicende della vita e nelle vicende naturali e socio-economiche. La crescita del prezzo di una fonte energetica naturale, quale il petrolio, di grande rilievo nell’economia mondiale è stata un fattore critico in una situazione in cui le cause prime sono state:
a) l’illimitata fiducia nelle forze del mercato;
b) la diffusa spinta a conseguire altissimi profitti da negoziazioni su strumenti finanziari;
c) la carenza di regolazioni giuridiche a garanzia della trasparenza ed affidabilità delle transazioni e degli operatori che pongono in essere le transazioni stesse.


Le conseguenze:
crisi bancarie e crisi industriali


Il disordine monetario, l’instabilità e l’incertezza hanno esteso i loro effetti sull’intero sistema economico all’interno degli stati e nell’economia mondiale. Nel contesto complessivo delle economie industriali i primi a subire i gravi effetti della crisi sono stati gli intermediari finanziari, cioè le banche e le imprese assicurative. Titoli di credito “tossici” (in quanto caratterizzati da bassa o nulla possibilità di realizzazione del valore) o altre partite ad alto rischio hanno messo in crisi i bilanci di queste imprese. Inoltre una grave crisi di liquidità ha determinato tensioni ed una sostanziale incapacità di funzionamento del mercato interbancario.
La situazione di insolvenza degli intermediari è stata una inevitabile conseguenza di questi eventi. Negli Stati Uniti, ad esempio, le crisi della Bears Storm e della AIG sono state evitate soltanto per un forte intervento finanziario statale. Per un altro gigante della finanza statunitense, la Lehman Brothers, il Governo statunitense ha deciso di non intervenire e questa impresa ha chiesto il fallimento il 15 settembre 2008. Altre banche hanno dichiarato lo stato di insolvenza in Europa.
Nell’ambito dell’economia è stata registrata una forte caduta del reddito e dei consumi privati e pubblici. Questa si è ripercossa in una riduzione degli investimenti. In tutti i paesi industrializzati le statistiche economiche registrano una consistente caduta del Pil. In Italia, ad esempio, le previsioni e rilevazioni economiche aggiornate stimano la caduta del Pil per il 2009 nel 5,2% rispetto all’anno precedente, ma non mancano previsioni pessimistiche che stimano al 6% la caduta del Pil dal 2008 al 2009. Gli indicatori statistici evidenziano, sempre nel nostro Paese, un calo del 22,2% della produzione industriale nel primo semestre del 2009 rispetto alle stesso semestre del 2008.
Sono state toccate anche alcune grandi imprese industriali. Negli Stati Uniti l’industria automobilistica costituiva un settore di grande prestigio e di peso economico. Tutte le grandi società di Detroit, la Chrysler, la General Motors e la Ford hanno dovuto fronteggiare una forte caduta della domanda che si è tradotta in crisi di impresa.
Anche il settore delle piccole e medie imprese è in difficoltà in tutto il mondo e, in particolare, nel nostro Paese. Esse hanno problemi a collocare i loro prodotti spesso più costosi di quelli forniti dalla grande industria e della grande distribuzione e, dall’altro lato, sono soffocate dal costo e dalle modalità di erogazione del credito da parte del sistema bancario. Gran parte delle imprese medio-piccole, in sostanza, incontra gravi difficoltà e potrebbe correre rischi di asfissia finanziaria.
Va sottolineata, a tal proposito, un’ulteriore differenziazione che penalizza le piccole e medie imprese. Le grandi imprese, infatti, hanno fatto, nei mesi successivi alla crisi ed in sostanza per superare la crisi stessa, un forte ricorso al mercato finanziario tramite emissione di obbligazioni. In sostanza, queste imprese hanno agito secondo la formula “meno credito - più obbligazioni”. In Italia le emissioni di titoli obbligazionari da parte delle grandi imprese sono state pari, nel 2009, a circa 12,5 miliardi di euro. Recentemente Eni, Enel, Finmeccanica, Edison e FIAT hanno raccolto risorse sul mercato obbligazionario anche con emissioni assai consistenti. Il mercato finanziario, dal suo conto, ha dimostrato un forte interesse per i titoli a medio e lungo termine emessi dalle maggiori società sottoscrivendo tutto l’ammontare dei titoli offerti o addirittura esprimendo una domanda più elevata dell’offerta. Questi titoli, infatti, sono caratterizzati dall’equilibrata mediazione fra adeguata remunerazione del capitale ed un elevato grado di affidabilità. Non così avviene nel caso delle medie e piccole società per le quali i risparmiatori, dopo gli episodi di insolvenza delle società Cirio e Parmalat, esprimono avversione al rischio e quindi estrema cautela, evitando di sottoscrivere titoli obbligazionari.
Le crisi bancarie e di impresa, infine, hanno depresso in modo assai incisivo, i mercati di Borsa. In Italia, ad esempio, l’attività è caduta del 50,99% nel primo semestre del 2009 rispetto ad un anno prima. Dai dati elaborati da Assosim emerge che i volumi azionari intermediati sulla Borsa italiana nella prima metà del 2009 sono stati pari a 617 miliardi di euro contro i 1.260 del primo semestre 2008.
Parallelamente, i corsi dei titoli azionari hanno subìto una consistente falcidia. Nel 2008 la flessione degli indici azionari italiani è stata pari al 50%, anche se nello scorcio del 2009 gli indici del mercato italiano si sono riportati su livelli prossimi a quelli di fine 2008. In sostanza, l’andamento del mercato ha accentuato gli elementi di debolezza strutturale del mercato azionario italiano, sia in termini di dimensioni assolute che di numero di società quotate. A livello mondiale l’indice medio dei corsi sul mercato azionario, fatto 100 al 1° gennaio 2008, è stato pari a 54 per l’area euro e 59 per gli USA. Nel 2008 negli Stati Uniti l’indice Dow Jones ha perso il 33,84% e il Nasdaq 40,54%. In Italia l’indice S&P Mib di Milano ha perso il 49,53%, il FTSE di Londra il 31,33%.


Le conseguenze:
l’incremento della disoccupazione


Uno degli aspetti più gravi della crisi è la disoccupazione. Le imprese in difficoltà assorbono meno giovani che entrano sul mercato del lavoro e, addirittura, sono costrette a licenziamenti. I fallimenti delle imprese creano, ovviamente, forte riduzione dei posti di lavoro. Dal loro canto, le amministrazioni pubbliche non sono in grado, non ostante l’attuazione di programmi di intervento di tipo espansivo, di compensare la riduzione di domanda di lavoro privato con l’espansione di lavoro pubblico.
 

Un esempio di tale vicenda è dato dagli USA dove il tasso di disoccupazione nel giugno 2009 è salito al massimo da 26 anni con il 9,5%. I posti di lavoro distrutti dall’inizio della recessione sono stati, sempre negli USA, 6,5 milioni. In Italia il tasso di disoccupazione è stato, nel primo semestre 2009, pari al 7,9% contro il 7,1% dello stesso periodo del 2008. La Gran Bretagna presenta nel trimestre marzo-aprile-maggio 2009 un tasso di disoccupazione del 7,6%. Altri Paesi industrializzati sono caratterizzati da tassi di disoccupazione simili o più elevati. In Spagna, ad esempio, l’Istituto di Statistica ha rilevato, alla fine del primo semestre 2009, un tasso di disoccupazione del 17,92%. La media del tasso di disoccupazione degli stati appartenenti all’Unione Europea (luglio 2009) sembra essere dell’8,9%.
La disoccupazione è un fenomeno assai preoccupante perché va ad appesantire la situazione del bilancio pubblico, chiamato a fornire risorse per pagare sussidi, indennità di disoccupazione ed altre forme di intervento. La disoccupazione, inoltre, ha una serie di pesanti ricadute politiche e giuridiche sull’intero tessuto del sistema-paese. Essa, infatti, è una fonte di instabilità, di tensioni sociali diffuse e talora costituisce un fattore di crescita di alcune tipologie di reati.


Gli interventi posti in essere
per contrastare la crisi


Mentre la precedente grave crisi mondiale degli anni ‘30 ha trovato in una prima fase governi ed istituzioni dell’economia assai inadeguati in quanto mancavano strumenti di teoria generale per spiegare le crisi e per elaborare forme di intervento, ai nostri giorni v’è, almeno teoricamente, il possesso da parte delle autorità di governo di strutture culturali e principi operativi che dovrebbero consentire interventi per la ripresa. La scienza economica ha elaborato, infatti, sulla base della teoria macroeconomica keynesiana, una serie di paradigmi operativi per interventi di carattere economico e monetario diretti ad ovviare le crisi e portare al loro superamento.
I pubblici poteri, quindi, forti di alcune esperienze del passato e del bagaglio di cognizioni teoriche della scienza economica, si sono posti, almeno formalmente, l’obiettivo di introdurre correttivi alla crisi e di pervenire in tempi ragionevoli al risanamento.
Il primo rimedio suggerito dal nucleo della teoria macroeconomia keynesiana è stato il superamento del principio del pareggio del bilancio pubblico e la realizzazione di consistenti spese pubbliche finanziate in disavanzo, cioè coperte con il debito (politiche di bilancio di tipo espansivo). Questo sarebbe stato indispensabile e necessario, secondo la macroeconomia keynesiana, per ovviare alla carenze della domanda complessiva del sistema economico e per riportare la produzione su livelli accettabili. In realtà questo rimedio ha trovato un’adesione, anche se non immediata, da parte delle Autorità di governo della finanza pubblica nel caso della recessione 2008-2009. Peraltro, i diversi stati del mondo sono già gravati, al momento in cui si è scatenata la crisi, da squilibri di bilancio e debiti. Non poche norme di diritto positivo, inoltre, pongono limiti al potere degli stati di fare ricorso indifferenziato al deficit di bilancio. Una consapevole e deliberata politica di deficit spending, pertanto, ha richiesto in alcuni stati, per la sua attuazione, interventi legislativi.
Sono state così decise ed iniziate sostanziali azioni di intervento sui mercati, intese a sostenere la domanda e, quindi, la ripresa. Si tratta di azioni che coinvolgono sia aspetti quantitativi, cioè manovra di variabili strumentali del sistema economico, che aspetti qualitativi, cioè regolazione della spesa o di fatti o atti giuridici.
Azioni dirette a sostegno della domanda complessiva e, quindi, a determinare una stabile espansione del reddito e del Pil. Ad esempio con riferimento alle politiche adottate in Italia dal Parlamento su proposta dell’Esecutivo, articolate nelle misure adottate nel 2008 e concluse con il D.L. n. 78 del 1° luglio 2009 convertito con legge 3 agosto 2009, n. 102, è possibile distinguere quattro ambiti di intervento:
1. supporto alle attività di impresa;
2. supporto al mercato del lavoro;
3. sostegno degli investimenti (ad esempio la riduzione delle imposte del 50% sugli investimenti in nuovi macchinari);
4. sostegno del reddito.


Interventi sulla moneta e sulla liquidità

Gli interventi immediati di notevole rilievo ed assai incisivi, invece, sono stati quelli che riguardano la moneta ed il governo della liquidità. È noto che un aspetto primario della crisi in corso è stato quello della finanza. In particolare, il sistema degli intermediari finanziari ha attraversato momenti di carenza strutturale di liquidità, anche perché nessun intermediario si fidava di accedere al credito o di concedere credito agli altri intermediari.
Sotto questo profilo le autorità statali hanno posto in essere due tipi di intervento:
1. riduzione drastica dei tassi di interesse, al fine di facilitare l’accesso al credito da parte delle banche;
2. politiche di elevata immissione di risorse liquide sui mercati finanziari.
1. Quasi immediatamente alle prime manifestazioni della crisi la FED ha operato progressive e consistenti riduzioni del tasso di sconto negli USA. Già dal settembre 2007, infatti, la FED ha ridotto il tasso di sconto dal 5% al 4,50%. Con progressive determinazioni il tasso di sconto è stato portato al 2%, fra la fine del 2008 e l’inizio del 2009, fino al valore attuale dello 0,50%.
Alle scelte della FED si è allineata la Bank of England. La Banca Centrale Europea ha, invece, temporeggiato in quanto questa istituzione è caratterizzata, nelle sue politiche monetarie, da maggiore cautela e da attenzione all’esigenza di difesa della moneta europea dall’inflazione. All’inizio la BCE ha addirittura disposto misure monetarie di segno opposto rispetto a quelle di oltre oceano, tanto che ancora con delibera del 3 luglio 2008 il Consiglio direttivo della BCE ha innalzato il tasso minimo di offerta sulle operazioni di rifinanziamento principale (in sostanza il tasso di sconto) dal 4% al 4,25%. Dopo una lunga resistenza su tale valore, finalmente l’8 ottobre 2008 il Consiglio direttivo BCE è pervenuto ad una prima riduzione del tasso minimo di offerta sulle operazioni di rifinanziamento principale al 3,75%. Ulteriori progressive riduzioni sono state poi disposte dalla BCE con successive delibere. Con rapida successione si è arrivati (7 maggio 2009) ad un tasso di sconto dell’1%, che costituisce il valore più basso della breve storia della BCE.
2. Altra politica monetaria intesa a garantire una forte immissione di liquidità nel sistema economico è quella dell’acquisto di titoli sul mercato finanziario, da parte della Banca Centrale, al fine di espandere la liquidità presente sul mercato stesso con immissione di mezzi di pagamento (manovre di quantitative easing). Questo tipo di interventi ha lo scopo di evitare tensioni sul mercato finanziario derivanti da carenze di liquidità e di consentire al sistema finanziario di sopperire adeguatamente alle necessità di finanziamento dell’intera economia. Anche in quest’area è stata la FED statunitense ad aprire la strada con interventi massicci di acquisto di titoli obbligazionari sul mercato. La FED, infatti, ha impostato fin dall’inizio del 2009 un programma di acquisti sul mercato di titoli del Tesoro per 300 miliardi di dollari. La politica del quantitative easing è stata poi seguita con determinazione dalla Bank of England. Da ultimo il Consiglio direttivo della Banca Centrale Europea ha adottato una serie di delibere per consentire l’acquisto da parte della BCE di covered bond emessi da primarie società.
Le politiche di intervento mediante lo strumento monetario adottate dalle principali banche centrali sono valse ad evitare le più gravi tensioni ed a mantenere costantemente i tassi di interesse di mercato, a breve ed a lungo termine, a livelli assai bassi. Ad esempio, l’Euribor (Euro Interbank Offered Rate) a tre mesi è sceso costantemente sotto l’1%, con punte allo 0,82%. La teoria economica sottolinea la correlazione fra volume degli investimenti e la variabile tasso di interesse corrente. Ma, sul piano concreto, è da dimostrare che il livello attuale dei tassi sia un fattore decisivo per la ripresa.


Politica nel settore delle imprese

Altra fascia di atti di governo dell’economia diretti a contrastare la crisi è costituita da provvedimenti relativi allo status o alla struttura finanziaria delle imprese. È ben noto che per lunghi periodi, anche negli stati industriali dell’Occidente, l’operatore pubblico ha svolto un ruolo chiave nella proprietà e nella gestione di società di capitali di maggiori dimensioni e che soltanto negli ultimi decenni del secolo XX e nel primo decennio del secolo corrente hanno prevalso scelte ideologiche e linee comportamento intese ad un radicale ritiro degli stati e degli altri operatori pubblici dall’area del finanziamento e della proprietà delle imprese.
L’insorgenza della crisi ha rapidamente riproposto antichi modelli e schemi di regolazione, di intervento finanziario nell’attività di impresa e di gestione delle imprese stesse. Questo è avvenuto senza trasformazioni o ritorni di tipo ideologico ma soltanto per motivi tecnico-economici e giuridici.
Strutture imprenditoriali della finanza o dell’industria un tempo assai solide sono infatti entrate in grande crisi. Gli stati si sono trovati nella difficile scelta se lasciar fallire le imprese o intervenire. La prima scelta è stata adottata nel caso della Lehman Brothers mentre in altri casi si è preferito intervenire con diverse tipologie di azione.
Una prima modalità di intervento è quella della concessione di finanziamenti e di facilitazioni nell’accesso al credito o a garanzie statali. È stato questo il tipo di intervento adottato dall’amministrazione federale USA per la società Bear Stearns, giunta sull’orlo dell’insolvenza. Insolvenza evitata con una serie di consistenti garanzie fornite dal Governo statunitense. Altra vicenda analoga, si è già visto, è stata quella della società assicurativa AIG che ha ricevuto dal governo USA circa 180 miliardi di dollari. Questo tipo di azioni in taluni casi non è bastato ed allora, come alternativa al fallimento, l’operatore pubblico è intervenuto prendendo possesso di quote di maggioranza o di minoranza determinante nelle società. È stato il caso della General Motors negli USA, che è diventata praticamente un’impresa pubblica. In Gran Bretagna lo Stato ha assorbito in proprietà la Bank of Scotland dopo che questa aveva dichiarato una posizione di crisi assai grave che ne rendeva impossibile la permanenza sul mercato come impresa privata. Altri eventi del genere sono avvenuti in Germania dove lo Stato ha acquisito la proprietà del 25% della Commerzbank.


Interventi regolatori

Le autorità di governo dell’economia hanno anche dato corso ad interventi di carattere giuridico che hanno introdotto regole di comportamento essenziali al fine di correggere l’andamento delle crisi.
Un esempio è dato dalle regole sulle vendite allo scoperto. Con tale prassi un operatore del mercato finanziario cede titoli azionari di cui al momento della vendita non ha la disponibilità. Se il corso di borsa di alcuni titoli presenta una sicura tendenza alla discesa l’operatore ha buon gioco a stipulare contratti di vendita allo scoperto di un determinato titolo e ad acquistarne il dovuto quantitativo ad un prezzo minore successivamente alla vendita e prima della consegna. Ad esempio l’operatore vende 1.000 azioni della società y al prezzo di 50 euro ciascuna, senza averne la disponibilità, ma con la previsione che il prezzo di tali titoli subirà una riduzione nel brevissimo termine. Si supponga, quindi, che il prezzo di mercato dei titoli scenda nel brevissimo termine a 40 euro. L’operatore ha acquisito immediatamente, con il contratto di vendita, il diritto a conseguire il corrispettivo di 50.000 euro, ma al momento della data di regolamento dell’operazione mediante la consegna dei titoli egli li acquista al prezzo di 40 ciascuno spendendo solo 40.000 euro e conseguendo così un guadagno di 10.000 euro.
La vendita allo scoperto è uno strumento speculativo fisiologico in periodi normali ma diviene un fattore di instabilità e di gravi crisi allorché la situazione presenta anomalie. Ecco la ragione per cui in Italia la Consob è intervenuta a disporre adeguati interventi per ovviare a situazioni non corrette. In particolare, con provvedimento del 22 settembre 2008, la Commissione ha disposto che la vendita di azioni di banche ed imprese di assicurazioni, quotate nei mercati regolamentati italiani ed ivi negoziate, fosse assistita dalla disponibilità dei titoli da parte dell’ordinante al momento dell’ordine e fino alla data di regolamento dell’operazione.
Il 1° ottobre 2008, perdurando una situazione critica sul mercato azionario italiano, la Consob ha introdotto ulteriori restrizioni prevedendo che la vendita di azioni di banche ed imprese di assicurazioni quotate nei mercati regolamentati italiani ed ivi negoziate, fosse assistita, oltre che dalla disponibilità, anche dalla proprietà dei titoli da parte dell’ordinante al momento dell’ordine e fino alla data di regolazione dell’operazione.
Altri interventi regolatori hanno riguardato misure per la solidità patrimoniale di intermediari finanziari, quali la fissazione di limiti di adeguate riserve o di dotazioni di capitale a garanzia delle operazioni finanziarie poste in essere, l’introduzione di obblighi di trasparenza delle transazioni finanziarie e la limitazione quantitativa o qualitativa di operazioni sui derivati.
Il quadro degli interventi regolatori disposti o progettati è vasto e diversificato. In linea generale le normative proposte in Italia ed in altri paesi del mondo tendono a rafforzare i poteri delle autorità di controllo quali la FED negli USA o altri organismi di vigilanza sulle Borse valori e sui mercati finanziari e mobiliari che operano all’interno degli altri stati o in ambito comunitario.


Un possibile pericolo:
la ripresa dell’inflazione


Una rilevante parte delle politiche messe in atto dalle autorità statali appartiene, come si è visto, all’ambito delle dinamiche monetarie: riduzione dei tassi di sconto e, in via indiretta, dei tassi di interesse; immissione di liquidità nel sistema economico essenzialmente con l’acquisto sul mercato finanziario, da parte delle banche centrali, di titoli obbligazionari.
Questo tipo di azione ha assunto aspetti rilevantissimi e consistenti dimensioni quantitative. Letteralmente fiumi di liquidità sono stati versati nel mare del mercato monetario per ovviare alle tensioni e per l’ausilio alle banche e indirettamente alle imprese che devono essere finanziate dalle banche stesse.
Tutte queste sono politiche suggerite dalla teoria monetaria keynesiana e, quindi, da visioni teoriche di vari decenni fa. Le attuali autorità monetarie, in sostanza, stanno utilizzando vecchi strumenti senza essere certi che gli strumenti stessi siano ancora validi oppure se alcune conseguenze indirette possano tradursi in fatti non positivi. Il vero pericolo, in questo caso, è quello che, superata la crisi e la recessione, la forte liquidità immessa nel sistema possa causare tensioni inflazionistiche forti ed incisive. Una parte della moneta immessa, infatti, va a finanziare la spesa per beni e servizi e la concessione di credito ad investimenti produttivi. E questo è un effetto positivo in quanto dovrebbe contribuire, almeno in via teorica, al superamento della crisi. Ma è anche possibile che una parte della massa liquida vada ad alimentare un’ascesa generalizzata dei prezzi e, quindi, determini tensioni inflazionistiche. L’inversione della tendenza e l’accensione di pressioni inflazionistiche potrebbero essere causate anche dalla presenza di elevato debito pubblico emesso dagli stati costituito da titoli a breve e brevissimo termine.
Nelle economie dei Paesi industrializzati le banche centrali hanno adottato con successo, soprattutto negli anni ’80, politiche di stabilizzazione e di controllo dell’inflazione, prevalentemente mediante azioni di contenimento della circolazione monetaria ma anche mediante l’azione sulla domanda complessiva. Si è parlato, a tal proposito, di politiche di “ortodossia monetaria”. Allora la ritrovata stabilità dei prezzi ha tolto incertezza a tutti gli operatori, a cominciare da quelli finanziari e ha determinato le condizioni per un intenso processo di innovazione. Al momento questi risultati vengono messi in forse dalle politiche seguite dalle banche centrali per fronteggiare la crisi in atto. La liquidità immessa nel sistema, infatti, non affluisce necessariamente alla famiglie e alle imprese ma può andare a causare tensioni inflazionistiche.
In realtà non sappiamo quando il superamento della crisi renderà meno utile la presenza di una forte liquidità nel sistema e quindi determinerà un effetto di tensioni inflazionistiche. È certo che alcune banche centrali stanno già mettendo in atto freni all’azione espansiva di liquidità. Ad esempio la Banca Centrale britannica (Bank of England) è stata fra quelle più attive nell’azione per iniettare liquidità nel sistema economico, tanto che (luglio 2009) ha già acquistato titoli per 105,6 miliardi di sterline ad un ritmo di 6,5 miliardi a settimana. Ebbene, la stessa Bank of England ha recentemente deliberato di rallentare a 4,5 miliardi gli acquisti settimanali ed ha seriamente valutato l’opportunità di sospendere del tutto gli acquisti stessi.
Molti studiosi, infatti, sottolineano che la politica monetaria britannica ha determinato meno vantaggi del previsto e che esiste ormai in circolazione una quantità troppo forte di liquidità, tale da determinare pericoli effettivi di inflazione. La Bank of England, peraltro, di fronte alla permanenza di segnali di crisi, ha ripreso recentemente con vigore le politiche di quantitative easing. Queste delibere, peraltro, hanno suscitato non pochi dissensi e preoccupazioni per le possibili tensioni inflazionistiche.


Stato e Pubbliche Amministrazioni

Il primo aspetto macroeconomico e di diritto pubblico della crisi è l’insorgere di forti squilibri dei bilanci pubblici. Questo va al di là delle politiche di deficit spending poste in atto deliberatamente da governi e parlamenti. Il meccanismo della crescita dei disavanzi è noto: i sistemi tributari sono basati principalmente su imposte sui redditi e su imposte sui consumi. Se la crisi crea riduzione di reddito e di consumi è evidente che la riduzione quantitativa dei presupposti di imposta determina una caduta del gettito e, quindi, delle entrate complessive dell’aggregato pubblico. All’opposto, l’insorgenza della crisi economica determina meccanismi di espansione della spesa. Crescono, infatti, gli interventi per ammortizzatori sociali (sussidi o indennità di disoccupazione) e per altre azioni di sostegno dell’economia.
Il bilancio federale degli Stati Uniti sta toccando livelli di deficit assolutamente al di là dei valori degli anni passati, anche in momenti di crisi più transitorie e lievi di quella presente. Di conseguenza il debito pubblico federale ritorna su elevati livelli di guardia.
In Europa norme di diritto comunitario quali il Trattato istitutivo dell’Unione Europea ed il patto di stabilità vincolano gli stati membri a politiche di contenimento dei disavanzi pubblici al di sotto del 3% del Pil e, addirittura, ipotizzano nel medio termine un vincolo di pareggio dei bilanci integrati del settore pubblico. Correlativamente le stesse norme stabiliscono limiti quantitativi fissi alla crescita del debito pubblico. Ma non ostante queste norme le previsioni e le proiezioni macroeconomiche evidenziano una forte tendenza all’espansione dei deficit annuali ed alla crescita del rapporto debito pubblico/Pil. I maggiori stati europei prevedono dimensioni del deficit annuale anche del 5% o più. Gli stati europei, per questo motivo, hanno ripreso ad emettere forti quantitativi di debito pubblico, costituito soprattutto da titoli a breve termine. Alcuni osservatori hanno calcolato che fra giugno 2008 e giugno 2009 gli Stati europei hanno emesso titoli a breve per 256 miliardi di euro ed il valore di tale variabile potrebbe raggiungere i 300 miliardi di euro alla fine del 2009. Per l’Italia le proiezioni più recenti si attestano, per il saldo negativo dell’aggregato amministrazioni pubbliche relativo al 2009, al 5,2% o addirittura al 6% in termini di Pil. L’ammontare del debito pubblico è previsto ritornare al 114-115% del Pil.
In Asia il Giappone è da decenni su valori di elevato debito pubblico e la crisi in atto sta influendo ancora sulle dimensioni del debito stesso che è pervenuto a consistenze elevatissime.
Per altro verso le trasformazioni subìte dell’apparato pubblico in seguito alla crisi ed agli interventi posti in essere sono di vasta portata. In quasi tutti gli ordinamenti giuridici dei paesi industrializzati il ruolo ed il peso del settore pubblico hanno subito, in conseguenza della crisi finanziaria ed economica, un forte accrescimento. Se negli ultimi decenni del ‘900 ed anche recentemente lo Stato ed il settore pubblico, in seguito a politiche di deregolamentazione di privatizzazione, hanno abbandonato vaste aree dell’economia, la diffusione della crisi e le vaste ed intense politiche dirette ad ovviare alle conseguenze più grandi ed immediate hanno determinato un ritorno al modello di Stato nel quale il settore pubblico riveste una posizione centrale nel sistema economico. Questo riguarda sia il ruolo del c.d. Stato gestore, cioè dell’operatore pubblico titolare di imprese o proprietario di patrimoni, che dello Stato regolatore, cioè dell’operatore pubblico che prevede normative di regolazione ed interviene sul piano giuridico nell’adozione di regole per la disciplina dell’attività economica e finanziaria.
Le norme più recenti sull’organizzazione e sull’attività amministrativa, inoltre, tendono sempre di più a privilegiare l’applicazione di criteri di razionalità ed efficienza al fine di garantire il conseguimento degli obiettivi di contrasto alle situazioni di crisi economica.
Di più, il diritto positivo sta procedendo ad attribuire nuove funzioni di governo dell’economia e della finanza anche ad organi ed uffici di tipo tradizionale. Un esempio è costituito, nel nostro Paese, dal caso dei prefetti. Una recente fonte di diritto amministrativo (il d.l. 29 novembre 2008, n. 185 convertito con l. 28 gennaio 2009, n. 2) ha istituito nelle circoscrizioni provinciali alcuni speciali osservatori presieduti dai prefetti delle province (e coordinati dal prefetto del capoluogo di regione) competenti a monitorare la corretta destinazione al credito alle piccole e medie imprese ed alle famiglie delle risorse pervenute alle banche mediante sottoscrizione da parte dello Stato di speciali titoli obbligazionari.
In sostanza, di fronte all’esigenza di attuare interventi correttivi e, soprattutto, interventi di garanzia del corretto funzionamento di complessi interventi nel economia, l’ordinamento amministrativo riscopre uffici pubblici di sperimentata efficienza per affidare ad essi funzioni innovative e certamente qualificate sempre dirette a fronteggiare alcuni dei maggiori inconvenienti della crisi finanziaria ed economica.


Nuove prospettive dell’Intelligence

Agli apparati di Intelligence è tradizionalmente affidata la difesa degli interessi fondamentali ed istituzionali complessivi dello Stato. Questa tutela si concreta nella salvaguardia dell’entità politico-territoriale dello Stato stesso e della sua continuità nel tempo. Il che ha comportato una serie di azioni per la conoscenza della criminalità internazionale e di eventi, anche riservati, che toccano gli interessi supremi della comunità nazionale.
Tutto questo è andato bene fino agli eventi che hanno caratterizzato in questi due anni lo scenario internazionale. Le vicende della crisi finanziaria e della recessione hanno dimostrato che la tutela della compagine nazionale va oltre l’integrità territoriale o la difesa da eventi politici negativi interni o esterni. La finanza e l’economia costituiscono oggi aspetti fondamentali della vita dello Stato: una crisi finanziaria o la situazione di insolvenza di un complesso industriale oppure di una grande azienda di credito costituiscono una turbativa alla continuità dello Stato di pari (se non superiore) livello rispetto a quello delle azioni militari, di terrorismo o di rivoluzione.
La continuità dello Stato passa, infatti, per la stabilità economica. E l’interesse alla stabilità finanziaria ed economica non solo è, nel mondo attuale, qualificante ma rappresenta ormai una parte rilevantissima degli interessi supremi del Paese. Le guerre dei secoli passati si svolgevano essenzialmente attraverso lo strumento militare. Oggi le guerre sono condizionate dall’economia e dalla finanza e talora sono sostituite da manovre che toccano soltanto il mondo dell’economia e della finanza. Si può conquistare il potere in un territorio o annetterlo alla propria sfera di influenza senza sparare un colpo di cannone o lanciare alcun missile ma semplicemente determinando una crisi finanziaria ed impadronendosi della maggioranza del capitale delle principali industrie e banche che operano nel territorio stesso. Nei casi in cui decenni fa avrebbero operato come decisivi soldati o divisioni corazzate oggi si muovono accordi per la fornitura di fonti di energia o per la costruzione di nuovi mezzi per il trasporto e la fornitura delle fonti energetiche stesse.
È opportuno, in questa prospettiva, allargare l’ambito e la definizione stessa dei compiti dell’Intelligence. Per molti versi il baricentro delle attività di intelligence va spostandosi dal settore politico-istituzionale e militare a quello economico e soprattutto finanziario. Se cinquant’anni fa l’Intelligence poteva concretarsi principalmente nell’acquisizione di informazioni e dati politici o di azione di gruppi politici oppure di pianificazioni ed eventi che avevano la loro base in fattori militari o in generale bellici, nel secolo che stiamo vivendo e maggiormente dopo la grande crisi, l’Intelligence deve rivolgere la sua attenzione ad altri ambiti: presenza di tensioni economiche e soprattutto finanziarie ed in particolare andamento dell’inflazione; progettazione ed esecuzione di interventi di politica monetaria e, quindi, preparazione o realizzazione di movimenti dei tassi o di interventi di acquisto di titoli sul mercato finanziario; modificazioni della proprietà delle società quotate sui mercati mobiliari o non quotate; situazioni di crisi industriale; movimento dei prezzi delle materie prime o di prodotti industriali, politiche delle fonti di energia e progettazione di accordi per la realizzazione di strutture per il trasporto e la distribuzione delle fonti stesse. V’è infine l’ampio settore degli interventi sui cambi e delle manovre dirette al governo dei flussi della bilancia dei pagamenti.
Da questo deriva una fondamentale conseguenza. Lo sviluppo dell’Intelligence richiede non soltanto la cognizione dei rapporti giuridico-istituzionali ma anche di fenomeni attinenti alla sfera economica e finanziaria. Gli strumenti di accesso a queste ultime informazioni devono essere sorretti anche da una struttura cognitiva ed una preparazione scientifico-culturale idonea a comprendere, elaborare e sistemare la serie così complessa di dati e di elementi costituita dalle vicende economico-finanziarie.
La donna o l’uomo che appartengono all’Intelligence devono, quindi, possedere doti culturali probabilmente assai diversificate rispetto a quelle che caratterizzavano gli addetti agli stessi servizi nel passato anche recente. In ogni caso può essere utile la possibilità di ricorrere all’ausilio di uffici studi o di consulenza con esperienza e qualificazione nell’economia e nella finanza a supporto dello svolgimento del delicato compito della tutela dell’interesse dello Stato e della comunità nazionale.
Si pone, in generale, il problema di una rifinitura della formazione culturale e professionale delle persone al servizio dell’Intelligence tale da far conseguire all’Intelligence stessa la capacità di cogliere a fondo aspetti ed eventi, anche poco visibili, dell’economia e della finanza e di darne contezza agli organi politici supremi dello Stato al fine di provocare interventi o, in ogni caso, di determinare l’osservazione accurata e consapevole e quindi la rilevazione degli eventi stessi.


Brevi considerazioni conclusive

In una visione storico-politica di ampia portata, il considerare la crisi finanziaria e la forte recessione che si sono verificate determina alcune serie domande alle quali non è facile trovare risposte definite e convincenti. Le vicende della crisi hanno dimostrato in modo inconfutabile l’infondatezza della fiducia illimitata nel funzionamento di mercati finanziari totalmente privi di regole e, quindi, fondati nell’irrazionale e del tutto libero gioco delle forze della speculazione. Mercati, in sostanza, basati sull’avidità, l’ingordigia e la sete di guadagno immediato attraverso l’utilizzo disinvolto di strumenti finanziari.
Assetti di questo tipo possono, nel breve periodo, soddisfare il desiderio di profitto di pochi e soprattutto illudere gli operatori di poter conseguire (e far conseguire) utili elevati senza produrre apprezzabili quantità di risorse sul piano dei beni o dei servizi. Ma alla lunga si evidenzia il carattere distorsivo della finanza fine a se stessa, cioè della finanza che non svolge alcun supporto alle attività produttive ma che è rivolta soltanto a rafforzare il potere ed i profitti di pochi operatori.
L’osservazione imparziale ed oggettiva della realtà economica, inoltre, sta dimostrando l’importanza e la necessità di mantenere un rapporto stretto tra economia e comportamenti personali, tra economia ed assunti morali, rapporto che per lunghi tempi è stato dimenticato. Una forte ed autorevole presa di posizione a favore della tutela dei valori dell’uomo al di sopra delle tendenze del sistema delle imprese industriali e bancarie alla realizzazione di profitti elevati e speculativi è quella formulata dal Papa Benedetto XVI nella recente enciclica Caritas in veritate, del 7 luglio 2009.
Non pochi ritengono che dopo la crisi del 2008-2009 le concezioni dell’economia e dei rapporti fra il diritto e l’economia abbiano subito una trasformazione profonda e non reversibile. In sostanza che, dopo la crisi in atto, i rapporti e le vicende economiche saranno stabilmente modificati. Non è possibile accettare acriticamente questa affermazione perché una fondamentale tendenza dell’uomo è quella di dimenticare presto gli insegnamenti della storia e delle sue vicende, anche di quelle più drammatiche ed incisive.



Bibliografia

Dottrina:
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Pubblicazioni ufficiali:
- Bank for International Settlements, 79th Annual Report, Basel, 29 giugno 2009.
- CONSOB, Relazione per l’anno 2008, presentata il 31 marzo 2009.
- CONSOB, Incontro annuale con il mercato finanziario, Rapporto presentato dal Presidente della Consob il 13 luglio 2009.



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