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GNOSIS 1/2005
I percorsi dell'ideologia B.R.
1^ e 2^ posizione


articolo redazionale

Fin dal loro esordio le Brigate Rosse sono state segnate da polemiche e divisioni interne. L’analisi si propone di ripercorrere i termini di un dibattito, prima interno e poi reso pubblico, che maturò nel corso della prima metà degli anni ’80 e le cui posizioni sopravvivono nel panorama eversivo attuale.


La cattura a Genova, nel novembre 1981 (in una fase di massima espansione delle Brigate Rosse) di Fulvia Miglietta, esponente marginale dell’organizzazione terroristica, consente l’acquisizione di un vero e proprio ‘tesoro ideologico’.
I documenti sequestrati, infatti, certificano l’esistenza di un profondo e travagliato dissenso interno che, se pur sancito solo dalla scissione del 1984, (allorchè il gruppo terroristico si divide in due tronconi), è l’avvio di una crisi disgregativa irreversibile per l’organizzazione.
Le posizioni ideologiche emerse fin dai primi anni ’80, ripropongono la vecchia contrapposizione del movimento comunista rivoluzionario, tra anima ‘leninista’ (elitaria e autoritaria) e anima ‘proletaria’ (pragmatica e dialettica).


foto ansa

Le prime incrinature nel fronte brigatista si registrano già con l’omicidio del sindacalista della CGIL Guido Rossa [24 gennaio 1979], quando emergono forti perplessità su una strategia (monopolizzata dalle decisioni di una ristretta cerchia) disposta a ‘sacrificare’, in virtù del rigore ideologico e della coerenza rivoluzionaria, anche un rappresentante della classe operaia.
E’ l’anno 1981 che si rivela, però, cruciale per la compattezza del gruppo terroristico.
Segnali di divisioni interne emergono sin dai sequestri Taliercio, Cirillo, Sandrucci e Peci la cui gestione è affidata ad un fronte brigatista tripartito (1) , secondo indirizzi diversificati, se non addirittura divergenti.
All’epoca si confrontano, infatti, tre distinte correnti. Da una parte l’indirizzo leninista ‘ortodosso’, rappresentato dalla dirigenza dell’organizzazione (preponderante al centro e al nord) ed espressione della linea militarista. Essa è incentrata su una strategia della lotta armata impegnata in azioni militari destinate a creare le condizioni per una svolta rivoluzionaria. Le masse, escluse in fase iniziale, verrebbero coinvolte successivamente sull’onda dei successi via via acquisiti dal ‘Partito Combattente’.


A tale corrente si contrappone l’ala di Giovanni Senzani, la cui linea viene formulata nell’opuscolo n.15, intitolato “13 tesi sulla sostanza dell’agire da Partito in questa congiuntura” e siglato “Fronte delle Carceri” e Colonna di Napoli (2) .
Si tratta di un’organica proposta politico-strategica, rivolta “a tutto il Movimento Rivoluzionario” che si pone in aperta polemica con le “interpretazioni e varianti soggettiviste, militariste e organizzativistiche della Lotta Armata per il Comunismo, ultimo riflesso della crisi mortale che attanaglia la piccola borghesia”.
Il programma di Senzani è incentrato sulla necessità di impostare “la doppia dialettica: conquistare le masse alla lotta armata e colpire il cuore dello Stato”. La strategia perseguita è quella di sviluppare mirate campagne a sostegno delle istanze proletarie (“bisogni politici immediati”) ed alle specifiche situazioni contingenti: un metodo funzionale sia al raccordo con le masse che all’affermazione del Partito.
“E’ nel PROCEDERE PER CAMPAGNE che può trovare un’adeguata soluzione il rapporto Partito-Masse, e dunque darsi l’elaborazione, l’applicazione, la verifica e lo sviluppo di una corretta LINEA DI MASSA.
E’ soltanto nel PROCEDERE PER CAMPAGNE che può trovare un’adeguata soluzione il rapporto del Partito con l’avanguardia di tutto il Proletariato Metropolitano”.

L’obiettivo primario è la costruzione del Partito (ed i tempi sono ritenuti ormai maturi per compiere il “salto al Partito”) rigettandone il ruolo di ‘braccio armato’ e destinandolo alla politicizzazione dell’attività della guerriglia (“agire da Partito”).
“L’agire da Partito, cioè, deve essere capace di incidere a tutti i livelli dello scontro di classe, lungo tutto l’arco dei rapporti sociali;…facendo muovere tutto e tutti, e dunque anche il nemico…; allargando continuamente il suo RAGGIO di INCIDENZA e PENETRAZIONE nella struttura del proletariato metropolitano.
…il corso della guerra si svolge nello stesso tempo e nello stesso spazio del corso dell’azione politica; la dialettica è unica.
…L’arma della critica e la critica delle armi…riunificate nel Partito”.

In funzione di un efficace radicamento nelle masse dell’“agire da Partito”, l’esaltazione della centralità della classe operaia “Fiat” diviene uno degli obiettivi prioritari.
“Nella storia della nostra Organizzazione la FIAT è stata sempre il PUNTO FERMO. E’ tale patrimonio che ha consentito all’Organizzazione di radicarsi e svilupparsi in altri poli metropolitani. E’ solo riappropriandosene che essa può mettersi alla testa del processo rivoluzionario, poiché ne rimette in moto il centro motore…
Una Campagna interna alla classe operaia non può prescindere dalla classe operaia FIAT”.

Senzani, tuttavia, memore dell’esperienza maoista, tenta di superare la tradizionale centralità della classe operaia individuando come referenti non solo gli operai, ma anche i disoccupati, gli emarginati e l’area della piccola malavita (“proletariato marginale ed extralegale”) nell’intento di far radicare la “guerriglia metropolitana” anche al Sud (“sfondare la barriera del Sud”).
“L’agire da Partito, ‘anche’ al sud, PARTE dalla classe operaia; non invece, RIMANE INCHIODATO alla classe operaia. Ciò è tanto più vero nel caso del polo metropolitano napoletano, dove una MOLTEPLICITA’ E RICCHEZZA di tensioni politiche sono costantemente in ebollizione nel rigoglioso fluire delle contraddizioni di classe.
Nel polo ci troviamo, infatti, di fronte ad un fondamentale rapporto non soltanto tra accumulazione e processo produttivo…, ma anche fra accumulazione e sovrappopolazione relativa (con tutto quello che la cosa va a significare per il proletariato marginale ed extralegale).
…Pur riconfermando che la classe operaia è – e resta – il FULCRO del processo rivoluzionario, cominciamo a dire che altre e potenti LEVE si possono e debbono azionare per la costruzione del Sistema del Potere Proletario Armato”.

La terza corrente, raccolta intorno alla Colonna Milanese “Walter Alasia” (presente soprattutto nelle grandi fabbriche di Milano e Torino), persegue una strategia finalizzata all’inserimento diretto nelle lotte operaie per la tutela dei lavoratori (“sindacalismo armato”).
Sia i ‘militaristi’ che i ‘senzaniani’ tacceranno tale programma di “economicismo”, per la costrizione dell’azione politica in un ristretto ambito di pura rivendicazione salariale, priva di qualsiasi prospettiva rivoluzionaria.
I documenti sequestrati alla Miglietta, redatti da varie fazioni delle B.R., chiariscono i termini del dibattito clandestino di quegli anni che assume i toni di una dura contrapposizione tra linea partitica e quella militarista.
L’ala senzaniana critica la dirigenza dell’organizzazione terroristica, accusandola di “centralismo burocratico”, “soggettivismo” e “revisionismo”, nonché di tolleranza all’interno della organizzazione B.R. di una“componente piccolo borghese”.
“Chi oggi si arroga il diritto di rappresentare tutta l’O.…vuole impedire e quindi strangolare il confronto politico dentro l’O.…Noi denunciamo la pratica minoritaria e frazionista del C.E. (3) ”.
…“Allo stato attuale, la linea politica generale dell’O. deve essere costruita attivando un livello di confronto tra le due linee, secondo le regole proprie del CENTRALISMO DEMOCRATICO; non, invece, calando parzialmente ‘dall’alto’, secondo le regole proprie del CENTRALISMO BUROCRATICO”.
…“…tra una linea proletaria ed una soggettivista, tra una linea rivoluzionaria ed una revisionista non c’è possibilità di mediazione… La lotta tra linee è un riflesso all’interno del partito della lotta di classe…Il Centralismo Burocratico è la borghesia all’interno del partito…è una concezione borghese”.

Ne consegue il rigetto delle accuse di economicismo e populismo, privilegiando invece l’autodefinizione di corrente “proletaria”, “interclassista” ed “umanista”, portatrice di rinnovamento.
In effetti essa esprime una posizione politicamente più evoluta e pragmatica. Il progetto poi di indirizzare il messaggio rivoluzionario ai nuovi settori dell’emarginazione e del sottosviluppo (“strati di classe differenti”), sfruttandone le tensioni, potrebbe di fatto rivelarsi adeguato a raccogliere il consenso di fasce sociali relativamente ampie.“Il salto al Partito”, superamento della “dimensione di Organizzazione d’Avanguardia” e segno tangibile dell’avanzamento del processo rivoluzionario, è in effetti inteso come “elemento unificante delle lotte di tutti gli strati del proletariato metropolitano in un unico disegno di trasformazione sociale”.
Le critiche mosse alla gestione del sequestro Taliercio e all’esecuzione dell’ostaggio, vengono giudicate espressione di una concezione riduttiva della lotta di classe, troppo ancorata alla dimensione della fabbrica e che, in un certo senso, ne ha snaturato l’azione politica.
“…una impostazione ‘fabbrichista’ che confonde i centri strategici di elaborazione della strategia del capitale, con la gerarchia di fabbrica. Da questo capovolgimento deriva l’impossibilità di estendere a partire dalla fabbrica l’attacco operaio al cuore dello stato…Questa impostazione porta a ghettizzare la guerriglia in fabbrica, riducendola a puro sabotaggio, secondo la migliore tradizione anarcosindacalista da un lato, e dall’altro a sviluppare una pratica di combattimento esterno che tende ad assumere caratteristiche militariste”.
Rispetto alla prassi dell’“annientamento selettivo” praticata dai militaristi si delinea, pertanto, un orientamento relativamente più moderato, incentrato sulla costruzione di un Partito (anche armato) che mira in primo luogo a “dialettizzarsi costantemente con i movimenti di massa”.
L’azione armata, funzionale al proselitismo e alla divulgazione del messaggio rivoluzionario, non implica necessariamente un alto profilo militare, analogamente alla ‘propaganda armata’ praticata dalle Brigate Rosse nella prima fase della loro attività.
Il confronto tra i due schieramenti prosegue per tutta la prima metà degli anni ’80 e risente del ricambio dei militanti, avvenuto nell’organizzazione a seguito delle sconfitte subi-te negli anni 1982-83 (4) .
Se nel 1981 quanti si riconoscono nelle posizioni di Senzani sono la maggioranza (riscuotendo i maggiori consensi anche dal nucleo storico delle B.R. all’epoca recluso nel carcere di Palmi) nel 1984 i rapporti di forza si invertono, con la netta prevalenza dei militaristi.
E’ proprio in questo anno che le divergenze si rivelano inconciliabili e si perviene alla spaccatura del gruppo terroristico, concretizzatosi con la scissione tra la Prima Posizione (BR-PCC ortodosse) e la Seconda Posizione (post-senzaniani). Nel marzo 1985 si assiste all’espulsione della fazione minoritaria corrispondente a “circa un terzo dei militanti” e “composta interamente da vecchi militanti delle B.R., tra i quali è compresa la maggioranza della direzione in carica sino al settembre 84”.
Si realizza, di fatto, un sostanziale ricambio dei quadri direttivi, con l’emarginazione di una parte consistente dei militanti della vecchia generazione, che avevano determinato la linea politico-operativa delle B.R. degli ultimi anni (almeno sino all’omicidio del diplomatico statunitense Leamon Hunt, avvenuto nel febbraio 1984).
Numerosi documenti, acquisiti dagli investigatori proprio nel corso del 1984, si rivelano di estremo interesse per la comprensione delle dinamiche e delle tensioni politiche interne all’organizzazione, in una fase della storia brigatista di estrema importanza anche per i rapporti stabiliti dal gruppo terroristico con ambienti stranieri.
Gli scritti della Seconda Posizione, fazione che ha ereditato gli orientamenti dell’ala senzaniana, appaiono culturalmente più articolati e concreti rispetto a quelli dei militaristi.
I dissensi, più che svilupparsi sulla valutazione della situazione politica italiana e sugli obiettivi da perseguire (sostanzialmente coincidenti per i due schieramenti), vertono sulla tattica dell’azione rivoluzionaria, sui moduli organizzativi ritenuti più idonei nonché sui rapporti internazionali.
La Prima Posizione, ribadendo la centralità della classe operaia rispetto ad altri soggetti sociali “metropolitani”, esclude le masse dalle prime fasi rivoluzionarie, ritenendole ancora incapaci di iniziativa.
In sostanza il Partito non subordina la sua capacità di intervento al livello di lotta raggiunto dalle masse, ma si prefigge il compito di indicare obiettivi e tappe da perseguire a “un livello più maturo…su cui è necessario e possibile lo sviluppo del processo rivoluzionario della classe”.
La forma privilegiata di lotta è quella armata, affidata a gruppi ben compartimentati ed autosufficienti che, sulla base del principio leninista del partito, inteso come “reparto d’avanguardia e coscienza esterna del proletariato”, agiscono nella prospettiva, di lungo periodo, di creare le condizioni per l’emergere di una situazione rivoluzionaria.
Secondo questa prospettiva gradualista, che vede via via estendersi lo scontro armato, il processo rivoluzionario si sostanzia in una“guerra civile di lunga durata”.
Il programma dei militaristi, la cui linea implica evidentemente una progressiva radicalizzazione dell’organizzazione, privilegia la sicurezza e l’efficienza operativa dei militanti, senza il rischio di collegamenti troppo aperti con la classe referente.
In alternativa la Seconda Posizione sostiene la necessità che la guerra rivoluzionaria in Italia, e in generale nei paesi imperialisti, assuma la forma di “insurrezione armata di massa” (5) . Ciò, però, può verificarsi solo in particolari condizioni oggettive di crisi della società, in cui il Partito, già impegnato nell’opera di organizzazione e mobilitazione delle masse, ne è la guida militare e politica.
Essa imputa alla Prima Posizione l’“accresciuta importanza che svolge l’elemento soggettivo” e l’altalena tra spontaneismo e militarismo”, nonché un orientamento che porta a “considerare ‘giusto’ solo ciò che è armato, clandestino e combattente, nonostante i grandi movimenti di massa abbiano forma pubblica, legale ed aperta”.
Ne consegue che il “compito principale del Partito” è quello di “aumentare la coscienza e l’organizzazione rivoluzionaria delle masse” attraverso una “lotta politica comunista” che miri a rappresentare il proletariato (“preparazione quotidiana alla insurrezione”).
“Per tutto il periodo che precede il momento in cui la lotta di classe ‘genera’ la guerra civile mettendo l’insurrezione all’ordine del giorno, esso è dunque un ruolo essenzialmente politico”.

E’ inoltre ribadita con vigore la necessità di collegarsi ad una base sociale eterogenea, interessata da tensioni di vario genere. Si intende rappresentare l’avanguardia di un movimento di classe e “antimperialista”, contribuendo all’“estensione della mobilitazione di massa con tutti i mezzi a loro disposizione”.
E’ infatti il Partito che sceglie le forme di lotta adeguate al momento storico, laddove la lotta armata, seppure “metodo di lotta decisivo”, non rappresenta la strategia, ma piuttosto uno degli strumenti “dell’azione politica del Partito”.
Tale impostazione comporta azioni di basso profilo militare, associate ad interventi di forte impatto operativo, finalizzate a formare la coscienza rivoluzionaria delle masse, dimostrando loro che le B.R. sono “un partito che fa politica con le armi”.
“…lotta armata intesa come strumento dell’azione politica del partito…al servizio della politica.
…la lotta armata, pur assumendo la forma della guerriglia, non ne assume la concezione”.
…le B.R. lanciano un programma politico valido per tutto il proletariato e lo sostengono con costanza mediante iniziative efficaci, in primo luogo mediante iniziative politiche combattenti.
…quest’opera di direzione cosciente del movimento di classe contro lo Stato ed il governo si compie ai giorni nostri a partire dall’azione armata, a partire ‘dall’alto’ dell’iniziativa combattente del partito, che accentua le contraddizioni nel campo delle forze politiche borghesi e si rivolge alle masse con un chiaro messaggio rivoluzionario.
…il movimento rivoluzionario…ha bisogno di parole precise, semplici e chiare, di concetti che definiscano con esattezza e senza circonvoluzioni la sostanza delle cose”.

Nell’intento di conquistare ed educare il proletariato è prospettata anche la creazione di un giornale di Partito, da diffondersi clandestinamente su scala nazionale e destinato ad “orientare politicamente le masse”.
Viene così esaltata la necessità di dotarsi di canali semi-clandestini in grado di assicurare un collegamento con la base sociale referente e capaci di indirizzare un messaggio rivoluzionario facilmente comprensibile (“cinghie di trasmissione dirette dai militanti legali che diffondano le parole d’ordine di massa lanciate dal partito”).
Per quanto riguarda la collocazione del Partito Armato nello scenario internazionale, al di là delle diverse valutazioni sull’URSS, il dibattito vede emergere, tra i postsenzaniani, orientamenti favorevoli a un collegamento con le forze rivoluzionarie che operano nel Terzo Mondo e, in generale, con “tutti i movimenti che lottano contro l’imperialismo”.
Il gruppo della Seconda Posizione registrerà un’ulteriore scissione, con la nascita di una nuova formazione terroristica, Unione dei Comunisti Combattenti (UCC), responsabile del ferimento del funzionario della Presidenza del Consiglio Antonio da Empoli [21.2.1986] e dell’omicidio del Generale dell’Aeronautica Licio Giorgieri [20.3.1987].
La fazione militarista, che ha ereditato la sigla BR-PCC (6) , firma in questi anni l’omicidio dell’ex Sindaco di Firenze Lando Conti [10.2.1986] e quello del senatore DC Roberto Ruffilli [16.4.1988], con cui si chiude la stagione terroristica degli anni ’80.
La linea ortodossa delle BR, espressione dell’anima leninista e militarista, riemerge nuovamente dopo undici anni, rivendicando con la sigla BR-PCC gli omicidi dei professori Massimo D’Antona e Marco Biagi, consulenti del Governo per le riforme (come già Tarantelli e Ruffilli).
Diverso il percorso della componente della Seconda Posizione che non aderisce alla proposta delle UCC. Le sue posizioni ideologiche, confluite negli elaborati diffusi clandestinamente dalla Cellula per la costituzione del Partito Comunista Combattente, riemergono in alcuni scritti teorico-programmatici, prodotti nell’ultimo decennio da nuove sigle dell’eversione.
La proposta di un partito in stretta relazione con le esigenze della classe, l’uso dell’intervento armato funzionale al progetto politico, l’utilizzo della ‘propaganda armata’ (azioni di modesto spessore operativo, il cui significato sia immediatamente comprensibile) sono tutti contenuti che mostrano significative assonanze con il programma della Seconda Posizione.
Si tratta di concetti che circolano soprattutto in ambienti del centro-nord, secondo una distribuzione geografica complementare a quella della corrente militarista, maggiormente radicata a Roma e in Toscana, come dimostrano gli arresti effettuati nell’ultimo anno del gruppo che fa capo a Nadia Desdemona Lioce.
A fronte dello scompaginamento determinatosi nelle BR-PCC, e che può suonare come una definitiva sconfitta delle tesi elitarie della Prima Posizione, potrebbero trovare nuovo vigore i programmi della Seconda Posizione, oltretutto meno ancorati all’ortodossia e capaci pertanto di aderire al nuovo contesto interno ed internazionale.



(1) La Colonna Veneta e quella Romana, che si riconoscevano nel Comitato Esecutivo, conducono il rapimento e l’omicidio dell’ingegner Giuseppe Taliercio, direttore del Petrolchimico di Mestre (20 maggio - 5 luglio 1981); la Colonna Milanese “Walter Alasia" effettua il sequestro del dirigente dell’Alfa Romeo, Renzo Sandrucci (3 giugno-23 luglio), mentre la Colonna di Napoli e il “Fronte delle Carceri", facenti capo a Giovanni Senzani, gestiscono il sequestro dell’esponente DC Ciro Cirillo (27 aprile-24 luglio) e quello di Patrizio Peci, fratello del ‘pentito’ Roberto e conclusosi con la morte dell’ostaggio (10 giugno-3 agosto 1981).
(2) Datato maggio-giugno 1981, ma diffuso il 2.7.1981, insieme al Comunicato n.4 del sequestro Peci. Al criminologo Giovanni Senzani, all’epoca latitante e membro dell’esecutivo brigatista, facevano capo il “Fronte delle Carceri”, la Colonna Napoletana e parte di quella Romana; questo schieramento, impropriamente definito ‘movimentista’, assunse anche il nome di “Partito guerriglia”.
(3) Legenda delle abbreviazioni: O.= organizzazione; C.E.= Comitato Esecutivo (organo di governo delle B.R.).
(4) Il sequestro del generale statunitense James Lee Dozier, conclusosi con la liberazione dell’ostaggio [28.1.1982], e l’arresto di numerosi militanti delle BR (tra cui lo stesso Senzani) costituiscono le premesse per l’avvio della Ritirata Strategica all’inizio del 1982.
(5) All’inizio degli anni ‘80 i senzaniani avevano invece prospettato, come modello di lotta armata, quello guerrigliero, proprio della tradizione maoista, in luogo di quello insurrezionale, di matrice leninista. Al maoismo è pure riconducibile il concetto della “guerra di lunga durata”, variamente declinato dai militaristi (“guerra di classe di lunga durata”) e più recentemente dagli eredi della Seconda Posizione (“guerra popolare prolungata”).
(6) La sigla (Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente) è stata adottata dall’or-ganizzazione madre alla fine del 1981.

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