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GNOSIS 1/2005
DALL'ARCHIVIO ALLA STORIA

L'orecchio dell'OVRA sui binari


articolo redazionale

Qui di seguito pubblichiamo il dettagliato resoconto (rintracciato nell’Archivio Centrale dello Stato (1) ) redatto, nel gennaio 1939, da un “anonimo informatore” della “1° Zona dell’OVRA”, (2) con sede a Milano.
Questo tipo di informatori, secondo l’ex-prefetto di Brescia Arturo Bocchini (capo indiscusso sia dell’OVRA che della Polizia sino al 1940, anno della sua morte) dovevano fornire elementi per “
…sondare con ogni mezzo e continuamente la pubblica opinione”, in modo che Mussolini potesse “…rendersi conto della temperatura del paese”. Era un’epoca ove non esistevano indagini demoscopiche e istituti in grado di svolgere sondaggi d’opinone. I mezzi di comunicazione di massa erano agli albori e gli organi di stampa (esclusi quelli clandestini), si limitavano a comunicare alla gente “le ragioni” del Governo. Di fatto non esisteva un sistema affidabile per sapere cosa pensassero veramente i cittadini del potere. Tuttavia anche la dittatura aveva bisogno di sondare “il polso” dell’opinione pubblica per conoscere il reale sostegno dei cittadini a decisioni complesse, delicate e a volte impopolari. L’unico sistema efficace disponibile rimaneva lo spionaggio.


da www.interno.it

L’anonimo informatore” (dotato di un livello culturale e intellettuale nettamente superiore alla norma e di un linguaggio velato da una distaccata ironia) riportava al suo “gestore” un dettagliato resoconto di quanto da lui raccolto (probabilmente era un professionista che per lavoro si spostava lungo lo stivale) tra le persone incontrate nei frequenti viaggi.
Il rapporto - di più pagine - ha un titolo emblematico:
“UNO DEI TANTI RIASSUME MOLTO TIEPIDAMENTE QUELLO CHE SI PENSA, QUELLO CHE SI DICE. SUL TRENO”.
L’estensore, particolarmente attento a non mettere in discussione la valenza morale, intellettuale e carismatica del Duce, non risparmiava (sempre riferendosi a notizie da lui raccolte) affermazioni, considerazioni e giudizi sui più stretti collaboratori di Mussolini e su quanti, con il loro comportamento non sempre cristallino, destabilizzavano la credibilità e l’affidabilità del regime: “
il Duce non può non sapere. Mussolini dovrebbe sapere”.

***



da www.museoscienza.org


Visto il tono di alcune delle “voci” raccolte dall’anonimo informatore, si è ritenuto opportuno citare per esteso soltanto il nome dei personaggi nei confronti dei quali vengono rivolti rilievi e critiche di ordine politico. Per motivi di buon gusto e di rispetto della privacy di eventuali discendenti, gli altri nominativi sono stati omessi.



Milano 8 gennaio 1939

UNO DEI TANTI RIASSUME
MOLTO TIEPIDAMENTE
QUELLO CHE SI PENSA,
QUELLO CHE SI DICE.

SUL TRENO


Chi, per ragioni professionali, è indotto a compiere lunghi viaggi in ferrovia, a far scalo in mille paesi e in cento città diverse, a soggiornare in alberghi e a frequentare caffè, ad avere relazioni con enti e uffici, si viene a trovare, necessariamente, come dall’alto di un osservatorio al quale non sfugge anche il più piccolo movimento che si svolge in alto, ai lati, alla base.
I contatti frequenti e fugaci con l’anonima e multiforme categoria dei viaggiatori, di quella categoria che sembra ritratta al lampo di magnesio, che appare sempre in corsa come pervasa dal malessere della distanza, dal cruccio di pensieri assillanti, dal tedio di una lunga attesa: ora taciturna, scontrosa, infastidita e pronta ad attaccar lite per un nonnulla: ora lieta e festevole, disposta a tutte le cortesie e agli slanci di un’amicizia di vecchia data, espansiva al punto da mettere, l’occasionale e sconosciuto compagno di viaggio, a parte dei suoi crucci e della sua stessa intimità domestica: capace quindi di togliersi la maschera della convenienza, del ritegno quotidiano e della paura per dare libero sfogo a tutte le considerazioni per troppo tempo tenute sepolte in fondo all’animo e che esplodono talora come rampogna e come condanna; questi contatti frequenti e fugaci che ti pongono di fronte ai particolari stati d’animo del viaggiatore travestito da anonimo, possono anche costituire una fonte inesauribile di riflessioni sul soggetto uomo, sulla collettività, su questa stranissima bestia che ha uno stesso volto e mille volti diversi.
Le riflessioni a carattere umano e sociale possono costituire motivo di studio da parte dei misantropi sognatori e, d’altra parte, da secoli, la letteratura si masturba per trovare casi e situazioni nuove e originali senza riflettere che, da Adamo ed Eva in poi, l’uomo ha mutato solo di acconciatura, ma non già di sentimenti.
Ovvio che la materia politica è quella che colpisce di più l’orecchio e s’insinua più facilmente nell’ingranaggio cerebrale e in quello del cuore che non rinunciano mai – per abitudine, per vizio, per necessità - a costruirsi un angolo solitario e inviolabile o una fucina stridente di riflessioni e di modi di giudicare personali. Questi rifugi e queste officine clandestine sono, naturalmente, tanto più attive in quanto costrette nell’ombra, severamente vietate e più ancora severamente colpite.
In generale, una sola persona si salva da questo groviglio di accuse e di difese, d’insinuazioni malvage e sciocche e di denunce troppo circostanziate per non avere qualche fondamento di verità. La figura del Duce.
Né si può pensare ad un luogo comune che induce a riconoscere la particolare posizione di superiorità e d’intangibilità di Mussolini che, d’altra parte, fu per lunghi anni il Bersaglio costante e diretto di tutte le accuse. Ma il tempo è stato galantuomo e il Duce, battendo sempre la stessa strada maestra che si era tracciata e imposta, perseverando tenacemente in essa, abbattendo uno alla volta tutti gli ostacoli, sfuggendo a tutte le insidie, dando sempre al popolo la dimostrazione della sua buona fede e del suo grande amore per esso: distruggendo tutti i residuati di superate ideologie, delle più diverse mentalità che convergono e si fondono in un’unica mentalità falsamente umanitaria, sempre antinazionale, bassamente demagogica, accomodante, quietista, opportunista, interessata, servile e rinunciataria: costruendo, soprattutto costruendo, cogliendo il segno d’ogni previsione, anche di quelle che apparivano più assurde e pericolose, dando a tutti gli individui la dignità di uomini, ai cittadini l’orgoglio e il privilegio di sentirsi italiani in seno alla comune Patria e fuori di essa; tutto ciò facendo, il Duce ha conquistato veramente l’animo del popolo che è suo, interamente suo e che sarà sempre suo nel tempo, per avvicendarsi di avvenimenti, oltre tutte le questioni di interesse personale, anche legittime, e nonostante gli imbarazzi, i crucci, le necessità, le ingiustizie e talora i soprusi pei quali e contro i quali ogni ordine di cittadini si dibatte e lotta strenuamente.
Questo è oggi il vero stato d’animo di tutti gli Italiani, anche se qualche persona interessata, o gruppi di persone legati da più o meno confessabili mire, vogliono far ritenere che talora il dichiararsi “Mussoliniano” sia un’abile manovra per non accettare, senza restrizioni, tutto il sistema derivato dal Fascismo e, in particolar modo, la rigida disciplina del Partito.
Volendo essere sempre obiettivi, si può aggiungere che, mentre anni or sono era facile udire nei pubblici commenti: - Il Duce non sa tutte queste… -, Il Duce non può sapere ciò che avviene tanto lontano da lui…, - Se il Duce sapesse !...-, Vi è una muraglia intorno al Duce ... – Sono i segretari a intercettargli le lettere...- ecc. ecc., oggi, questo coro che escludeva assolutamente la possibilità, da parte del Duce, di riconoscere l’entità di tanti mali e la pessima collaborazione di molti gerarchi, si è di molto affievolito…
Con tutto ciò, quanti riescono a far tacere la voce del proprio io per ispirarsi al benessere della collettività e sanno stimarsi paghi della innegabile potenza raggiunta dalla Nazione Fascista, trovano mille giustificazioni al Duce per non avere ancora imposto al Partito un’organizzazione più quadrata, più seria e, in molti casi, più onesta.
E, il nuovo coro, così si esprime: Il Duce è troppo assorbito dalla politica estera per avere il tempo di provvedere, una volta per sempre, a un diverso assetto della politica interna di partito…- Il Duce deve guardarsi da troppi nemici esterni. Egli li tiene a bada tutti, né può ritardare di un secondo la sua azione. Quanto ai nemici interni, il Duce sa che, appena Egli lo voglia, essi sarebbero stroncati per sempre.
Vi è così poca sincerità e onestà nei vecchi collaboratori e tante delusioni procurano giornalmente i nuovi, che la scelta dei Gerarchi si manifesta un problema ben arduo se non insolubile…
Dopo tante esperienze sui propri collaboratori, il Duce si trova nelle condizioni di utilizzare tutti senza avere una fondata stima di alcuno di essi. – Le discordie dei Capi sono, nelle abili mani del Duce, la migliore rete per tenerli a freno. – Tutto sommato, a giudicare dal complesso delle realizzazioni e dal nuovo e grande prestigio assunto dall’Italia fascista, c’è da pensare che anche la politica interna sia, più in apparenza che in sostanza, ingiusta e deleteria. – Il Duce sa di poter contare sempre sul vecchio squadrismo e, anche se in apparenza lo trascura, lo ama dell’antico amore, ecc. ecc. –
Ma, come sopra è stato detto, ben pochi gerarchi, tanto maggiori quanto minori, si salvano dalla pubblica critica e, talora, dal biasimo anche feroce.
Sempre in treno, un milanese con tanto di distintivo fascista all’occhiello, e che da quanto si poteva arguire doveva essere molto vicino all’ambiente federale, parlava di una combinazione fra il Ministro dell’Educazione Nazionale, Sua Eccellenza Bottai, e un alto Gerarca molto vicino al Duce, per l’acquisto del “Corriere della Sera”. L’anonimo censore affermava che, in previsione di tale affare, la propaganda in favore del “Popolo d’Italia” era stata rallentata dagli organi fascisti ufficiali.
Un altro viaggiatore, pure milanese, accennava alle recenti discordie tra il Sansepolcrista T.A. e il Federale P.E., discordie che provocarono la caduta del primo come Comandante dei Giovani Fascisti. Si riconosceva in T.A. una condotta familiare immorale, ma accuse non dissimili erano rivolte al Federale, definito “l’autista del Fascio primogenito”.
Un medico condotto partiva in quarta contro il favoritismo politico che inquinava anche le libere professioni e faceva il caso del padre del Vice Segretario del Partito, Dott. G.B., divenuto, senza merito alcuno, Ispettore Sanitario con tanto di lauto stipendio e di non meno laute trasferte.
Il Vice Segretario G.B. trova, in un altro anonimo viaggiatore, un impensato nemico. Afferma questi che il Gerarca ha saputo estorcere qualche milione a un banchiere ebreo milanese al quale era stato offerto il mezzo per cattivarsi la benevolenza di alcuni membri del Gran Consiglio Fascista.
Secondo un boccaccesco pettegolezzo di dame milanesi, sembra che, molto in alto, nell’ambiente federale, sia stata istituita una specie di “tavola rotonda”.
L’antico Segretario del Partito P.A., trova un postumo difensore che non si sa capacitare come una modesta somma di ottocento lire, non chiaramente giustificata per le spese di propaganda abbia potuto far sparire dalla circolazione un modesto, ma attivo pioniere del fascismo, quando per tanti gerarchi è tollerato, se non consentito, l’affarismo più sfacciato.
Un moralista meneghino vuol dimostrare che il Segretario del Partito è troppo bacato in linea morale per essere un degno rappresentante della gioventù italiana. Così ricorda che Sua Eccellenza Starace vive separato dalla moglie, da quando questa lo sorprese, molti anni or sono, in un albergo milanese, con una amica.
L’ex Federale G.A. ha ancora i suoi fieri oppositori che ricordano una lunga serie di azioni basse compiute mentre teneva l’alto incarico: danaro male amministrato, tassazioni ai tenutari di case di Tolleranza, orge da lupanare alle quali partecipavano gerarchi con la moglie dello stesso G.A..
Un altro viaggiatore è, invece, di tutt’altro avviso. Giustifica o attenua le “debolezze” dell’antico gerarca e ne ricorda i grandi meriti fascisti, la sua notevole capacità di convogliare il consenso popolare, la sua generosità che lo induceva a privarsi anche delle ultime cento lire per soccorrere un operaio bisognoso o disoccupato.
Anche a Napoli si parlava recentemente del G.A.. Si biasimava l’atteggiamento di fiera ostilità assunto, nei suoi confronti, dal Segretario del Partito e la rete di spionaggio tesa intorno al gerarca caduto, costretto a non poter neppure attendere alle sue occupazioni professionali. La gerenza della “Shell” tolta al G.A., sotto pretesto di scarso rendimento, costituirebbe una altra prova della fiera ostilità del Segretario del Partito. Si dice anche che questi abbia tentato, per quanto invano, di ostacolare, per mezzo di un Console amico fatto appositamente nominare commissario di esame all’Università di Napoli, la conquista della laurea in giurisprudenza da parte del G.A.. Questi sarebbe oggi alla fame se il Duce non verrà a soccorrerlo.
A Bologna la questione Arpinati non è ancora sepolta. Egli ha i suoi sostenitori che lo vantano per la sua onestà, pel suo coraggio e per la sua fierezza. Si attribuisce alle arti insidiose di Starace la caduta di Arpinati e si ricorda l’episodio culminante negli schiaffi dati dal secondo al primo. V’è chi afferma che l’ex Sottosegretario agli Interni fosse stato invitato a rivolgere una supplica al Capo del Governo per scongiurare il provvedimento di confino, ma Arpinati avrebbe rifiutato dicendo: se sono colpevole, pago; ma se il Duce riconosce la mia onestà, la supplica è di troppo.
Recentemente, a Bologna, si è sparsa la voce che Donna Rachele Mussolini abbia attribuito ad Arpinati la preparazione dell’antico attentato contro il Duce. Tale voce è stata anche accreditata dal fatto che i familiari dell’ucciso attentatore hanno potuto avere particolari facilitazioni e aiutati per l’esercizio della loro piccola industria.
A Trento, un viaggiatore di commercio, raccontava come, in detta città, non siano dimenticate le antiche operazioni commerciali dell’attuale Segretario del Partito che, mediante lo sborso di esigue caparre, acquistava grandi partite di legname che rivendeva immediatamente sotto costo, senza peraltro far fronte agli impegni assunti.
Un viaggiatore leccese affermava che Sua Eccellenza Starace è tutt’altro che stimato nel luogo natio. Faceva, tale viaggiatore, un grande elogio della moglie del Segretario del Partito, donna di ottima famiglia benestante, di irreprensibili costumi. Essa convive con la madre di Sua Eccellenza Starace, la quale riconosce nella nuora, una vittima del proprio figlio, colei che ha sacrificato buona parte del patrimonio per soccorrere il marito nelle sue peregrinazioni avventurose, ricavandone poi tradimenti su tradimenti, fatti anche senza ritegno né cautela. Anche in occasione della nomina a Segretario del Partito di Sua Eccellenza Starace, il Duce avrebbe interposto i suoi uffici per ricongiungere i coniugi ma la moglie avrebbe opposto un reciso rifiuto. A spese del Partito si dice sia stata sanata la situazione finanziaria di Starace, il quale, prima della sua ascesa, era oberato di debiti con tutti, anche per somme irrisorie, e seriamente imbarazzato e compromesso per gli affari poco leciti intrapresi.
A Biella è poco simpaticamente dipinto un fratello di Sua Eccellenza Balbo che viene considerato come la sua lunga mano in una intricatissima rete d’affari. Il multimilionario E.R. non aveva difficoltà a ricordare come, all’epoca in cui Sua Eccellenza Balbo presiedeva all’aviazione, il fratello del Quadrumviro faceva da intermediario per la fornitura della tela per aeroplani e le concessioni attribuite alla Ditta E.R. e alle altre Ditte del biellese erano frutto di cospicue elargizioni ammontanti a milioni di lire. In provincia di Vercelli, nel ceto industriale, vi è tutta una fioritura di ordini cavallereschi concessi, a qual prezzo s’immagina facilmente, auspice il fratello di Sua Eccellenza Balbo.
A Ferrara, una Marchesa di Bagno, si sfogava dicendo che, anche con l’approvazione di Casa Reale, aveva denunciato, in un colloquio con il Duce, tutte le malefatte, gli intrighi commerciali e gli acquisti di immense tenute effettuati da parte di Sua Eccellenza Balbo. Il Duce l’avrebbe congedata in breve e con queste dure parole: Mi spiace che voi accusiate in forma così circostanziata Sua Eccellenza Balbo. Sappiate che un Quadrumviro della Rivoluzione non si tocca!
A San Remo, un Conte S.T., molto noto negli ambienti del “Casino” e ancora noto negli ambienti romani, alzava un velo su presunte lordure morali, religiose e politiche del Vaticano e di alti Gerarchi del Partito. Si dichiarava di casa in Vaticano e molto vicino al Pontefice, attraverso una sua vecchia domestica. Si scagliava contro il Segretario del Partito che non lo aveva sufficientemente ricompensato per certi documenti sottratti in Vaticano e interessanti la Conciliazione. Per stabilire la grande potenza della Chiesa, affermava che la distruzione dei circoli cattolici, fatta per ispirazione del Partito, era costata, al Governo, molti milioni imposti dal Pontefice a titolo di risarcimento.
E’ la volta dell’On. I.G.. Un noto avvocato romano, che fu molto amico del defunto scrittore e professore universitario F.S., mette a nudo la figura … morale della Medaglia d’Oro, salita ai fastigi di autentico pescecane dall’umile origine di commesso di banca. All’epoca delle lotte nel Fascio romano fra C.B., S.E. e I.G., a far luce sulla molto discussa figura morale di quest’ultimo, fu istituito, per ordine del Partito, un giurì d’onore di cui fece parte anche Sua Eccellenza Giunta e che venne presieduto da F.S.. Emerse che l’I.G. si serviva dei generosi uffici della moglie e della cognata per farsi largo nella politica e negli affari. Il buon P.C., Senatore del Regno e Governatore dell’Urbe, era uno dei migliori clienti che concedeva, all’intraprendente appaltatore, la possibilità di modernizzare la Città Eterna dalle fondamenta. L’I.G. aveva collaborato con poco scrupolo con D’Annunzio all’epoca fiumana, tanto che una cospicua somma, a lui affidata in consegna, aveva preso il volo. Commerciò più tardi in pellicce con la Russia bolscevica e fece spaccio di banconote false. I capi d’imputazione elencati dal giurì furono molti e tutti di estrema gravità. La Medaglia d’Oro I.G. fu bollata per “indegnità morale” e messa in disparte per qualche tempo, poi – come ebbe ad affermare lo stesso F.S. – dall’abitazione di questi scomparve, ad opera di ignoti, tutta la documentazione a carico del Gerarca. Così, i documenti venivano alla luce quando l’I.G. doveva essere tenuto a freno, ritornavano in qualche bene occultato casellario quando la Medaglia d’Oro era sollevata dalle attenzioni ostili e riprendeva, con maggior lena, le sue intelligenti intraprese industriali. Ancora oggi, l’I.G., scomparso dalla scena politica, sfrutta la sua condizione di vecchia bandiera del fascismo, di Medaglia d’Oro e di mutilato, per ottenere i più vasti e lucrosi appalti.
Un verboso pubblicista che si dimostrava nemico irriducibile del vecchio giornalismo di casta, tipo “Corriere della Sera”, e del nuovo giornalismo che dà ospitalità ad una giovane aristocrazia inetta che s’insinua e si afferma con il protezionismo politico, si scaglia particolarmente contro i G.I., gli A.N. e i C.M. che possono ancora lucrare abbondamente all’ombra del giornalismo fascista, dopo aver denigrato il Duce, il Fascismo e la Patria nei covi del sovversivismo internazionale.
In un ritrovo mondano di perenne villeggiatura, dove fra l’altro si giuoca rabbiosamente sotto gli occhi delle compiacenti autorità, fa le spese della conversazione l’attempata e bistrata signora di Sua Eccellenza R.O.. Si dice che essa costi non un metaforico, ma un reale “occhio della testa” al grande sindacalista proletario: giuoca sfrenatamente e perde, volta a volta, dei piccoli patrimoni. Poco male, se c’è l’illustre consorte che provvede a turare le falle! Una più recente perdita che costringe la Dama a contrarre un impegno di oltre quarantamila lire, dopo un placido S.O.S. telegrafico, fa accorrere da Roma, in una velocissima automobile, un affannato messaggero latore di un bel pacco di biglietti da mille apprestati dallo sviscerato amore maritale. Alcune signore, amiche di Donna R.O., manifestano la loro sorpresa per la supina condiscendenza del Consorte, ma la Dama, con una significativa strizzatina d’occhi pronuncia le seguenti altrettanto significative parole: Il mio amico ha molto bisogno della mia indulgenza e del mio silenzio, specie in questo momento!…-
Nei pubblici apprezzamenti, Sua Eccellenza Farinacci acquista, generalmente, i maggiori consensi. Non sono più soltanto i vecchi “squadristi” a levarlo sugli scudi come il loro più genuino rappresentante, come il “salvatore” del Duce e del Fascismo nella triste e lontana epoca “matteottiana”, ma anche i più recenti fascisti e i non tesserati i quali, per non poche coraggiose campagne combattute in “Regime Fascista”, apprezzano il loro battagliero autore, non palesemente legato alle comuni “cricche”, notoriamente nemico di Sua Eccellenza Starace nonostante i recenti avvicinamenti di maniera, avversario tenuto a bada, ma irriducibile, di tutto l’affarismo e l’arrivismo di cui si pascono molti gerarchi di grido.
In mezzo al coro degli osanna, c’è, s’intende, alcuna voce discordante.
L’onestà morale e politica del piccolo duce di Cremona è messa talora in dubbio e viene fatta ritenere più apparente che sostanziale. Si dice che Farinacci abbia studiato le forme più legali per non incappare nel codice e per non prestare il fianco agli attacchi e alle vendette di molti potenti messi spesso con le spalle al muro o percossi abbondantemente sulle guance, - si afferma, da taluno, che Farinacci è più forte della comune debolezza dei gerarchi che vanno per la maggiore, piuttosto di una forza propria derivata da un’integrità morale e da virtù. Alcuni processi clamorosi che lo hanno visto avvocato difensore, strenuo ma non convinto, sono dei punti interrogativi sulla legittimità di certe fonti di copioso guadagno che necessità e dovere professionale non valgono a giustificare. Anche il volontarismo in A.O. di Sua Eccellenza Farinacci ha lasciato perplesso più d’uno che pensava di potere stendere il definitivo oblio sul giovane ferroviere imboscato nella grande guerra. La mutilazione della mano, che si dice così poco gloriosa e causata dalla più assoluta incomprensione dei doveri e delle responsabilità che incombono ad un soldato e ad un gerarca, ha aggravato e non sollevato il poco lusinghiero ritratto giovanile.
Per contro, v’è, fra l’anonimo pubblico che mormora, chi non trova più gloriosa la figura del Condottiero Starace, di colui che viene accusato di aver fatto l’ingresso trionfale in Gondar, conquistata di fatto da truppe comandate da altri e all’ultimo momento fatte squagliare per non privare il Segretario del Partito degli onori del Trionfo. Un Generale, reduce dall’A.O. dava i particolari di questa marcia e conquista ingloriosa e affermava come Sua Eccellenza Badoglio avesse severamente vietato al Generale Starace di comunicare direttamente al Duce un certo telegramma, molto pomposo per quanto inesatto. Sua Eccellenza Badoglio tenne a precisare, nel suo comunicato ufficiale, che Gondar era entrata in possesso della armi italiane senza colpo ferire.
Sulle vicende africane, la radio clandestina delle mormorazioni è stata ed è tuttora in movimento. Sono Ufficiali, reduci dall’A.O., che raccontano della assoluta incapacità militare, aggravata dalla senilità, del neo Maresciallo d’Italia Sua Eccellenza de Bono, il quale, se non fosse stato allontanato dal fronte con un provvidenziale, quanto categorico ordine del Duce, avrebbe causato, all’Italia, una seconda e più grave onta di Adua. Narrano, tali Ufficiali, delle lotte a coltello fra Sua Eccellenza L.E. e Sua Eccellenza G.R.: il primo allarmato per un presunto maggiore impiego e sperpero di materiale, il secondo preoccupato di una cosa sola: assicurare all’Italia l’immediato e assoluto possesso del territorio abissino. Sempre dall’A.O. sono giunte voci molto favorevoli a Sua Eccellenza G.R., tanto per la sua capacità militare e di vecchio coloniale, quanto per una equa distribuzione della giustizia che, pur facendo distinzione di colore e fra dominatori e soggetti, non si avvilì mai con le meschine forme di sfruttamento e di crudeltà, giudicate come una necessaria politica coloniale da molti militari e civili che hanno acquisito una esperienza empirica dalle letture di maniera e dalle conferenze con proiezioni.
Gli onesti approvano anche l’operato di Sua Eccellenza G.R. quando, dopo aver catechizzato e sopportato i più sfacciati e avventurosi negrieri italiani calati come locuste in terra d’Africa, colpì inesorabilmente tutte le forme di speculazione industriale e commerciale che minacciavano di assorbire e paralizzare la vita economica locale e le stesse sorgenti della ricchezza nazionale. Furono e sono motivo di commenti e di critica le speculazioni e le appropriazioni di molti Ufficiali dell’Esercito e della Milizia, gli sperperi di materiale fatto affondare per decongestionare il porto e accatastato alla rinfusa ed esposto ai furti in magazzini improvvisati e senza sorveglianza. Si racconta di lotte intestine fra gli alti Ufficiali dello Stato Maggiore e fra Esercito e Milizia. Si giudica poco favorevolmente l’abbondante distribuzione di ricompense al valore in seguito a fatti d’arme di scarso rilievo e per azioni individuali nelle quali è stato spesso confuso il dovere e il comune coraggio con l’eroismo. Quanto detto per le ricompense vale per molte promozioni al grado superiore per merito di guerra. Ciascuno è d’accordo che bene ha fatto e fa il Fascismo a valorizzare tutte le forme di volontarismo, di sacrificio e di eroismo dedicate alla Patria; ma, eccedere nei primi, diminuisce indubbiamente il valore degli stessi e dà piuttosto sfogo all’arrivismo che non all’eroismo. Si parla anche di cellule comuniste allignanti nella massa degli operai e lavoratori in A.O., centri d’infezione scoperti anche dalla censura della corrispondenza. Il Maresciallo d’Italia, Sua Eccellenza Badoglio, riscuote unanimi e fervorosi consensi.
Il treno fugge come verso il destino che incombe sugli uomini. Ai viaggiatori si succedono i viaggiatori. Una fantasmagoria di volti e di atteggiamenti diversi e non dissimili. Il nastro telegrafico si svolge incessantemente e si copre di piccoli segni neri e oleosi, accompagnati dal sordo e monotono picchiettare delle scriventi.
Un vecchio fascista giudica con ammirazione e segreta invidia la capacità a “ricattare” il fascismo del vecchio Dumini. Uscito con il trionfo dal clamoroso processo, fu valorizzato e coperto d’oro, blaterò e sperperò il facile denaro, conobbe il morso e le strettoie del confino. Oggi fa, per modo di dire, il colonizzatore in Africa, continua a sperperare denaro e a tentar ricatti, mentre è costantemente soccorso con altro oro e con mandrie di bestiame.
Ma di molti gerarchi si parla per la loro nuova professione di colonizzatori nella Tripolitania e Cirenaica e in Abissinia. Tutte persone note pei loro modesti natali e che, dopo un periodo più o meno lungo e fortunato nella politica militante, hanno edificato non la piccola casa, frutto di risparmio, per un rifugio spirituale, ma la grande azienda che – concessioni governative a parte – implica la disponibilità e l’impiego di fortissimi capitali.
Un modenese narra di un colloquio fra il Duce e Sua Eccellenza il Prefetto T.E.. Questi accenna a grandi concessioni agricole ottenute in A.O. e che saranno messe in valore da mano d’opera italiana. Il Duce si compiace.
Ma – così dice il viaggiatore modenese – come fa il Duce a non sapere che Sua Eccellenza T.E. era, meno di vent’anni or sono, istitutore nel Collegio S. Carlo di Modena, alle prese con l’indigenza, con una nidiata di fratelli agli studi, con la preoccupazione di conseguire la laurea in giurisprudenza? Né basta il cospicuo matrimonio con una donna notoriamente avida e avara a giustificare i notevoli impegni finanziari assunti da Sua Eccellenza T.E..
Ancora Sua Eccellenza Balbo ed altri eminenti gerarchi fanno le spese della conversazione a proposito di acquisti di ville e di tenute con tanto di cartelli indicatori per le riserve di caccia. Anche il pubblico meno ortodosso in materia di morale umana e facilmente accomodante, è concorde nell’affermare che il male più grave non è, per certi gerarchi, l’approfittare di una condizione di privilegio, quanto quello di ostentare, alla vista dei forzati contribuenti, il mal tolto.
In provincia di Ferrara è una chiacchiera sola. In provincia di Reggio Emilia si parla di vaste tenute di Sua Eccellenza R.O., e così via.
Altri argomenti. Si dice che Sua Eccellenza T.A. abbia tradito il fascismo vendendo all’estero dei piani interessanti le fortificazioni militari di Taranto. Si parla, nientedimeno, che di fucilazione del presunto traditore.
A Lucca si accenna ai motivi che hanno provocato la caduta di quel Federale dopo un colloquio col Duce di Sua Eccellenza P.E..
A proposito di quest’ultimo, un anonimo leva un inno a Sua Eccellenza F.E. che, in Senato, ha saputo mettere duramente a sedere uno dei tanti che ritengono di poter agire all’infinito fuori delle norme costituzionali e delle stesse leggi fasciste.
Un fornitore di divise militari e civili, complimentato per gli immancabili lauti affari derivanti dalle mille nuove fogge di divise create dal Segretario del Partito, tenta di dimostrare che i supposti guadagni sono tutt’altro che lauti, ma piuttosto fittizi. Ogni giorno una divisa nuova e quelle giù di moda restano in magazzino. E poi, troppi fascisti, obbligati ad acquistare e rinnovare frequentemente il tipo della divisa e gli innumerevoli distintivi, lasciano insoluti i loro conti… L’argomento si conclude con un paio di gustose, quanto significative barzellette, che prendono per il bavero il camaleontismo delle divise atte piuttosto a creare degli imbarazzi finanziari, confusioni e carnevale che a conferire autorità al Partito e prestigio ai funzionari fascisti.
Un noto Gerarca che sembra si compiaccia di assumere pose plastiche e inflessioni di voce che vorrebbero trarre esempio dall’inimitabile e naturale atteggiamento del Duce, incorre nella critica di molte persone. Una, fra le altre, consigliava di osservare attentamente le diverse fotografie che appaiono sulla stampa. Quando tale gerarca è ritratto fra le organizzazioni del Partito, passando in rivista formazioni militari e giovanili o in mezzo a rappresentanti di nazioni estere di secondaria importanza, l’atteggiamento è altero e solenne. Scade molto di tono, per essere talora addirittura imbarazzato, in compagnia di S.M. il Re Imperatore, di S.A. il Principe Ereditario, dei più alti rappresentanti esteri.
La questione ebraica, come facilmente s’intuisce, è ancora oggetto di discussioni – talora appassionate – di commenti e di critiche. Vi sono vecchi e fedeli fascisti che sentono profondamente che “il Duce ha sempre ragione”, che riconoscono, nel Capo, l’Eletto di Dio che non ha mai errato una previsione, che non è stato mai colto alla sprovvista, anche dagli avvenimenti più impensati, repentini e della più vasta portata; un Capo che ha cuore, un grande cuore incapace di mentire a se stesso e agli altri; che agisce con estrema forza, ma non avventatamente; che antepone, ad ogni sentimento e risentimento, il benessere del suo popolo e della Nazione guerriera.
Tali vecchi e fedeli fascisti non vogliono, e giustamente, entrare nel campo delle discussioni e hanno, per la propria coscienza e per la propria linea di condotta, il dogma mussoliniano eretto a divisa e ad abito mentale. Vi è poi un certo numero di persone che appoggia il provvedimento anti-giudaico con la maligna voluttà dei deboli che si pascono, a preferenza, delle altrui disgrazie e che parlano e agiscono in dipendenza di troppo evidenti interessi di carriera e di bottega. Certo, la maggioranza dei fascisti e del pubblico in genere, non sente la necessità politica e sociale delle severe norme adottate, non le trova conformi alla giustizia, alla morale divina e umana. Anche i recenti omicidi di ebrei molto noti nel campo intellettuale e nell’Esercito, ebrei che possono essere ritenuti insospettabili per la loro fede italiana e fascista, hanno contribuito – con i licenziamenti, con le diverse forme di ostracismo, di tassazione e di semi confisca dei beni – a rendere particolarmente sensibile l’animo della massa – intellettuale o non – in favore degli ebrei. Una influenza notevole, in questo senso, è stata ed è esercitata dai centri cattolici e dalla Chiesa.
Le annunciate visite “improvvise” del Duce hanno, come sempre, interessato ed entusiasmato le masse fasciste e dei simpatizzanti non tesserati: si può ben dire di tutte le persone, senza distinzione di fede politica e di condizione sociale. Però, tali visite “improvvise”, non vengono più considerate tali, dal momento che molti Federali, anche con circolari, hanno predisposto, fin nel dettaglio, il piano delle accoglienze. D’altra parte, nel campo dei vecchi fascisti e in una larga parte dell’opinione pubblica, in tutti coloro che avvertono un disagio spirituale – spesso provocato dall’ingiustizia santificata dalla forza – è invocata la presenza del Duce, nelle province, specialmente se smaterializzata e resa spirito invisibile, più atta cioè a raccogliere tutte le spontanee querele che non sono, talora, frutto di egoistiche preoccupazioni e di maldicenza ancillare.
La situazione interna, a sfondo politico-morale, è assolutamente in primo piano nelle discussioni e nella aspettazione pubblica. Sovrasta di molto, tale situazione, quella economica, che pure è grave, e quella internazionale, necessariamente turbinosa e nebulosa. La politica estera è affidata al genio del Duce: le alleanze e i trattati conclusi, hanno basi solide e danno, a ciascuno, un senso di fiducia e di tranquillità. La guerra di Spagna avrà il suo naturale epilogo: la vittoria del Fascismo e dell’eroismo italiano e nazionale. Una conflagrazione europea o mondiale non è prevista e non è, in generale, neppure temuta. La situazione interna, a carattere economico, viene ritenuta suscettibile di notevole miglioramento, qualora la politica del Partito fosse esercitata attraverso Gerarchi più idonei, onesti, consapevoli, generosi e leali.
Ecco perché, giova ripeterlo, la situazione interna è quella che più turba e appassiona il pubblico. In ogni conversazione, in tutte le innumeri conversazioni quotidiane, emerge chiaro – nell’ira, nella delusione, nello sconforto, nell’ironia, nella speranza – uno stato d’animo d’insofferenza e di disagio che attende solo, per placarsi, l’intervento diretto ed energico del Duce. Un pensiero di un anonimo, per illuminare, di luce violenta, la situazione interna, e per concludere: Se il Duce fosse sorto in Regime Fascista, cioè nel Regime da Lui sentito e creato, quale sarebbe stato il suo atteggiamento di fronte a tante situazioni incancrenite che cozzano contro i principi stessi per cui il Fascismo ha combattuto le sue più belle e, talora, cruente battaglie? La risposta è superflua.


(1) Archivio Centrale dello Stato, Min. dell’Interno, Divisione Polizia Politica, materie, b. 220, fasc. 1.
(2) L’OVRA (Opera Volontaria di Repressione Antifascista oppure Organizzazione di Vigilanza e Repressione Antifascista, acronimo che in realtà non è mai stato svelato) operava sotto la Direzione generale di P.S. (con diretta dipendenza dai Servizi informativi della Divisione Polizia Politica) , viene istituita formalmente nel dicembre 1930. Di fatto questo organismo ha svolto, sino alla metà degli anni ’30, le funzioni d’intelligence interna per il regime fascista nei confronti delle organizzazioni clandestine antifasciste. Successivamente, fino all’armistizio, estese le sue funzioni nel monitoraggio dell’opinione pubblica. Secondo alcuni studiosi arrivò a reclutare sino a 1.000 confidenti.

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