GNOSIS 4/2007
"Dall'integrazione alla sicurezza" |
INTERVISTA al Presidente del Parlamento europeo Hans-Gert Pöttering a cura di Emanuela C. DEL RE |
Ventiseiesimo Presidente del Parlamento europeo, Hans-Gert Pöttering, in carica dal gennaio 2007, si è subito distinto per il carattere deciso, tanto che nelle cronache della sua attività politica non mancano mai riferimenti all'energia e alla passione, sue caratteristiche costanti. Le sue affermazioni taglienti e le posizioni ferme in qualche caso hanno suscitato reazioni estreme, come il 5 gennaio del 2004, quando, allora capogruppo del Partito Popolare Europeo, Pöttering fu oggetto, insieme ad altri alti rappresentanti, di un attentato. Venne, infatti, inviato al suo ufficio di Bruxelles un pacco bomba, attribuito agli anarco-insurrezionalisti bolognesi che, fortunatamente, non causò feriti. Per anni ha seguito con particolare attenzione i temi della sicurezza e della difesa globale, fino ad interessarsi poi dell'allargamento europeo. Pöttering è al vertice dell'unica istituzione europea i cui membri sono a carica elettiva, istituzione che ha potere legislativo, potere di bilancio e potere di controllo -istituisce, ad esempio, commissioni d'inchiesta in caso di infrazione o applicazione scorretta del diritto comunitario -, ed esercita quindi un potere decisionale straordinario. Tuttavia, come istituzione, il Parlamento europeo è spesso percepito come poco incidente sul piano delle politiche internazionali, a mio parere forse perché poco conosciuto nel suo funzionamento e nella sua natura e perché molte delle decisioni che vengono prese nel suo ambito riguardano spesso settori specifici, cosa che riduce l'estensione della loro eco. Tuttavia, proprio con Pöttering si registra una maggiore percezione dell'incidenza del Parlamento europeo nello scenario globale. Che pace e sicurezza siano al primo posto nei suoi ragionamenti politici è evidente anche dalla posizione che ha assunto nei confronti dell'ingresso della Turchia in Europa affermando che il Parlamento europeo pensa che essa debba necessariamente affrontare il proprio passato, ma Pöttering aggiunge anche che non chiederebbe al Paese di accogliere le richieste di riconoscimento del genocidio da parte degli Armeni perché diventi membro dell'UE. Riguardo il Kossovo, le affermazioni di Pöttering sono ponderate: egli ha esposto la posizione europea sul riconoscimento del Kossovo indipendente affermando che gli Stati Membri dell'UE dovrebbero assicurarsi che la prospettata indipendenza della provincia sia strettamente legata alla sicurezza, aggiungendo che ritiene comunque che vi sia posto sia per la Serbia sia per il Kossovo in futuro nell'UE. Tra gli altri temi internazionali, desidero ricordare un suo discorso dell'11 dicembre 2007, tenuto durante la cerimonia per l'assegnazione del premio Sakharov, che quest'anno è stato vinto dall'avvocato sudanese Salih Mahmoud Osman, in cui ha espresso il suo favore all'invio di truppe dell'Unione Europea in supporto alle forze dell'Unione Africana impegnate nel Darfur. Intanto il 13 dicembre è stato presentato dai capi di Stato e di Governo dei 27 Stati Membri il Trattato di riforma delle istituzioni europee: un testo che introduce importanti novità, per superare la fase critica seguita alla Costituzione del 2004 che fu bocciata dai referendum francese e olandese. Il Trattato, la cui entrata in vigore dovrebbe avvenire il 1° gennaio 2009, ovvero alcuni mesi prima delle elezioni del Parlamento europeo, dovrà essere ratificato da ciascuno dei 27 Paesi Membri dell'UE. Nel Trattato le questioni relative alla bandiera, all'inno, al nome stesso di Costituzione sono state lasciate da parte, per evitare le ripetute accuse di retorica e contrastare eventuali ondate di anti-europeismo. L'obiettivo del Trattato è quello di adeguare le istituzioni europee e i loro metodi di lavoro, di rafforzare la legittimità democratica dell'Unione e di consolidare i valori fondamentali che ne sono alla base. Che il Trattato suscitasse critiche e aspre reazioni era prevedibile, così come la Carta dei Diritti Fondamentali. La Carta è stata proclamata solennemente il 12 Dicembre a Strasburgo nell'Assemblea Europea dalla Commissione, dal Parlamento e dal Consiglio dell'UE, tra urla e vivaci proteste di Membri "euro-scettici" del Parlamento europeo. A questi Pöttering si è riferito dicendo che coloro che urlavano non hanno portato avanti alcun argomento, urlavano e basta, e se verranno identificati, subiranno una reprimenda. "Harry Pöttering" - è questo il soprannome che gli hanno dato i parlamentari europei per l'aspetto giovanile e il carattere deciso - è certamente un uomo di grande esperienza, di polso, capace di convocare esperti di questioni internazionali alla vigilia di un incontro con un capo di Stato o un personaggio chiave in un processo politico delicato, ed ascoltarli per ore per essere il più possibile informato, come mi ha confidato un suo stretto e fondamentale collaboratore, il suo consigliere diplomatico Alexander Stutzmann. Molti gli argomenti trattati nell'intervista, in cui ho cercato di seguire l'ispirazione che mi è venuta analizzando con cura il suo profilo, le sue azioni politiche e le sue dichiarazioni. Ho scelto di soffermarmi su temi ampi, questioni fondamentali, partendo da situazioni concrete, stimolando la conversazione sull'Unione Europea oggi, ma anche su quella di domani. L'integrazione, la sicurezza, l'allargamento, fino a concedermi di chiedergli una riflessione sull'Italia. Ogni risposta, un piccolo universo. Qual è il significato intrinseco dell'integrazione nell'UE? Lei ha spesso espresso delle idee che non sono sempre in linea con la maggioranza del Parlamento europeo di cui è Presidente, specialmente riguardo alla necessità di una Costituzione comune e alle radici cristiane dell'Europa. La bozza di Costituzione non è stata approvata e il riconoscimento delle radici cristiane dell'Unione europea ha dato adito a controversie. Pensa che questi due elementi siano essenziali all'integrazione? Sono profondamente convinto che entrambi gli elementi siano essenziali per l'Unione europea. Il Cristianesimo è un elemento centrale dell'identità europea. L'eredità cristiana ha avuto un'influenza decisiva sulla storia dell'Europa. Per quanto le realtà politiche siano in costante trasformazione, i valori basilari dell'Europa costituiscono un solido fondamento. Nell'Unione Europea noi dobbiamo essere flessibili per adattarci al futuro, mantenendo al contempo i valori europei che abbiamo avuto in eredità, compresi quelli cristiani. In quanto capo del Gruppo EPP-ED (European People's Party (Christian Democrats) e European Democrats) nel Parlamento europeo, mi sono impegnato personalmente affinché nel preambolo del trattato si facesse riferimento a Dio e alle radici giudaico cristiane. Purtroppo, questa idea ha trovato molte resistenze e non siamo riusciti nell'intento. Tuttavia, non possiamo dire che il trattato sia scevro dei nostri valori cristiani. Valori fondamentali come la dignità dell'essere umano, il rispetto per i diritti umani, i principi della solidarietà e della sussidiarietà sono riflessi nel Trattato e nel Capitolo sui diritti fondamentali. Il 12 dicembre ho firmato, insieme a José Sócrates, Primo Ministro portoghese e Presidente in carica del Consiglio, e José Manuel Barroso, Presidente della Commissione, la Carta dei Diritti Fondamentali in una cerimonia formale al Parlamento europeo, a Strasburgo. Il Trattato di Lisbona conferisce alla Carta lo stesso carattere giuridicamente vincolante dei Trattati. Questo è il modo migliore per conservare i nostri valori e dare loro un carattere vincolante. La Carta dei Diritti Fondamentali diventerà una parte integrante dei trattati dell'UE e una volta che il nuovo Trattato verrà ratificato, i diritti umani, la tolleranza, la sussidiarietà e la solidarietà, che sono tutti valori cristiani, diventeranno un fondamento vincolante della nostra comunità. Per quanto riguarda la Costituzione, anche se è stata bocciata dai referendum in Francia e in Olanda, siamo riusciti a raggiungere un accordo sul nuovo Trattato di Riforma. Si tratta di un grande successo e di un passo necessario per l'UE. Il nuovo trattato conserva i progressi sostanziali proposti nel Trattato Costituzionale originario e semplifica la struttura istituzionale eliminando i pilastri fissati a Maastricht. Amplia la dimensione democratica conferendo maggiori poteri al Parlamento europeo, introducendo un sistema di votazione più equo nel Consiglio, coinvolgendo più attivamente i Parlamenti nazionali nelle politiche di sussidiarietà, e prevedendo l'iniziativa dei cittadini. Rafforza la capacità di agire dell'UE, attraverso la fusione delle funzioni di politica estera della Commissione e del Consiglio nella stessa persona. Modernizza sia la Commissione sia il Consiglio, riducendo le dimensioni del collegio dei Commissari, estendendo la maggioranza dei votanti nel Consiglio e istituendo una figura di Presidente del Consiglio Europeo più permanente, con un mandato più lungo. Alcuni di questi cambiamenti potranno essere effettivi soltanto nel 2014. Intanto però l'aumento di poteri del Parlamento europeo sarà effettivo appena il Trattato verrà ratificato. Da quel momento il Parlamento avrà pari ruolo rispetto al Consiglio in quasi tutte le aree legislative e per quanto riguarda il bilancio nel suo complesso. Alcuni punti ci causano qualche dispiacere: per esempio il fatto che i simboli dell'Unione, come la bandiera e l'inno europei, che danno un'anima all'Europa e creano un senso di identità europea, non sono inclusi nel trattato; ancora, ci dispiace che la riforma della doppia maggioranza votante nel Consiglio sia stata rimandata. Ciò nondimeno, il risultato nel suo complesso può dirsi positivo perché, seppur dopo lunghe e difficili negoziazioni, è stato raggiunto un accordo e abbiamo così potuto evitare una crisi nell'Unione Europea. Questo è stato possibile soprattutto grazie agli sforzi e all'impegno della Presidenza Tedesca. L'Unione europea è un'entità consolidata e, diversamente da altre realtà, sta ancora affrontando le sfide dell'allargamento, con tutti gli aspetti positivi e negativi dell'accoglienza di nuove "generazioni" di membri, se mi permette questa espressione. Nella mia lunga esperienza sul campo in zone di guerra, in particolare nei Balcani, ho sentito spesso commenti sull'UE, nei quali essa veniva definita come una sorta di pianeta da fantascienza appartenente a un altro universo, parallelo. Nel mio stesso paese, l'Italia, un membro dell'UE della vecchia generazione e fortemente europeista, mi sembra che sia difficile per la popolazione comprendere il legame tra istituzioni europee e istituzioni nazionali. Alla fine, la sensazione è che lo Stato si occupi della politica interna e degli affari internazionali dal punto di vista della posizione che occupa sulla carta geografica - anche in senso metaforico - e che l'UE sia una specie di ragioniere che registra i risultati positivi e negativi che sono stati ottenuti. Ciò riguarda anche il Parlamento europeo, che peraltro è l'unica istituzione dell'UE i cui membri vengono eletti. In altre parole, in che modo è possibile ridurre la distanza tra istituzioni europee e istituzioni nazionali? Credo che si debba guardare all'Europa in maniera positiva, come ad un'opportunità e non come ad una minaccia. Anche se oggi gran parte dei cittadini pensa all'Europa in modo positivo, sono convinto che le persone cui sono conferite delle responsabilità debbano fare di più. Dovremmo passare all'offensiva, nel caso dell'Europa, e difenderla di fronte alla popolazione. Se si passa all'offensiva e si spiega alla gente come stanno le cose, i cittadini sono inclini a reagire positivamente. Al contrario, se rimaniamo sempre sulla difensiva, è ben poco quello che possiamo ottenere. Dobbiamo impegnarci in un dialogo positivo con le persone, essere più vicini a loro. Per trasmettere alle persone le nostre convinzioni europee e i risultati ottenuti dall'Unione, abbiamo bisogno sia del sostegno dei media sia di quello dei politici nazionali. E' scorretto parlare dell'Unione Europea soltanto nel contesto dei problemi che abbiamo, come, ad esempio, frodi e corruzione nel bilancio UE, perché questo fenomeno esiste in tutti gli Stati Membri. Siamo impegnati a tutto tondo nel contrastare la cattiva amministrazione o i reati contro il bilancio in tutte le sue forme. Francamente, non ci si può aspettare che quando i media o i politici nazionali parlano male dell'Unione Europea per sei giorni alla settimana, la gente vada poi a votare a favore dell'Europa il settimo giorno. Per questo dobbiamo comunicare meglio quali siano le cose che veramente contano dell'Unione Europea. Riguardo al rapporto con le Istituzioni nazionali, è importante sottolineare che, dal momento che le competenze dell'Unione Europea si sono ampliate e che i poteri del Parlamento europeo sono aumentati, abbiamo capito che le Istituzioni nazionali e in particolare i Parlamenti nazionali degli Stati Membri sono partner e non rivali nel processo democratico. Non siamo in competizione l'uno con l'altro. Entrambi vogliamo la democrazia e dobbiamo far uso di tutti gli strumenti della democrazia a tutti i livelli, per dare più voce all'opinione pubblica nel processo decisionale in Europa. Uno dei miei obiettivi come Presidente del Parlamento europeo è di rendere ancora più vivace questa partnership con i Parlamenti nazionali. Abbiamo bisogno di una rete di cooperazione e siamo anche impegnati attivamente a costruirne una. Quest'anno abbiamo organizzato delle conferenze inter-parlamentari su quattro grandi punti: la strategia di Lisbona, l'energia, i cambiamenti climatici, il futuro dell'Europa e il nuovo Trattato. Un altro punto da discutere quando si cerca di definire una realtà articolata come quella dell'UE è la questione del dialogo interculturale, dato che il 2008 sarà l'anno dedicato a questa tematica. So che lei ha espresso idee molto sottili e anticonformiste riguardo all'adesione della Turchia all'UE. Mi piacerebbe che lei chiarisse meglio come vede il delicato rapporto con la Turchia, guardando in particolare alle prospettive dell'adesione di essa come Paese musulmano. Parlare della Turchia, sebbene il paese costituisca un caso a sé stante, naturalmente, ci permette di allargare la tematica al rapporto con il mondo musulmano in generale. Quali sono i punti di convergenza e quali le divergenze nel dialogo con il mondo musulmano? Il dialogo è per fortuna aperto, ma cosa possiamo dire di aver imparato dai risultati ottenuti e dagli errori commessi finora? Quali pensa che siano i punti chiave su cui concentrarsi nel futuro? Il tema del dialogo tra culture è una delle priorità del mio mandato di Presidente del Parlamento europeo e il prossimo anno è stato proclamato dall'UE l'anno europeo del dialogo interculturale. Questo ci dà una meravigliosa opportunità, quella di portare all'attenzione ben due tematiche "gemelle", vale a dire le relazioni dell'Europa con i suoi vicini più prossimi e le relazioni intercomunitarie all'interno dell'Europa. Il dialogo intellettuale, culturale e religioso tra le culture è molto importante per la comprensione reciproca. Costituisce la base stessa della fiducia e del rispetto reciproci. È un elemento essenziale del processo del cambiamento e della sicurezza globale. Questo dialogo deve però essere fondato su basi di tolleranza e franchezza. Tolleranza non significa accettare ogni e qualunque cosa. Tolleranza significa rispettare le convinzioni dell'altro mantenendo allo stesso tempo le proprie. Sono fermamente convinto che il dialogo delle culture può realizzarsi solo se si basa sulla sincerità e sulla tolleranza reciproca. Il futuro dell'Europa dipende in gran parte dal riuscire a far coesistere serenamente le culture e le religioni all'interno dell'Unione Europea e tra l'Unione Europea e i nostri vicini, in primo luogo il mondo arabo e islamico. Nella nostra posizione, quindi, il dialogo interculturale è cruciale. Per la natura stessa della nostra situazione e della nostra storia, l'Unione Europea è assolutamente determinata a garantire una coabitazione pacifica di cristiani, musulmani, ebrei e tutte le altre persone, che siano esse religiose, laiche o atee. Possiamo farlo solo sulla base del rispetto reciproco e del riconoscimento del principio della reciprocità. Nel corso del 2008, il Parlamento europeo, insieme alla Commissione europea e ai 27 Stati Membri, si sforzerà per rendere il dialogo interculturale un elemento essenziale della politica sia interna sia estera. La promozione di questa iniziativa prioritaria per l'UE arriva al momento giusto. L'attuale situazione internazionale e della sicurezza ha creato numerosi punti di contenzioso tra i Paesi occidentali e quelli musulmani. Questo non significa trattare il mondo occidentale o quello islamico come blocchi omogenei, perché viviamo in un mondo ben più complesso e interconnesso; tuttavia, si possono individuare alcune caratteristiche comuni all'interno delle questioni più spinose dei nostri tempi, come il Medio Oriente, l'Iraq, l'Iran e il terrorismo. Al di là del 2008, l'UE si impegna a trattare il dialogo interculturale come una priorità orizzontale, trasversale a tutti i programmi e le politiche più importanti dell'UE. Mi riferisco a campi come la cultura, l'istruzione, i giovani, l'immigrazione e la cittadinanza. Se lo stesso processo può essere realizzato a livello nazionale, regionale e locale, impegnando quanti più attori della società civile possibili nel dialogo, possiamo dare un contributo reale sia per società più armoniose in seno all'Europa, sia per le iniziative di pace nel mondo intero. I negoziati per l'accesso tra la Turchia e l'Unione europea sono cominciati e andranno avanti. La Turchia ha interesse a portare avanti ulteriori riforme e ciò è negli interessi anche dell'Unione Europea. Sono necessari progressi in tutti i sensi. Per esempio, chiediamo che la Turchia, in quanto Paese candidato all'UE, riconosca pienamente i diritti religiosi delle comunità non-musulmane del paese, non come atto di tolleranza soltanto, ma come riconoscimento di un principio morale centrale dell'Europa. Nel mandato dei negoziati si afferma che questo è un processo senza scadenza: l'obiettivo è l'accesso della Turchia, ma non in maniera automatica. Il dialogo interculturale è un concetto ampio, con sfumature sociologiche e filosofiche, per non parlare di tutti gli aspetti economici e culturali in esso impliciti. Il dialogo interculturale è un problema quotidiano che ha acquisito nuove dimensioni e significati sotto le spinte dell'immigrazione. In Italia, un Paese di immigrazione relativamente recente, si parla oggi di cifre relative all'immigrazione che sfiorano ormai il 5,6 % della popolazione. Roma accoglie, al momento, la più grande moschea d'Europa. E tuttavia, stiamo ancora sperimentando strade per promuovere l'importanza del dialogo interculturale, cercando di trovare la formula corretta per permettere che la "differenza" possa esprimersi nel contesto - valori e norme - della cultura dominante, come se non avessimo esperienza in materie di questo tipo, dimenticando l'immenso livello di globalizzazione che la nostra parte di mondo aveva raggiunto già nell'antichità. Come si potrebbe risolvere l'apparente ossimoro tra differenza e integrazione? Non possiamo esimerci dall'impegno alla comprensione reciproca. L'Europa è un'area molto vicina al mondo arabo. Il grosso dell'immigrazione diretta all'Unione Europea ha origine nel Nord Africa e nell'Africa Sub-sahariana, e l'Italia è uno dei maggiori paesi di accoglienza degli immigrati nell'Unione. I musulmani sono diventati il secondo gruppo religioso più grande nell'UE, rappresentando il 3,5 % circa della popolazione totale. Le moschee sono una presenza costante un po' dappertutto in Europa. La comunità islamica in Europa ha arricchito la vita culturale delle nostre società. Gli eventi accaduti a livello globale hanno messo in evidenza quanto sia importante sviluppare una conoscenza migliore, dei rapporti più stretti e un clima di inclusione e rispetto mano a mano che questa comunità in crescita sviluppa il suo spazio nella società europea. Questo ci impone, per esempio, di ricordare e apprezzare il contributo che gli studiosi e i leader musulmani hanno dato al patrimonio filosofico, scientifico e letterario dell'Europa. Dobbiamo mettere le cose in prospettiva e dovremmo cominciare a stare in guardia dall'intolleranza e dall'estremismo, che vedono i musulmani come una specie di minaccia alla nostra identità. D'altra parte, dobbiamo credere fortemente nei nostri valori. I valori fondamentali dell'UE sono quelli che hanno resistito alla prova del tempo e che meritano di essere difesi. Questi includono i diritti umani, la partecipazione democratica, la libertà di espressione, la libertà dei mezzi di comunicazione, lo stato di diritto e il rispetto per le minoranze. L'istruzione può avere un ruolo chiave nel rendere questi valori un tesoro per tutti i cittadini europei, contribuendo così a un'integrazione effettiva degli immigrati. Il dialogo deve poggiare sulla tolleranza e sulla sincerità. La tolleranza non significa accettare qualunque cosa. La tolleranza significa rispettare le convinzioni dell'altro mantenendo le proprie e, quindi, coesistere pacificamente. Durante una delle mie numerose visite nei paesi arabi, mi venne chiesto da un alto dignitario arabo in che modo i musulmani vivono in Europa. La mia risposta è stata che spesso essi non sono sufficientemente integrati, ma che possono vivere liberamente il loro credo, avere le proprie moschee e i propri luoghi di culto. La domanda che gli ho poi posto io, in risposta, è stata se era vero che nel suo paese un musulmano, sia uomo sia donna, poteva essere punito con la morte nel caso in cui si fosse convertito alla fede cristiana. Il fatto che io non abbia ricevuto una risposta è stato già di per sé una risposta. Garantendo che i nostri valori siano sostenuti, possiamo contribuire positivamente allo sviluppo di un Islam aperto e tollerante. Dobbiamo respingere l'idea che l'Islam sia in qualche modo incompatibile con la democrazia occidentale. Inoltre, desidero affermare che la Cittadinanza europea comporta sia diritti sia responsabilità. Questo mi porta a una serie di sfide che i musulmani in Europa devono essi stessi affrontare. La riuscita della loro integrazione nella società europea dipende dal modo in cui essi risponderanno a questa sfida. L'equazione immigrazione = forza lavoro sembra aver rafforzato il suo significato e di fatto lo slogan più diffuso sembra quello che, sebbene l'immigrazione sia causa di numerose difficoltà che derivano soprattutto dagli stili di vita diversi e dalle forme di devianza, essa è essenziale per le economie europee. In alcuni casi, in Italia per esempio, l'immigrazione viene anche vista come un modo per risolvere i problemi demografici. In un altro senso, però, l'equazione ha riscoperto vecchi significati come quello di immigrazione = criminali e oggi persino quella di immigrazione = terrorismo. È vero che i canali illegali dell'immigrazione possono favorire reti criminali e persino il terrorismo, se parliamo di manodopera, ma dal mio punto di vista è anche essenziale fare delle distinzioni. Cosa si può fare in questo senso? È necessario distinguere tra immigrazione legale e immigrazione illegale, anche se le due sono fortemente interrelate e la lotta alla migrazione illegale è cruciale per una politica di migrazione legale ben fondata. Riguardo all'immigrazione legale, il Parlamento europeo ha affermato in diverse risoluzioni che la migrazione legale è positiva per la crescita economica dell'UE. L'UE deve sviluppare un approccio globale e coerente, attraverso la definizione e lo sviluppo di politiche di integrazione efficaci e la messa in evidenza del ruolo positivo della migrazione legale nel dibattito pubblico. La definizione di una politica coerente per la migrazione legale può contribuire attivamente al contrasto dell'immigrazione illegale. Per quanto riguarda l'immigrazione illegale, l'Unione europea deve combatterla. L'immigrazione illegale implica il trasferimento di grosse somme di denaro nelle mani delle organizzazioni criminali che controllano i gruppi che fanno traffico di esseri umani e promuovono lo sfruttamento del lavoro degli immigrati. Nella lotta all'immigrazione illegale, combattere la tratta degli esseri umani è una priorità; le attività criminali devono essere combattute e fermate. Un altro punto importante nel contrasto all'immigrazione illegale è il rispetto dei diritti umani. I diritti fondamentali di tutti i migranti devono essere assicurati e gli immigrati clandestini non devono essere trattati come criminali. Tutte le misure per contrastare l'immigrazione clandestina e avviare dei controlli mirati ai confini esterni dell'UE devono essere coerenti con i diritti fondamentali e in linea con la carta dei diritti fondamentali dell'UE. Riguardo ai problemi della sicurezza, ho la sensazione che l'UE si troverà di fronte a una sorta di contraddizione, perché da una parte è vero che l'UE vuole discostarsi, e lo ha sempre fatto, da un'idea di misure di sicurezza che andrebbero a prevalere sulla libertà individuale nel nome di un interesse superiore. Su questo punto sono costretta a fare riferimento agli eventi avvenuti negli anni recenti, come l'11 Settembre, certo, ma anche, nel caso dell'Italia ad esempio, a un aumento dei reati in cui l'uso della violenza si rivela sproporzionato in maniera assurda rispetto all'obiettivo reale del reato. Questi avvenimenti hanno portato tutti i nostri Paesi a venire a patti con un nuovo concetto di sicurezza. Tra le varie leggi e misure, emerge anche il bisogno di schedare i cittadini, creare dei database, registrare gli spostamenti delle persone e altro. La pressione degli Stati Uniti sull'UE è stata così forte che alla fine l'Unione Europea sembra aver accettato, almeno in linea di principio, una nuova interpretazione giuridica e filosofica del concetto di libertà individuale. Qual è la sua opinione in merito? Il terrorismo è una minaccia grave alla nostra sicurezza, ai valori delle società democratiche e ai diritti e alle libertà dei nostri cittadini, specialmente quando ha come obiettivo indiscriminato le persone innocenti. Il terrorismo è criminale e ingiustificabile in qualsiasi circostanza. Non esiste una contraddizione intrinseca tra "il diritto alla sicurezza", che è fondamentalmente, il “diritto alla vita” e altri diritti fondamentali. Senza la sicurezza, non possiamo godere delle altre libertà civili. Quello che credo sia essenziale è che si rimanga credibili e si adottino strategie anti-terrorismo che siano necessarie, proporzionate e legittime. La tutela dei diritti fondamentali è profondamente radicata nella nostra cultura e nelle nostre società. In questo contesto, il dialogo interculturale e interreligioso è di estrema importanza. La minaccia più grave all'Europa viene posta, attualmente, dai gruppi di terroristi islamici radicali. Nel Dicembre 2005, il Consiglio europeo ha adottato la Strategia Europea Contro il Terrorismo, che ha fornito il quadro per le attività UE in questo campo. Da allora, diverse iniziative sono state lanciate nell'Unione europea, sebbene sia necessaria ancora più cooperazione. Il Parlamento europeo ha sempre insistito sull'importanza di mantenere un approccio equilibrato quando si tratta di promuovere la sicurezza, salvaguardando allo stesso tempo i diritti fondamentali, nel rispetto dell'Articolo 6 del Trattato sull'Unione europea, la Convenzione europea per la tutela dei diritti umani e le libertà fondamentali, e la Carta dei diritti fondamentali dell'UE. In questo contesto, si può fare riferimento a tre questioni, che sono state portate di recente all'attenzione dei media in tutto il mondo, sulle quali il Parlamento europeo ha espresso preoccupazione: l'esistenza di centri di detenzione segreti della CIA e le estradizioni straordinarie in Europa; il campo di Guantanamo; gli accordi con gli Stati Uniti d'America sull'uso dei documenti con il nome dei passeggeri (PNR, Passenger Name Records). Un altro problema importante è la mancanza di revisione giudiziaria adeguata delle cosiddette "liste nere" dell'UE e dell'ONU, che comportano il congelamento dei fondi delle persone e delle entità associate a Bin Laden, Al Qaeda e i Talebani. Il 12 dicembre, il Parlamento europeo ha votato su una risoluzione sulla lotta al terrorismo, in cui i Membri hanno invocato la necessità di rivedere accuratamente le operazioni di intelligence e una legislazione che in futuro sia più proporzionata e più fondata su prove, dando voce alle preoccupazioni per le violazioni della privacy e sottolineando la necessità di preservare i diritti umani fondamentali. A proposito dell'intelligence, vorrei porle una questione. L'UE sta cercando di organizzare forze a livello UE, come forze militari, forze di polizia e forze di rapido intervento. Pensa che sia possibile prevedere una forza di intelligence a livello UE? Percepisce questa come una necessità? C'è qualche segno all'interno del Parlamento europeo che indichi che i Paesi Membri stiano andando in questa direzione? Nell'Unione europea abbiamo creato la figura del Coordinatore per l'Anti-Terrorismo per facilitare gli scambi tra gli Stati Membri. Il coordinamento della "intelligence" è facilitato anche a livello UE dal Joint Situation Centre che ha due funzioni primarie: a) i funzionari dell'UE monitorano e analizzano le informazioni "open source" (internet, newswire, immagini satellitari) per sostenere il processo decisionale nell'area del CFSP/ESDP (Common Foreign and Security Policy/European Security Defence Policy); b) viene stabilito un collegamento diretto tra gli organi dell'intelligence degli Stati Membri e Bruxelles attraverso un rappresentante nazionale nel Joint Situation Centre. Inoltre, l'EU Military Staff (personale militare dell'UE) ha una direzione di intelligence che ha collegamenti con gli organi dell'intelligence militare degli Stati Membri. L'EU Military Staff è una Direzione Generale all'interno del Segretariato Generale del Consiglio che fa da supporto alla Commissione Militare dell'UE e alla Commissione per la Politica e la Sicurezza su questioni CFSP/ESDP. Nondimeno, si dovrebbe ricordare che gli Stati Membri vedono ancora l'intelligence come uno strumento primario di sovranità nazionale e un'area difficile da integrare al livello europeo senza compromettere le fonti stesse dei Servizi di Informazione (in particolare la Human Intelligence (HUMINT). In alcune capacità tecniche, come la Signals Intelligence o l'uso dei satelliti, sono previsti dei perfezionamenti che miglioreranno il processo decisionale CFSP/ESDP. Un maggiore uso dei Servizi di Informazione su fonti aperte da parte delle istituzioni europee contribuirà a creare una piattaforma analitica comune come base per sviluppare una cultura strategica comune sul processo decisionale (ossia, tutti avranno una base comune su cui discutere le questioni CFSP/ESDP). Ad aumentare tutto questo ci saranno le informazioni e l'intelligence fornite dagli Stati Membri e una migliore cooperazione con le organizzazioni internazionali e i soggetti non governativi. Il Parlamento europeo sta monitorando attentamente il rapido sviluppo del CFSP/ESDP e le strutture adibite al processo decisionale che ne fanno parte. Ha formato un comitato specifico per esaminare il problema delle "estradizioni straordinarie" e ha assunto un ruolo complementare importante per altre indagini particolarmente a livello nazionale. Il Parlamento europeo continuerà ad esercitare i diritti che gli derivano dal Trattato, per analizzare con cura lo sviluppo del CFSP e per affiancare i Parlamenti nazionali nell'adempimento delle loro responsabilità. Se gli organi dell'intelligence dovessero espandersi a livello UE, il Parlamento europeo si impegnerà pienamente per assicurare che questi organi servano a puntellare i valori dell'Unione Europea e perché vengano applicati standard severi nel campo della responsabilità, della trasparenza, nonché in quelli del diritto umanitario internazionale e dei diritti umani. Una domanda sull'Italia, il mio Paese. Gli Italiani hanno un senso critico molto spiccato, cosa che rende il dibattito politico sempre molto vivace nel paese. Personalmente, non ritengo che questo sia necessariamente un difetto. L'Italia è oggi animata da un dibattito sul profilo che il paese tiene a livello internazionale chiedendosi se questo profilo sia troppo basso o adeguato. Evitando la retorica e senza lasciarsi andare a parlare della situazione politica italiana attuale, cosa le sembra l'Italia, quando guarda ad essa dalla sua posizione privilegiata, che le consente di avere una visione a 360° sull'UE? L'Italia è nel cuore dell'Unione Europea. È uno dei Paesi fondatori e si è sempre impegnata per l' Europa. È sempre in prima linea nel promuovere l'integrazione del nostro continente. Se tutti gli altri Stati Membri avessero lo stesso approccio al processo di integrazione, l'Europa sarebbe molto più unita. In questo senso, ho sempre avuto ottime collaborazioni con i Membri italiani nel Parlamento europeo. Però l'Italia ha ancora dei problemi. In primo luogo, l'attuazione della legislazione dell'UE: l'Italia è in fondo alla lista dei Paesi UE, dato che è al 23° posto su 27 secondo l'ultimo studio della Commissione europea. In secondo luogo, il modo con cui l'Italia si rapporta alle istituzioni europee si rivela non proprio in sintonia. Molto spesso l'Italia scopre di avere dubbi riguardo le decisioni che devono essere prese al livello europeo all'ultimo momento, quando diventa ormai difficile trovare una soluzione alle questioni che essa pone. Se l'Italia fosse organizzata meglio, potrebbe dare un contributo più efficace al processo decisionale dell'UE e, allo stesso tempo, potrebbe anche promuovere meglio i suoi interessi. foto Ansa
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