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GNOSIS 3/2007
STORIE VERE, ANEDDOTI E LEGGENDE

1935: il SIM voleva "comprare" il Negus


Alain CHARBONNIER


La guerra è "la continuazione della politica con altri mezzi" diceva Clausewitz. Ma ci sono modi e modi di combattere e vincere una guerra, di conquistare un impero, e tra questi il ricorso alle operazioni segrete. Ne era chiaramente consapevole il Servizio Informazioni Militari (SIM) italiano che, nel 1935, pensò di poter ‘comprare’ il Negus, Hailè Selassiè.
(foto da www.lettera22.it)


La conquista di un impero è l’aspirazione di ogni grande nazione, o che tale si crede. Sono due gli strumenti per ottenerla: la trama diplomatica oppure l'azione militare, cioè la conquista violenta. Senza che una escluda l'altra o, addirittura, combinandole insieme. Tutte e due però esigono un prezzo.
In virtù di questo principio, nel 1935 il Governo italiano con a capo Benito Mussolini pensò di comprarsi in un colpo solo la vittoria militare e l'impero d'Etiopia. Un progettino niente male e tutto sommato a basso costo: cento milioni dell'epoca. Bisognava però convincere il Negus, Hailè Selassiè, circa la convenienza a scambiare il suo regno con un bel gruzzolo in lire. Mettere le mani sull'Etiopia, del resto, era un progetto che l'Italia inseguiva dalla fine dell'800, ai tempi di Menelik, divenuto da oscuro ras dello Scioa Negus d'Etiopia, con l'aiuto di un'improvvida politica dei governi di sinistra. Mettere le mani sull'Etiopia, del resto, era un progetto che l'Italia inseguiva dalla fine dell'800, ai tempi di Menelik, divenuto da oscuro ras dello Scioa Negus
d'Etiopia, con l'aiuto di un'improvvida politica dei governi di sinistra. Con il trattato di Uccialli e la conseguente promessa di accettare il nostro protettorato, Menelik aveva ottenuto dall'Italia quattro milioni di lire, ed erano tanti per l'epoca. La promessa di protettorato si rivelò poi una clamorosa beffa, giocata ai nostri malaccorti diplomatici. Con i milioni il Negus acquistò fucili, cartucce, cannoni con i quali, prima sconfisse i rivali, poi ci massacrò ad Adua, nel 1896.
Quarant'anni dopo i tempi erano maturi per vendicare Adua e ritentare l'impresa imperiale. Emilio De Bono e Rodolfo Graziani avevano dato il via alle operazioni in grande stile, ma il colpo finale tardava a venire. Per di più il Capo di Stato Maggiore Pietro Badoglio, Marchese del Sabotino, aveva poca voglia di vedere vittoriosi sul campo due rivali come De Bono e Graziani e quindi non spingeva per velocizzare le operazioni. Anzi era pronto a rimpiazzare proprio De Bono al momento dell'ultima spallata.
Mussolini però premeva e si mise all'opera il Servizio Informazioni Militari (SIM), allora diretto dal Colonnello Mario Roatta, abbastanza spregiudicato per osare il tutto per tutto, ma sempre "con le carte in regola".
Prende corpo il progetto di "liquidare l'affare abissino per vie non belliche e non perfettamente diplomatiche" e gli agenti del SIM, Emilio Faldella e Vezio Lucchini, "debitamente autorizzati", arrivarono a stipulare un vero e proprio contratto con uno strano quanto avventuroso personaggio: il finanziere palestinese Chucry Jacir Bey. Oltre i contraenti, erano presenti il Capo del Sim, Roatta e, come garante fra le parti, l'ambasciatore conte Carlo Senni.
L'accordo prevedeva innanzitutto un "piano B". Jacir Bey s'impegnava a indurre il Negus a concludere la pace con l'Italia entro il 15 febbraio 1936 alle seguenti condizioni: Etiopia indipendente, sbocco sul Mar Rosso con un corridoio largo circa 20 chilometri, cessione all'Italia con annessione all'Eritrea del Tigrai, il Danakil e il Diru, annessione alla Somalia Italiana delle province di Borana, Sidamo, Bale, Arussi, Harratghié e Aussa.
Per la parte più "politica" il Negus avrebbe avuto la garanzia del trono e un appannaggio sotto forma di lista civile, garantita dal Governo italiano; al contempo, Hailè Selassiè avrebbe dovuto: accettare un consigliere e una missione militare italiana per organizzare l'esercito e la polizia etiopica; accettare consiglieri italiani come supervisori nei ministeri degli Esteri, delle Finanze, dell'Agricoltura e delle Miniere; fornire facilitazioni agli immigrati provenienti dall'Italia e concedere diritti di rilevazione e sfruttamento dei giacimenti minerari di qualsiasi natura.
Il palestinese Jacir Bey per i suoi servizi avrebbe incassato cinquanta milioni di lire, oppure 12.422.300 franchi svizzeri, preventivamente depositati e vincolati presso il Banco di Napoli.
Si pensa anche a come "coprire" il Negus e nel contratto vengono inseriti due piani alternativi, denominati "C" e "D".
Il "piano C" prevede sottoscrizione del trattato di pace dopo una vittoria militare italiana, "preparata" a tavolino attraverso uno scambio informativo tra gli opposti schieramenti. Nella sostanza: lo Stato Maggiore italiano propone la data e il luogo dello scontro, ne informa le forze avversarie, i due eserciti s'incontra-no/scontrano con scambio di fucilate e cannonate, tutto finisce con spreco di polvere da sparo e senza vittime. L'Italia ha vinto, l'Etiopia ha perso e Jacir Bey incassa questa volta 100 milioni di lire.
Ancora più spregiudicato lo scenario del "piano D", sempre in cambio di 100 milioni in caso di riuscita: dirottamento dell'aereo con a bordo il Negus in un'area occupata dalle forze italiane. Hailè Selassiè, come da contratto, sarà consegnato alle truppe italiane "vivo", in grado di sottoscrivere immediatamente le condizioni di pace. Nessuno dei piani si realizza e naturalmente Jacir Bey non vede una lira. Ma prima di rinunciare alle sue parcelle, almeno in parte, preme sul Ministro degli Esteri, minacciando di rivelare l'intera storia. Ci prova nel 1938, quando un cittadino belga, Charles Ansiaux, denuncia alla Procura di Roma una truffa ai suoi danni appunto da parte di Jacir Bey. Il palestinese gli avrebbe sfilato somme ingenti, forte del contratto stipulato con il SIM e relativa lettera di credito per l'ammontare appunto di cento milioni.
Il Governo blocca immediatamente il processo con un intervento diretto sui magistrati. Ansiaux comunica allora all'ambasciata d'Italia a Bruxelles che pubblicherà un opuscolo con l'intera documentazione, sottolineando il grave imbarazzo che avrebbe provocato nel Governo italiano.
La minaccia non sortì l'effetto voluto. Del tentativo di "comprare il Negus e l'impero" si tornò a parlare qualche anno dopo, davanti all'Alto Commissariato per la punizione dei delitti fascisti.
Ecco come l'ambasciatore Senni descrisse quei fatti nella sua deposizione.
"Verso la fine del 1935 l'avventura abissina cominciò a preoccupare seriamente i Circoli ufficiali responsabili. Lo stesso Mussolini ne fu impensierito fino al punto da chiedermi, con evidente preoccupazione, che cosa il Paese ne pensasse. Io risposi francamente che l'impressione era sfavorevole perché l'impresa era considerata temeraria in quanto a lungo andare avrebbe potuto complicarsi. Si era infatti nel periodo delle sanzioni, le quali da un momento all'altro avrebbero potuto diventare vere ed efficaci. In quell'epoca Capo del SIM era il generale Roatta e Capo di Stato Maggiore Badoglio. Fu precisamente dallo Stato Maggiore, e per esso dal SIM, che fu presa l'iniziativa di liquidare l'affare abissino per vie non belliche e non perfettamente diplomatiche.


da www.4dw.net/royalark/Ethiopia



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