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GNOSIS 3/2007
‘ndrangheta: una scia di sangue da San Luca a Duisburg

Antiche faidee nuovi crimini


articolo redazionale

Il presente lavoro, lungi dal proporre una monografia storico-criminale sul fenomeno della 'ndrangheta calabrese, peraltro oggetto di una fiorente e qualificata letteratura, cerca, invece, di offrire una riflessione su temi e aspetti specifici, da cui trarre spunti critici sulle possibili evoluzioni mafiose in Calabria. La 'ndrangheta dimostra di aver aumentato sensibilmente l'appeal negli ambiti dell'informazione pubblica e privata, che la considerano, a ragione, la più pericolosa organizzazione criminale italiana, in grado di competere con lo Stato nel controllo della Calabria e di infiltrarsi subdolamente nei circuiti economici e finanziari nazionali ed europei. La recente strage, commessa nella cittadina tedesca di Duisburg, lo scorso ferragosto, nell'ambito della faida di San Luca, ha riproposto e amplificato a livello europeo la percezione della pericolosità della 'ndrangheta.


foto Ansa


Dalle analisi di polizia, dai libri e dalle interviste di magistrati competenti per territorio come di esperti "mafiologi" di settore emerge nettamente che il fenomeno è tutt'altro che sconosciuto ma, anzi, è sondato e approfondito sin nei recessi più segreti dell'organizzazione criminale e dei suoi interessi.
A differenza di altre realtà europee, in Italia le polizie e l'intelligence non devono tanto individuare le minacce, che sono ormai ben note e tanto prioritarie da fungere da freno anche per le nuove, quanto monitorare e qualificare i rischi rappresentati dalla diversa modulazione della stessa minaccia nei vari contesti regionali.
Tale impegno risulta particolarmente oneroso perché non si esaurisce nella conoscenza di forme, modelli e interessi delle organizzazioni mafiose ma è ulteriormente teso a considerare l'impatto che queste hanno nell'area di origine, rispetto, quindi, alle vulnerabilità ambientali che costituiscono l'humus dell'evoluzione della mafia. In tal senso rilevano soprattutto le saldature tra fattori mafiosi, economici e amministrativi che rendono inefficaci i criminorepellenti sociali, ampliano i diversi fronti del contrasto, rendendoli asimmetrici e trasversali, e impongono le auspicate sensibilità reattive di tutti i settori della società.
Nelle riflessioni proposte non ci sono risposte certe e univoche, nessuna panacea a conforto della speranza di vincere il crimine organizzato.
Ci sono però domande centrali che offrono un contributo di pensiero alla costruzione di una strategia di contrasto alla 'ndrangheta più moderna e aderente.


Il "miracolo" organizzativo della
'ndrangheta


Ormai è ben noto a tutti, anche ai meno esperti e informati sul tema, che la 'ndrangheta è l'organizzazione mafiosa presente in Calabria ed è proiettata in pressoché tutte le regioni nazionali e in molti Stati esteri.
Non sempre è altrettanto compreso che non esiste un unico attore criminale e che la 'ndrangheta è, in realtà, un insieme di tessere autonome che si identificano in un mosaico di senso che le contiene più come prospettiva che come cornice, senza menomare l'assoluta autonomia delle entità mafiose locali. Queste ultime esercitano un vero e proprio monopolio nell'area di origine, talvolta in competizione, altre volte strettamente legate sino a fondersi in un'unica realtà, in nome di interessi comuni sanciti, anche, con politiche matrimoniali.
Ad esempio le cosche di Cirò, Vibo Valentia, Lamezia Terme, Gioia Tauro o Locri non sono parti di un unicum gerarchizzato ma rispondono a logiche localistiche e a strategie riguardanti solo le famiglie nei rispettivi territori.
Esse possono allearsi per fronteggiare un comune nemico, possono "scambiare" i killer, possono confliggere per assumere o conservare posizioni di favore rispetto a un interesse, ma rimangono entità distinte che hanno in comune solo il riconoscimento generale nel modello 'ndranghetista.
E' tuttavia vero che nello scenario moderno ogni organizzazione non può conservare il carattere di monade.
In una società incentrata ormai sulla comunicazione e sulla interdipendenza è ovvio che siano maturati circuiti di collegamento tra le entità criminali, finalizzati al perseguimento della più estrema competitività.
Tali circuiti sono fortemente caratterizzati e orientati da:
- un uso esclusivo di linguaggio e codici che, oltre a svolgere un ruolo regolativo, risultano costitutivi di un'identità criminale tipica;
- logiche organizzative di network, che si fondano sull'interdipendenza e che consentono di irrorare il tessuto regionale secondo un modello unico, salvando l'autonomia delle parti;
- un interesse economico, che costituisce il fine ultimo dell'agire mafioso, in quanto proprio gli affari rappresentano l'occasione per una emancipazione personale, sociale e mafiosa. Non a caso sugli interessi si giocano i diversi ruoli, le alleanze o le faide, quale strumento di sopravvivenza e di competizione in ambiti territoriali ristretti, in cui diventa essenziale conservare e ampliare il proprio spazio "vitale".
Il modello orizzontale, quindi, per la 'ndrangheta costituisce:
- da una parte, un limite, perché le diverse parti componenti sono portate a rivendicare, talvolta aspramente, la loro indipendenza, rendendo più difficile il perseguimento di strategie globali e unitarie, causando frequentemente sensibili crisi centrifughe e ipercompetitive. Altra vulnerabilità deriva dall'allarme sociale e dalla reazione statuale, ispirata da fatti locali, ancorché eclatanti, che vengono etichettati come fenomeno regionale, inducendo a più ampie pressioni di polizia, penalizzando così e irritando i boss di altre aree che preferiscono politiche di inabissamento;
- dall'altra, costituisce un vantaggio, in quanto una dura e radicale repressione in un'area non incide sulle altre o sull'intero sistema. In sintesi, al contrario della Sicilia, un vettore investigativo si esaurisce spesso nell'area operativa di uno o più "locali" senza intaccare altre zone o livelli essenziali della leadership. Ad esempio, costituisce un successo straordinario l'arresto del latitante Giuseppe Bellocco per il peso del soggetto negli equilibri e negli interessi dell'area tirrenica reggina. Il boss è di primo piano nel panorama 'ndranghetista ma il suo arresto non compromette l'architettura dell'intera organizzazione, come potrebbe accadere per quello dei latitanti Salvatore Lo Piccolo di Palermo e Domenico Raccuglia di Altofonte, che di Cosa Nostra costituiscono il "cuore" anche a livello strategico.
Essendo, poi, la 'ndrangheta in continuo divenire e pronta a recepire le istanze del mercato e della competizione, è ovvio che emergano spunti di innovazione e di adeguamento a nuove logiche di volta in volta impostate sulla centralizzazione o sul decentramento.
Non si ritiene, tuttavia, che tali spunti possano caratterizzare un avvicinamento al modello siciliano, tipicamente verticistico, che è stato e rimane tuttora assai diverso.


Aspetti geo-conflittuali

In uno stesso piccolo centro calabrese gravitano numerosi gruppi criminali (‘ndrine) che dipendono dalla stessa organizzazione (locale). In molti casi essi confliggono per aver maggior peso o per assumere la leadership dell'intera struttura criminale e si collegano con 'ndrine di altri locali, al fine di aumentare con le capacità relazionali anche quelle militari, creando così schieramenti trasversali alla compartimentata geografia mafiosa.
E' una situazione fluida e magmatica, quindi, che aumenta la frequenza delle interdipendenze tra i "locali" e le situazioni conflittuali, accrescendo lo spettro delle tensioni sino a causare, come spesso avvenuto nel passato, vere e proprie guerre di mafia.
Non è un caso che l'espressione tipica della conflittualità 'ndranghetista sia la faida. Essa esplode in molte aree ad alto indice mafioso in cui è irrisolta una forte competizione tra 'ndrine di uno stesso "locale".
Le faide, nonostante si possano conservare a bassa tensione per lunghi periodi, sono destinate a riacutizzarsi al minimo innesco e si nutrono di un odio e di un desiderio di vendetta insaziabili.
Più dura nel tempo la faida, con la commissione di un gran numero di omicidi, più aumentano le occasioni di risentimento e di vendetta che, in un cerchio senza fine, autoalimentano la tensione.
Sotto il profilo strutturale la faida nasce sia per l'esistenza del citato modello organizzativo orizzontale, in cui manca il carattere impositivo e centripeto della gerarchia, sia per la poligenesi delle entità mafiose. In quest'ultimo caso, infatti, le 'ndrine nascono per scissione dal nucleo originario in caso di:
- decesso o arresto di un "capobastone", per cui i rampolli molte volte iniziano una nuova genìa di malavitosi, formando prima un ramo autonomo della 'ndrina e poi una 'ndrina indipendente. Molto interessante appare lo studio dell'albero genealogico delle famiglie 'ndranghetiste, in cui dal boss originario si diramano rami laterali, spesso con nomi uguali e distinti solo dalla data di nascita o dal soprannome (Pelle vanchei, Pelle gambazza, Pelle Pakistan, Pelle mita e mata; Morabito tiradritto, Morabito larè, Morabito brunocchio, Morabito scassaporte; Barbaro castanu, Barbaro nigro, etc…). In molti casi i legami parentali rimangono stretti e compongono un unico schieramento, ancorché ciascuno rivendichi sempre la propria autonomia. Legami che si stringono non solo per vincoli di sangue ma anche attraverso rapporti dall'elevato portato simbolico e dalla piena effettività, quali il comparatico, il c.d. "S. Giovanni" e simili che sono il frutto di profonda elezione che, al pari delle parentele, creano una rete affettiva e criminale poco permeabile alla collaborazione alla giustizia. Altre volte si confligge, soprattutto quando le famiglie alla lunga si imparentano con ceppi avversari. Come emerge dalla situazione giudiziaria relativa alla faida di San Luca, spesso sono proprio gli elementi parentali comuni ad entrambi i contendenti ad essere chiamati a una difficile composizione delle diatribe, a dir la verità non sempre con successo;
- necessità di un polo logistico od operativo al di fuori dell'area d'origine (sia nella regione sia in altre aree nazionali ed estere). Quando tali 'ndrine assumono un profilo rilevante e cospicuo, possono diventare "locali". Normalmente l'evoluzione strutturale è indolore o funzionale alla cosca madre, anche perché la nuova 'ndrina o il nuovo "locale" assicurano un ritorno economico e affaristico a quella d'origine. Tuttavia accade anche che tra le due realtà, vecchia e nuova, si creino tensioni, per interessi o per discordanza sulla gestione degli assetti interni di potere (ricordando sempre la trasversalità delle 'ndrine all'interno dei ‘locali’).


Leadership e rappresentanza

Il valore carismatico di alcuni boss, il diverso peso "economico" e "politico" delle aree controllate, che conferiscono una gerarchia di importanza, la diffusa necessità di riconoscere un ruolo di intermediario, che possa intervenire a dirimere tensioni tra le cosche, ha nella prassi formato e legittimato una sorta di lobby mafiosa capace di incidere sulle strategie di superiore livello e di comune interesse e di aggregare consensi su scelte e risoluzioni a crisi interne. Tale élite ha cercato di "strutturarsi" in un livello gerarchico in grado di conferire un maggiore potere d'intervento, con alterne fortune e comunque con appena sufficienti risultati.
Il tema della verticalizzazione della struttura 'ndranghetista, di cui si è poc'anzi dibattuto e che per certi versi rimane questione aperta, è strettamente legato a quello delle forme di leadership e dell'organizzazione interna dei livelli e dei gradi di rappresentanza e di funzione della 'ndrangheta.
Il modello unitario, oltre che con un comune sentimento criminale, si sostiene attraverso un condiviso modello organizzativo interno che la tradizione salvaguarda e che è affidato sia a forme di rappresentanza interne al "locale" sia a rappresentanti esterni, a livello provinciale e a livello centrale ("capocrimine" di San Luca, di cui appresso).
In tal modo si garantisce la comunione simbolica e ideologica dell'organizzazione e si assicura anche la conservazione del potere e della posizione privilegiata della lobby mafiosa.
I fautori del modello verticistico trovano in questa potestà elitaria il segno distintivo di un sistema centralizzato, mentre i sostenitori del pieno modello orizzontale le attribuiscono un significato meramente simbolico e di rappresentanza formale.
In alcune attività di polizia, riscontrate anche dai contributi di collaboratori di giustizia, emerge l'impegno delle cosche più importanti di legittimare forme di rappresentanza e di coordinamento se non sovraordinate, almeno dotate di un potere decisionale e coercitivo più efficace.
In tal senso rileva il tentativo avvenuto nella provincia di Reggio Calabria, vero epicentro del fenomeno e ancor oggi cuore della 'ndrangheta, di istituire tre camere di compensazione sul modello dei mandamenti siciliani: Reggio Calabria, fascia Jonica e fascia Tirrenica.
Nella realtà tale struttura ha confermato le posizioni dominanti delle famiglie più importanti delle rispettive aree, legittimandone formalmente una funzione già esercitata nella prassi di punto di riferimento per accordi, alleanze e pacificazioni.


San Luca

Ancor più forte l'istituto del "crimine", che raccoglie le eminenze mafiose per condividere esperienze, maturare interventi pacificatori, tentare di promuovere una strategia a beneficio dei rispettivi utenti mandatari, i capilocale satelliti. E' un'occasione e un foro in cui le lobby mafiose si riuniscono, perpetuando le loro strategiche posizioni dominanti e detenendo l'onere di tutelare il profilo identitario e dottrinario. Esse potrebbero decidere la sospensione di un "locale" e il ricorso a reprimende, anche violente, nel caso del protrarsi della mancanza sanzionata. Nella prassi, però, proprio il rispetto dell'autonomia delle cosche e la trasversalità degli schieramenti hanno fortemente limitato la realizzazione di tali potestà del "crimine".
Il "capocrimine" è il ruolo più alto della 'ndrangheta, scelto per capacità e carisma tra i rappresentanti di maggior rilievo dell'area considerata la culla del fenomeno, San Luca, competente anche per la zona della Madonna dei Polsi. Il Santuario è stato indebitamente assunto dagli 'ndranghetisti come loro tempio, nume tutelare che ha l'onere di conservare i valori fondanti e di garantire nell'incontro annuale per i festeggiamenti lo svolgimento di tutte le attività di interpretazione e di intermediazione, necessarie a risolvere le questioni critiche dell'organizzazione.
Da più parti e soprattutto negli ultimi tempi emergono segnali di crisi del crimine e delle rappresentanze.
Alcuni recenti eventi, tra cui i conflitti endogeni ad Africo come a Locri, hanno dimostrato l'incapacità dei rappresentanti di ridurre a più mite consiglio i contendenti e a imporre una leadership e una strategia utili all'intera organizzazione.
I particolarismi, quindi, e l'odio violento supportato dall'interesse locale sembrano superare qualsiasi dirigismo centrale, confortando chi crede nel primato delle autonomie.
Ancor più grave la situazione relativa alla faida di San Luca, vero "cuore" della 'ndrangheta e area di competenza del reale attuale "capocrimine", Antonio Pelle "gambazza", che, peraltro, nonostante la dichiarata distanza dai fatti, risulta comunque indirettamente coinvolto per la presenza tra i contendenti del genero, Francesco Vottari.
Nel provvedimento giudiziario relativo alla faida emerge nettamente il funzionamento sia del "crimine" sia delle altre forme di rappresentanza, volte a contenere l'escalation di violenza eppure incapaci di fermare la "strage di Natale", effettuata dai Pelle-Vottari e la successiva reazione a Duisburg da parte dei Nirta-Strangio.
Si ritiene che il momento attuale sia decisivo per il destino delle istituzioni formali e informali di rappresentanza della 'ndrangheta, in quanto il suo livello di efficacia è ai minimi storici.
La dura reazione statuale potrebbe indurre le cosche a limitare il proprio potere a favore di un foro per la risoluzione coatta dei conflitti, anche per evitare il ripetersi di danni di immagine ed economici, pagati da tutte le componenti 'ndranghetiste.
Potrebbero essere recuperate le parole del noto boss Giuseppe Zappìa: "qui non c'è 'ndrangheta di Mico Tripodo, non c'è 'ndrangheta di 'Ntoni Macrì, non c'è 'ndrangheta di Peppe Nirta! Si deve essere uniti, chi vuole stare sta, chi non vuole se ne va!".
Si trattava di una professione d'intenti capace di cogliere la necessità di adeguare lo strumento criminale alla modernità delle insorgenze sociali ed economiche.


Tra tradizione e modernità

La pericolosità della 'ndrangheta sta nel coniugare la forza, la violenza e spesso la brutalità delle azioni criminali con sistemi sofisticati e moderni di gestione dei traffici illegali regionali e transnazionali, in cui acquisisce frequentemente un elevato livello competitivo.
Nell'area di origine è pervasiva e totalizzante, esercitando il pieno controllo estorsivo sulle locali attività produttive e scontrandosi con durezza con le cosche antagoniste, così da manifestare e conservare un potere monopolistico.
Oltre al volto predatorio, tuttavia, tutto "coppola e attentati", sempre più la 'ndrangheta si sta convertendo alla partecipazione diretta all'attività d'impresa, così da intercettare e condividere i cospicui finanziamenti previsti per la riqualificazione del territorio.
E' un processo che viene da lontano, che permea la storia del crimine calabrese, dimostratosi capace di intuire le opportunità offerte dall'evoluzione economica della Regione e disponibile a ristrutturarsi profondamente pur di trovare occasioni di arricchimento e sbocchi più convenienti al reimpiego delle ricchezze conseguite.
Tale duttilità ambientale ha creato differenze marcate tra le cosche tirreniche, più votate all'imprenditoria e all'investimento diretto nell'economia, e le cosche ioniche, orientate in prevalenza prima ai sequestri di persona e poi al traffico di stupefacenti, grazie anche alle colonie di concittadini emigrati nelle regioni del Nord, nodali rispetto al traffico internazionale di eroina e di cocaina.
Le opportunità diffuse in tutta la Regione hanno oggi omologato il profilo delle vocazioni, orientandole marcatamente verso l'aspetto imprenditoriale.
La disponibilità di ricchezza conseguita con i sequestri di persona e soprattutto con la droga hanno spinto gli "accoscati" ad iniziare a investire nel trasporto, nelle cave, nella lavorazione del calcestruzzo e, poi, nell'intero ciclo del cemento.
Il momento strategico dell'evoluzione imprenditoriale si è concretizzata con l'avvio dei lavori relativi all'autostrada A3 e al porto di Gioia Tauro, in un lasso contestuale di tempo in cui ogni cosca è riuscita a progredire nel settore economico anche attraverso lo sfruttamento delle opportunità offerte dal c.d. "Pacchetto Colombo".
Il successo di tale operazione è dipeso anche dall'apporto collusivo o concorrente dei "colletti bianchi", attraverso la sistematica occupazione di alcuni settori amministrativi che hanno facilitato la connessione sinallagmatica degli interessi mafiosi a quelli vulnerabili dell'imprenditoria e della politica.
E', quindi, una 'ndrangheta aderente al territorio, al contempo monopolista dell'esercizio della violenza e progressivamente anche determinata a conquistare un volto socialmente più evoluto.
Non è un caso che in molte famiglie mafiose i boss investano sui nuovi profili professionali dei figli, così da irrobustire una borghesia mafiosa più facilmente occultabile nel tessuto sociale e negli ambienti del potere locale, rendendo più promiscua la rappresentanza cittadina e le cosche, come dimostra lo scioglimento di numerosi Comuni.
A fronte di tale esperienza sul territorio, la 'ndrangheta da lunghi anni esercita il pieno controllo dei mercati della droga di tutt'Italia, soprattutto quelli strategici della Lombardia, in cui si sono radicati gruppi mafiosi inizialmente dediti ad attività logistica e oggi ben inseriti anche nel settore imprenditoriale.
L'aggressività competitiva calabrese riesce a coprire i vuoti di Cosa nostra, assumendo dai primi anni '90 il ruolo apicale di referenti europei dei traffici di eroina, proveniente dalla rotta balcanica, e di cocaina, proveniente dalla rotta transoceanica.
Grazie ai calabresi acquisiscono competenze ed esperienze anche i clan albanesi e kosovari che, allorquando per breve periodo sembrano sostituire i calabresi vittime di una diffusa repressione, conservano comunque un atteggiamento rispettoso del privilegio degli 'ndranghetisti.
Non è un caso che, tra i gruppi di narcos che si trasferiscono in Spagna e Olanda, ormai centrali rispetto ai flussi di stupefacente che oggi riguardano quasi prevalentemente la cocaina, i calabresi siano ancora in vantaggio, avendo stabilito nell'area iberica intere colonie di affiliati, con il compito di gestire per conto delle cosche d'origine il lucroso affare.
Ci si chiede, quindi, quale sia il segreto dell'alchimia tra violenza e raffinatezza strategica degli interessi e come si concili da una parte, il marcato spirito predatorio e parassitario, che ha reso vani ingenti flussi di finanziamenti, svuotando d'efficacia ogni programma di riqualificazione di un territorio già asfittico, e dall'altra, il diffuso spirito d'iniziativa che in breve fa emergere il primato calabrese in molti settori economici di intere aree nazionali ed estere.
E' spesso difficile giustificare la contestualità tra il proliferare di grandi centri commerciali, spesso eccessivi rispetto alle logiche di mercato; la penetrazione nell'immobiliare turistico che consente anche interessi complementari nelle forniture come nelle guardianìe; l'infiltrazione nel settore sanitario e nello smaltimento dei rifiuti; l'intelligenza con ambienti affaristici per condividere interessi comuni con l'omicidio di donne, il ferimento di bambini esposti all'azione dei killer, le stragi brutali e gli attentati distruttivi e ipertrofici.
Eppure oggi il boss latitante che scorre i labirinti carsici dei suoi rifugi sotterranei, segrete che assicurano la presenza del capo nella zona pur se in clandestinità, gestisce dalla ferale tana collusioni altolocate, affari ingenti, intuizioni economiche e finanziarie rilevanti.
Si ritiene che proprio la forza della 'ndrangheta sia la sua natura duale che sempre conserva un'anima brutale e disinibita, anche negli affari più "laici" e al di fuori dei territori controllati.
Tale carattere fondante è anche il cuore di un sistema di complicità, di connivenze, di legami spesso organici che rendono indistinta la minaccia criminale e il tessuto da proteggere.
Il mafioso traduce il suo portato esperenziale criminale nell'esercizio d'impresa, nei ruoli sociali e nei rapporti, siano essi con amministratori piuttosto che con altri imprenditori, riproducendo logiche intimidatorie o collusive, ricorrendo anche ad azioni violente e salvaguardando sempre il primato della cosca negli affari.
Ciò ha portato ad una diffusione indiscriminata della violenza che confonde:
- attentati a soggetti resistenti rispetto ad interessi mafiosi;
- azioni intimidatorie di soggetti extramafiosi che usano efficacemente il linguaggio e le modalità mafiose del territorio;
- atti ai danni di soggetti referenti di una cosca da parte del gruppo avversario, perché rappresentano un punto di forza da colpire anche simbolicamente. Spesso, infatti, una cosca vanta un primato anche per le relazioni privilegiate con soggetti qualificati del territorio che, per tale motivo, diventano obiettivi strategici.
Il coinvolgimento di molti amministratori in situazioni poco trasparenti, come risulta dalle numerose indagini nel settore e dallo scioglimento di comuni ed enti, rischia di rendere più diffusa quest'ultima ipotesi, perché colpire un referente importante costituisce un danno operativo e d'immagine difficilmente assorbibile dall'avversario. Tutto questo anche a costo di azioni repressive che le cosche possono ritenere di sopportare.
Infine, dalle valutazioni espresse emerge che la modernità della 'ndrangheta è la naturale evoluzione della sua tradizione, cui è indissolubilmente legata.
Essa è la declinazione aderente ai tempi di un paradigma di valori e di opportunismi criminogeni.
Ad eccezione di momenti critici, per fratture generazionali e per svolte epocali, in cui è più evidente la discontinuità tra passato e presente, il corso della 'ndrangheta appare sempre lo sviluppo coerente della sua matrice mafiosa, ancorché vestita in altri panni e in altri organigrammi.
Certamente oggi molti lamentano anche nell'organizzazione la facilità di ottenere le "doti" (gradi) per le facilitazioni offerte a taluni a prescindere dal valore, così che viene svilito il tradizionale significato meritocratico dell'agire criminale. Inoltre, è sottolineato anche il prevalere dell'interesse personale a danno dell'immagine della mafia, spesso dimenticando che ogni generazione precedente denuncia tale situazione a danno della successiva.
E' comunque altrettanto vero che proprio la sensibilità a cogliere i tempi, pur conservando intatta la capacità di esercitare la violenza e l'intimidazione come modello impositivo verso l'esterno, costituisca la ragione sociale della stessa mafia e il senso di una competitività malata capace di affermarsi nei mercati più evoluti.
Tutte le autorità variamente intervenute sulla questione "Calabria" manifestano una viva attenzione a ricercare soluzioni sia politiche, per rendere sostenibili ed efficaci le iniziative di riqualificazione del territorio, sia pratiche, per restituire alla collettività una sicurezza reale e una rinnovata fiducia nelle Istituzioni.
Esse colgono, infatti, la pericolosità di una minaccia che salda la tradizione e la modernità e permea i circuiti vitali della società soffocandone talvolta le aspettative di sviluppo.
La natura strutturale dell'organizzazione e la sua ormai radicata affermazione rendono più ardua l'attività dell'antimafia, che deve confrontarsi sul piano militare contro un gran numero di cosche in conflitto, sul piano economico con una sistematica infiltrazione degli appalti e di molti settori imprenditoriali, immobiliari, edili, sanitari, commerciali e finanziari e sul piano politico con rapporti organici o sinallagmatici con gruppi affaristi, lobbisti e tecnico-amministrativi.
La situazione è ancor più complessa per la vulnerabilità, a causa di disillusione o di convenienze, di parte della società produttiva.
Sebbene non sia "politicamente corretta", eppure deve essere opportunamente valutata l'opinione di taluni secondo cui la mafia svolge un ruolo, ancorché nefasto e illusorio, di regolatore del sistema economico e sociale che alla lunga può creare le premesse di una sostituzione di potere dallo Stato alle cosche.
Tale funzione regolativa mortifica il mercato, ma consente una rendita parassitaria e un accordo spartitorio che, pur privilegiando gli interessi del consorzio affaristico sinallagmatico(1), offrono uno spazio minimo ma sicuro a coloro che siano disposti ad abdicare alla libertà d'impresa e cedere la dignità al compromesso.
Si ritiene quindi, come peraltro suggerito anche nella relazione del 2006 dell'allora Prefetto di Reggio Calabria, Luigi De Sena, attuale Vice Capo della Polizia, che sia fondamentale recuperare la cultura della legalità in tutti i settori civili, al fine di dare voce alle crescenti aspettative degli attori che sono emarginati dalle logiche mafiose e dei giovani che sempre più coralmente vogliono costruire un futuro diverso.
La struttura orizzontale della 'ndrangheta, che valorizza le capacità autonome delle singole e locali giurisdizioni mafiose, potrebbe essere meno vulnerabile alla militarizzazione del territorio, braccio di ferro cui le cosche sono avvezze e contro cui sono attrezzate, rispetto al generalizzato orientamento alla legalità della collettività e dei settori economici e sociali, perché viene meno il terreno di coltura e il tacito assenso in cui la mafia opera e prolifera.
Gli strumenti giuridici del recente passato e quelli incipienti, soprattutto in materia di appalti, l'aderente attività di polizia e magistratura, la coralità della protesta di molti settori, soprattutto giovanili, costituiscono l'orizzonte verso cui orientare la speranza.
Occorre che lo Stato saldi i suoi nodi rappresentativi in chiave unitaria prima che la 'ndrangheta connetta i suoi e metta a sistema la sua capillare e diffusa presenza sul territorio.
Soprattutto è importante che l'emergenza "Calabria" non diventi un'occasione permanente di affari per i consorzi criminali che hanno imparato a sfruttare a proprio vantaggio anche le iniziative più lodevoli, così che le forze attive della Regione possano interpretare nel tempo la voglia di risanamento che è precondizione di ogni progetto civile.
Anche per questo lo scenario calabrese attraversa una delicata fase evolutiva sotto gli aspetti: organizzativo-militare, economico-imprenditoriale e tecnico-amministrativo.
Sotto il profilo organizzativo-militare le antiche alleanze che svolgevano l'utile funzione di contenimento delle spinte centrifughe locali sembrerebbero fortemente compromesse, soprattutto:
- nel reggino dove, a seguito delle crescenti tensioni tra le principali cosche, rischiano di compromettere gli equilibri raggiunti nel capoluogo dopo la seconda guerra di mafia e che potrebbero creare le condizioni per una spiralizzazione di conflitti tenuti a bassa tensione proprio dal carisma dei suddetti leader. I cospicui interessi in gioco, alimentati ulteriormente dalla previsione dei lavori autostradali nell'area di Reggio, potrebbero innescare escalation poco prevedibili, sebbene allo stato sembra essersi costituito un’asse abbastanza resistente formato trasversalmente dai Condello, Tegano, Labate (altra storica famiglia reggina che sta assumendo un rinnovato crescente rilievo) e dagli Alvaro di Sinopoli (che costituiscono una leadership carismatica nell'area settentrionale della provincia reggina);
- a Rosarno, per l'arresto di Giuseppe Bellocco, da tempo riferimento e mediatore delle cosche dell'area, che oggi potrebbero voler vantare maggiori spinte autonomiste rispetto sia al narcotraffico sia all'infiltrazione economica;
- a Gioia Tauro, per le tensioni interne alle cosche Piromalli e Molè, legate alla gestione delle attività economiche;
- a San Luca, a causa della spiralizzazione della faida tra i Pelle-Vottari e i Nirta-Strangio, che rischia seriamente di delegittimare l'organizzazione del "crimine", organismo di rappresentanza e di mediazione di tutta la 'ndrangheta che, proprio nella sua area d'origine, non è riuscito a trovare in tempo utile soluzioni di pacificazione;
- ad Africo, dove sembra acutizzarsi lo scontro tra le due anime della famiglia Morabito;
- nella sibaritide, per il riassetto delle cosche cirotane che starebbe avvenendo anche con l'eliminazione di gregari, ritenuti poco affini alle nuove logiche dei Farao-Marincola.
Sotto l'aspetto economico, invece, la 'ndrangheta risulta ormai pienamente avviata in un capillare e pervasivo processo di infiltrazione sia delle iniziative imprenditoriali (attraverso propri referenti o anche direttamente) sia delle strutture amministrative, che consentono di intercettare e gestire i finanziamenti ed esercitare un più evoluto controllo del territorio.
La capacità imprenditoriale e collusiva della 'ndrangheta è al momento proiettata principalmente verso:
- i lavori stradali, soprattutto quelli di ammodernamento dell'A3 (SA-RC), della SS.106 (Statale Ionica), e della SS.182 (Trasversale delle Serre). In tale ambito le cosche, che hanno già convertito molte loro attività nel settore del movimento terra, risultano talvolta competitive tanto da suscitare seri rischi di conflitto. Infatti, alla geografia dei "lavori" corrisponde quella della egemonia delle cosche, così che il controllo di un appalto è caricato di ulteriore valenza criminale e può giungere a coinvolgere anche i livelli tecnico-amministrativi di riferimento;
- il settore sanitario, dove i forti interessi non si estrinsecano solo nel mero condizionamento degli appalti relativi a specifici servizi, forniture o prestazioni, ma puntano ad una infiltrazione/occupazione delle strutture amministrative per un intervento diretto e gestionale;
- sul settore immobiliare e turistico-alberghiero, che costituisce un utile ambito per riciclare proventi illeciti;
- il settore agro-alimentare, specie in riferimento alla grande distribuzione e ai mercati ortofrutticoli.
Nel comparto tecnico-amministrativo la 'ndrangheta sfrutta le opportunità offerte dalla presenza di soggetti referenti o parenti, soprattutto negli ambiti direttamente competenti alla gestione economica del territorio, per tentare di:
- intercettare i finanziamenti nazionali e comunitari;
- sfruttare le opportunità imprenditoriali, immobiliari e turistiche attraverso l'alterazione del regime di concessioni, autorizzazioni e varianti ai piani regolatori (quali, ad esempio, il cambio di destinazione d'uso da terreno agricolo a edificabile oppure l'ampliamento degli indici di edificabilità);
- orientare la politica occupazionale e di assistenza.
In conclusione, si ritiene, quindi, che ogni analisi preventiva o repressiva debba tener in debito conto che:
- il carattere orizzontale della 'ndrangheta (assenza di un vertice e autonomia di ciascuna cosca) impone, sotto l'aspetto operativo, valutazioni e interventi che siano aderenti alle specificità dei singoli contesti; sotto l'aspetto strategico-politico, invece, soluzioni di accentramento, soprattutto in materia economica e imprenditoriale, evitando la polverizzazione delle risorse pubbliche che le rende più vulnerabili all'aggressione criminale, specie in ambito locale;
- sempre più la 'ndrangheta cerca di consolidare un rapporto stretto con le lobby affaristiche, così da condividere e rafforzare comuni interessi al controllo del territorio, anche sotto l'aspetto della gestione delle risorse. Ciò potrebbe comportare che la competitività interna alle cosche si trasferisca anche sul piano affaristico, riproducendo le stesse modalità aggressive dell'ambito direttamente criminale.


foto Ansa


(1) In cui si saldano i diffusi interessi condivisi di lobby mafiose- imprenditoriali- amministrative.

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