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GNOSIS 3/2006
Il magma anarchico in Toscana

Se la ‘A’ nel cerchio aggrega disagio sociale ed eversione


Simone INNOCENTI

Uno scenario davvero complesso, quello dell'universo anarchico, chiaramente delineato nel brano proposto. E' un fenomeno sociale le cui dimensioni ridotte non ne diminuiscono il rischio e non ne influenzano la capacità di alimentare una notevole tensione nei territori che in prevalenza ne sono interessati. Ciò che preoccupa è la capacità di questi movimenti di catturare e di fidelizzare il malcontento giovanile e di incanalarlo nell'alveo di una lotta che può avere obiettivi ma non esiti e che non contribuisce affatto alla crescita politica del paese, della quale rappresenta, anzi, una delle zone d'ombra. Fenomeni di questo tipo costituiscono una costante di ogni sistema democratico, forse uno scotto da pagare e fino a quando non saranno assorbiti e ricondotti nell'ambito del dibattito ufficiale e civile su come vada organizzata la vita in società (poiché anche la posizione di un anarchico, se lealmente rappresentata, merita attenzione in una democrazia), continueranno ad essere giustamente perseguiti e compressi in un microcosmo che ne limita fortemente la capacità di espressione, un microcosmo che non sembra invero preoccupare i sostenitori di queste posizioni estremiste che, anzi, lo considerano il naturale campo di espressione delle loro idee, quasi come se esse ontologicamente avessero una dimensione così limitata. In una democrazia tutto ciò origina e determina l'inevitabilità del fallimento.


foto ansa

Da una parte la teoria, dall’altra la pratica. Da una parte attentati ai tralicci dell’alta tensione, ripetitori della telefonia finiti in fumo, lettere minatorie, sedi di partiti devastate. Dall’altra incontri nei centri sociali, con tematiche ossessive, propaganda su Internet, redazione di volantini. Negli ultimi anni, dal 2000 in poi, sulla Toscana si accendono i riflettori.
E quello che i fari illuminano è una commedia anarchica.
Terminata - a caro prezzo - l’emergenza delle Brigate Rosse (con le morti di D’Antona, Biagi e del sovrintendente di polizia Petri), l’attenzione degli investigatori si concentra sui militanti della ‘A’ cerchiata.
In questa regione fioriscono le Cor (Cellule di offensiva rivoluzionaria), nascono movimenti che si rifanno all’ideologo Bakunin, si intrecciano azioni isolate. Qua, in provincia di Massa, vive la moglie di Marco Camenisch. Qua, a Bagno a Ripoli (a due passi da Firenze) fino al 1995, viveva Alfredo Maria Bonanno, l’ideologo dei «gruppi di affinità».
È un excursus sulle principali sigle eversive quello che intendiamo fare. Una sorta di compendio, seppure incompleto, che spiega comunque come i vari personaggi siano tra loro collegati. Talvolta anche in maniera del tutto inaspettata.
È un passato che ritorna in forma e maniera simili. Perché gli anarchici, a differenza dei brigatisti, sono una massa composita e difforme. Non hanno bisogno di entrare in clandestinità. Loro si sentono - e sono - già clandestini. Professano la loro idea alla luce del giorno, protestano di fronte alle Procure. Sono, contemporaneamente, contro il sistema e dentro il sistema. Chi scrive ha deciso di prendere in esame i fatti più salienti, adottando il punto di vista degli investigatori. Una concatenazione di eventi ed episodi che imperversa nel centro Italia.
Un po’ di storia. Siamo verso la fine degli anni Settanta. La Toscana è un fiume carsico di movimenti extraparlamentari, come «Potere Operaio» che nasce sulle colline di Scandicci, e di frange estremiste. Le Brigate Rosse si sfaldano, ma il professor Giovanni Senzani ne raccoglie l’eredità. Gli uomini di Prima Linea mettono a segno rapine e sequestri-lampo di persona.
È in questo contesto che nasce Azione Rivoluzionaria. I militanti dell’area anarco-libertaria più oltranzista, prendendo atto dei caratteri di forza espressi dal Movimento e facendo riferimento alle elaborazioni culturali del situazionismo e della Raf (Rote Armee Fraktion), danno vita a questo tipo di organizzazione. I suoi dirigenti sono Gianfranco Faina e Salvatore Cinieri.
Nascono i «gruppi di affinità», teorizzati in prima battuta dal Bonanno, «dove i legami tradizionali sono rimpiazzati da rapporti profondamente simpatetici, contraddistinti da un massimo di intimità, conoscenza, fiducia reciproca fra i loro membri». Una sorta di “comune” ristretta che ricorda il modus vivendi di certe organizzazioni mafiose - le famiglie siciliane, le ’ndrine calabresi - dove il livello di autocontrollo viene spinto al massimo.
Il 30 aprile del 1977 Azione Rivoluzionaria ferisce il medico del carcere pisano «Don Bosco» Alberto Mammoli. L’azione viene rivendicata subito dopo con un documento che fa riferimento alla morte dell’anarchico Franco Serantini. Per i militanti della ‘A’ cerchiata Serantini, portato in questura, è stato picchiato in maniera furibonda. E soprattutto i dirigenti dell’istituto penitenziario non lo hanno curato con la dovuta attenzione. È un precedente interessante: a distanza di una trentina di anni si ripeterà infatti una situazione del genere: Marcello Lonzi, detenuto per reati minori, muore l’11 luglio 2003 nel carcere di Livorno, il medico legale dichiara che è morto per «cause naturali», gli anarchici fanno partire un tam-tam piuttosto pericoloso che porterà il dirigente sanitario dell’istituto a finire «sotto inchiesta» da parte delle Cor.
Azione Rivoluzionaria, si diceva. Il 19 ottobre 1977 a Livorno un gruppo di Azione Rivoluzionaria tenta di sequestrare l’armatore Tito Neri. Il sequestro fallisce e i militanti vengono arrestati. Il 20 giugno 1979 nella città labronica, inizia il processo a carico dei militanti di Azione rivoluzionaria, accusati del tentato sequestro dell’armatore. Gli imputati sono Pasquale Valitutti (assente per malattia), Gianfranco Faina (latitante), Salvatore Cinieri, Vito Messana, Angelo Monico e Sandro Meloni. È di fatto l’ultimo atto di Azione Rivoluzionaria: nel corso del procedimento viene presentato un documento in cui viene ufficialmente annunciato l’autodissolvimento dell’organizzazione. E chi non si arrende passa a Prima Linea.
Un altro gruppo sul quale si concentra l’attenzione degli investigatori è l’Orai: Organizzazione Rivoluzionaria Anarchica Insurrezionale.
Ci lavorano molto i carabinieri del Ros, diretti dalla Procura di Roma. Lo spunto di partenza è semplice: i «gruppi di affinità» superano - per struttura e finalità - i limiti della comune associazione e si organizzano, anche grazie a legami internazionale. Spunta, ancora una volta, il nome di Alfredo Maria Bonanno, che vive fino al 1995 a Bagno a Ripoli in una casa dove ha sede la redazione del periodico anarchico «Cane Nero», pubblicazione di area ma soprattutto organo di discussione. A Firenze, in quegli anni, è attivo il centro sociale «Bu-Bu-Settete», nomignolo divertente dietro il quale si nascondono anarchici di un certo spessore.
Il capoluogo toscano torna alla ribalta. Nel maggio del 1997, stando a quanto si legge in un rapporto dei carabinieri: «nelle piazze dei Ciompi e San Marco sono stati adibiti dei banchetti per la distribuzione di volantini contro la cosiddetta Inchiesta Marini firmati “Anarchici a Firenze” e per lo svolgimento di protesta contro gli arresti operati dai carabinieri tra il 19 e il 20 maggio 1997 presso il centro sociale “La Baracca” di Scandicci», a due passi dal capoluogo.
Altro dato. Nel dicembre del 1997, presso il Dipartimento fiorentino di Filosofia, si svolge un dibattito intitolato «Il Ros è nudo». Per capire bisogna fare un passo indietro: Radio Black Out, una «radio libera» di Torino, si è vista recapitare il 10 luglio 1997 un «rapporto di servizio» del Ros (Raggruppamento Operativo Speciale) di Roma.
Dicono gli anarchici: nel rapporto «vengono spiegati per filo e per segno il come e il perché di una inchiesta giudiziaria contro decine e decine di anarchici, avviata grazie all’utilizzo di una collaboratrice di giustizia. Inchiesta effettivamente in corso e proprio nei giorni in cui è venuto alla luce quel fascicolo era giunta alle udienze preliminari davanti al gip. Ma non si tratta di un resoconto fatto a posteriori, come si potrebbe pensare. Si tratta della programmazione di un’inchiesta giudiziaria, essendo questo documento datato dicembre 1994». Bene: a distanza di pochi mesi, a Firenze, si svolge il dibattito. Secondo i rapporti dell’epoca redatti dai carabinieri e dalla Digos viene «sostenuta la tesi per cui l’abbattimento dei tralicci Enel» costituirebbe «un’idonea ed efficace strategia per combattere il sistema» e inoltre questo tipo di impegno dovrebbe «essere sostenuto a livello personale senza necessità di un’organizzazione alle spalle». Parole che suonano profetiche, se si pensa che pochi anni dopo, a partire dal 2000, in Toscana i tralicci dell’Enel - come pure le antenne della telefonia mobile - salteranno come birilli.
L’asse Firenze-Bologna è palese. All’interno del «Laboratorio anarchico di comunicazione antagonista» della città delle due Torri si scopre una trascrizione del Bonanno relativa a una riunione, che si è svolta il febbraio del 1998 presso il Centro di documentazione anarchica «Ripicchio», intitolata «Economia politica e globalizzazione del Capitale», dove si indica nel «sabotaggio» lo stumento per «attaccare il capitolo».
Una coincidenza? Non proprio. In un rapporto dei carabinieri si legge che «Bonanno ha sostenuto, in sostanza, la necessità di condurre l’«attacco al capitale» attraverso la realizzazione di azioni di sabotaggio alle «infrastrutture del potere». In quel periodo iniziano, proprio a Firenze e Bologna, gli attentati incendiari realizzati con tecniche del tutto simili fra loro e rifacentesi chiaramente alle indicazioni del noto “manuale dell’anarchico esplosivista” successivamente rinvenuto in possesso sia di anarchici fiorentini che bolognesi».
Continua il rapporto: «Non è pertanto da ritenere casuale che, all’indomani dell’attentato ai danni della “Callisto Pontello Costruzioni Spa”, nell’aprile del 1999, vi sia stato un dibattito presso il centro sociale fiorentino “La Villa Okkupata”, all’epoca punto di riferimento del movimento insurrezionalista, sul tema “Fuoco alle carceri”, durante il quale si presentava l’opuscolo “Chiusi a Chiave”, scritto da Bonanno.
Durante il dibattito, per la verità incentrato prevalentemente sulle strutture carcerarie, definite come strumento cardine dell’attività di repressione da parte dello Stato, si evidenziava l’opportunità di condurre “attacchi diretti” verso strutture carcerarie, ritenendo più praticabile l’attacco nei confronti delle ditte o di coloro che in qualche modo hanno contribuito alla realizzazione di tali strutture, citando ad esempio proprio la ditta “Pontello”, esecutrice dei lavori di costruzione del carcere fiorentino di “Solliciano”».
Gli autori del blitz incendiario non hanno un volto ma è proprio il ritrovamento del documento redatto dal Bonanno «non può essere considerato una coincidenza - si legge nel rapporto dell’Arma -. La stessa notte a Firenze veniva perpetrato l’attentato alla Pontello e in Bologna ignoti eseguivano analogo atto terroristico contro la caserma dell’esercito “Ste Ore-Officina Riparazioni Esercito”». Non solo: nei primi giorni dell’aprile 1999 il “Consorzio Alta Velocità Emilia-Toscana” è oggetto di altrettanti blitz a Sesto Fiorentino (Firenze) e nel Bolognese.
Per i carabinieri «è possibile cogliere un filo conduttore tra gli episodi delittuosi avvenuti in Firenze e Bologna nella primavera del 1999, anche in considerazione del fatto che, a seguito delle vicende giudiziarie trascorse nella città felsinea, molti indagati risultavano aver fatto ritorno o essersi stabiliti in Toscana».
Il 1998 è un anno chiave. In questi dodici mesi secondo un rapporto della Digos «il movimento anarchico fiorentino dimostra» infatti «tutta la sua capacità distruttiva»: il 10 maggio viene compiuto un attentato incendiario ai danni della ditta «Vannuzzi, Ferri e Snc», rivendicato poi con la sigla Alf (acronimo di Animal Liberation Front).
Altri due raid finiscono sotto la lente d’ingrandimento degli uomini in divisa: il 20 luglio del 1998 viene incendiato l’ufficio informatico del Comune di Firenze e una sede della «Fiat Engineering Spa». Attentati che non sono rivendicati ma che sono, per i carabinieri del Ros, «riconducibili, sia per modalità esecutive e sia per tipo di obiettivo» proprio agli anarchici.
Non è un caso infatti che «Fiat Engineering Spa» rappresenti la proprietà del «Consorzio Alta Velocità Emilia-Toscana»: è in questo contesto che, scrivono gli investigatori dell’Arma, si «evidenzia come questo attentato incendiario sia stato consumato, pochi giorni dopo l’apparizione nella centrale piazza IV Novembre di Palazzuolo sul Senio (Firenze), del manifesto contro l’Alta Velocità e vada pertanto ragionevolmente collocato nell’ambito delle manifestazioni di protesta seguite al suicidio dell’anarchica insurrezionalista Maria Soledad Rosas (che si impicca nel luglio del 1998 con le lenzuola al tubo della doccia nei locali di una comunità dove era agli arresti domiciliari, ndr)».


da www.rosalio.it

La calma dura il lampo di qualche mese. Nell’agosto del 2001 viene trovato un ordigno artigianale vicino al consolato Usa.
Si pensa a un gesto dimostrativo, ma non arriva alcuna rivendicazione, neppure su Internet dove ci sono siti che insegnano a fabbricare esplosivi e in Rete possono essere stati diffusi testi a cui è ispirato il biglietto di accompagnamento del pacco bomba. Neppure dieci giorni dopo il 10 settembre 2001 un plico-esplosivo viene indirizzato al prefetto di Firenze Achille Serra.
Il mittente è sconosciuto, anche se un articolo di giornale contenuto nel plico sembra voler indicare una pista: gli anarchici e il Cpa, centro sociale fiorentino sotto sfratto per far posto ad un supermercato. L’unica telefonata di rivendicazione, di un fantomatico «Movimento di cittadini» che preannunciava anche una bomba in Vaticano, arriva alla questura di Milano alle 13.50. Ma è opera di un mitomane. Le indagini sono appena all’inizio. «Un fatto estremamente grave, inquietante», lo definisce Serra. «Un atto intimidatorio di estrema gravità», ribadiscono in questura, dove la Digos lavora su piste e possibili analogie con plichi-bomba inviati in Italia, come le lettere esplosive di luglio arrivate a Genova, sia quella che ferì il carabiniere, sia quella recapitata al prefetto (che però appare diversa ad un primo confronto).
È la segretaria del prefetto a ritrovarsi tra le mani la busta gialla, con timbro postale del 7 settembre del centro smistamento della poste di via Pellicceria dove confluisce la corrispondenza inviata da Firenze, affrancatura di posta prioritaria, ma senza mittente e con indirizzo scritto in stampatello «per il prefetto Serra Achille c/o prefettura di Firenze». L’impiegata preferisce chiamare il poliziotto che lavora nello stesso ufficio. L’agente, con cautela, apre la busta e comincia a estrarre il foglio di giornale fermandosi appena nota la foto di Serra con disegnata sopra, con un pennarello rosso, la ‘A’ cerchiata. È il simbolo degli anarchici.
Arrivano quindi gli artificieri della Questura a disinnescare il plico, contenente 30 grammi circa di polvere da sparo, due pile, una lampadina, il tutto da azionarsi mediante il «traino» del foglio di giornale che riportava un’intervista di Serra sullo sfratto del Cpa, intitolata «Non sono un nemico» pubblicata sulla cronaca del quotidiano «La Nazione» il 4 settembre 2005. Al foglio era collegato un filo: tirandolo si sarebbe ricongiunto con l’altra estremità costituita da un pezzo di carta argentata (recuperata da un pacchetto di sigarette) che aveva la funzione di fusibile. L’esplosione avrebbe provocato una fiammata in grado di ferire gravemente, alle mani e al volto, chiunque l’avesse aperta.
Le indagini degli investigatori della Digos puntano sugli anarchici: quando scattano le perquisizioni tra Firenze e Pisa si arriva a ipotizzare che un militante della A cerchiata sia il capofila. Lo dicono le intercettazioni telefoniche, lo confermano i pedinamenti. Ma la giustizia la pensa diversamente e il protagonista viene assolto.
Tutto si calma, almeno fino al marzo del 2004. Il primo marzo arriva un altro pacco bomba. Stavolta il destinatario è Leonardo Domenici. Un film già visto: anche in questo caso è la segretaria ad accorgersi della pericolosità del contenuto. La bomba viene disinnescata dai carabinieri. “In genere queste azioni vengono attribuite agli anarchici”, spiega subito il procuratore aggiunto Francesco Fleury: “La tecnica è simile a quella dei pacchi bomba inviati negli ultimi tempi, come quello ricevuto da Romano Prodi” o quello recapitato il 10 novembre 2003 a un cronista del Corriere di Viterbo, o molti dei 36 pacchi bomba o incendiari spediti in varie città italiane dal 1998 ad oggi. La tecnica è illustrata nel “Manuale dell’anarchico esplosivista”.
Il giorno dopo scattano le perquisizioni tra Firenze e Pisa: anche stavolta il sospettato numero uno è il solito anarchico, un ventenne residente a Sesto Fiorentino. Assieme a lui vengono perquisite quattro persone, tra cui l’amico di Massimo Leonardi, anarchico arrestato più volte. Per tutti gli indagati si ipotizza il reato di fabbricazione di ordigno esplosivo, con l’aggravante della finalità di terrorismo e di eversione dell’ordine democratico.
La Toscana è sconquassata dall’eversione, quasi «scorticata» da attentati. Ci sono gli anarchici e ovviamente le Brigate Rosse, che però vengono arrestate dalla Digos. La situazione viene fotografata in una relazione del prefetto di Firenze, Gian Valerio Lombardi, nel novembre 2004. Tre pagine intitolate «Criminalità eversiva» dove si può leggere una profonda valutazione fatta da Lombardi. Si legge nel rapporto inviato al Ministero dell’Interno: «Il cambiamento genetico del più recente fenomeno eversivo trova un fertile humus e prospettive di sviluppo.
I colpi inferti dall’attività investigativa e giudiziaria all’organizzazione delle Brigate Rosse, il rinvenimento della cospicua documentazione contenuta nel covo brigatista di via Montecuccoli, in Roma, l’arresto di Nadia Desdemona Lioce, per i noti fatti accaduti nella provincia aretina, hanno consentito un graduale, progressivo ed incisivo scompaginamento del gruppo eversivo, agevolato anche dalla recente collaborazione con la giustizia della brigatista toscana Cinzia Banelli».
Si accenna quindi all’anarchia: “gli spunti investigativi hanno anche evidenziato che talora tra formazioni eversive e alcuni movimenti o gruppi esiste un qualche possibile collegamento”, scrive il prefetto Lombardi. “Tali gruppi esistono anche in Toscana ove, rispetto al passato, se ne registra una maggiore presenza. Nell’estrema sinistra vi sono movimenti antagonisti e centri sociali autogestiti. Nell’ambito dell’opposta tendenza ideologica, nell’area dell’estrema destra, nascono varie formazioni. Quest’ultime si distinguono per dar luogo ad azioni di disturbo particolari, quali gli scontri negli stadi tra opposte tifoserie calcistiche, al cui interno essi si infiltrano deliberatamente”.
Si arriva finalmente ai militanti della ‘A’ cerchiata. Scrive ancora il prefetto Lombardi: «Sono, inoltre, attive numerose formazioni anarchiche (con la storica presenza nelle zone di Massa e di Carrara) e taluni gruppi che difendono -talora con azioni violente - specifici valori, come ad esempio la tutela degli animali (animalisti). Tali movimenti riescono ad affermarsi anche con una caratterizzazione localistica, che tende anche a differenziarsi da analoghi movimenti nazionali. Si pensi, ad esempio, alla provincia di Arezzo, dove alcuni gruppi, insoddisfatti dei partiti tradizionali, cercano di attirare e dare espressione al disagio giovanile, agli ideali umanitari, ambientalisti ed ecologisti.
In altre aree geografiche, quali ad esempio Pisa, si registra la nascita di nuove formazioni tendenzialmente eversive. In uno scenario di probabile contiguità con le B.R., trovano espressione e corpo alcuni gruppi che mostrano spiccate simpatie verso le dottrine rivoluzionarie ed eversive. I vari atti terroristici, verificatisi in quest’ultimo periodo nel territorio pisano, a danno di sedi di partiti, di associazioni sindacali, di sedi della stampa locale, di agenzie interinali e di esponenti politici e sindacali locali ne costituiscono una emblematica riprova.
Le prime rivendicazioni da parte delle C.O.R. -Cellule di offensiva rivoluzionaria - risalgono al luglio 2003. La continuità operativa delle C.O.R. pisane, di stampo eversivo intimidatorio e la circolazione del documento “chiarificatore”, pervenuto lo scorso giugno alle redazioni di alcuni quotidiani, danno una qualche consistenza alle ipotesi di una sorta di percorso che si atteggia con andamento graduale, finalizzato al tentativo di illustrare l’asserita originalità di un nuovo progetto di lotta armata e di conquistare il riconoscimento di uno spazio autonomo.
Le pulsioni eversive puntano verosimilmente a costituire un anello di congiunzione delle varie formazioni rivoluzionarie, nell’intento di cogliere opportunità in concomitanza di condizioni di conflittualità che si dimostrassero favorevoli».


da www.geocities.com/antirepressione.it

Secondo il prefetto Lombardi «i più recenti orientamenti investigativi, frutto del lavoro delle Forze dell’Ordine nelle varie province toscane, convergono nel considerare, per le peculiarità del modus operandi delle organizzazioni terroristiche in Toscana, il fenomeno dell’eversione in una dimensione interprovinciale, con ramificazioni anche transregionali. Le indagini mostrano la necessità di strategie più ampie, connesse a regole ed azioni condivise. Ne consegue che, per meglio valutare l’andamento dei fenomeni criminali e le relative dinamiche, al fine di una più efficace azione di contrasto, diventa necessario un più ampio coordinamento destinato a migliorare il flusso informativo.
L’affinamento della attività di investigazione e l’accrescimento del campo e dei settori da sorvegliare, a seguito di un’attenta e ponderata analisi dell’evolversi del panorama eversivo in parola, potranno consentire un efficace contrasto al fenomeno». Un accenno anche al ruolo dei servizi segreti: «La situazione politica internazionale, il conflitto iracheno, la crisi israelo-palestinese e le minacce terroristiche internazionali costituiscono altrettanti elementi di valutazione per l’attività di “intelligence” in direzione delle componenti etniche di fede islamica, presenti o gravitanti in Toscana, o delle cellule fondamentaliste ove esistenti, si legge nel rapporto.
“Una continua attività di ricognizione e di contrasto da parte delle forze di polizia ha consentito sinora di prevenire efficacemente i pericoli, anche se l’attenzione va mantenuta costante, per non incorrere in fenomeni di assuefazione”.
Il prefetto Lombardi sintetizza quello che per almeno un anno è un incubo per gli investigatori: le Cellule di offensiva rivoluzionaria di Pisa. Anarchici che non arrivano dal nulla, ma che vengono scoperti - per la prima volta - dai carabinieri del Ros di Firenze e di Livorno nell’ambito di un’operazione, denominata «Blackout». Un passo indietro.
Il “filo del terrore” esplode a Massa Carrara, si dipana in Versilia, raggiunge vette pericolose sull’Abetone e si arresta a Livorno. Terre a rischio, terre di una Toscana attraversata – come un fiume carsico – dai movimenti degli anarchici. Anarchici di stampo eco-ambientalista che non ci mettono troppo a far saltare in aria tutto quello che capita a tiro: dal traliccio, al ripetitore fino anche all’ovovia. Anarchici che colpiscono in nome e per conto di Marco Camenisch, alias “Martino”, che finisce sul registro degli indagati.
Un nome che fa paura: “Martino”. Evade dal carcere svizzero nel 1981, dove invece dovrebbe stare per 10 anni perché reo di aver partecipato ad attentati esplosivi tra Massa Carrara e Lucca; nel 1989 uccide un agente di polizia di frontiera svizzera; nel 1991, zona Montignoso, spara contro una pattuglia di carabinieri che però lo arresta; nel febbraio 2002 finisce nel carcere di Biella e poi nell’aprile del 2005 nella casa circondariale svizzera. I carabinieri del Ros sanno bene chi si trovano davanti. L’inchiesta viene svolta dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Genova dato che il reato, che ha dato origine alle indagini, si è verificato a Massa, provincia sulla quale è competente ad indagare la DDA genovese. Ed è proprio per questo motivo che gli atti dell’attentato all’ovovia passano dalla Procura della Repubblica di Pistoia al capoluogo ligure.
Siamo in Toscana, terra difficile. È fondamentale il lavoro degli specialisti dell’Arma. Nel marzo del 2003 i carabinieri del Ros, diretti dal generale Giampaolo Ganzer, dopo tre anni di silenzioso lavoro investigativo, fanno scattare i blitz. Vengono perquisite una trentina di persone. E nel decreto di perquisizione, emesso dalla Procura di Genova, vengono scanditi gli episodi contestati: il 12 febbraio viene colpito il traliccio 83 della linea 314 a Capezzano Pianore; due giorni dopo si sposano in carcere Camenisch ed Emanuela Centi. Il 17 febbraio dello stesso anno, prima che «Martino» venga estradato in Svizzera, nuovo attentato a un traliccio della linea 314. E ancora: i carabinieri di Viareggio trovano a Forte dei Marmi di fronte al negozio Benetton un ordigno esplosivo rudimentale.
Il 21 gennaio del 2004, proprio per il compleanno di Camenish, l’ovovia dell’Abetone viene incendiata e sui muri compare una scritta lampante: «Fuoco ai distruttori, Marco libero». Lo stesso giorno a Fossola (Massa Carrara) viene fatto saltare un ripetitore dell’Albacom, anche se l’azione sembra maturata il giorno prima. Il 21 gennaio, comunque, nuovo attentato a un ripetitore della Wind a Pietrasanta e relativa scritta (Camenish in libertà). Una scritta compare anche alla locale stazione della cittadina dove si legge «Per Edo e Sole per Marco e Nicola Fuoco alle galere». E sempre il 21 gennaio blitz a Castiglioncello dove vengono danneggiati due ripetitori di telefonia mobile.
Tutto porta, insomma, a Camenish. E anche ad altre persone.
Tra gli indagati dell’epoca compaiono i nomi storici dell’eversione anarchica, che saranno arrestati negli anni successivi. Oltre a Marco Camenish e alla moglie Emanuela Centi, che vive a Fivizzano e ha sposato l’anarchico-insurrezionalista nella casa circondariale di Biella il 14 febbraio 2002, sono iscritti sul registro degli indagati Stefano Fosco, argentino nato in Svizzera assieme a Pietro Tognoli, nato a Morbegno (SO), Costantino Ragusa, nato a Bergamo e Samantha Grassi, nata a Premosello Chiovenda (VB).
Nel mirino dei pm genovesi finiscono anche il pietrasantino Gino Doriano Marcucci e il pietrasantino Giuliano Marchetti (poi arrestati dalla Digos di Lucca e dall’Ucigos di Roma nel marzo 2006 dopo un attentato a una sede di Forza Italia in Versilia), la pietrasantina Mariella Orsi, la fortemarmina Maria Rita Gasperetti, i pisani Giuseppe e Federico Bonamici e il livornese Francesco Gioia. Proprio Gioia e i Bonamici daranno vita alle Cellule di offensiva rivoluzionaria assieme al bergamasco Costantino Ragusa, anche lui indagato dalla Procura di Genova.
L’anarchia in Toscana procede per gemmazione. Si parte da Camenisch e si finisce col parlare delle Cor. Eppure anche «Martino» merita un discorso a parte. L’anarco-ambientalista è legatissimo a questa regione, affari di cuore a parte. Il 5 novembre 1991, dopo un conflitto a fuoco ingaggiato con i carabinieri a Montignoso (Massa), viene arrestato in compagnia di Giancarlo Sergiampietri, anche lui massese.
Nello stesso anno, soltanto pochi mesi prima, «sono state accertate responsabilità del Camenisch per i seguenti attentati: traliccio Enel a Collepiano di Montignoso, anche mediante la predisposizione di una “trappola esplosiva” idonea a porre in pericolo chiunque fosse intervenuto e - si legge in un rapporto dei carabinieri - sotto un traliccio Enel, a Palatina di Montignoso, viene rinvenuto un involto costituito da una striscia di tela bianca di sacco contenente un fascio di 7 detonatori da mina comuni, cinque dei quali con bossoletto di rame di vecchia produzione e due in alluminio, tenuti assieme da una sottile banda di gomma nera elastica.
Permangono, inoltre, forti indizi sulla sua partecipazione ad altri analoghi attentati compiuti nell’area apuo-versiliese durante il suo periodo di latitanza». Un periodo che l’evaso - segnalato più volte tra Parma e Faenza - ha messo a frutto dato che ha avuto stretti contatti con Sandra B., livornese, «a sua volta gravitante nell’area di Azione Rivoluzionaria e in contatto con Alfredo Maria Bonanno», si legge nel rapporto dell’Arma.
La pista degli anarco-insurrezionalisti porta dalla Toscana al Lazio. Nel luglio del 2004 Digos di Roma e carabinieri del Ros arrestano quattro anarco-insurrezionalisti.
Le attività investigative durano oltre un anno: cento le persone sottoposte a indagini, di cui 34 indagate formalmente per i reati di associazione sovversiva, terrorismo ed eversione dell’ordine democratico. Le persone fermate sono Sergio Stefani, Simone Del Moro, Davide Santini e Marco Feruzzi. Stefani, si trovava già agli arresti domiciliari a Roma, perché accusato di avere partecipato ad un attentato, il 19 marzo 2004, contro una macelleria di Arezzo, dove nel frattempo risiedeva.
Solito schema di sempre: nessuna gerarchia, microgruppi sparsi su un vasto territorio, contatti anche all’estero, notevole dinamismo nei movimenti. Le azioni attribuite agli anarchici finiti nel mirino degli inquirenti sono quattro. Il fatto che dà il via all’indagine è l’attentato del 17 giugno 2003 all’istituto scolastico spagnolo Cervantes di Roma. Altre due azioni risalgono al 4 novembre 2003: nella caserma dei carabinieri di via San Siricio a Roma, un plico bomba, contenente una videocassetta e cento grammi di polvere nera, esplode ferendo gravemente alle mani il maresciallo Stefano Sindona; contemporaneamente, nell’ufficio di corrispondenza della questura di Viterbo viene intercettato e disinnescato un pacco analogo.
Infine il 19 gennaio 2004 un ordigno esplosivo a basso potenziale del peso di 500-1000 grammi, composto da miscela pirotecnica, viene fatto esplodere a ridosso del vetro blindato di un’aula di udienza del Tribunale di Viterbo. La deflagrazione provoca rilevanti danni alle strutture. Tra i perquisiti dalla Digos di Roma e dal Ros dell’Arma anche un paio di soggetti all’epoca indagati dalla Procura fiorentina per il pacco bomba inviato al sindaco Domenici.
È sempre nel 2004, nell’agosto, che viene «violato» uno dei templi dell’anarchia. La sede del Movimento anarchico fiorentino, poi sgomberato qualche mese dopo, viene perquisita dai carabinieri del Reparto Operativo di Firenze. È la prima volta in quasi venti anni che un uomo in divisa mette ufficialmente piede con un decreto emesso dalla magistratura. Il perché della perquisizione è presto detto: il 22 luglio dello stesso anno “Il Lupo”, come chiamano Luciano Liboni, latitante da due anni (accusato del furto di alcune opere d’arte di notevole valore, rubate tra l’Umbria, il Lazio e la Toscana) è ricercato anche per l’omicidio del carabiniere Alessandro Giorgioni.
Nel capoluogo toscano, il 13 agosto del 2004, spuntano manifesti che inneggiano al malvivente e portano la firma del Maf. Sette giorni dopo scatta la perquisizione: gli anarchici si barricano dentro, sono pronti a dare battaglia ma i carabinieri del Reparto operativo fiorentino entrano in azione. Accerchiano l’edificio, entrano da una finestra e a quel punto l’operazione termina con la denuncia di nove persone per istigazione a delinquere, invasione di edifici e danneggiamento aggravato. Per i nove denunciati arriva anche l’accusa di vilipendio alle forze armate.


da www.geocities.com/antirepressione.it

In Versilia, intanto, torna nuovamente l’allarme. Nel marzo 2006 Giuliano Marchetti, muratore di 51 anni, e Gino Doriano Marcucci, imbianchino di 55 anni, residenti entrambi a Pietrasanta, vengono arrestati da un nugolo di investigatori della Digos di Lucca e dell’Ucigos di Roma, impegnati a trovare i colpevoli dei vari attentati incendiari contro le sedi di Forza Italia e istituzioni prese di mira in Versilia. Dopo aver piazzato una «bomba carta» di fronte alla sede azzurra, poche ore prima che l’ex presidente del Senato Marcello Pera arrivasse a Lucca, e averla fatta esplodere, scappano a bordo di una macchina. Quattro minuti dopo vengono fermati dalla Digos con l’accusa di «danneggiamento seguito a incendio e porto di materiale esplodente per la fabbricazione di ordigni esplosivi».
All’interno delle case i poliziotti trovano e sequestrano tutto quello che serve per confezionare gli ordigni. Da tempo era stata avviata un’indagine, diretta dalla procura della Repubblica di Lucca in stretto coordinamento con la procura distrettuale di Firenze e condotta dalle Digos di Lucca, Firenze e Pisa sotto il coordinamento della Direzione centrale della polizia di prevenzione-servizio centrale antiterrorismo, per una serie di attentati incendiari ai danni di sportelli bancomat e ripetitori di telefonia mobile in Versilia.
Dopo l’attentato incendiario ai danni della Deutsche Bank di Forte dei Marmi, l’ultimo in ordine di tempo, l’Antiterrorismo della polizia aveva indirizzato l’attenzione proprio su Marcucci e Marchetti. La soddisfazione trapela negli ambienti investigativi. Dice il direttore dell’Ucigos, Carlo De Stefano: «Il loro arresto è il segno dell’attenta e continua attività di indagine».
I due anarchici sono messi in relazione al circolo «Individualità ribelli» di Pietrasanta, oltre che a quello di Marco Camenisch. Il 14 febbraio del 2002, infatti, quando Camenisch si sposa nel carcere di Biella con Emanuela Centi, massese e sempre molto attiva sulle tematiche ambientaliste, uno dei due operai pietrasantini presenzia alle nozze assieme alla rispettiva moglie. I loro nomi, quindi, finiscono sotto la lente di osservazione degli investigatori dell’Antiterrorismo. Sono impegnati in prima persona, ma non hanno alcun precedente di polizia. Sono in contatto con gli anarchici del circolo anarchico di Pisa il «Silvestre»: anni fa, a Firenze, furono proprio loro a dar vita alla guerriglia urbana in piazza Santa Maria Novella.
Parlare del ‘Silvestre’ significa parlare di Cellule di offensiva rivoluzionaria. Nel giugno del 2004 il pm pisano Antonio Di Bugno, che coordina le indagini dei carabinieri del Reparto operativo, fa scattare diverse perquisizioni. Destinatari sono gli anarchici del ‘Silvestre’: Francesco Gioia, Alessio Perondi e William Frediani. Le indagini proseguono e finiscono sul registro degli indagati Costantino Ragusa, Giuseppe Bonamici, Leonardo Landi, Benedetta Galante, Alice Motta, Gioacchino Somma, Federico Bonamici e Francesco Finocchi.
Dal luglio del 2003, secondo le indagini dei carabinieri del Reparto Operativo di Pisa, si sono proposti «il compimento di atti di violenza con fini di eversione dell’ordine democratico, programma attuato mediante la commissione di più delitti, di danneggiamento e violenza privata, attraverso la spedizione di lettere contenenti bossoli di arma comune da sparo, di fabbricazione, detenzione e porto illegale di esplosivi (composti da taniche di materiale infiammabile costituiti da tavolette di materiale infiammabile, zampironi e fiammiferi), detenzione illegale di proiettili per arma comune, azioni tutte rivolte contro sedi ed esponenti di sindacati (Ugl, Cisl, Uil), di partiti politici - quali Alleanza Nazionale, Forza Italia, La Margherita, L’Italia dei Valori -, caserme dei carabinieri, giornalisti, agenzie per il lavoro interinale, imprese e professionisti».
Il Tribunale del Riesame di Firenze rivela un altro fatto: «l’attività preparatoria svolta dai Gioia e Frediani nei confronti del dr. Luciano Bassi”. Si tratta del dottor Bassi Luciani, medico legale dell’Università di Pisa che ha svolto l’autopsia del detenuto Marcello Lonzi, morto nel carcere livornese in cella di isolamento: il risultato dell’autopsia è stato “morte naturale”. Un fatto confermato anche da un’inchiesta condotta dall’allora pm Roberto Pennisi della Procura di Livorno. Sul medico legale viene condotta una “inchiesta” preparatoria con tanto di pedinamenti e numeri di targa di macchine parcheggiate davanti a Medicina Legale.
Una cosa è sicura, almeno per il momento: le Cor non sparano, ma la pistola la sanno usare. Scrivono i carabinieri: «Dagli esiti degli accertamenti svolti presso la sezione di Pisa del Tiro a Segno nazionale è emerso che Frediani e Gioia si erano iscritti insieme l’11 gennaio 2003 e vi si erano addestrati con pistole calibro 22 lì noleggiate, per ben dodici volte nel 2003 e il Frediani altre tre volte tra il dicembre 2003 e il maggio 2004. È in quelle occasioni che, probabilmente, sono stati reperiti i bossoli calibro 9x21 spediti con alcune lettere minatorie». Intanto il pm Di Bugno è già finito sotto scorta.
Nel frattempo Francesco Gioia scappa dagli arresti domiciliari. Siamo nell’agosto del 2004. Dalla sua latitanza aveva anche scritto una lunga lettera. Viene rintracciato in Spagna nel maggio del 2005, dai carabinieri del Comando provinciale di Pisa, con la collaborazione dell’Antiterrorismo spagnolo. Francesco Gioia, 25 anni, di Rosignano Solvay, ricercato per associazione sovversiva con finalità di terrorismo, scende dalle ramblas e fa finta di non parlare italiano.
Di Cor si torna a parlare all’inizio di maggio 2006 con un blitz imponente. Un blitz è scattato contro i militanti della ‘A’ cerchiata. Tredici persone sono state arrestate su richiesta del capo della procura fiorentina Ubaldo Nannucci e del sostituto procuratore Angela Pietroiusti nell’ambito dell’inchiesta sulla presunta associazione di anarco-insurrezionalisti. Un’operazione impressionante che ha impegnato i vertici di polizia e carabinieri, coordinati dal Ros centrale e dal Servizio Centrale Antiterrorismo della direzione centrale della polizia di prevenzione. Gli investigatori della Digos di Firenze, Lucca, Pisa e Arezzo e i carabinieri del Ros di Firenze e di Livorno arrestano Costantino Ragusa, 29 anni di Bergamo come la sua convivente Silvia Guerini di 24 anni, Benedetta Galante, 27 anni, di Carpi, Daniele Canalini, 20 anni, di Pontedera, Mariangela Vella, 25 anni di Ribera (AG), Alice Fabbri 26 anni di Pisa, i fratelli pisani Federico e Giuseppe Bonamici rispettivamente di 30 e 28 anni e le loro mogli Chiara Sacchetti di 24 anni ed Erika Giovanzana di 31 anni. Sono nomi «pesanti» dell’universo anarchico, gravitano in tutta la Toscana e sono legati al circolo anarco-insurrezionalista “Il Silvestre” di Pisa. Per Alessandro Palma, 23 anni di La Spezia ma domiciliato a Pisa, è invece scattato l’obbligo di dimora.
La Digos di Roma arresta i romani Matteo Fulcolo e Sergio Maria Stefani ed il bolognese Gabriele Onofri: sono accusati di aver rubato per due volte una Y10 a Roma, macchina che poi è stata ritrovata a Perugia. Gli arrestati toscani sono ritenuti responsabili di associazione con finalità di terrorismo ed eversione dell’ordine democratico; fabbricazione, detenzione e porto abusivo di cariche di esplosivo ad alto potenziale e di attentati alla sicurezza degli impianti di pubblica utilità commessi con finalità di terrorismo.
Le indagini, avviate nei primi mesi del 2005, hanno consentito di accertare le responsabilità degli indagati nell’attentato dinamitardo, avvenuto nella notte tra il 22 ed il 23 settembre del 2005, in danno di un traliccio dell’alta tensione della linea “La Spezia - Acciaiolo” in località Rupe Cava nel comune di San Giuliano Terme (Pisa) e poi rivendicato qualche giorno più tardi con un volantino inviato alla redazione di un quotidiano. Nel documento, scritto con un normografo, erano sviluppate tematiche anarco-ambientaliste che rivolgevano aspre critiche alle rinnovate progettualità ed agli investimenti a favore dell’energia nucleare.


foto ansa

Ai tredici arrestati viene anche attribuita la paternità dell’attentato, messo a segno con un ordigno esplosivo il 4 agosto del 2005, all’agenzia di lavoro interinale Adecco di Pisa, nella centralissima via Roma. Oltre quaranta le perquisizioni scattate in tutta Italia. I carabinieri del Ros, diretti dal generale Giampaolo Ganzer, perquisiscono nove presunti anarchici a Firenze. Lo stesso numero di perquisizioni viene portato a termine a Scandicci, a due passi dal capoluogo. Blitz dell’Arma anche a Siena e nel Mugello. La Digos entrata in azione a Lucca e a Pisa. Numeroso il materiale sequestrato. «Questo è solamente il risultato di una delle nostre attività – commenta il questore di Pisa, Massimo Maria Mazza – le indagini continuano, adesso stiamo lavorando su altri episodi avvenuti sempre in Toscana e di cui gli arrestati potrebbero essere gli autori».
Anche le celle di Giuliano Marchetti, 51 anni, e Gino Doriano Marcucci, 55, entrambi di Pietrasanta, vengono perquisite dalla Digos di Lucca. Il motivo della perquisizione è semplice: subito dopo l’attentato alla sede azzurra, dove fu utilizzata una bomba fabbricata in casa, la Procura contestò anche altri episodi, tra cui l’attentato alla Bnl di Forte dei Marmi, considerata «banca armata». Ebbene proprio un altro attentato simile, avvenuto a Pietrasanta nel gennaio 2006, sarebbe collegabile per l’accusa al gruppo degli anarchici arrestati dalla Digos e dal Ros dei carabinieri.
Che cosa c’entrino Marchetti e Marcucci con gli arrestati è presto detto: gli investigatori dell’antieversione sospettano che, dopo gli arresti delle Cellule di offensiva rivoluzionaria, alcuni militanti del ‘Silvestre’ di Pisa avessero trovato rifugio presso i due pietrasantini. E non è un caso, ad esempio, che la Digos di Lucca abbia notato una delle ragazze arrestate, Benedetta Galante, uscire dall’abitazione di Giuliano Marchetti la notte del 18 febbraio quando ci fu un attentato agli apparati della Vodafone a Querceta.
I carabinieri del Ros di Firenze e della seziona Anticrimine di Livorno denunciano a piede libero otto anarchici, accusati di associazione sovversiva e di aver avuto un ruolo nell’attentato dinamitardo, avvenuto nella notte tra il 22 ed il 23 settembre del 2005, in danno di un traliccio dell’alta tensione della linea «La Spezia – Acciaiolo» a Rupe Cava nel comune di San Giuliano Terme (Pisa) e poi rivendicato, qualche giorno più tardi, con un volantino inviato alla redazione di un quotidiano e nel raid portato a termine, con un ordigno esplosivo, il 4 agosto del 2005, all’agenzia di lavoro interinale Adecco di Pisa, nella centralissima via Roma.
Tra gli otto indagati compaiono nomi abbastanza noti della galassia anarchica: si tratta di G. S., napoletano di 35 anni, residente a Collesalvetti, che nel giugno di due anni - nell’ambito dell’indagine sulle Cor - fu arrestato dai carabinieri assieme a Leonardo Landi e Benedetta Galante, nuovamente finita in manette nell’ultimo blitz. Indagati anche E.C. di 24 anni, già finito al centro delle indagini subito dopo l’attentato incendiario a una macelleria ad Arezzo, L.C., una ragazza di 28 anni, N.R., un fiorentino di 28 anni, residente nella città dell’oro ma già perquisito dopo il pacco bomba inviato a Serra.
Tra i perquisiti dal Ros dell’Arma come indagati ci sono anche S.B., una ragazza di 25 anni, che vive a Pontassieve, nota come militante anarchica, M.D., fiorentina di 28 anni, residente a Scandicci e anche A.T., pugliese di 27 anni, residente a Foggia. Completa la lista degli indagati C.M., senese di 26 anni, nipote di un esponente politico della sinistra estrema.
Il referente della galassia anarchica è, secondo Digos e Ros, Costantino Ragusa, il leader del circolo «Il Silvestre» già imputato per appartenenza alle «Cor». È il referente per quanto riguarda la diffusione in tutta Italia di riviste di area più o meno clandestina e da manuale. «Ad ognuno il suo - 1000 modi per sabotare questo mondo», il cui contenuto, spiegano gli inquirenti, «consiste in suggerimenti e consigli, supportati da disegni e schemi, esplicitamente diretti all’indottrinamento e all’addestramento per la realizzazione di ordigni esplosivi».
È proprio su un conto corrente postale aperto da Ragusa presso l’Ufficio Postale di Asciano Pisano, i cui estremi erano stati pubblicati sulla pubblicazione d’area «Terra selvaggia», che confluivano i pagamenti per l’acquisto e la spedizione del manuale e/o la raccolta di denaro per il sostegno dei detenuti. In questo senso i carabinieri del Ros di Firenze e della sezione anticrimine di Livorno hanno potuto appurare una situazione non da poco: in questi anni sono stati ordinati via posta i manuali per confezionare gli ordigni.
E sempre tramite posta sono stati spediti. Analogamente era stato aperto da Federico Bonamici presso l’Ufficio Postale di Tirrenia un altro conto corrente utilizzato per raccogliere fondi da tutta Italia per i detenuti in Spagna, Francesco Gioia e Alberto Maria Bettini. Ma è Ragusa il personaggio di spicco. Il suo è un curriculum di tutto rispetto.
Costantino Ragusa, nato a Bergamo il 5 novembre 1976, secondo il profilo che ne tracciano gli investigatori, si sarebbe politicamente evidenziato quale frequentatore del circolo anarchico pisano «Macchia Nera», per poi allontanarsi da quell’ambiente e prediligere gli impegni politici legati alle tematiche ecologiste ed animaliste. Ragusa, nel passato attivista del «Comitato di Liberazione Animale» di Bergamo, considerato il leader del circolo «Il Silvestre» di Pisa, di ispirazione anarco-ambientalista, spiegano gli investigatori, «è solito partecipare attivamente alle numerose iniziative organizzate sia in chiave prettamente ecoambientalista che in chiave, più marcatamente, anarco-insurrezionalista, come ai numerosi sit-in e manifestazioni, spesso non preavvisati, di solidarietà a militanti detenuti, tra i quali Marco Camenisch».
Nell’agosto 1999, con altri militanti anarchici, viene arrestato per incendio doloso in relazione all’attentato incendiario che avrebbe messo a segno ai danni di una concessionaria Mercedes di Collesalvetti (Livorno) con il lancio di due bottiglie molotov.
Gli uomini della Digos Questure di Firenze, Lucca, Pisa e Arezzo sequestrano due ricetrasmittenti a casa di Costantino Ragusa e una alla sua compagna Benedetta Galante. Una vera e propria passione, quella di Ragusa (arrestato giovedì mattina a Milano) e della Galante, per gli apparecchi elettrici. Il 7 giugno di due anni fa i carabinieri effettuarono una perquisizione in un casolare, ad Agnano, nell’ambito dell’inchiesta sulle Cor condotta dal pm Di Bugno della Procura di Pisa.
All’epoca vennero sequestrate quattro ricetrasmittenti, nove auricolari dotati di microfono, un manoscritto con le frequenze radio di alcune forze armate, alcuni manuali d’istruzione all’uso di ricetrasmittenti relativi a due radio-scanner sequestrati nei pressi dello stesso casolare nel febbraio del 2002 e infine un manuale per la preparazione di ordigni esplosivi. Ebbene le successive analisi effettuate dal Ris di Parma hanno consentito di rinvenire tracce biologiche appartenenti al Ragusa e alla Galante.
A loro modo sono anche simpatici, gli anarchici. In rete circola perfino una canzone che se la prende col Ros dei carabinieri e con la Digos. Canzone che è attribuibile all’ultima operazione. Il ritornello è questo:
«Che stress, che stress i Ros… e il 270 bis! Perquisizione all’alba, nel sonno profondo. Che stress, che stress i Ros e il 270 bis… controllate i Ros.
Controllate tutto. Controllate sempre ma poi non capite niente. Digos, Ros, Ministro e PM. Sempre alle calcagna ma poi non capite niente Digos. Ros nella nuova inquisizione. Voi vi presentate a casa col decreto di perquisizione, ma ora su forza sciò filate via, questo non è il paese della polizia!».

Nessuno si vuole addentrare nei rapporti tra anarchici e brigatisti: basta qua limitarsi a osservare che Camenisch ha conosciuto Nicola Bortone in carcere e che le Cor, oltre a battezzare l’articolazione romana «Mario Galesi», hanno anche spedito una lettera a Nadia Desdemona Lioce.
Più interessante, sempre nell’economia di questo discorso, è l’odio che gli anarchici hanno dei martiri di Nassirya. Senza voler entrare nei termini della lettera minatoria contro Paola Cohen Gialli, vedova del maresciallo Enzo Fregosi, basta ricordare quanto avvenuto in una piazza di Firenze, dove due carabinieri del Radiomobile sono stati pesantemente offesi da alcuni anarchici, che si trovavano all’interno di una casa «okkupata».
Due militanti della ‘A’ cerchiata sono stati poi denunciati dai carabinieri del Reparto operativo fiorentino. Ma qua è interessante come il grido «10, 100, 1000 Nassirya» sia di fatto nato dopo alcune riunioni che si sono tenute in un circolo del capoluogo toscano. Riunioni alle quali hanno partecipato, come risulta alla Digos, personaggi della cosiddetta sinistra extraparlamentare, alcuni dei quali imparentati con brigatisti irriducibili.
Un altro esempio di come, in questa terra, il testimone dell’eversione possa passare di mano in mano. Fino a quando la mano, nella peggiore delle ipotesi, può impugnare una pistola e fare fuoco.


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