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GNOSIS 1/2006
La Costituzione irachena
ovvero conciliare gli opposti


Giuseppe ZACCARIA

Dicono che per meglio comprendere le cose occorra guardarvi con un certo distacco, meglio se dall'alto.
Proviamo allora a osservare il nuovo Iraq dalla carlinga di un aereo, tralasciando il panorama particolarmente desolato e provandoci invece a immaginare cosa dovrebbe fare una compagnia europea, poniamo l'Alitalia, se dopo quindici anni di guerre e sanzioni intendesse ripristinare i collegamenti per Baghdad tenendo fede ai dettami della nuova Costituzione, quella approvata il 15 ottobre scorso nel tripudio del mondo civilizzato.
Se dunque l'aviolinea intendesse sorvolare lo spazio aereo mesopotamico arrivando dalla Giordania dovrebbe prima munirsi delle autorizzazioni dei governatorati di Dahuk (curdo), di Ninawa (curdo anch'esso), di Salah Ed Din (curdo ma con forte minoranza sunnita) e infine di quello di Babil, genericamente catalogato come «arabo» ma in attesa di ridefinizione etnico-religiosa.


foto ansa

Qualora invece volesse giungere dalla Turchia le cose sarebbero più facili poichè si tratterebbe solo di ottenere i permessi delle regioni di Suleymanyah, Diyala e Wasit, fra cui solo quest'ultima è popolata da arabi turbolenti. Naturalmente questo è soltanto un esempio estremo - se non altro perchè nessuna compagnia occidentale pensa lontanamente di tornare a collegarsi con l'Iraq - però l'attuale Costituzione attribuisce poteri così vasti e vaghi alle 18 fra regioni e goveratorati che in punto di diritto le cose dovrebbero svolgersi proprio così. E il fatto, credetelo, provoca un certo fastidio fra quanti, compreso lo scrivente, nei giorni del referendum costituzionale scamparono per caso alla distruzione dell'hotel «Palestine» credendo di trovarsi in Iraq per partecipare a qualcosa di serio.
Qualcuno ha definito la nuova Costituzione irachena come un bambino caratteriale in attesa di essere educato, altri come libro dei sogni punteggiato da incubi e altri ancora, i più critici, come la base istitutiva dei prossimi disastri. Senza volersi sbilanciare troppo nei giudizi il minimo che si possa dire è che il testo approvato due mesi fa dal 78 per cento degli sciiti e dei curdi iracheni contiene affermazioni coraggiose ma contrastanti unite a enunciati moderni però inconciliabili.
In estrema sintesi, pare trattarsi di un documento che cerca di sostenere tutto e tutto il suo contrario, demandando il compito di armonizzare gli opposti al futuro e alla buona volontà dei legislatori che verranno.
Aspettarsi qualcosa di diverso sarebbe stato difficile, se non altro perchè la carta fondamentale dell'Iraq è figlia di una volontà imposta e non di un processo indigeno. In genere a chi redige la Costituzione di un Paese che si affaccia alla democrazia viene richiesto un particolare genere di abilità, quello di mettere una società in grado di dirimere pacificamente nel futuro i contrasti più difficili nelle circostanze più gravi e questo nella Carta irachena è scritto, solo che all'enunciazione di principio non si fa seguire l'approntamento di strumenti adeguati.
Non dimentichiamo che il testo è stato partorito a forza da un'assemblea di capitribù pressata da ambasciatori e consulenti legali anglosassoni.
Si voleva chiudere tutto in fretta un po’ per timbrare un visto d'uscita per le potenze occupanti e un po’ perchè nella politica internazionale da qualche tempo sembra essersi fatta strada l'idea che nelle «road maps» le singole tappe siano più importanti della destinazione, e le scadenze più rispettabili del consenso.
Ulteriore avvertenza: governo e presidenza iracheni hanno ottenuto l'approvazione del testo grazie ad un accordo firmato in extremis con un partito sunnita che apre la strada a qualsiasi genere di modifica, dunque qui parliamo sempre e soltanto di una «Costitution in progress».
I più illuminati fra i giuristi arabi avevano individuato almeno 18 punti di contrasto fra sunniti, sciiti e curdi e, anche dopo gli aggiustamenti concordati, su quattro di questi elementi non è stato possibile raggiungere alcun punto d'intesa: parliamo del federalismo, del ruolo dell'Islam nella legislazione, dell'identità dell'Iraq e della distribuzione delle risorse, ed è intuibile come senza una posizione comune su questi elementi nessuna carta dei diritti potrà mai esplicare effetti.
In attesa di mutamenti che potrebbero cambiare le cose anche nel profondo esaminiamo dunque quello che non è destinato a cambiare partendo dall'affermazione più indecifrabile, che è poi quella su cui il documento si apre (capitolo primo, principi basilari). E' scritto che i principi cui è improntata la nuova Costituzione sono essenzialmente i seguenti: l'Iraq è un Paese a religione islamica che tollera anche altre confessioni (testualmente, ‘l'Islam è la regione ufficiale dello Stato ed è considerato fonte di legislazione’), è un Paese che salvaguarda le libertà individuali, si fonda su un sistema federale, democratico e rappresentativo.
Nelle righe successive vengono elencate altre regole fondamentali: nessuna legge che contraddica le regole islamiche potrà essere adottata, nessuna legge che contraddica le norme democratiche potrà essere varata, nessuna legge potrà contraddire i diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione. Alzi la mano chi ci capisce qualcosa.
Lì dov'è applicata (Iran, Arabia Saudita, Emirati) la legge islamica limita per sua stessa natura la sfera individuale, basti pensare a quella della donna, e dunque l'equazione Stato islamico - democrazia è un puro nonsenso. Inoltre chi potrebbe mai dirimere l'inevitabile conflitto fra «sharia» e libertà individuali o di gruppo se non una Corte Costituzionale , che però nel testo approvato il 15 di ottobre non esiste?
Questa frettolosa carta dei sogni non si spinge fino a prevedere la nascita di un Collegio di garanzia e controllo, almeno per come siamo abituati a intenderlo nelle democrazie rappresentative, al contrario statuisce la nascita di un Consiglio dei Rappresentanti, di una Corte Federale Suprema e di un Supremo Consiglio Giudiziario.


da www.repubblica.it

Non lasciamoci influenzare dai nomi però, e cerchiamo di analizzare le competenze dei futuri organi in concreto. Il primo dovrà eleggere il Presidente della Repubblica e potrà perfino rimuoverlo, ha il diritto di dichiarare guerra con una maggioranza interna dei due terzi (proviamo a ipotizzare quale...) però a sua volta, può essere dissolto se presidente e primo ministro lo chiedono congiuntamente. Più che un tribunale dei diritti rassomiglia a una bilancia dei poteri.
Il Supremo Consiglio Giudiziario invece, ha il compito di organizzare e amministrare l'intero apparato dei tribunali; la Corte Federale potrebbe sovrastarlo se non avesse invece compiti limitati, in pratica quello di promulgare i risultati elettorali e di sostenere l'accusa nel caso di procedimenti contro il presidente e il primo ministro. Punto. Nessun accenno a casi di illegittimità costituzionale, di contrasto fra norme religiose e norme del vivere civile, allo scontro fra concezioni dello Stato.
C'è un altro elemento da considerare con attenzione: la vaghezza della Carta circa la composizione dei tre organi appena citati comincia già a determinare confusione e corse all'accaparramento dei posti, per esempio la maggioranza sciita ritiene e, ha già dichiarato formalmente, che in uno stato islamico il Consiglio dei Rappresentanti e quello Giudiziario dovranno essere composti in maggioranza da chierici, magari non proprio «ayatollah» ma comunque esperti della consuetudine islamica.
E' un po' come se nell'Afghanistan del dopoguerra si fosse pensato di affidare la gestione dello Stato a un'assemblea di «mullah».
Queste istituzioni, con l'approssimazione con cui vengono disegnate già minacciano di far rassomigliare il Consiglio dei Rappresentanti al famigerato Consiglio dei saggi che nell'Iran sciita (e dunque fratello) sovrappone il proprio giudizio a qualsiasi politica dello Stato.
Ma c'è un secondo livello di competenze che risulta di ancor più difficile decifrazione. Nei capitoli quattro e cinque la Costituzione irachena affronta la questione del federalismo e dei poteri e lo fa con la medesima vaghezza di prima riservando al potere centrale alcuni campi d'azione (politica estera, difesa, finanze e dogane, radio, tv e servizi postali, bilancio, censimenti, sanità, gestione delle risorse idriche e petrolifere) per poi contraddirsi aggiungendo testualmente, e candidamente: «Altri poteri sono divisi con le autorità regionali: dogane, elettricità (legata al petrolio), ambiente, pianificazione pubblica (non ha a che fare con bugdet?), sanità (ancora) e perfino educazione». Per orientarsi nell'intrico di questi poteri ci vorranno le capacità di un enigmista.
Ultimo problema, quello della distribuzione delle competenze riguardanti le forze armate. E' vero che esercito e polizia iracheni si stanno ricostituendo, sia pure con fatica, ma nella Costituzione non viene previsto alcun termine nè alcun strumento o iter legistativo per giungere al disbando delle milizie robustamente presenti nel Paese.
Nè l'«armata del Mahdi» addestrata in Iran e parzialmente assorbita nelle forze di polizia ma sempre presente, nè le milizie di Moqtada Al Sadr nè i gruppi e gruppuscoli sorti a sostegno delle varie forze politiche. E questo al di là, naturalmente, delle varie formazioni guerrigliere sunnite che vanno per proprio conto e dei gruppi «jihadisti» fioriti nel Nord-Ovest e che fra Ramadi e Falluja continuano a fare sfoggio di potenza militare.
In sostanza, la sola realistica chiosa a questa Costituzione è quella che nei momenti della sua approvazione forzata giungeva dalla bocca di un misterioso costituente sciita: «Se non altro nell'assemblea costituente non ci siamo sparati», ha commentato il padre della Patria, e forse nell'Iraq di questi tempi il risultato non è interamente da disprezzare.



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