GNOSIS 2/2012
LA CULTURA RECENSIONI Guerra segreta in Italia una storia dimenticata |
di Alain CHARBONNIER |
“Un servizio informazioni militare non s’improvvisa, ma si prepara in tempi lunghi, per affinare la capacità dei capi e dei gregari. Esige, inoltre, direttive chiare e continuità di comando”. Così Carlo De Risio, giornalista e storico militare, ricercatore rigoroso, sintetizza l’essenza di un Servizio informazioni nella introduzione alla nuova edizione di un’opera straordinaria: Cesare Amé, Guerra segreta in Italia 1940-1943 – Documenti Bietti Storia – pagine 319, a cura di Carlo De Risio, Bietti, Milano. La prima edizione delle memorie dell’ex capo del Servizio Informazioni Militare (S.I.M.) italiano durante la Seconda Guerra Mondiale era apparsa nel 1954, per Casini editore. Negli anni, molti storici hanno attinto alle memorie di Cesare Amé, ma il libro era diventato introvabile, se non in qualche libreria di antiquariato. Ma Cesare Amé, pur osservando un’ammirevole riservatezza, non rinunciò a parlare. Nel 1978 Carlo De Risio diede alle stampe il volume: “Generali, servizi segreti e Fascismo”, recentemente riedito dalle Edizioni Goriziana. Un saggio frutto proprio degli incontri e delle lunghe conversazioni con il Generale ormai avanti con gli anni, ma con una “memoria da computer”. A libro fatto, Amé spiazzò De Risio, rivelandogli di aver scritto un promemoria di 62 pagine, a integrazione del suo libro, pubblicato 24 anni prima. Un promemoria rimasto segreto e inedito, fino a ora che figura in calce a questa nuova edizione di “Guerra segreta”. Dunque un libro di memorie, “con il chiaro intendimento di portare contributo alla conoscenza di un insieme di particolari attività belliche, importanti e caratteristiche”. Cesare Amé si rendeva conto che nel 1954 la cronaca non era ancora diventata storia (non lo è diventata neppure oggi) e che sul SIM gravavano pesanti ombre per le compromissioni del Servizio segreto con il Fascismo e soprattutto per le operazioni contro esuli antifascisti, culminati con l’assassinio dei fratelli Nello e Carlo Rosselli. Sia rispetto al valore delle operazioni del SIM durante la guerra, che riscossero l’ammirazione degli stati maggiori ex avversari, sorpresi dell’attività e della capacità del Servizio ai loro danni, una volta avute fra le mani carte e documenti, in virtù delle clausole armistiziali, sia rispetto alla necessità di fugare le ombre, soprattutto quelle interessate, Amé non esitò a chiarire. “Io penso che mantenere più a lungo il silenzio sull’azione svolta dal SIM in guerra equivarrebbe a lasciare persistere zone di oscurità, dove invece è tempo che sia fatta luce e potrebbe sembrare agli occhi dei più confessione di manchevolezza e di inferiorità”. Quindi chiarezza, ma anche “doverosa riservatezza”, imposta da esigenze di varia natura, come si addice a un Servizio segreto. Una riservatezza che oggi non avrebbe più motivo di essere proprio per il trascorrere del tempo. Purtroppo Amé ci ha lasciati nel 1983. La pubblicazione originale, “Guerra segreta” è articolata in dodici capitoli che si aprono con “Il Servizio informazioni fino all’inizio delle operazioni” e si concludono con “Cause che hanno influenzato lo sviluppo e il rendimento del SIM. Considerazioni conclusive”. Nell’edizione Bietti si aggiungono diverse fotografie, alcune dell’archivio privato di De Risio, oltre al “Promemoria” di cui s’è detto. Significativo il distico introduttivo: “Omnia non dicam, sed quae dicam omnia vera” (Non dico tutto, ma quello che dico è tutto vero). Non sono pochi i passaggi dedicati ai rapporti con il vertice militare italiano che regolarmente snobbava le informazioni del SIM del quale Amé era stato prima Vicecapo e poi Capo, dal 20 settembre 1940 al 18 agosto 1943. Incredibilmente, ma non tanto, il SIM, ma anche la Marina e l’Aeronautica furono tenuti all’oscuro della imminente campagna di Grecia. E quando le operazioni ebbero il via, con una serie di rapporti, il Servizio provvide a delineare lo schieramento delle forze elleniche. Ma nessuno se ne fece carico, con le conseguenze ben note. Scrive Amé nel Promemoria: “ Parecchi anni dopo, finita la guerra, da un alto ufficiale greco (Generale Aximacopulos) che fu comandante di grande unità nella prima fase dell’azione, venne data conferma dell’esattezza delle valutazioni del nostro Servizio Informazioni”. Nel libro, note e precisazioni puntuali smentiscono affermazioni imprudenti e non verificate, quando non astiose di storici accreditati come David Khan, “ La guerra dei codici”, o Anthony Cave Brown autore di “Una cortina di bugie. Storia dei servizi segreti nella Seconda Guerra Mondiale”. Era dura ammettere che il Codice Nero americano per la cifratura e decifratura dei messaggi era stato trafugato dal SIM proprio dall’ambasciata di via Veneto ed era costato la quasi sconfitta inglese in Nord Africa, con la perdita di migliaia di uomini e ingentissime quantità di materiale. Era il SIM che intercettava i messaggi dell’addetto militare americano al Cairo, Frank Bonner Fellers sulla situazione inglese, li decrittava, li trasmetteva allo Stato Maggiore e in copia ai tedeschi. Tramite Kesselring, arrivavano a Rommel che se ne serviva egregiamente alimentando così la sua leggenda di grande condottiero. Mai il SIM passò ai tedeschi copia del Codice Nero, come scrive Khan e come precisa Amé. Amé sottolinea in più punti che il SIM soffrì di mancanza di direttive e di indirizzi dall’alto. Sopperì però di propria iniziativa, soprattutto nel controspionaggio. “Ma direttive, assistenza, impulsi dall’alto mancarono sempre – scrive Amé – mentre sarebbe stato necessario che vi fossero, trattandosi di funzione vitale di alta importanza come la guerra ebbe ampiamente a dimostrare”. Con soddisfazione il Generale parla dei “notevoli risultati raggiunti” come la “protezione del movimento del Corpo tedesco d’Africa, la lunga redditizia gestione dell’organizzazione avversaria di spionaggio in Sicilia (operando con agenti “doppi” o “rivoltati”), l’azione complessa di doppio gioco svolta verso la Russia, con alimentazione di false notizie, la beffa del controllo e della disattivazione del sabotaggio britannico partente dalla Svizzera”. Ma anche l’individuazione e neutralizzazioni di reti tedesche stese dall’alleato sempre diffidente. Il Sim cioè non faceva sconti a nessuno ed era ben capace di intercettare e decrittare messaggi, ma anche di diffondere via etere false informazioni. Fra le operazioni più incredibili, raccontate nel libro, degna di nota è quella che riguarda la guerra nei Balcani. Amé racconta: “In grande segretezza e senza chiedere autorizzazioni, sviluppò cioè l’iniziativa di trasmettere alle divisioni jugoslave operanti in direzione di Scutari e di Kukes un ordine di ripiegamento apocrifo, a firma del Comandante Supremo avversario, a mezzo di marconigramma cifrato con il cifrario jugoslavo”. Le conseguenze furono disastrose perché condussero alla paralisi del- le operazioni su Kukes, arrestarono l’offensiva su Scutari, fecero ripiegare il nemico su Podgorica e provocarono l’inceppamento dei comandi avversari. Un’operazione che il Capo di Stato Maggiore Generale, Ugo Cavallero, non volle mai riconoscere, sostenendo che tutto era accaduto non per merito del SIM, ma per la pressione tedesca. Nel maggio del 1941 Cavallero non esitò a chiedere, senza ottenerla, la sostituzione di Amé. Il Capo del SIM fu silurato dal Governo Badoglio il 18 agosto 1943, mentre si aprivano le trattative per l’armistizio. Amé racconta due episodi importanti, accaduti agli inizi di agosto che avrebbero dovuto spingere a coinvolgere il SIM negli approcci con gli Alleati: il 2-3 agosto incontro con l’ammiraglio Wilhelm Canaris, capo dell’Abewher, il Servizio tedesco, a Venezia, e il 5 successivo un messaggio radio trasmesso da Bengasi dagli inglesi su una frequenza utilizzata dal SIM e cifrato con il codice di un agente italiano. Si era a poco più di una settimana dal 25 Luglio. L’incontro era stato sollecitato da Keitel e autorizzato dal Capo di Stato Maggiore Generale, Vittorio Ambrosio il quale però si era ben guardato dal fornire direttive e indicazioni, limitandosi a delineare l’incarico “arduo e complesso di accreditare all’alleato una versione plausibile e coerente dei nostri disegni e dei nostri propositi”. In sostanza Amé doveva rassicurare i tedeschi sulle intenzioni italiane di continuare la guerra a fianco della Germania. L’incontro con Canaris assunse toni drammatici. Il Capo dell’Abwehr, che a più riprese aveva usato il Servizio in funzione antinazista, a quattr’occhi si rivolse ad Amé così: “Congratulazioni vivissime, anche noi ci auguriamo che venga presto il nostro 25 luglio”. Il giorno dopo, durante una passeggiata al Lido, ancora Canaris avvertì Amé che era perfettamente informato della situazione italiana e dell’ineluttabilità dell’uscita dell’Italia dal conflitto e gli accennò alla serpeggiante aspirazione all’eliminazione del Fuhrer. Amé e Canaris concordarono anche di sostenere la versione messa a verbale circa la lealtà dell’Italia agli impegni assunti, sia allo scopo di guadagnare tempo, sia perché la nostra defezione avrebbe avuto inevitabili conseguenze sugli schieramenti e sulla dislocazione delle armate tedesche. Era già in atto l’operazione “Alarico” e numerosi contingenti germanici per via aerea e per ferrovia stavano affluendo in Italia, nonostante qualche incidente al Brennero e non poca sorpresa del nostro Stato Maggiore. All’atto di congedarsi, Canaris si rivolse ancora al suo omologo italiano: “Date retta a me. Fatene entrare il meno che sia possibile, altrimenti vi troverete male”. Del colloquio Amé riferì al Capo di Stato Maggiore Ambrosio, ma evidentemente senza molto successo. Infatti, all’incontro di Tarvisio, tre giorni dopo, fra i ministri degli esteri Guariglia e Ribbentrop e i generali Ambrosio e Keitel, la partita si risolse nell’intento di evitare una rottura dei rapporti, al fine di guadagnare tempo. I tedeschi essenzialmente miravano a concludere, la mobilitazione lungo il confine italo-tedesco, già iniziata dopo il 25 luglio per quanto possibile con il consenso degli italiani; gli italiani acconsentivano alle richieste tedesche per assicurarsi ulteriore tempo, in modo da portare avanti con prudenza i negoziati con gli anglo-americani. Così reparti tedeschi seguitarono a entrare in Italia, nonostante alcune proteste e senza troppa voglia di rifermarli. Alla vigilia dell’8 settembre dalle 8 divisioni del 25 luglio, quattro delle quali impegnate nelle operazioni in Sicilia, le forze germaniche erano arrivate a toccare 400.000 unità, con le conseguenze che poi si videro. Ma a Tarvisio Ambrosio era andato anche sapendo che il giorno prima il SIM aveva ricevuto un messaggio radio del seguente tenore: “Vostro agente… di Nalut arrestato. Qui trasmette Stato Maggiore britannico di Bengasi. Allo Stato Maggiore Italiano. Vi offriamo con questo mezzo di entrare in collegamento con noi. Rispondete se accettate”. Scrive Amé: “Ne riferii al Capo di S.M. Generale, il quale mi rispose testualmente: Siamo favorevoli. Anche S.M. il Re, con cui ho parlato recentemente concorda, siamo tutti d’accordo. Ma, poiché egli era in procinto di assentarsi, scrisse brevi note sul foglietto stesso e mi incaricò di riferire personalmente al Capo del Governo. Questi, letto il dispaccio e le note del Capo di S.M. Generale, disse: Facciamo pure. E mi congedò”. Sia per lo scarso interesse riscosso, sia per la mancata soluzione di problemi relativi ai contatti con gli inglesi, sia per il rischio che i tedeschi intercettassero le comunicazioni (e meravigliava Amé che ciò non fosse accaduto) il contatto fu lasciato cadere. Con le sue memorie il Capo del SIM già nel 1954 aveva voluto sfatare alcuni luoghi comuni che ancora persistono, a cominciare dalla fatuità e dal cinismo di Galeazzo Ciano, vittima più del suo entourage che del suo essere il “generissimo”. Aver ristampato “Guerra segreta in Italia 1940-1943” è stata una felice operazione storico-editoriale, grazie anche agli aggiornamenti e alle note curate da Carlo De Risio, ricche di notizie e di particolari. Tutti elementi utili agli storici, agli studiosi e a quanti desiderano saperne di più su quella che fu “guerra segreta nelle forme, nei modi, nei particolari di attuazione. Ma non mai guerra tenebrosa od oscura, perché al compito grave e ansioso presiedettero sempre limpide finalità, chiara coscienza e leale senso di responsabilità”. LA LOTTIZZAZIONE ABUSIVA
Potrebbe sembrare strano che una rivista di intelligence si occupi di norme sulle lottizzazioni abusive. Eppure, conoscere un argomento così spinoso e, per certi versi, normativamente complicato, si rivela utile anche nella pratica del contrasto alla criminalità organizzata, che rappresenta uno dei rami della sicurezza interna, che ha fatto della lottizzazione di terreni agricoli e dell’abusivismo edilizio conseguente, una fonte di guadagno notevole, anche sotto il profilo del riciclaggio del denaro sporco. Ecco allora uno strumento quanto mai opportuno, il libro di Renato Martuscielli, “La lottizzazione abusiva”, collana Teoria e pratica del diritto, pagine 196, Giuffrè Editore, Milano 2012, utile per addentrarsi nelle sabbie instabili di un reato suscettibile di produrre valore aggiunto e al contempo di devastare il territorio, sia sotto l’aspetto paesaggistico sia sotto il profilo del rispetto delle tutele ambientali, artistiche, culturali. Mai, un lottizzatore abusivo, si premurerà di chiedere la certificazione di impatto ambientale e mai e poi mai si preoccuperà se il terreno che lottizza è sottoposto a vincolo paesaggistico oppure è tutelato dalla legge Galasso. Si preoccuperà, invece, di portare a compimento il suo abuso o la sua serie di abusi nel più breve tempo possibile, prima che qualche vigile urbano si svegli, arrivi un’ordinanza che blocchi i lavori e il sequestro del cantiere disposto dalla magistratura. E deve fare in fretta anche per essere pronto a usufruire della prossima sanatoria. Sostituto procuratore a Vallo della Lucania, Martuscelli si è dedicato alla sua opera, prendendo le mosse da un excursus storico di quello che definisce il “diritto urbanistico” a partire dal XVIII secolo, “fase storica in cui insorgono due fenomeni fra loro connessi e sinergici, il processo di industrializzazione e l’aumento della popolazione, che determinano la nascita dell’urbanistica e delle esigenze di pianificazione”. Fissato il momento storico, Martuscelli sottolinea che “l’urbanistica è la scienza che si occupa dell’organizzazione degli insediamenti umani; essa si occupa di tutte le componenti territoriali, ne governa le trasformazioni, ne predispone la tutela e ne ottimizza l’uso”. Ma punto di partenza per arrivare all’attuale normativa, partendo dalla legge del 1865 che contiene disposizioni sull’espropriazione per pubblica utilità con annesse norme in tema di piano regolatore, restano soprattutto le scelte effettuate nel secondo dopoguerra. Secondo Martuscelli, “le scelte urbanistiche privilegiarono l’azione di lottizzazione e speculazione condotte dall’iniziativa privata, con la collaborazione e il consenso del potere costituito. Alla fine di questo percorso perverso il risultato fu la crescita disordinata delle città, la realizzazione di periferie urbane invivibili, il massacro del verde e continui attentati ed aggressioni al patrimonio storico-artistico-architettonico del Paese”. Affrontando il tema della lottizzazione abusiva nell’ordinamento vigente, il magistrato Martuscelli esamina accuratamente la “fattispecie di lottizzazione” e i problemi interpretativi connessi; l’applicazione o la disapplicazione del giudice penale; i soggetti attivi del reato; il proprietario del terreno; il funzionario comunale e il progettista; la posizione del venditore, dell’acquirente e del notaio; il concorso dell’estraneo nel reato di lottizzazione abusiva. L’autore esamina anche l’aspetto delle sanatorie che periodicamente affliggono il nostro paese, sottolinea, utilizzando giurisprudenza consolidata e decisioni della Consulta, come la lottizzazione abusiva non rientri in questi colpi di spugna. E afferma: “La linea di rigore che si ricava dalla lettera e dallo spirito della legge si giustifica con l’esigenza di reprimere e sanzionare in modo più fermo ed incisivo un’ipotesi criminosa che aggredisce violentemente un bene primario, quale è il territorio, e vanifica la riserva di programmazione del territorio stesso riservata al bene pubblico”. L’ultimo capitolo Martuscelli lo dedica a “I profili sanzionatori” e a “La confisca fra diritto interno ed ordinamento sovranazionale”. Sono pagine che spiegano bene l’intero meccanismo della confisca della lottizzazione abusiva e dei manufatti che su di essa insistono, anche quando sono stati alienati e sono di proprietà di terzi estranei. Infatti, se fosse diversamente, sarebbe di fatto impossibile procedere a ripristinare lo stato dei luoghi che la lottizzazione abusiva aveva alterato. A conclusione del lungo lavoro per realizzare questo manuale giuridico per la lotta all’abusivismo, Martuscelli allega la Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, del 20 gennaio 2009. È la decisione riguardante la lottizzazione di Punta Perotti, a Bari, e la realizzazione dei due cosiddetti “ecomostri”, ora abbattuti. È una disamina attenta che compendia in sostanza tutto quello che c’è da sapere in tema di lottizzazioni, approvazioni degli organi amministrativi, revoche e sequestri, decisioni di primo, secondo e terzo grado, in contrasto fra loro, fino alla decisione della Cassazione di annullare “senza rinvio” le precedenti sentenze e procedere alla confisca dei beni, con l’assoluzione però dei proprietari dei terreni e delle costruzioni. È interessante il passo in proposito della sentenza: “La Corte di Cassazione decise che di piani di lottizzazione e i permessi di costruire rilasciati, erano di natura illegale. Gli imputati furono assolti in quanto non potevano essere attribuiti loro né colpa né intenzione di commettere i fatti delittuosi e in quanto essi avevano commesso un “errore inevitabile e scusabile” – nell’interpretazione di norme regionali “oscure e mal formulate” e che interferivano con la legge nazionale. La Corte di Cassazione tenne conto anche del comportamento delle autorità amministrative, e in particolare del fatto che, nel momento in cui avevano ottenuto i permessi di costruire, le ricorrenti erano state rassicurate dal direttore dell’ufficio comunale competente; che i vincoli paesaggistici contro i quali si scontrava il progetto edilizio non erano indicati nel piano urbanistico; che l’amministrazione nazionale competente non era intervenuta. Infine la Corte di Cassazione affermò che in assenza di un’inchiesta riguardante i motivi del comportamento degli organi pubblici non era permesso fare supposizioni”. Con la stessa sentenza, la Corte di Cassazione ordinò la confisca di tutte le costruzioni e dei terreni in quanto conformemente alla propria giurisprudenza, l’applicazione dell’articolo 19 della legge n. 47 del 1985 era obbligatoria in caso di lottizzazione abusiva, anche in assenza di condanna penale dei costruttori. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo accolse almeno in parte il ricorso delle società interessate alla confisca di Punta Perotti e stabilì che c’era stata la violazione dell’articolo 7 della Convenzione sui Diritti dell’Uomo e dell’articolo 1 del Protocollo 1 e condannò lo Stato italiano a risarcire i danni morali e le spese di giudizio ai ricorrenti. Chiara indicazione della criticità dell’istituto della confisca penale. Ma anche una dimostrazione lampante di come la pubblica amministrazione possa talvolta essere corresponsabile di abusi, per superficialità, mancanza di conoscenza delle norme, presupposizioni errate. Quando non si tratti di corruzione. Con conseguenze talvolta catastrofiche per il cittadino. Se poi al tutto aggiungiamo la malafede o la protervia criminale (sul litorale Flegreo sono stati costruiti interi quartieri su lottizzazioni abusive, a Riano Flaminio è stato lottizzato ed edificato con tanto di licenze edilizie e rogiti notarili, un terreno demaniale), ci rendiamo conto di come le lottizzazioni abusive spesso costituiscono il primo passo per la costruzione di imperi immobiliari legali, paralegali e illegali. |