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GNOSIS 2/2011
LA STORIA

FATTI, ANEDDOTI e LEGGENDE

Il caso Sauer
e la vendetta di Kappler


Alain CHARBONNIER


Roma, 23 marzo 1944 - Rastrellamento di via Rasella
(Foto Ansa )

Una dimostrazione dell’efficienza del SIM durante la guerra fu l’arresto di Kurt Sauer, un mite personaggio, colto, ben pagato, fine intenditore di teatro, oppositore segreto del Nazismo.
Addetto culturale all’ambasciata tedesca, con discrezione, ma non troppo, per due anni passò informazioni agli inglesi. Lo scoprì il Controspionaggio italiano e subito esplose il “caso Sauer”.
Il colonnello Kappler ne pretese la consegna, ma un colonnello dei Carabinieri, Manfredi Talamo, respinse la richiesta con fermezza. Sauer fu fucilato dagli italiani a Forte Bravetta; Talamo subì il martirio alle Fosse Ardeatine per mano dei tedeschi.



Durante la Seconda Guerra Mondiale il servizio segreto italiano creò notevoli problemi agli agenti di Sua Maestà Britannica. Lo ha ammesso apertamente il Military Intelligence (MI6) inglese, sia per la spregiudicatezza di certe operazioni condotte dal SIM, sia per la fantasia sotto il profilo operativo, sia infine per la “penetrazione” nelle reti di spionaggio degli Alleati. Per non parlare poi della capacità degli “operativi” del controspionaggio italiano di “rivoltare” le spie catturate, trasformandole in agenti doppi, al punto da ingannare non solo gli inglesi, ma anche gli occhiuti e attenti sovietici.
Dagli archivi del Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato, competente per i delitti di spionaggio ai danni dell’Italia, emerge che fra giugno del 1940 e giugno del 1943 furono arrestati, giudicati e condannati alla fucilazione 17 agenti dello spionaggio nemico: 2 al servizio della Francia, 4 della Jugoslavia, 1 dell’Unione Sovietica, 10 dell’Inghilterra. Numerosi altri, scoperti, ebbero condanne a lunghe pene detentive, poi ampiamente ridotte o addirittura azzerate, dopo il ribaltamento delle alleanze, seguìto all’armistizio dell’8 settembre.
Chi, purtroppo, non poté profittare dei rivolgimenti politici e militari italiani fu Kurt Sauer, addetto culturale presso l’ambasciata tedesca a Roma, fervente antinazista, reclutato dal servizio segreto inglese, al quale passò almeno 200 importanti informative, per il tramite dell’addetto militare dell’ambasciata Svizzera.
Arrestato nel 1942, giudicato dal Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato e condannato a morte, Sauer venne fucilato a Forte Bravetta il 2 giugno 1943.
Scrissero i giudici: “Grave si appalesa la situazione di Sauer Kurt il quale, nascondendo a superiori e connazionali i suoi sentimenti di irriducibile avversione al Nazismo, ottenne l’incarico di addetto culturale presso l’ambasciata tedesca e riuscì così a procacciarsi più agevolmente notizie d’indole militare interessanti l’Italia e la Germania che passò allo svizzero Roberto Steiger.
Traditore, pertanto, della sua patria e della nazione che lo ospitava, s’appalesa pertanto nei suoi confronti, a norma di legge, la pena capitale richiesta dal Pubblico Ministero”.
Con Sauer furono condannati all’ergastolo Roberto Steiger, riconosciuto affetto da anomalie psichiche, e a 30 anni l’italiano Gaetano Fazio, complice dei primi due, ma i giudici ritennero che la sua azione non avesse provocato gravi danni.
Questa la sorte delle tre spie.
Kurt Sauer, come detto, venne fucilato a Forte Bravetta il 2 giugno 1943.
Roberto Steiger il 1 ottobre 1943 fu prelevato dal carcere di Regina Coeli, a Roma, dalla polizia tedesca e di lui si persero le tracce. Nel dopoguerra, l’ergastolo fu trasformato in 30 anni di reclusione che si ridussero ulteriormente per effetto degli indulti successivi. Steiger si fece vivo dalla Svizzera il 7 luglio 1959, chiedendo l’emissione di un’ordinanza che dichiarasse “la cessazione della condanna per effetto dell’applicazione del Trattato di Pace”.
L’istanza fu respinta dal Tribunale Militare di Roma che tuttavia il 19 ottobre 1973 dichiarò “estinta per decorso del tempo” la pena che Steiger avrebbe dovuto scontare. Dalla fine della guerra erano trascorsi 28 anni.
Gaetano Fazio il 25 ottobre 1943 fu prelevato anch’egli dal carcere giudiziario di Regina Coeli, e internato in Germania, dove morì di cancro il 28 agosto 1944.
Kurt Sauer era nato a Breslavia nel 1903. Di lui lo storico Mimmo Franzinelli scrive: “era un intellettuale raffinato, critico teatrale ed esperto d’arte, frequentatore del festival cinematografico di Venezia e traduttore di romanzi”.
In Italia dal 1940, Sauer si lega a Steiger (con il quale convive) e a Fazio, impiegato dell’Ente Italiano Scambi Teatrali. Grazie alla sua posizione e alla stima di cui gode in ambasciata, Sauer mette le mani su informazioni sulla dislocazione delle truppe italiane e tedesche, le rotte navali dei convogli di rifornimenti per l’Africa, la condotta bellica dell’Asse.
Attraverso l’addetto militare svizzero Charles De Watteville, le informazioni finiscono direttamente all’Intelligence Service britannico.
Ma Sauer commette gravi errori. Frequenta tranquillamente l’ambasciata sovietica, prima dell’invasione tedesca e l’entrata in guerra dell’URSS, e parla troppo.
Attira l’attenzione degli informatori della polizia politica italiana e su di lui riferisce l’attrice Bice Pupeschi, ex amante del Capo della Polizia, Arturo Bocchini, che postilla le chiacchiere di Sauer sulla situazione in Germania e veri e presunti complotti antihitleriani: “Non si sa se il signor Sauer è convinto di diffondere notizie vere o false”.
Poco importa, è entrato nell’attenzione della polizia politica, ma gli elementi che emergono non valgono a perdere Sauer, un po’ misantropo, molto stimato in ambasciata, dedito al lavoro, ben pagato, anche se non nutre eccessiva simpatia per i suoi connazionali. La spia inglese però commette un altro passo falso: a Cefalù incontra due ufficiali italiani. L’episodio crea imbarazzo e disappunto fra i presenti, viene riferito alla polizia politica e attira l’attenzione del controspionaggio italiano.
Bastano due settimane e Sauer, Steiger e Fazio finiscono a Regina Coeli.
A prenderli è un ufficiale dei Carabinieri, il tenente colonnello Manfredi Talamo, il cui rapporto è richiamato dallo stesso Tribunale Speciale.
Il SIM sorvegliava da tempo De Watteville, l’addetto militare svizzero, attraverso il quale passavano le informazioni dirette agli inglesi. Il Controspionaggio italiano stava “lavorando” a una rete sovietica che aveva ampiamente infiltrato e di conseguenza “intossicava” regolarmente i Russi che però fessi non erano. Così, a fronte di informazioni apparentemente dubbiose, l’NKVD chiese all’alleato MI6 una verifica delle notizie che arrivavano dall’Italia.
Gli inglesi si rivolsero alla “fonte” De Watteville che ottenne documenti che confermavano le informazioni precedenti, senza sapere ovviamente che anche questi erano abilmente manipolati. A quel punto, il “servizio prelevamenti” di Manfredi Talamo fece una visita all’ambasciata Svizzera e fotografò alcuni documenti chiusi nella cassaforte dell’addetto militare. L’esame delle immagini portò alla scoperta di una minuscola annotazione, due iniziali, sul retro di un documento di provenienza tedesca. Il particolare orientò le indagini del Controspionaggio verso dipendenti dell’ambasciata del Reich.
La rete si chiuse su Kurt Sauer e i suoi complici all’hotel Excelsior, mentre consegnava un microfilm a un collaboratore di De Watteville.
Appena arrestato, l’addetto culturale tedesco confessò immediatamente la sua attività spionistica e il “caso Sauer” esplose in tutta la sua dirompente gravità.
Se ne occupò anche il Ministro degli Esteri Galeazzo Ciano che annotò nel suo diario in data 9 giugno 1942: “Il nostro SIM ha scoperto un centro di spionaggio all’ambasciata tedesca. È già stato tratto in arresto il dottor Sauer, addetto culturale, che è confesso. Ha soltanto messo in chiaro che non agiva per denaro, ma in odio al fascismo e al nazismo. Passava informazioni di ordine militare all’addetto militare svizzero.
Sembra che anche un colonnello germanico, aiutante di Rintelen, sia immischiato nella questione.
Il Duce ha commentato amaramente la cosa e teme che ciò possa danneggiare la posizione dell’ambasciatore Von Mackensen. Bismarck, che ha parlato della cosa con D’Aieta, non ha dato molta importanza all’accaduto: dice che Sauer è un pederasta ed è stato indotto dal suo vizio a cadere in così grave reato”.
Ciano si sbagliava. Il “caso Sauer” era finito sui tavoli del Ministro degli Esteri del Reich, Joachim von Ribbentrop e del Capo delle SS Heinrich Himmler, per approdare alla scrivania di Hitler. Berlino considerava con chiarezza la gravità della situazione ed esigeva spiegazioni. Il responsabile della sicurezza dell’ambasciata tedesca, colonnello Herbert Kappler era nei guai: aveva la serpe in seno e per più di due anni non si era accorto di nulla, dovevano scoprirla gli italiani.
Kappler avanzò formale richiesta al SIM di consegnare il traditore Sauer.
Scrive Carlo De Risio: “Il SIM oppose un netto rifiuto: Sauer si era macchiato del crimine di spionaggio e di tradimento in Italia, aveva nuociuto anche al nostro paese, soprattutto ricadeva sotto le nostre leggi. Kappler andò su tutte le furie e un violento alterco avvenne fra l’ufficiale delle SS e l’ufficiale dei Carabinieri, Manfredi Talamo… Kappler fu costretto a recedere dalla sua proterva presa di posizione, ma si legò al dito il rifiuto opposto dal SIM e soprattutto l’intransigente atteggiamento di Talamo”.
Fucilato e sepolto, di Sauer rimasero le disposizioni testamentarie circa i suoi beni che tuttavia sono nulle, come vuole la legge per i condannati a morte. Gli eredi legittimi avevano sei mesi di tempo per rivendicarle, ma nessuno si fece vivo. Scaduto il tempo, il direttore di Regina Coeli, Donato Caretta, destinato a finire linciato e affogato nel Tevere sotto l’obiettivo delle cineprese alleate, chiese cosa doveva fare degli effetti lasciati da Sauer.
“Il giustiziato – scrisse Caretta – ha lasciato la valigia e alcuni indumenti, nonché un pacchetto di corrispondenza e manoscritti vari, nonché un orologio di metallo giallo e lire 40.185,23”.
Nessuna indicazione di una risposta dall’ambasciata tedesca, ma Kappler si premurò di mandare a prelevare denaro, manoscritti, orologio, indumenti e fece sparire tutto.
Ma un’altra morte segnò il “caso Sauer”.
Kappler non aveva mai digerito la fermezza di Manfredi Talamo. Fino all’8 settembre 1943 non poteva toccarlo, ma il giorno dopo ebbe mano libera. In contatto con il Fronte Militare che faceva capo a Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, Talamo fu arrestato il 5 ottobre 1943 dalle SS di Kappler.
Incarcerato e torturato a via Tasso, il colonnelo non parlò.
Dopo l’attentato di via Rasella, Kappler consumò la sua vendetta, inserendo il nome di Manfredi Talamo fra quelli delle persone da fucilare per rappresaglia. Il 23 marzo, a quasi sei mesi dall’arresto e a ventidue mesi dal “caso Sauer”, Manfredi Talamo fu trucidato alle Fosse Ardeatine con altri 334 compagni di sventura.
Da allora, il “caso Sauer” fa parte della Storia dello spionaggio.

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