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GNOSIS 1/2012
Disagio giovanile
Flessibilità e precariato


Giovanni LO STORTO


Quando la flessibilità non è soltanto un’opportunità di inserimento nel mondo del lavoro e si trasforma in precariato ordinario, si crea un effetto di incertezza anche nelle fasce giovanili che vedono le prospettive dell’inserimento nell’”universo adulto” ancora rinviate dilatando lo status di “lavoratore a tempo” in una condizione cronica.
La preparazione all’inserimento reale in ambito lavorativo, in genere, non è troppo curata neppure a livello universitario in cui molto spesso gli accademismi superano la visione concreta utile per galassie non accademiche.
La soluzione può trovarsi nella realizzazione di una politica del lavoro attenta, che coniughi istruzione e formazione in una prospettiva di lungo termine.
(Foto da http://liberamentesemplice.wordpress.com/)



Il fenomeno del disagio giovanile aveva dato origine, già in epoca precedente alla crisi finanziaria ed economica dei nostri giorni, a diversi contributi di psicologi, sociologi, economisti e studiosi in genere, impegnati a definire il 'senso di precarietà' che accompagna la generazione dei nipoti dei baby boomers.
Al di là delle varie classifiche sociodemografiche, tendenti a distinguere le caratteristiche delle generazioni (distinguendo le cosiddette generazioni 'X', 'Y' e 'Z' dai baby boomers e via dicendo), alcuni elementi risultano messi a fuoco in maniera abbastanza netta come caratterizzanti, appunto, lo stato di disagio. Fra questi, lo sfilacciamento della famiglia come cellula in grado di trasmettere ed inculcare valori, soprattutto attraverso l'esempio; il collocarsi del disagio tipicamente nella fascia d'età fra i 18 ed i 25 anni a cavallo, quindi, del periodo della vita in cui l'avvio di un percorso lavorativo potrebbe invece contribuire a stabilizzare l'individuo verso la realizzazione del proprio progetto di vita; lo sfociare in forme patologiche come stati d'ansia e disturbi da attacchi di panico, che secondo alcuni studi epidemiologici colpirebbero ormai un terzo dei giovani nella fascia d'età menzionata.
Tenendo presenti anche solo questi pochi elementi definitori, non vi è educatore che non comprenda il rilievo - la crucialità - del ruolo svolto dall'Università nell'assicurare la transazione verso il mondo del lavoro e la conseguente capacità, a misura che tale transizione verso il mondo del lavoro e la conseguente capacità, a misura che tale transizione abbia successo, di togliere alimento al disagio giovanile e contribuire al progresso ordinato e allo sviluppo organico della società.
Le variabili, assai articolate e complesse, che entrano in gioco nel determinare le precondizioni del disagio giovanile non si esauriscono qui, tuttavia.
L'altro versante dell'equazione, infatti, è occupato dal mercato del lavoro, dai livelli di efficienza che questo riesce ad esprimere nel garantire l'incrocio tra domanda e offerta di lavoro, dai livelli di stabilità che può - con le proprie regole - assicurare all'occupazione, naturalmetne all'interno di un contesto economico complessivo che rappresenta la pesante cornice in cui tuttto o quasi viene condizionato.
E qui veniamo ai malanni, per così dire, dei giorni nostri e alle conseguenze che ha, su tutto il sistema, l'attuale stadio della crisi economico-finanziaria.
Una crisi che attanaglia in particolare il 'vecchio mondo', ma che la dimensione perfettamente globalizzata della nostra era ha fatto sì che si ripercuotesse in ogni dove.
Alcuni dati di fonte ISFOL riguardanti il nostro Paese, riportati da stampa autorevole (1) , evidenziano ad esempio che il tasso di conversione di rapporti di lavoro atipici in lavori 'stabili' (i.e. di tipo subordinato a tempo indeterminato) erano intorno al 46% nel biennio pre-crisi (2006-2008), mentre è sceso al 37% nel biennio successivo. Il che, combinato con la circostanza che il 25% dei giovani ha un lavoro atipico, a fronte di una percentuale complessiva di 'atipici' che si attesta invece al 12,4%, rende del tutto comprensibile il fenomeno di una disoccupazione giovanile che, in Italia, a seconda delle zone geografiche e del sesso può essere di vari multipli superiore al tasso di disoccupazione generale.
In attesa dell'auspicato e ormai improcrastinabile ridisegno dell'intero sistema, dunque, osserviamo che le forme di lavoro atipico, inizialmente introdotte anche con l'obiettivo di incrementare le opportunità per facilitare l'accesso ai giovani al lavoro, già in epoca pre-crisi si erano, di fatto, rivelate piuttosto uno strumento per sopperire alla rigidità (soprattutto in uscita, dal punto di vista delle imprese) di tale mercato. Con la crisi, sono diventate un fattore che enfatizza la perdita di opportunità di lungo termine e stabili per i giovani e, da questo punto di vista, accentua i fattori che concorrono al disagio.
È indubbio che, se il modello economico dei sistema Paese favorisse l'inserimento del giovane nel mercato del lavoro, consentendogli l'accesso a gratificazioni in termini economici e di welfare commisurate all'investimento formativo effettuato, allora questi potrebbe trovare la sua prospettiva di vita cercando, quindi, di apportare miglioramenti alla condizione propria e a quella della comunità sociale alla quale appartiene. Ma, come rilevato da numerosa e autorevole dottrina, così non è, in quanto la generazione degli under 30 italiani si deve riconoscere come caratterizzata dalla cosiddetta flessibilità, fenomeno che, interessando le opportunità lavorative, finisce per condizionare le intere esistenze di questo gruppo sociale.
In Italia, a ben vedere, la flessibilità in entrata finisce quasi sempre per rivelarsi semplice precariato. In sostanza, il precariato consiste in una flessibilità non protetta ed espressa, come si diceva prima, anche in uscita. Questa è la situazione di continua incertezza che arriva a generare gravi disagi psicologici, oltre che economici, fino a imporre un alto prezzo alle nuove generazioni, scoraggiando la realizzazione di progetti a lungo termine.
Non c'è da stupirsi, quindi, che la più giovane delle generazioni che si affacciano al lavoro (nella quale rientrano, per intenderci, tutti i nati dopo il 1980), alle soglie dell'ingresso del mercato sa di dover essere pronta a fare i conti con questo problema. È quanto emerso, tra l'altro, dalle risposte alle domande della Recent Graduate Survey, ricerca condotta da Cesop Comunication (2) e che ogni anno, dal 2002, si occupa di tracciare il quadro delle percezioni e delle aspettative di un campione rappresentativo di neolaureati in giro per l'Italia.
L'idea di base è che sia difficile ottenere un'occupazione stabile nel nostro Paese e in questo l'Università, sostiene il campione, non è considerata un buon ponte di collegamento. Da un lato, perché non preparerebbe ad affrontare la realtà in un ruolo professionale e muoverebbe la maggioranza ad attendersi una formazione aggiuntiva una volta entrata in azienda; dall'altro, perché non risulterebbero efficienti e del tutto adeguate le strutture di ateneo preposte all'orientamento in uscita.
Al netto degli interventi di mano pubblica sul mercato del lavoro, dunque, l'Università rimane al centro degli snodi problematici che rendono difficoltoso l'approdo dei giovani alle possibilità di costruirsi un futuro all'altezza delle loro aspettative. Tanto più che altri dati, volti a misurare il cosiddetto 'mismatiching' tra domanda e offerta di lavoro (3) , mettono in luce una realtà che è al limite del paradossale. Se si ricostruiscono (come fa il CEFOP) griglie di comparabilità fra i principali indicatori utilizzati da organismi internazionali e si leggono, alla luce di tali griglie, i dati del collocamento dei laureati nel mercato del lavoro italiano si riscontra, ad esempio, che"… nel caso italiano ci sono 8,9 milioni di posti di lavoro per ricoprire i quali sarebbe necessario possedere la laurea o un titolo post laurea a fronte di 3,9 milioni di laureati occupati. E, ancora, che 'la scarsità numerica di laureati e post laureati (…) dice, quindi, che i posti skilled sono in parte ricoperti da lavoratori senza l'appropriato titolo terziario cioè da diplomati o addirittura con licenza media o elementare, pari a 5,6 milioni in Italia. Ma, quale ulteriore aggravante del problema, va tenuto conto che (…) in Italia 630 mila lauraeati e post laureati si trovano ad occupare posti di lavoro nei quali non è richiesta la laurea'.
Un bel rompicapo, dunque, che in un modo o nell'altro si traduce in una forte perdita di competitività per l'intero sistema-Paese, allontana le prospettive di recupero di stabilità nel futuro di varie generazioni di lavoratori (e di cittadini) e rende del tutto evidente la radicalità delle scelte che si dovranno porre in essere per correggere la direzione nella quale ci muoviamo. Per rispondere alle istanze di un parte fondamentale della nostra società, è necessario che le scelte politiche relative al mercato del lavoro e, ampliando il significato della politica nel senso più ampio del termine, ricongiungano i quattro capisaldi per la costruzione di una società e di un Paese moderno e giusto: istruzione e formazione, cittadinanza e politiche del lavoro.
La formazione deve accompagnare l'individuo in accordo con quelle che sonole sue aspettative e le sue peculiarità. Il secondo luogo, bisogna iniziare a programmare l’esistenza del Paese secondo il ciclo della vita, quello che gli amministratori decidono oggi deve porsi come orizzonte temporale il Paese che lasceremo ai nostri figli; per anni è mancato questo orizzonte temporale perché si è perso il senso dell'etica che dovrebbe guidare l'amministrazione della cosa pubblica; da ultimo, per un società inclusiva è necessario ripartire da un mercato del lavoro più inclusivo e completo.


(1) Contratto "atipico" per un giovane su quattro", Il Sole 24 Ore, 11 gennaio 2012.
(2) www.surveyrgs.it/ranking. La Recent Graduate Survey traccia annualmente, su un campione rappresentativo composto da 2500 intervistati, l'identikit del neolaureato italiano, mediante uno studio circa le opinioni, gli atteggiamenti e le preferenze degli intervistati nei confronti di tre ambiti spercifici: il percorso universitario effettuaato, il mercato del lavoro, i principali mezzi di comunicazione legati alle proposte di lavoro.
(3) Luiss-CEFOP (Centro Studi dedicato all'Economia della Formazione e delle Professioni); indagine 2Mismatch tra domanda e offerta di lavoro: ricognizione e ricostruzione metodologica dei principali indicatori di fonte internazionale', ed. 2011).

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