GNOSIS 3/2011
Disciplina strutturale e funzionale dei Servizi di Informazione Le garanzie funzionali per gli 'operatori' di Intelligence (1° parte) |
Giuseppe AMATO |
Una scelta innovativa L'articolo 17, comma 1, della legge 3 agosto 2007 n. 124 introduce una speciale causa di giustificazione riservata al personale dei Servizi di Informazione per la sicurezza che, nell'esercizio delle proprie funzioni istituzionali, ponga in essere condotte astrattamente integranti reato. La scelta di introdurre una scriminante a fondamento di un sistema di garanzia funzionale per l'operatore dei Servizi è senz’altro innovativa. Infatti, la previgente legge 24 ottobre 1977 n. 801 non contemplava alcuna esimente in favore del personale dei Servizi, considerando all'evidenza prevalenti le esigenze di legalità e di repressione dei fatti criminosi rispetto alle finalità istituzionali degli apparati di sicurezza. A ben vedere, per l'operatore dei Servizi poteva solo esservi lo spazio per utilmente invocare l'applicabilità delle scriminanti comuni: in particolare, quelle di cui agli articoli 51 e 54 c.p., oltre a quella dell'uso legittimo delle armi di cui all'articolo 53 c.p.. Mentre l'unica disciplina derogatoria rispetto ad una altrimenti rigorosa applicazione delle norme sanzionatorie penali comuni poteva ravvisarsi nella previsione dell'articolo 9 della legge n. 801 del 1977, che escludeva la qualifica di ufficiale ed agente di polizia giudiziaria in capo al personale dei Servizi e, in ogni caso, la sospensione di tale qualità durante il periodo di appartenenza al Servizio, per tutti coloro che tale qualità avevano in base agli ordinamenti delle amministrazioni di appartenenza. Per l'effetto, proprio in virtù di tale eccezionale deroga, potevano e dovevano escludersi in capo agli operatori dei Servizi gli obblighi di intervento e di impedimento dei reati altrimenti derivanti dall'articolo 55 c.p.p., la cui inottemperanza avrebbe esposto a responsabilità penale, magari a titolo di rifiuto di atti d'ufficio o di abuso d'ufficio, se non addirittura, a titolo di concorso omissivo nel reato in relazione all'obbligo di intervento posto dall'articolo 40, comma 2, c.p. [è disposizione riprodotta, ora, con qualche modifica, nell'articolo 23 della legge n. 124 del 2007]. Adesso, proprio con l'espressa previsione delle "garanzie funzionali" di cui all'articolo 17 e segg. della legge n. 124 del 2007, si coniugano in maniera diversa le esigenze della difesa delle istituzioni democratiche con il rispetto dei princìpi fondamentali dell'ordinamento e con la tranquillità operativa dell'operatore dei Servizi, trovando il punto di equilibrio attraverso la previsione di una puntuale disciplina autorizzatoria che vede come protagonista l'autorità politica e che, tuttavia, attraverso il possibile intervento della Corte costituzionale, compone eventuali dissensi interpretativi tra l'autorità politica e quella giudiziaria chiamata a giudicare dei fatti criminosi commessi dall'operatore dei Servizi. È vera e propria causa di giustificazione La qualificazione del meccanismo posto alla base delle "garanzie funzionali" come integrante una vera e propria "speciale" "causa di giustificazione" [tale lo definisce il legislatore non solo nell'articolo 17 della legge n. 124 del 2007 e nel successivo articolo 19, ma anche, per esempio, nel comma 1 bis dell'articolo 204 c.p.p., in materia di ambito di operatività del segreto di Stato, e nel secondo periodo del comma 3 dell'articolo 270 bis c.p.p., dedicato alla disciplina delle intercettazioni che abbiano consentito di apprendere comunicazioni di servizio di appartenenti al DIS o ai Servizi di Informazione per la sicurezza] (1) vuole significare che la ricorrenza dei relativi presupposti elimina l'antigiuridicità della condotta con effetti che vanno al di là dell'ordinamento penale: il fatto, pur formalmente previsto come reato, siccome "giustificato", non è oggettivamente costitutivo del reato stesso, e ciò esclude anche la responsabilità civile per i danni causati nell'esercizio dell'attività legittimamente autorizzata. L'inapplicabilità al concorrente Peraltro, vi è una particolarità della disciplina che merita attenta considerazione, laddove circoscrive l'ambito di operatività della "scriminante", derogando i princìpi comunemente applicabili. È pur vero, infatti, che si tratta di causa di giustificazione e che, quindi, secondo le regole comuni, dovrebbe applicarsi il disposto dell'articolo 119 c.p., in forza del quale gli effetti della causa di giustificazione si estendono anche ai concorrenti nel reato, in ragione del fatto che la condotta, in quanto scriminata, è oggettivamente lecita. Ma tale effetto qui è limitato, per espressa indicazione normativa, contenuta nell'articolo 17, comma 7, della legge n. 124 del 2007, alle persone non addette ai Servizi che siano state espressamente autorizzate, per particolari condizioni di fatto e per eccezionali necessità, a concorrere con l'operatore del Servizio (2) . L’ambito "liberatorio" della scriminante, quindi, non vale, indiscriminatamente, per tutti gli "altri" soggetti esterni che, al di fuori di tale tassativa condizione, abbiano in ipotesi cooperato alla realizzazione della condotta criminosa. Anzi, in proposito, deve trovare applicazione la speciale disciplina dettata dall'articolo 23, commi 6, 7 ed 8 della legge n. 124 del 2007: l'illecito penale commesso dall'estraneo non autorizzato dovrà essere oggetto di segnalazione al direttore del Servizio di sicurezza impegnato nell'operazione e di successiva informativa da parte dei vertici dei Servizi di sicurezza all'autorità giudiziaria, ritardabile su autorizzazione del Presidente del Consiglio dei ministri quando ciò sia strettamente necessario al perseguimento delle finalità istituzionali. Le ordinarie attività sotto copertura La "speciale" causa di giustificazione per l'operatore dei Servizi è una novità per quanto attiene l'attività dei Servizi di sicurezza, ma non è una novità assoluta nel nostro ordinamento positivo, ricollegandosi ad altre, ben conosciute figure di "esimenti" che, nel tempo, sono state introdotte in favore degli operatori di polizia giudiziaria, per rendere più fattive le investigazioni e, nel contempo, per garantire gli operatori dal rischio di essere chiamati a rispondere penalmente di condotte astrattamente criminose, pur se poste in essere quale necessario, eccezionale mezzo al fine dell'ottenimento del risultato investigativo. E ciò a partire dalla figura dell'”agente provocatore” in materia di sostanze stupefacenti, introdotta dall'articolo 97 del d.p.r. 9 ottobre 1990 n. 309 (il c.d. acquisto simulato di droga), che ha rappresentato l'esordio nel nostro sistema di scriminanti speciali finalizzate a coniugare il buon esito delle investigazioni in settori criminali non facilmente permeabili con la tranquillità operativa degli esponenti delle Forze dell'ordine rispetto a opzioni investigative ed a comportamenti altrimenti valutabili come penalmente rilevanti (3) . Sulle diverse figure di "agente provocatore" nel tempo progressivamente introdotte senza un complessivo disegno organico (4) si è poi intervenuti con la legge 16 marzo 2006 n. 146, di ratifica delle Convenzioni delle Nazioni Unite contro il crimine transnazionale, che ha inteso finalmente dare una prima organica risistemazione ad una materia che si presentava priva di reale coerenza (5) . La legge n. 146 del 2006, all'inizio, non è intervenuta sull'articolo 97 del d.p.r. n. 309 del 1990 (6) , mentre ha proceduto ad una complessiva "rivisitazione" ed implementazione delle (altre) ipotesi di "azioni simulate" e della disciplina procedimentale ad esse applicabile. Ancora più di recente, la stessa legge n. 146 del 2006 è stata, a sua volta, rimodificata con la legge 13 agosto 2010 n. 136, che ha ulteriormente riorganizzato [e implementato] le diverse ipotesi di azioni simulate, stavolta inglobando nella disciplina unitaria anche quella dell'acquisto simulato di droga, con conseguente abrogazione dell'articolo 97 del d.p.r. n. 309 del 1990. L'intendimento è stato anche quello di uniformare le singole discipline settoriali che presentavano, soprattutto relativamente agli ambiti oggettivo e soggettivo delle attività consentite, alcune inaccettabili discrasie operative. In estrema sintesi, alla luce dell'intervento realizzato con la legge n. 146 del 2006 e della successiva legge n. 136 del 2010, è ora possibile organizzare operazioni sotto copertura per i seguenti reati: - in materia di contraffazione, alterazione o uso di marchi o segni distintivi e di introduzione nello Stato e commercio di prodotti con marchi o segni distintivi falsi (articoli 473 e 474 c.p.); - in materia di estorsione (articolo 629 c.p.), di sequestro di persona a scopo di estorsione (articolo 630 c.p.) e di usura (articolo 644 c.p.); - in materia di riciclaggio (articolo 648 bis del c.p.) e di reimpiego di capitali illeciti (articolo 648 ter del c.p.) e in materia di armi, munizioni ed esplosivi; - in materia di riduzione e mantenimento in schiavitù, tratta di persone, prostituzione e pornografia minorile, turismo sessuale in danno di minori (cfr. articoli 600- 604 c.p.: si tratta dei reati ricompresi nel libro II, titolo XII, capo III, sezione I, del codice penale); - in materia di reati commessi con finalità di terrorismo o di eversione; - in materia di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione (articolo 3 della legge 20 febbraio 1958 n. 75); - in materia di immigrazione clandestina, per contrastare i reati di cui all'articolo 12, commi 1, 3, 3 bis e 3 ter del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286, relativi alla condotta di chi compie atti di "favoreggiamento" dell'immigrazione clandestina; - in materia di contrasto dei delitti di sostanze stupefacenti e psicotrope previsti dal d.p.r. n. 309 del 1990; - in materia di traffico illecito organizzato di rifiuti (articolo 260 del decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152). A queste ipotesi di azione "sotto copertura", vanno aggiunte le ipotesi di c.d. consegna controllata in materia di traffici illeciti di droga e di sequestro di persona a scopo di estorsione, opportunamente inseriti nella disciplina generale tratteggiata dall'articolo 9 della legge n. 146 del 2006, previa abrogazione della pregressa disciplina già contenuta, rispettivamente, nell'articolo 98 del d.p.r. n. 309 del 1990 e nell'articolo 7 del decreto legge 15 gennaio 1991 n. 8, convertito nella legge 15 marzo 1991 n. 82. Così, in particolare, l'articolo 9, comma 6, della legge n. 146 del 2006 facoltizza gli ufficiali di polizia giudiziaria e le autorità doganali ad omettere o a ritardare l'esecuzione di provvedimenti di arresto o di sequestro, qualora ciò sia necessario per acquisire rilevanti elementi probatori ovvero per l'individuazione o la cattura dei responsabili dei delitti di cui agli articoli 73 e 74 del d.p.r. n. 309 del 1990. Mentre, il successivo comma 6 bis, consente al pubblico ministero di richiedere al giudice per le indagini preliminari l'autorizzazione a disporre di beni, denaro o altre utilità, per l'esecuzione di "operazioni controllate di pagamento del riscatto", quando ciò sia necessario per l'individuazione o la cattura dei responsabili del delitto di cui all'articolo 630 c.p.. Le differenze di fondo Il parallelo delle scriminanti "comuni" con quella "speciale" prevista in favore del personale dei Servizi è certamente utile, anche per cogliere le differenze nella disciplina, che sono numerose e non sempre immediatamente spiegabili. Due sono le fondamentali differenze. La prima riguarda la “finalità" delle condotte scriminate. Mentre nelle scriminanti "comuni" si verte in ipotesi di attività "sotto copertura" compiute "nel corso di specifiche operazioni di polizia" e, "comunque", "al solo fine di acquisire elementi di prova" in ordine ai delitti "presupposti", qui siamo in presenza di attività in ipotesi criminose finalizzate a soddisfare, in modo indispensabile, le attività istituzionali dei Servizi di sicurezza quali sono tratteggiate negli articoli 6 e 7 della legge n. 124 del 2007 (7) . È una differenza ben spiegabile con il rilievo che la causa di giustificazione "speciale" opera in un settore operativo tipicamente di "prevenzione", dove non è in discussione l'attività di "polizia giudiziaria" e, quindi, la proiezione finalistica verso la scoperta e la repressione dei reati; ciò che del resto è confermato dal fatto che la qualifica di ufficiale e di agente di polizia giudiziaria è espressamente esclusa in capo al personale dei Servizi (cfr. articolo 23 della legge n. 124 del 2007). La seconda riguarda il "contesto oggettivo di operatività" dell'esimente. Mentre nelle scriminanti "comuni" ciò che viene autorizzato dall'organo di vertice della Forza di polizia coinvolta è l'operazione sotto copertura ed è questa autorizzazione che, poi, facoltizza l'infiltrato alla commissione delle fattispecie criminose [tipiche e atipiche] previste dalla legge ["attività tipiche": rifugio o di prestazione di assistenza agli associati, acquisto, ricezione, sostituzione o occultamento di denaro, armi, documenti, sostanze stupefacenti o psicotrope, beni o cose che sono oggetto, prodotto o mezzo per commettere il reato, ostacolo all'individuazione della provenienza o impiego di dette cose; "attività atipiche": quelle prodromiche e strumentali a quelle tipiche] che si rendessero necessarie a seconda delle emergenze della singola vicenda, qui abbiamo un'autorizzazione preventiva alla commissione di specifiche, predeterminate a priori, condotte astrattamente costituenti reato, siccome, appunto ex ante, ritenute indispensabili a soddisfare le finalità istituzionali dei Servizi. Nonostante queste differenze di fondo, sarà utile, quando necessario, operare un parallelo tra le due discipline per apprezzare soprattutto il contenuto e le implicazioni operative della scriminante di che trattasi. La clausola di salvaguardia dell'articolo 51 c.p. Venendo ad analizzare in dettaglio il proprium della causa di giustificazione "speciale" prevista in favore del personale dei Servizi, vi è subito da osservare che, come per le scriminanti comuni disciplinate dall'articolo 9 della legge n. 146 del 2006, anche l'articolo 17 della legge n. 124 del 2007 fa salvo, in premessa, il disposto dell'articolo 51 c.p.. Si tratta della causa di giustificazione comune dell'articolo 51 del c.p., sotto il profilo dell'adempimento del dovere che, però, ovviamente, non è argomentabile facendo richiamo al dovere posto a carico della polizia giudiziaria di prendere notizia dei reati, ricercarne gli autori e compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova (cfr. articolo 55 c.p.p.). Del resto, come anticipato, a norma dell'articolo 23 della legge n. 124 del 2007 [che riecheggia il vecchio articolo 9 della legge 801 del 1977] è espressamente esclusa la qualifica di ufficiale ed agente di polizia giudiziaria in capo al personale dei Servizi e, in ogni caso, tale qualifica, laddove in precedenza posseduta, è sospesa durante il periodo di appartenenza al Servizio per tutti coloro che tale qualità avrebbero in base agli ordinamenti delle amministrazioni di appartenenza. L'ambito di operatività della scriminante dell'articolo 51 c.p., allora, si può e deve ricostruire avendo riguardo ai doveri istituzionali del personale dei Servizi che, a loro volta, trovano concretezza nei compiti istituzionali dei Servizi dettagliati negli articoli 6 e 7 della legge n. 124 del 2007, rispettivamente per l'AISE e per l'AISI, derivandone in buona sostanza la [potenziale] applicabilità della scriminante per i fatti criminosi che l'operatore fosse stato commesso a compiere per soddisfare le finalità istituzionali del Servizio di appartenenza. È, però, noto il rigore con cui viene tradizionalmente riconosciuta la possibile applicazione della scriminante comune costruita nel Codice penale. Infatti, se non fosse stata introdotta la scriminante speciale, il [solo] riconoscimento della legittimità dell'attività dell'operatore dei Servizi, attraverso il richiamo della scriminante comune dell'adempimento del dovere, sarebbe da intendere come subordinato a particolari cautele ed a significative limitazioni. In sostanza, secondo la giurisprudenza pressochè consolidata formatasi sull'agente provocatore appartenente alla polizia giudiziaria, non sarebbe punibile ex articolo 51 c.p. solo quell'operatore il cui intervento risulti essere stato "indiretto" e "marginale" nell'ideazione ed esecuzione del fatto criminoso, essendosi risolto essenzialmente in un'"attività di mero controllo, di osservazione e di contenimento dell'altrui azione illecita"; mentre sarebbe punibile, come concorrente nel reato, il soggetto che abbia svolto una concreta attività di istigazione o, comunque, un'attività avente efficacia determinante o concausale (materiale o psichica) nella progettazione e commissione del reato (8) . In buona sostanza, invocando il [solo] articolo 51 c.p. sarebbe impossibile andare esenti da punizione per i fatti criminosi di cui l'operatore dei Servizi si sia reso autore, materiale o morale, individuale o concorsuale. Ed in ogni caso, invocando il [solo] articolo 51 c.p. l'operatore si troverebbe ad essere giudicato senza la copertura istituzionale della scriminante speciale, con tutti i rischi processuali che ciò potrebbe comportare. Da qui l'importanza della espressa previsione della causa di giustificazione speciale in forza della quale gli agenti segreti non sono punibili qualora pongano in essere condotte che - pur previste dalla legge come reato - siano state di volta in volta autorizzate dall'esecutivo in quanto indispensabili al soddisfacimento delle finalità istituzionali dei Servizi. Ciò non toglie che il richiamo all'articolo 51 c.p. può avere una sua importanza in ragione di alcune peculiari caratteristiche operative della scriminante de qua che la distinguono da quelle previste dalla legge n. 146 del 2006. Qui, come si vedrà, non solo è fortemente limitato oggettivamente l'ambito di applicazione dell'esimente, risultando ampio il novero dei reati cui la medesima è inapplicabile, ma soprattutto l'esimente presuppone la previa individuazione, al momento dell'autorizzazione, della condotta e/o delle condotte astrattamente di rilievo penale che vengono autorizzate. Ne deriva una notevole rigidità operativa che potrebbe ostacolare l'attività dell'agente segreto coinvolto in un'operazione in itinere allorquando venga imprevedibilmente coinvolto in attività illecite da parte dei soggetti con cui è entrato in contatto, nell'impossibilità di ottenere l'autorizzazione preventiva o, addirittura, nell'impossibilità di ottenere tout court l'autorizzazione per il fatto che i reati non rientrano nel novero di quelli autorizzabili. In tale evenienza, laddove l'operatore, impossibilitato a "sganciarsi", limiti il proprio coinvolgimento nell'attività criminosa altrui ad un ruolo comunque passivo, di mero contenimento o di generica osservazione, ben potrebbe giovarsi dell'esimente comune. I soggetti Venendo ai soggetti" che possono avvalersi delle garanzie funzionali, vi è da rilevare che, mentre le esimenti previste dalla legge n. 146 del 2006 si applicano agli ufficiali di polizia giudiziaria della Polizia di Stato, dell'Arma dei carabinieri e del Corpo della Guardia di finanza, appartenenti alle strutture specializzate o alla DIA, nei limiti delle proprie competenze, quella in esame vede come destinatari, ai sensi dei commi 1 e 7 dell'articolo 17 della legge n. 124 del 2007, essenzialmente i dipendenti dei Servizi di Informazione per la sicurezza (AISI ed AISE). La formulazione della norma esclude che la scriminante si applichi al personale del DIS, cui del resto, l'articolo 4 della stessa legge, non attribuisce compiti stricto sensu operativi. Ciò che è del resto confermato dalla disciplina dell'autorizzazione delle condotte previste dalla legge come reato, laddove, coerentemente con tale ricostruzione, si esclude alcun ruolo attivo del DIS nella procedura di rilascio delle autorizzazioni [cfr. articolo 18 della legge n. 124 del 2007: la richiesta di autorizzazione parte, infatti, dal direttore del Servizio, che ne informa il DIS; nei casi di urgenza, è il direttore del Servizio che autorizza provvisoriamente le condotte, sempre informandone il DIS; il DIS, poi, svolge un ruolo di raccolta e conservazione della documentazione relativa alle autorizzazioni]. A conferma di quanto detto, milita ancora il disposto del successivo articolo 21, che, ancora una volta, distingue con chiarezza tra il personale del DIS e quello dei Servizi. Gli "esterni" Sempre con riferimento ai soggetti cui si estende la "esimente" speciale, va apprezzata una notevole differenza rispetto a quelle "comuni" disciplinate dalla legge n. 146 del 2006. Queste ultime, si applicano anche alle persone interposte, agli ausiliari e agli agenti di polizia giudiziaria chiamati a cooperare con l'infiltrato. Anche quella in esame prevede allora, coerentemente, l'applicazione anche a "persone non addette ai Servizi" (articolo 17, comma 7, della legge n. 124 del 2006). I presupposti di questa estensione sono, peraltro, molto rigorosi. I soggetti esterni devono avere agito "in concorso" con uno o più dipendenti dei Servizi, non essendo quindi applicabile l'esimente laddove abbiano agito "autonomamente". Valgono ovviamente i princìpi generali sul concorso di persone nel reato (articolo 110 e segg. c.p.), onde sarebbe ravvisabile il concorso anche quando a commettere materialmente il fatto sia stato l'esterno, avendo il dipendente del Servizio svolto un ruolo di compartecipazione solo psicologica. È questo un passaggio molto delicato, sul quale si deve soffermare l'attenzione quando la prassi porti a porre le condizioni per un coinvolgimento "attivo" solo di personale "esterno" ai Servizi: per evitare il rischio di una violazione dei presupposti della scriminante, occorrerebbe, pur sempre, che in sede di autorizzazione si faccia menzione dell'"interno" ai Servizi che, anche se non partecipante materialmente alla condotta integrante reato autorizzata, risulti essere stato onerato del ruolo di "controllore" dell'"esterno", sì da poterne inferire un ruolo compartecipativo quanto meno psicologico nell'attività autorizzata. Diversamente, un'autorizzazione che vedesse come protagonista assoluto dell'operazione [solo] un "esterno" correrebbe il fondato rischio di essere censurata in sede giudiziaria. Il ricorso al contributo dell'esterno, inoltre, deve risultare indispensabile [infungibile] e deve essere stato preventivamente autorizzato a norma dell'articolo 18: l'autorizzazione può essere rilasciata solo se ricorrono "particolari condizioni di fatto" ed "eccezionali necessità". Si tratta di una formulazione ambigua e troppo generica: un minimo di concretezza può essergli attribuita avendo riguardo al presupposto dell'"indispensabilità" del ruolo dell'esterno, che deve essere apprezzato e ritenuto sussistente, nel caso, proprio in ragione di specifiche condizioni fattuali e di specifiche necessità operative che rendano l'attività indilazionabile e comunque non attuabile in modo diverso. Il rischio di un sindacato giurisdizionale ondivago e disomogeneo è molto forte. Residua, comunque, a compensazione, per l'esterno chiamato ad operare, l'applicabilità del disposto dell'articolo 59, comma 4, c.p., che consente di applicare egualmente l'esimente nel caso in cui l'agente abbia versato in errore incolpevole circa la sussistenza della medesima. Salvo questa particolare ipotesi, si è già detto dell'inapplicabilità del disposto dell'articolo 119 c.p., proprio in ragione della speciale disciplina dettata dall'articolo 17, comma 7, imponendosi, per l'effetto, una doverosa cautela nell'impiego di personale non appartenente ai Servizi. Infatti, giova ribadirlo, pur essendosi in presenza di una causa di giustificazione che elide la rilevanza penale del fatto, l'eccezionale previsione della estensione di questa solo ai soggetti esterni [purchè] alle condizioni dettate dal comma 7 dell'articolo 17, esclude un'estensione indiscriminata ad altri soggetti, il cui eventuale concorso sarebbe assoggettabile a sanzione penale. Risulta, allora, evidente, nel sistema costruito dal legislatore, l'eccezionalità del contributo dell'esterno, in termini diametralmente opposti a quelli configurati per le esimenti "comuni" di cui alla legge n. 146 del 2006, dove, anzi, anche con il novum normativo introdotto con la legge n. 136 del 2010, ancora più ampio spazio si è dato alle figure degli "interposti" e degli "ausiliari", mai comunque ponendo condizioni particolarmente limitative all'utilizzo di tali soggetti. I reati “scriminati”: le differenze rispetto alle esimenti “comuni” Particolare è la disciplina dei reati "scriminati" e, prima di essa, la stessa modalità di costruzione dell'esimente. Come si è accennato, nelle esimenti "comuni" di cui alla legge n. 146 del 2006, il legislatore ha adottato la tecnica di identificare positivamente le attività "tipiche" astrattamente integranti reato rientranti nell'ambito di operatività della scriminante, prevedendo, altresì, una clausola di riserva "aperta", con la previsione dell'estensione dell'esimente alle attività "atipiche" prodromiche e strumentali a quelle "tipiche". Più in dettaglio, giusto il disposto dell'articolo 9 della legge n. 146 del 2006, quanto alle attività che sono scriminate, vi rientrano le attività ["tipiche"] di rifugio o di prestazione di assistenza agli associati, di acquisto, ricezione, sostituzione o occultamento di denaro, armi, documenti, sostanze stupefacenti o psicotrope, beni o cose che sono oggetto, prodotto o mezzo per commettere il reato, di ostacolo all'individuazione della provenienza o di impiego di dette cose, nonché le attività ["atipiche"] prodromiche e strumentali alle prime. Quanto alle attività "tipiche" può discutersi della congruità di una elencazione casistica indifferenziata per tutte le azioni sotto copertura, che finisce con il consentire la commissione di fatti reati non coerenti con la specificità dell'attività. Si tratta di un risultato non propriamente condivisibile conseguente al tentativo del legislatore di raccogliere sistematicamente in un'unica disciplina tutte le attività sotto copertura. Più delicato è il tema delle attività "atipiche"spettando all'interprete di dare concretezza alla formulazione normativa indubbiamente vaga. Vengono consentite, infatti, come si è visto, non solo le attività astrattamente criminose "tipiche", ma anche attività "atipiche", ulteriori e diverse, purchè prodromiche e strumentali [rispetto a quelle tipiche]. In una tale prospettiva, esemplificando, l'esimente si estenderebbe non solo all'attività materiale dell'"acquisto simulato" di stupefacente, ma anche a quelle che ne costituiscono un logico antecedente o sviluppo, in entrambi i casi necessario per il buon esito dell'azione infiltrata: si pensi, così, alla preliminare condotta istigatoria dell'infiltrato, finalizzata ad ottenere la cessione dello stupefacente e, dopo l'acquisto, alle condotte di detenzione e trasporto della droga trattata, necessarie nella non infrequente ipotesi in cui l'operazione sotto copertura non possa concludersi con l'effettuazione dell'acquisto ma debba proseguire per soddisfare le più svariate esigenze investigative (possibilità di procedere in un secondo momento alla "trattazione" di ulteriori quantitativi di sostanze stupefacenti; necessità di individuare ulteriori componenti dell'associazione criminosa; necessità dell'allontanamento dell'infiltrato dal luogo dell'operazione per ragioni di sicurezza personale ed impossibilità di un immediato intervento dall'esterno delle Forze dell'ordine di supporto per l'esecuzione materiale del sequestro o dell'arresto dei responsabili; e simili) (9) . Ovviamente, la scriminante non può essere intesa senza limiti, come se l'atipicità delle attività ulteriori [prodromiche e strumentali rispetto a quelle tipiche] possa consentire la commissione di qualsivoglia reato, solo perché possa essere ritenuto necessario al buon esito dell'attività infiltrata. Nel genus delle attività prodromiche e strumentali devono farsi rientrare [solo] le attività che siano non solo "intimamente connesse" con quelle tipiche scriminate (ad esempio, acquisto, ricezione, sostituzione o occultamento della droga), ma che risultino anche, a tal fine, assolutamente "necessarie". Esemplificando: mentre sono da ritenere senz'altro scriminati l'utilizzo di documenti falsificati di copertura (come del resto espressamente confermato dal comma 2 dell'articolo 9 della legge n. 146 del 2006) e il porto di armi clandestine di cui l'infiltrato dovesse dotarsi per tutelare la propria incolumità, lo stesso non può dirsi, per esempio, per gli eventuali reati contro il patrimonio (furti, rapine, ecc.) o per le eventuali cessioni di stupefacenti a terzi che l'operante fosse indotto a commettere per rendersi credibile agli occhi dell'associazione infiltrata. In tali ipotesi, si è sicuramente fuori della scriminante "tipica", mentre, ove sussistano le rigorose condizioni poste dalla giurisprudenza, potrà semmai discutersi sulla ravvisabilità delle esimenti di cui agli articoli 51 e 54 c.p.. In definitiva, deve ritenersi che l'eventuale commissione di reati diversi ed ulteriori che non siano intimamente e strumentalmente connessi con le condotte scriminate tipiche potrebbe portare l'infiltrato a risponderne penalmente. Le uniche eccezioni, come si è accennato, possono ravvisarsi nell'applicabilità possibile delle scriminanti comuni dell'adempimento del dovere e dello stato di necessità. Il tema della punibilità/non punibilità delle attività "atipiche", del resto, può porsi in concreto per la ragione che nel sistema della legge n. 146 del 2006, a differenza di quanto previsto nella legge n. 124 del 2007, non vi è alcuna preventiva autorizzazione al compimento dell'illecito: autorizzazione che, se rende rigida l'attività operativa, elide però il rischio di "sorprese" nell'apprezzamento valutativo in sede giudiziaria [ex post] dell'attività dell'infiltrato. Nel sistema della legge n. 124 del 2007, diversamente da quanto appena visto per le attività sotto copertura "ordinarie", il legislatore non identifica positivamente quali siano le fattispecie penalmente rilevanti giustificate, ma sancisce in via generale, nell'articolo 17, comma 1, la non punibilità del personale dei Servizi di Informazione per la sicurezza per le "condotte previste dalla legge come reato" poste in essere, se ed in quanto "legittimamente autorizzate di volta in volta". È già stato evidenziato il notevole cambiamento di prospettiva rispetto alle esimenti "comuni": l'autorizzazione a priori di specifiche condotte astrattamente criminose rispetto ad un'autorizzazione che riguarda l'attività sotto copertura e non si interessa, poi, dello svolgimento di questa e delle specifiche attività criminose poste in essere, lasciate all'iniziativa dell'infiltrato ed alle emergenze del caso concreto. Come si è parimenti accennato, il meccanismo operativo costruito per la causa di giustificazione "speciale", elide i rischi interpretativi connessi all'individuazione dei reati "prodromici" e "strumentali" conseguenti alla diversa struttura delle esimenti "comuni". Può, quindi, sembrare il più idoneo a garantire la massima elasticità operatività. Ciò che, però, non è del tutto vero, in ragione di alcuni importanti limiti, sostanziali e formali, che il legislatore ha introdotto, già in tema di selezione dei reati scriminabili, per coniugare le esigenze operative con il rispetto delle garanzie di legalità che stanno alla base della repressione dei reati. I reati non autorizzabili oggettivamente Su questi limiti "oggettivi" va focalizzata l'attenzione. In primo luogo, viene all'attenzione il disposto del comma 2 dell'articolo 17 della legge n. 124 del 2007, dove vengono individuati una serie di fatti non giustificati, né giustificabili [non potrebbero essere autorizzati; l'autorizzazione eventualmente rilasciata sarebbe senz'altro sindacabile dall'autorità giudiziaria con le modalità di cui si dirà infra]. Si tratta dei delitti "diretti a mettere in pericolo o a ledere la vita, l'integrità fisica, la personalità individuale, la libertà personale, la libertà morale, la salute e l'incolumità di una o più persone" (10) . Vi rientrano, per esemplificare, i delitti contro l'incolumità pubblica [articolo 422 e segg. c.p.: strage, incendio, disastro ferroviario, commercio e somministrazione di medicinali guasti, ecc.]; i delitti contro la vita e l'incolumità personale [articolo 575 e segg. c.p.: omicidio, lesioni personali, ecc.; vi rientrano finanche le percosse e l'omissione di soccorso]; i delitti contro la personalità individuale [articolo 600 e segg. c.p.: riduzione e mantenimento in schiavitù, tratta, ecc.]; i delitti contro la libertà personale [articolo 605 e segg. c.p.: sequestro di persona, perquisizioni e ispezioni arbitrarie, violenza sessuale, ecc.]; i delitti contro la libertà morale [articolo 610 e segg. c.p.: violenza privata, minaccia, ecc.]. Vi rientrano, però, anche la rapina [articolo 628 c.p.] e l'estorsione [articolo 629 c.p.], che ledono, oltre al patrimonio, anche la libertà personale o morale della persona offesa. Vi rientra la concussione [articolo 317 c.p.] caratterizzata dal metus e dalla coartazione della persona offesa. Vi rientrano anche i reati di cessione a terzi di sostanze stupefacenti [articolo 73 del d.p.r. n. 309 del 1990] (11) , giacchè il bene tutelato è anche quello della salute del cessionario (12) . Si potrebbe discutere [ma la risposta dovrebbe essere senz'altro positiva] dell'autorizzabilità di condotte in materia di sostanze stupefacenti non caratterizzate dall'immediata destinazione a terzi [acquisto e detenzione: ad esempio, utilizzabili per realizzare contatti significativi per il buon esito dell'attività istituzionale; ovvero, importazione ed esportazione]. Per converso, a nostro avviso, non rientrano tra i delitti "non giustificabili" quelli in materia di armi e di esplosivi, il cui oggetto giuridico diretto è evidentemente l'ordine pubblico, mentre l'incolumità privata e pubblica è tutelata attraverso altre previsioni incriminatrici qualificate dall'uso dell'arma e/o dell'esplosivo quale mezzo strumentale [omicidio, strage, ecc.]: nessun problema, quindi, dovrebbe esserci ad ammettere la possibilità "scriminata" per l'operatore di detenere e portare armi anche clandestine, di detenere e trasportare esplosivo, ecc.. Più problematica sembra la risposta con riferimento ad alcune condotte qualificate dall'uso dell'arma o dell'esplosivo [beninteso quando tale uso non abbia determinato effetti lesivi per terzi soggetti: in tal caso, non è dubbia la punibilità di una condotta concettualmente non autorizzabile]: intendiamo riferirci alle condotte sanzionate dall'articolo 6 della legge 2 ottobre 1967 n. 895 (come successivamente modificato dall'articolo 13 della legge 14 ottobre 1974 n. 497), laddove si punisce "chiunque, al fine di incutere pubblico timore o di suscitare tumulto o pubblico disordine o di attentare alla sicurezza pubblica, fa esplodere colpi di arma da fuoco o fa scoppiare bombe o altri ordigni o materie esplodenti". Si tratta di condotte la cui realizzazione da parte dell'operatore può essere molto utile quando si tratti di "infiltrare" organizzazioni il cui scopo sia anche quello di organizzare attentati dimostrativi. Ebbene, riteniamo che condotte di tal genere, purché sia ben chiaro il limite solo dimostrativo e di protesta dell'"attentato" [cioè, in assenza di rischi prevedibili per le persone], possano essere autorizzate tenuto conto dell'oggetto giuridico dei reati in materia di armi e di esplosivi e del fatto che la "finalità di attentato alla sicurezza pubblica" rientra nel dolo specifico del reato, che non appartiene alla condotta dell'infiltrato (13) . In definitiva, ci sembra possa essere autorizzata la partecipazione ad attentati dimostrativi, quando non risulti preventivabile alcun rischio per le persone: cura particolare, ovviamente, dovrà aversi in sede di autorizzazione sui limiti dell'intervento e sulla acclarata assenza di rischi per le persone; cura dovrà esservi per l'infiltrato in sede di attuazione dell'attività, nella prospettiva del limite operativo di cui all'articolo 17, comma 6, lettera d), della legge n. 124 del 2007 [sul quale v. infra]. Va comunque notato che l'esclusione riguarda solo i "delitti": onde sarebbero scriminabili le "contravvenzioni" commesse, anche se il relativo oggetto giuridico rientrasse nell'elenco predisposto dalla norma: si pensi, per tutte, alle contravvenzioni contro l'incolumità pubblica [articolo 672 e segg. c.p.: getto pericoloso di cose, ecc.]. Per converso, sono concettualmente esclusi tra i reati autorizzabili, anche a prescindere dall'interesse tutelato, quelli colposi, in ragione del fatto che la preventiva autorizzazione [con la conseguente "previsione" in ordine alla commissione futura del reato] è incompatibile con il proprium della colpa. In secondo luogo, rileva il comma 3 dello stesso articolo 17, dove sono previste ulteriori esclusioni oggettive (14) , negandosi l'applicazione della esimente nei casi dei delitti previsti dagli articoli 255 (soppressione, falsificazione o sottrazione di atti o documenti concernenti la sicurezza dello Stato), 289 (attentato contro organi costituzionali e contro le assemblee regionali) e 294 c.p. (attentati contro i diritti politici del cittadino: ergo, le condotte violente, minatorie o ingannevoli con cui si interdice o impedisce il diritto del cittadino di partecipare alla funzione di indirizzo politico, esercitando il diritto di elettorato attivo o passivo, quello di associarsi in partiti politici, ecc.) (15) ; nei casi, ancora, dei reati in materia di prostituzione previsti dalla legge 20 febbraio 1958 n. 75; nei casi, infine, dei delitti contro l'amministrazione della giustizia, salvo che si tratti di condotte di "favoreggiamento personale o reale" indispensabili alle finalità istituzionali dei Servizi e regolarmente autorizzate, sempre che tali condotte di favoreggiamento non si sostanzino in false dichiarazioni all'autorità giudiziaria oppure nell'occultamento della prova di un delitto [non di una contravvenzione? (16) oppure in un comportamento diretto a sviare le indagini disposte dall'autorità giudiziaria. Quest'ultima previsione è indubbiamente di interpretazione criptica. Non ha molto senso, infatti, eccettuare dalle condotte autorizzabili il favoreggiamento consistente nel "rendere false dichiarazioni all'autorità giudiziaria" quando la scriminante non sarebbe comunque applicabile ai reati di falsa testimonianza (articolo 372 c.p.) e di false informazioni al pubblico ministero (articolo 371 bis c.p.). Probabilmente, la previsione riguarda le false dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria delegata dal pubblico ministero ex articolo 370 c.p.p. ovvero rese alla polizia giudiziaria che procede d'iniziativa ex articolo 351 c.p.p.. Per quanto riguarda i reati contro l’amministrazione della giustizia, vi è comunque una disciplina derogatoria rispetto a quella desumibile dal combinato disposto degli articoli 331 c.p.p. e 361 c.p.. L'articolo 23 della legge n. 124 del 2007, in deroga alle disposizioni ordinarie, prevede, al comma 6, che il personale dei Servizi abbia l'obbligo di denunciare fatti costituenti reato [solo] al rispettivo direttore, il quale, a sua volta, senza ritardo, deve informarne il Presidente del Consigliodei ministri; specificando, al comma 7, che è il direttore del Servizio o del DIS ad essere tenuto a fornire ai competenti organi di polizia giudiziaria le informazioni [ergo, in primo luogo, la notizia di reato] e gli elementi di prova relativamente ai reati di cui si sia acquisita conoscenza nell'ambito delle strutture di appartenenza, pur se tale adempimento può essere ritardato, ai sensi del comma 8, su autorizzazione del Presidente del Consiglio, quando ciò sia strettamente necessario al perseguimento delle finalità istituzionali del Sistema di informazione per la sicurezza. Ne deriva un sostanziale svuotamento dell'ambito di operatività del reato di omessa denuncia (articolo 361 c.p.), che può ravvisarsi [e non rientrerebbe tra quelli "scriminabili"] solo a carico dell'appartenente ai Servizi che abbia omesso di riferire il fatto-reato al proprio direttore ed a carico di quest'ultimo che abbia omesso di comunicare il fatto-reato così acquisito alla autorità giudiziaria [fatta salva la menzionata facoltà di ritardare l'informativa su autorizzazione dell'autorità politica]. Ancora, sempre in tema di "eccezioni" ai reati scriminabili, rileva il comma 4 dell'articolo 17 della legge n. 124 del 2007, che introduce ulteriori esclusioni oggettive, stabilendo che non possono essere autorizzate e, quindi, non rientrano nell'ambito di operatività della scriminante, le condotte previste dalla legge come reato per le quali "non è opponibile il segreto di Stato" a norma dell'articolo 39, comma 11, della stessa legge n. 124 del 2007, "ad eccezione delle fattispecie di cui agli articoli 270 bis, comma 2, c.p. e 416 bis, comma 1, c.p.". Ne deriva, giusta il disposto dell'articolo 39, l'inapplicabilità dell'esimente ai fatti di terrorismo (17) o di eversione dell'ordine costituzionale (18) ovvero costituenti i delitti di cui agli articoli 285 (devastazione, saccheggio e strage), 416 bis (associazioni di tipo mafioso anche straniere), 416 ter (scambio elettorale politico-mafioso) e 422 (strage) c.p. L'eccezione [e quindi la scriminabilità delle relative condotte] riguarda le fattispecie di partecipazione ad associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell'ordine democratico (articolo 270 bis, comma 2, c.p.) e di partecipazione ad associazioni di tipo mafioso (articolo 416 bis, comma 1, c.p.). Rispetto a tali condotte, che, per vero, non posso essere oggetto del segreto di Stato, può essere legittimamente autorizzata la partecipazione di personale dei Servizi che, quindi, possono avvalersi della scriminante. ( 2° parte......) |
(1) Su tale qualificazione, cfr., tra i tanti, E. BIANCO, Approvata dal Parlamento la Riforma dei Servizi. Così è cambiata l’intelligence in Italia, in questa rivista, n. 3/2007.
(2) Sul punto, v. anche F. MARENGHI, Commento all’articolo 17 della legge 3 agosto 2007 n. 124, in Legisl. pen., 2007, p. 722 e segg.. (3) Ci sia consentito rinviare, soprattutto con riferimento alla figura dell’“agente provocatore” in materia di stupefacenti, a G. AMATO, Stupefacenti. Teoria e pratica, sesta edizione, Laurus Robuffo, 2006, p. 417 e segg.. (4) Basti pensare, per tutte, dopo l’“acquisto simulato di droga” di cui all’articolo 97 del d.p.r. n. 309 del 1990, alle azioni simulate previste dall’articolo 12 quater, commi 1 e 2, del decreto legge 8 giugno 1992 n. 306, convertito nella legge 7 agosto 1992 n. 356, in materia di riciclaggio e di reimpiego di capitali illeciti e in materia di armi, munizioni ed esplosivi ovvero a quella prevista per contrastare i reati di terrorismo dall’articolo 4 del decreto legge 18 ottobre 2001 n. 374, convertito nella legge 15 dicembre 2001 n. 438. (5) Sul novum introdotto dalla legge n. 146 del 2006, cfr. G. AMATO, Se l’agente provocatore entra nel processo, in questa rivista, n.2/2007, p. 101 e segg. (6) Cfr. A. AURICCHIO, Riunite le norme delle operazioni sotto copertura, in Guida al diritto, 2010, fasc. 39, p. 60 e segg. (7) Valorizzando il dato normativo contenuto nell’articolo 2, comma 2, della legge n. 124 del 2007, in forza del quale l’AISE e l’AISI sono definiti “Servizi di Informazione per la sicurezza”, A. CISTERNA, Agenti segreti. Le garanzie previste dalla legge, in questa rivista, n. 4/2007, ritiene che le attività scriminabili debbano essere attività qualificate dalla finalità della “raccolta di informazioni” ritenute necessarie per garantire la sicurezza nazionale, onde non rientrerebbe nell’ambito della causa di giustificazione la commissione di fatti di reato nell’ambito di operazioni di “mera sicurezza interna od esterna”, svincolate dall’esigenza della raccolta di informazioni. Ci sembra, peraltro, che l’apprezzamento dei compiti istituzionali delle due Agenzie, come dettagliati negli articoli 6 e 7 della legge n. 124 del 2007, autorizza una lettura meno restrittiva, offrendo spazi per attività squisitamente di sicurezza pur se non immediatamente qualificate dall’esigenza informativa [cfr., esemplificando, l’articolo 6, commi 2, prima parte, e 3, nonché l’articolo 7, comma 2, seconda parte]. (8) Cfr., tra le tante, Cassazione, Sezione IV, 22 settembre 1999, Lenza; Sezione VI, 6 luglio 1990, Carpentieri. (9) Per utili spunti, cfr. Cassazione, Sezione IV, 29 maggio 2001, Tomassini ed altri; Sezione VI, 3 dicembre 1998, Carista ed altri. (10) A. CISTERNA, cit., sostiene esattamente che la preclusione legislativa si fonda sulla valutazione di “intangibilità” dei beni giuridici, onde si è in presenza di una indicazione meramente ricognitiva alla luce del “nucleo duro” dei princìpi costituzionali di tutela della libertà, integrità e dignità umana. (11) Cfr. R. BRICCHETTI-L. PISTORELLI, “Garanzie funzionali agli 007”, in Guida dir., 2007, fasc. 40, p. 62. (12) Cfr. Cassazione, Sezioni unite, 24 giugno 1998, Kremi. (13) A ben vedere, proprio la carenza del dolo specifico, farebbe sì che la condotta dell’infiltrato, autorizzabile nei sensi sopra indicati, rientrerebbe nel paradigma normativo dell’articolo 703 c.p., che, in quanto contravvenzione, come si dirà nel testo infra, non vede limiti all’autorizzabilità (cfr. Cassazione, Sezione I, 22 settembre 2006, Ponticelli ed altri, che fonda la distinzione tra il delitto di cui all'articolo 6 della legge 2 ottobre 1967 n. 895 e la contravvenzione disciplinata dall'articolo 703 c.p. proprio sull’elemento soggettivo). (14) Cfr. A. CISTERNA, cit., secondo il quale la valutazione di particolare gravità dei fatti eccettuati dall’ambito di operatività della scriminante discende non già direttamente dalla “tassonomia costituzionale”, come nell’esclusione di cui al precedente comma 2, ma da un meccanismo di discrezionalità legislativa assolutamente insindacabile che, anzi, non esclude interventi o addizioni legislative per il futuro. (15) Va focalizzata l’attenzione su tale ipotesi di esclusione oggettiva, pur trattandosi di fattispecie incriminatrice pressoché priva di casistica giurisprudenziale, per sottolineare come la tecnica del legislatore non spicchi per chiarezza e coerenza: l’indicazione tassativa dell’articolo 294 c.p., infatti, lascia fuori dall’ambito eccettuativo dell’esimente fattispecie che con questa presentano significativi momenti di contatto, tanto da porre problemi di rapporto di specialità ex articolo 15 c.p., quali alcune fattispecie incriminatici previste in materia di elezioni, in particolare dal d.p.r. 16 maggio 1960 n. 570, che pure mirano a tutelare il diritto di elettorato del cittadino. (16) In questo senso, cfr. R. BRICCHETTI- L. PISTORELLI, cit., p. 63, non comprendono la ragione che abbia consigliato il legislatore a distinguere tra le prove di un delitto e quelle di una contravvenzione. (17) Per la nozione di “terrorismo” e di “fatto terroristico”, occorre avere riguardo all’articolo 270 sexies c.p., che, dopo avere definito terroristiche le condotte che, per la loro natura o contesto, possono arrecare grave danno ad un Paese o ad un’Organizzazione Internazionale e sono compiute “allo scopo di intimidire la popolazione o costringere i poteri pubblici o un’Organizzazione Internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto o destabilizzare o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali di un Paese o di un’Organizzazione Internazionale”, rinvia, per una compiuta qualificazione, [anche] agli strumenti internazionali vincolanti per l'Italia e, in tal modo, introduce un meccanismo idoneo ad assicurare automaticamente l'armonizzazione degli ordinamenti degli Stati facenti parte della comunità internazionale in vista di una comune azione di repressione del fenomeno del terrorismo transnazionale. Ne consegue che, a seguito della integrazione della citata norma da parte della Convenzione internazionale di New York per la repressione del finanziamento, ratificata dall'Italia con la legge 14 gennaio 2003 n. 7, costituiscono atto terroristico anche gli atti di violenza compiuti nel contesto di conflitti armati rivolti contro un obiettivo militare, quando le peculiari e concrete situazioni fattuali facciano apparire certe ed inevitabili le gravi conseguenze in danno della vita e dell'incolumità fisica della popolazione civile, contribuendo a diffondere nella collettività paura e panico: cosicchè, per esemplificare, non può dubitarsi della natura terroristica degli attentati dinamitardi e delle azioni dei cosiddetti kamikaze compiuti in luoghi affollati dalla popolazione civile, pur se indirizzati contro obiettivi militari, nel corso di un conflitto armato (Cassazione, Sezione V, 4 luglio 2008, Ciise ed altri; nonché, Sezione I, 11 ottobre 2006, PG in proc. Bouyahia Maher ed altri). (18) Per la nozione di “eversione dell’ordine democratico”, a seguito dell’interpretazione autentica fornita dall’articolo 11 della legge 29 maggio 1982 n. 304, ci si riferisce all’“ordinamento costituzionale”, cioè a quei princìpi fondamentali che formano il nucleo intangibile destinato a contrassegnare la specie di organizzazione statale secondo la Costituzione, come, ad esempio, il principio del metodo democratico ovvero le garanzie dei diritti inviolabili, sia del singolo che delle formazioni sociali (articoli 1-5 della Costituzione): di conseguenza, il significato di “eversione dell’ordine democratico” non può limitarsi al solo concetto di “azione politica violenta”, finendo in questo modo per rappresentare sostanzialmente un’endiadi della finalità di terrorismo, ma deve necessariamente identificarsi nel sovvertimento dell’assetto costituzionale ovvero nell’uso di ogni mezzo di lotta politica che tenda a rovesciare il sistema democratico previsto dalla Costituzione, nella disarticolazione delle strutture dello Stato o, ancora, nella deviazione dai princìpi fondamentali che la governano. In questa prospettiva, la violenza non è un elemento indispensabile dell’eversione, giacchè ciò che deve sempre sussistere è la finalizzazione dell’azione verso l’obiettivo eversivo, derivandone che deve ritenersi finalizzata all’eversione dell’ordine democratico ogni azione, violenta o non violenta, che mira a ledere “i princìpi fondamentali che governano il sistema democratico” (Cassazione, Sezione II, 17 settembre 2008, Fabbretti ed altri). |