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GNOSIS 1/2011
I flussi dall'Italia e per l'Italia

150 anni di migrazioni


Maria Immacolata MACIOTI

Foto da www.filet.info/

Un fenomeno complesso, quello delle migrazioni, che in passato si è legato al nomadismo, alla ricerca di nuovi pascoli, all’esplorazione così come alla fuga da guerre e carestie.
Motivi tutti che ritroviamo, accresciuti, nelle migrazioni ottocentesche e, in qualche modo, in quelle contemporanee. Sono state determinate da ragioni di espulsione dai paesi di origine così come da fattori di attrazione messi in essere dai paesi di arrivo. Il contributo della Macioti offre una ricostruzione dei flussi migratori che hanno accompagnato la crescita del nostro Paese a partire dall’Unità.
Un contributo, questo, per consegnare al lettore quel minimo di comuni conoscenze storiche dalle quali non si può e non si deve prescindere per una comprensione del presente così drammaticamente complesso e delicato.


Le migrazioni degli italiani: una costante

Difficile parlare in modo esauriente delle migrazioni italiane e di quelle verso l’Italia nello spazio di un breve intervento. Tuttavia penso che si possano ricordare, quantomeno, alcuni tratti salienti. In primo luogo va sottolineato che la storia italiana è stata sempre percorsa da migrazioni. Che le migrazioni hanno sempre informato, plasmato la storia italiana. Già durante il Medioevo e il Rinascimento, italiani migravano per cercare fortuna, per lavoro. Ma anche per motivi religiosi, per necessità militari, sociali. Tutti noi ricordiamo l’apporto dei mercanti italiani, che percorrono polverose, impervie vie incerte verso la Francia, verso l’Olanda e le Fiandre, verso Londra, sfidando rischi, vivendo con difficoltà il distacco dalle famiglie. Ponendo a rischio la vita. Ma potendo poi, al ritorno, portare con sé merci, ricordi, capacità, saperi un tempo ignoti. La figura del mercante padre di Francesco d’Assisi può essere, al riguardo, emblematica.
Nell’Ottocento gli italiani segnalati altrove sono soprattutto artisti o girovaghi; prestigiatori e indovini, suonatori di organo (questi vengono soprattutto da un paese della Calabria). Hanno con sé animali addestrati, bambini che chiedono l’elemosina. Molti fuggono dalle tante guerre in corso. Raggiungono Parigi e Londra (troviamo tracce nei nomi di origine italiana di alcune vie), ma anche la lontana NY (1) . Cambia il mondo intorno a loro: finito anche in Italia il periodo della prevalenza di una società agricolo artigianale, ci si avvia, sia pure con forti ritardi rispetto al resto dell’Europa, verso un mondo industrializzato. Che spezza l’immobilismo, che induce partenze, viaggi.


A partire dall’Unità d’Italia

L’Unità d’Italia, dal punto di vista delle migrazioni, comporta varie diversità rispetto agli anni precedenti: cambiano infatti i confini. Mutano altresì i mezzi di trasporto. Non solo, ci si pone ormai il problema di una politica migratoria unitaria: nascono i censimenti, con ritmo decennale. Cominciano ad esistere i passaporti (2) . Si fa strada l’idea che sia possibile intervenire sui flussi degli italiani che lasciano il paese in cerca di fortuna. Dapprima, si interviene cercando di contrastare gli esodi. Poi, di regolarli, avendone magari in cambio vantaggi (3) . Quindi si fa strada l’idea che forse i flussi vadano anche tutelati.
Le migrazioni possono essere verso città italiane, verso zone, regioni più ricche o più avanzate dal punto di vista dell’industria nascente. Essere cioè ‘regionali’: e flussi di questo tipo hanno interessato tutte le regioni italiane, hanno visto migrazioni dal nord-est alle zone del nord-ovest d’Italia, oltre che dal sud al nord. Oppure, può trattarsi di flussi di tipo continentale: diretti, quindi, verso un altro paese europeo. Sono, queste, migrazioni in atto già da tempo. La diversità consiste nel fatto che ora, a partire dal 1876, le migrazioni possono essere maggiormente conosciute; che esistono cioè dati in merito o, quanto meno, stime a riguardo (4) . Base per ulteriori valutazioni, interventi. Non sono queste, di regola, migrazioni particolarmente traumatiche: hanno spesso carattere consuetudinario, stagionale.
Dai primi del ‘900, invece, la situazione cambia radicalmente con le migrazioni transoceaniche. Le distanze sono infatti notevoli, il distacco è più duro, i ritorni meno frequenti, più difficili. I rischi, forse maggiori. Comunque, spinti dalla necessità, attratti dal miraggio di paesi ricchi, dove sarà facile – si sente dire – trovare lavoro e terre, gli italiani che partono dal 1876 al 1975 sono in circa 13 milioni e mezzo verso altri paesi europei (5) . Ma partono altresì, numerosi, verso le Americhe: sono circa 11 milioni e mezzo. Stati Uniti, Argentina, Brasile sono tra le principali mete. Più contenuti invece i flussi diretti verso il Cile e il Perù, verso il Venezuela e l’Uruguay (6) .


Linee politiche, tutela dei migranti italiani

a. La politica
Inizialmente la politica del Regno d’Italia è quella del contenimento delle partenze. Nuove norme cercano di contrastare gli abbandoni del paese: servono, per espatriare, denari dimostrabili. Per il viaggio, per le prime spese, una volta all’estero. Vengono guardati con sospetto (non senza qualche ragione) gli ‘agenti di emigrazione’: persone di regola pagate dalle compagnie di navigazione che fanno il giro dei paesi per vantare la convenienza di certi viaggi, le risorse promettenti dei paesi di arrivo, la possibilità di trovare buoni lavori, terre fertili. Vendono viaggi transoceanici in cambio di sogni: sono oggi numerosi i racconti di italiani che si trovano su navi ben diverse da quelle illustrate, navi che hanno atteso magari per giorni, nel porto di imbarco, consumando già parte dei soldi messi da parte per l’arrivo.
È del 1873 la circolare Lanza, con cui si danno istruzioni ai sindaci perché neghino il passaporto ai giovani in età tale da dover fare ancora il militare, ai militari che ancora non hanno un congedo definitivo. Altre categorie escluse: gli inabili e coloro che sono privi di mezzi. La circolare resta in vigore per tre anni.
C’è dibattito, ci sono opinioni contrastanti nel Paese, dove si è divisi in merito alle emigrazioni. Queste sono decisamente mal viste dai proprietari terrieri che paventano il restringersi della manodopera, il prevedibile, relativo aumento dei salari. Sembrerebbero invece più favorevoli gli imprenditori, non scontenti nei confronti di un ricambio della manodopera. Nel 1888 viene promulgata la legge Crispi, la prima dedicata all’emigrazione. Si tratta di una legge che, di nuovo, cerca di limitare le partenze. Però nel contempo riafferma la possibilità, la liceità del partire.
Quindi, ai primi del Novecento, la legge Luzzatti: importante perché qui, per la prima volta nella storia del paese, si prevede un piano organico di assistenza e tutela alla emigrazione, attraverso la nascita di un Commissariato Generale dell’emigrazione, che sarà alle dipendenze del Ministro degli Esteri. Si tratta di una legge unanimemente ritenuta, dagli studiosi del fenomeno, di grande rilievo. Cambia, insieme, l’atteggiamento verso le migrazioni: Luigi Einaudi è tra i primi a parlare dei vantaggi che possono derivare al paese dalla realtà degli italiani che vivono, che lavorano all’estero. Dei vantaggi di una ‘Grande Italia’.

b. La Chiesa e le sue istituzioni
Interviene a tutela dei migranti italiani anche la Chiesa cattolica. Che da sempre si è assunta, per quanto possibile, la tutela dei propri figli messi a rischio di perdere la fede in paesi stranieri, tra persone di diverse credenze. Tanto più che in certi casi si ha a che fare con esuli dagli stati pontifici, pronti quindi ad una propaganda antipontificale (ad esempio, in Brasile). Mentre in altri casi bisogna tutelare i cattolici italiani dall’ambiente protestante: ad esempio, in Germania (7) .
Ora però, tra l’Ottocento e i primissimi del Novecento, il compito si è fatto più gravoso per l’ampliarsi del fenomeno, per le tante necessità pratiche dei migranti, che sono, a volte, a rischio di sopravvivenza. Provvidenzialmente sorgono, in questo arco di tempo, alcune luminose figure che si impegneranno in particolar modo in quest’opera di soccorso: in primo luogo, monsignor Giovanni Battista Scalabrini, fondatore della Congregazione dei Missionari di S. Carlo (1887), i cui sacerdoti saranno presenti negli Stati Uniti e in America Latina, oltre che in Europa e altrove. Apriranno scuole, fonderanno chiese. Col tempo, biblioteche e riviste (8) .
Ancora, va ricordata la figura di Madre Francesca Saverio Cabrini, che a partire dal 1889 opera, con le sue suore, in favore degli emigrati italiani a New York, dove vengono fondati un ospedale, una scuola. Da New York si espanderanno anche altrove, sempre arrecando aiuto nel campo scolastico e sanitario.
Infine va ricordato il vescovo di Cremona, Geremia Bonomelli, che si assume compiti di tutela dei migranti italiani in Europa e nei paesi del Mediterraneo (9) . Fonda infatti l’Opera dei migranti, che si impegnerà in questo arduo compito, mentre Bonomelli verrà trasferito, nel 1908, a Milano.
E ancora, ricorda Matteo Sanfilippo, da ricordare è la figura dell’internunzio Gaetano Bedini. Ma è evidente che la tematica va affrontata in senso più ampio: ed ecco che già nel 1914 si decide di aprire in Roma un Pontificio Collegio (sarà poi effettivamente realizzato nel 1920), cui sarà demandata la formazione del clero che dovrà occuparsi dei migranti. Ma nel ventennio fascista le attività cattoliche sono a rischio, lavorano a ritmo ridotto. Alcune istituzioni significative per l’operato in questo settore vengono chiuse, come accade ad esempio all’Opera Bonomelli in Francia. Particolarmente in difficoltà appaiono poi le missioni oltreoceano, dove vi è chi favorisce la fascistizzazione della comunità italiana, mentre altri, magari più giovani sacerdoti si oppongono. Tutto ciò comporta una oggettiva perdita di forza e di spazi, a favore dei consolati (10) .
Poi però, nel 1944, Pio XII istituisce la Pontificia Commissione Assistenza Profughi (diverrà poi Pontificia Opera Assistenza): tra il 1945 e il ’48 saranno da questa soccorsi quasi mezzo milione di profughi. Nel ’49 si riapre il Pontificio Collegio per l’Emigrazione, che verrà affidato agli scalabriniani, nel 1951 si apre a Roma la Giunta Cattolica per l’emigrazione. Nel 1952 si avrà, inoltre, la costituzione Exsul Familia che reca nuove norme per l’assistenza ai migranti. Sottolinea il diritto all’emigrazione ma anche quello dei migranti a preservare una certa autonomia culturale, a non essere subito assimilati. Si sollecita inoltre lo scambio tra esponenti del clero, in modo che ci sia maggiore avvicendamento, diverse provenienze anche al loro interno.
Sarà Giovanni XXIII a ricordare poi l’importanza dell’identità dei migranti, Paolo VI, avrà il compito di continuare e chiudere l’opera del predecessore, approfondirà a sua volta le tematiche migratorie.
Ma nel frattempo molte cose sono mutate nello scenario internazionale: a fine anni ’70 è ormai evidente che gli italiani che continuano ad emigrare sono di meno degli immigrati in Italia. Chiude quindi nel 1973 il Pontificio Collegio, mentre molte iniziative prima rivolte ai flussi italiani si convertono in azioni a favore degli immigrati in Italia (11) .
Oggi, nell’ambito del mondo cattolico, la Caritas internazionale e le Caritas locali (ad esempio, la Caritas diocesana di Roma) sono tra gli enti cattolici che maggiormente tutelano gli immigrati, che si sforzano di conoscere e di far conoscere la consistenza dei flussi, le loro necessità. Spesso, in accordo con la Fondazione Migrantes.

c. Una tutela laica
Esistono però anche enti laici che cercano di tutelare i migranti. A questo proposito va ricordata certamente la Società Umanitaria (Milano) che si interessa di assistenza e informazione sui mercati del lavoro all’estero, di educazione alle regole dell’ingaggio, di mettere a contatto i lavoratori con le organizzazioni locali di tutela. Nel 1907 l’Umanitaria apre una Casa degli emigranti presso la stazione: passano da lì migliaia di persone (12) .
Esiste, del resto, anche un ruolo dei sindacati, al riguardo. La Confederazione Generale del Lavoro, nata nel 1906, da subito si interessa ai flussi di emigrazione. Tanto più che ben presto si evidenzieranno, da parte dei paesi meta di flussi migratori, delle forti restrizioni: già a partire dalla prima guerra mondiale. Tutti i paesi infatti cercano di chiamare a sé i migranti ritenuti più idonei. Di respingere quelli meno desiderabili (13) .
L’America si è mossa in questa direzione già dagli ultimi decenni del 1800. Applicano politiche di restringimento Brasile (14) e Argentina (15) .


Una pessima fama

Sia le grandi migrazioni italiane ottocentesche che quelle dei primi decenni del Novecento riguardano soprattutto italiani senza grande preparazione professionale né scolastica. Esisteva anzi un forte problema di analfabetismo e, comunque, anche quegli italiani che, oltre al dialetto, conoscevano la propria lingua abbastanza da leggere e scrivere, non conoscevano in genere altre lingue europee, quelle in uso nei paesi di maggiore emigrazione, da cui ulteriori problemi. Da parte italiana non si comprendevano sempre al meglio le istruzioni lavorative, i termini dell’ingaggio. Si subivano condizioni capestro. Da parte degli autoctoni si rafforzavano stereotipi anti italiani: questi erano definiti dalla stampa locale USA per lo più come mafiosi, persone poco pulite (spesso, si dormiva in locali provvisori, privi di bagni e di ogni confort), turbolente e pronte alla rissa. A loro si addebita la supposta insicurezza nei paesi di arrivo. Mangiatori di spaghetti, beoni, analfabeti, rissosi: sono tratti che accompagnano a lungo le migrazioni italiane.
Se si attirano flussi migratori, magari con il sistema di viaggi pre-pagati, gli italiani sono in fondo alla lista. Eppure, nonostante le tante difficoltà iniziali, i migranti italiani riescono a poco a poco a migliorare la propria immagine, a farsi apprezzare, a salire la scala sociale; tanto che oggi, in Francia come negli USA, in Brasile o in Sudafrica gli italiani fanno ormai pienamente parte della più ampia società di cui sono diventati rilevanti cittadini. Ma si è trattato di un duro percorso, costellato di ingiustizie subite, di vinti (16) . I flussi migratori italiani, negli anni, si sono guadagnati un po’ ovunque rispetto e accettazione: così come è occorso ai migranti di oggi. Che pagano duramente le speranze di migliorare la propria vita e quella dei familiari. Ma che con il tempo riescono in genere, nell’insieme, a dare buona prova di sé, a inserirsi nella società italiana, a farsi accettare sempre di più come presenze stabili, essenziali ormai per il Paese.


Il secondo dopoguerra

Se già prima i flussi migratori apparivano complessi, gli anni del secondo dopoguerra vedono uno scenario di gran lunga più disomogeneo. Su piano generale, in Europa c’è un enorme problema di ricollocamento di migliaia di persone. Sono i profughi studiati da Silvia Salvatici, da Raoul Pupo, da Guido Crainz e da altri storici (17) . Sono i sopravvissuti ai campi di sterminio, già oggetto di migrazioni forzate, costretti in situazioni di inedia e fame, posti a rischio della vita. Hanno vissuto da vicino la deportazione, la morte di parenti e amici. Escono stremati dai lager. La gestione dei loro ritorni non è facile: vi sono gruppi che chiedono il rimpatrio (ad esempio, gli IMI, gli italiani militari fatti prigionieri e portati nei campi in Germania e Polonia). Altri che non hanno più una patria cui tornare. Altri ancora che non intendono tornare nei paesi di provenienza, paesi a suo tempo travolti da ondate razziste, in cui la delazione li ha portati in cattività. Una materia difficile, scottante, che assorbe tempo, energie, che chiama in causa diverse competenze e che richiede nuovi strumenti giuridici. Tanto che la Convenzione di Ginevra per i rifugiati (1951) detta il principio di ‘non refoulement’ per chi sarebbe a rischio della vita, in caso di rimpatrio. Stabilisce a chi debba essere riconosciuto lo status di rifugiato (18) .
Continuano intanto le migrazioni italiane, nel secondo dopoguerra. Siamo in piena “guerra fredda”, così la Chiesa, molto presente tra gli emigrati italiani come poi lo sarà tra gli immigrati in Italia vive, del resto, in accordo sostanziale con la politica governativa, un forte impegno anticomunista. Tratto fondamentale, in un periodo in cui sono in cerca di spazi tanti profughi dall’Est europeo, in cui cercano una nuova legittimità in Italia e altrove molti ex fascisti, ma anche ex nazisti, persone già collaborazioniste ecc..
Gli anni ’60 del Novecento sono già diversi; riprendono le migrazioni interne (19) , laddove i migranti rappresentano un serbatoio di manodopera mal pagata, che viene di regola confinata nelle periferie delle grandi città. Intanto, però, si apre il Concilio Vaticano II, si parla di ‘popolo di Dio’, di ‘comunità di base’. Giovanni XXIII prima e poi Paolo VI parleranno di rispetto dell’identità dei migranti, approfondiranno queste tematiche: ma ormai le grandi migrazioni italiane si sono esaurite (20) . L’Italia, che ha saputo riprendersi dalla situazione catastrofica del dopoguerra, è ormai diventata, prevalentemente, méta di immigrazioni. Un paesaggio, quindi, drasticamente mutato rispetto a quello dei primi ottant’anni dell’Unità del Paese.


Verso l’Italia

Singoli gruppi di migranti giungono in Italia già in precedenza: ma sarà il censimento del 1980 a chiarire il forte mutamento occorso in Italia, dove ormai ci sono consolidate presenze di immigrati. Giunti, soprattutto, inizialmente, dal Nord Africa. Sono per lo più uomini soli, desiderosi di trovare un lavoro, di inviare denaro alle famiglie. Data la vicinanza, si ritorna, almeno tendenzialmente, nei paesi di origine. Tra le donne, le prime immigrazioni riguardano, oltre le ex colonie, il Capoverde e le Filippine. Donne quindi per lo più cristiane, che vengono assorbite nel mercato del lavoro come domestiche o nella cura degli anziani.
Gli uomini invece, oltre che nell’edilizia e nei servizi, cercano di lavorare in proprio, come ambulanti, nelle vie e nelle piazze di paesi e città, nei mercati, sulle spiagge. Noti e bravi venditori sono i senegalesi, di regola accolti sotto gli ombrelloni, mentre mostrano vesti multicolori, stoffe, tappeti.
Inizialmente l’Italia è presa alla sprovvista da questo fenomeno che vede flussi migratori in arrivo piuttosto che non in partenza (21) .
La prima legge arriva solo nel 1986: riconosce parità di diritti, ma solo ai lavoratori dipendenti. Non, quindi, al lavoro autonomo: per questo, bisognerà attendere la legge 39 del 1990 che ha anche un altro merito: abolisce (cosa già richiesta da molte associazioni) la ‘riserva geografica’ con cui l’Italia accoglieva i rifugiati.
Da ora in poi questi potranno essere riconosciuti dallo stato italiano anche se giunti da fuori Europa: un’ apposita Commissione vaglierà caso per caso. Se otterranno la qualifica, i rifugiati potranno restare in Italia e cercarsi lavoro, senza la necessità di rinnovo del permesso in maniera troppo ravvicinata.
Anche in Italia si verificano gli stessi fenomeni che si erano avuti altrove nei confronti dei migranti: si temono invasioni, ondate migratorie eccessive. Cominciano i polacchi, che giungono in tanti ai tempi di Papa Giovanni Paolo II. Poi sarà il turno degli albanesi che arrivano spinti dalla povertà ed attirati in Italia dalla vicinanza, dai programmi della televisione italiana, che mostrano un Paese ricco, dalla vita piacevole; si tratta ormai di migranti economici.
Altri flussi giungono in Italia. Dove, dopo un periodo in cui si parla dell’importanza dell’intercultura, dove si ipotizzano persino soggiorni per cercare lavoro, laddove si abbia uno sponsor (L. 40 del 1998), il clima è mutato. Ormai le provenienze si sono moltiplicate, le vicende internazionali spingono alle migrazioni molti profughi dai Balcani (1999) (22) ma anche popolazioni orientali lontane dall’Italia. L’Europa tende a difendere le proprie frontiere, a selezionare i flussi in arrivo. E la progressiva maggiore difficoltà di ingresso rende più difficili anche i percorsi dei richiedenti asilo, che in parte devono ricorrere al traffico illegale.
Sarà la ‘Bossi-Fini’ del 2002 ad imprimere una svolta dando la possibilità del permesso di soggiorno solo agli extracomunitari che abbiano un contratto di lavoro (23) .
Molti sono oggi gli immigrati inseriti nel mercato del lavoro e nella società italiana che contribuiscono ad alzare il tasso di natalità e il prodotto nazionale lordo in quanto persone che lavorano e vivono in contesto italiano, fanno acquisti, aprono conti correnti, fanno operazioni bancarie.
È sempre difficile imparare dal passato ma le vicende dei migranti italiani dell’Ottocento, della prima metà del Novecento ci inducono a guardare con una certa fiducia alla convivenza con i migranti di oggi, al loro inserimento, nell’ambito lavorativo ma anche culturale e sociale. Da valutare, anche con attenzione, i suggerimenti della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato della Repubblica nel cui Rapporto conclusivo si propone anche il riconoscimento della cittadinanza per i minori che siano nati e cresciuti in Italia.
Fondamentale, dunque, guardare ai nostri 150 anni di storia per poter cogliere spunti di riflessione su una realtà che rischia, oggi, ‘dimensioni bibliche’.


(1) Cfr. M. Porcella, Dal vagabondaggio all’emigrazione. Dall’Appennino all’East Coast, «Studi Emigrazioni», 138, pp. 295-328. Sulle migrazioni italiane anche in epoche precedenti cfr. di D.R. Gabaccia, Emigranti. Le diaspore degli italiani dal Medioevo a oggi, Torino, Einaudi, 2003.
(2) Cfr. al riguardo Maddalena Tirabassi e Patrizia Andenino, in Migrazioni di ieri e di oggi. Atti del convegno Ellis Island, Italiani d’America, tenutosi a Roma, Casa della memoria e della storia, 19.1.2009.
(3) Noti i patti con il Belgio, che prevedono carbone in cambio di braccia italiane ida impiegare nelle miniere.
(4) Le autrici ricordano come ad es. il Lazio assuma in sé territori dello Stato pontificio e parte del Regno delle due Sicilie, il che rende più complessi i conteggi.
(5) Meta privilegiata, per vicinanza e consuetudine, la Francia (da sola, assorbe circa 4 milioni di italiani). Ma migranti italiani vanno anche verso il Belgio e la Germania, verso la Svizzera e la Gran Bretagna: come ci ricordano molti studi, ma anche un’ampia produzione letteraria.
(6) In vari di questi paesi ho condotto ricerche per il Ministero degli Affari Esteri e la CGIE, Consiglio Generale Italiani all’Estero. Cfr. il testo Giovani oltre confine, uscito a cura di Caltabiano e G. Gianturco (Carocci, Roma 2005). Già nell’800 si erano avute più contenute partenze verso le Americhe, anche in relazione alle lotte risorgimentali: partivano quelli che oggi chiameremmo ‘richiedenti asilo’ o ‘rifugiati’, ad esempio garibaldini (cfr. E. Franzina, M. Sanfilippo, Garibaldi, i Garibaldi, i garibaldini e l’emigrazione, in «Archivio Storico dell’emigrazione italiana», 4, I, pp. 23-52. Già nella seconda metà dell’Ottocento un quarto della popolazione di Montevideo è di origine italiana.
(7) Dedica a questo tema il suo intervento dal titolo La Chiesa cattolica tra gli emigranti italiani pubblicato in Migrazioni di ieri e di oggi, cit., Matteo Sanfilippo.
(8) Uno dei maggiori apporti cattolici allo studio delle migrazioni italiane viene dagli scalabriniani, cosiddetti dal nome del fondatore. Importante la loro sede a New York, ma anche quelle di Parigi e altrove. Alla sede di Roma attiene la rivista «Studi emigrazione», fonte di notizie e riflessioni in merito alle migrazioni di ieri e di oggi. Una importante sede scalabriniana è anche a Città del Capo; lì i sacerdoti si sono adoperati in favore degli immigrati provenienti dallo Zimbabwe, accolti nei primi anni 2000 con uccisioni e stragi da una popolazione impoverita e spaventata.
(9) Vi era stata, nel frattempo, una certa emigrazione italiana, soprattutto nel Nord Africa. Cfr. i testi, entrambi della Guerini di Milano, di G. Gianturco e C. Zaccai, Italiani in Tunisia (2004) e, di M.I. Macioti e C. Zaccai, Italiani in Sudafrica (2006).
(10) Sanfilippo ricorda alcuni scandali per malversazioni finanziarie, che ridurranno notevolmente la credibilità del clero.
(11) Cfr. di Enrico Pugliese, L’Italia tra migrazioni internazionali e migrazioni interne, il Mulino, Bologna 2002.
(12) Quasi 92mila passaggi nel 1911, ricordano la Tirabassi e l’Andenino (saggio cit.).
(13) V, il Chinese Imation Act del 1885, il test in lingua francese e inglese previsto a partire dal 1919, l’Empire settlement Act del 1922, che promuove l’ingresso da paesi del Commonwealth e ancora, nel 1931, l’emendamento per cui si prevedono ingressi di nord americani e britannici.
(14) Il Brasile degli anni ’30 impone un sistema di quote simile a quello in vigore negli USA. Si decide inoltre che nelle imprese le assunzioni dovranno essere ai 2/3 di brasiliani. Noto il fatto che gli italiani vanno inizialmente in Brasile per sostituire gli schiavi, resi liberi dalla celebre Legge del ‘ventre libero’: i figli di schiavi non sarebbero stati più schiavi.
(15) In Argentina c’è un sistema di viaggi prepagati, da cui di regola gli italiani sono esclusi. Se inclusi, lo sono con tariffe bassissime rispetto ai nord europei.
(16) Le canzoni dei migranti ricordano il dolore del distacco dai propri cari, i viaggi in condizioni disagiate, costretti come si era ad una convivenza forzata con centinaia di persone, senza spazi né nutrimenti adeguati. Ricordano lo sfruttamento subìto e anche i morti. Tra i più celebri, il caso di Sacco e Vanzetti, che ha attirato l’attenzione dell’Europa tutta. Ma in realtà il prezzo pagato dagli italiani in termini di malattie, ferite, amputazioni e morti è stato alto.
(17) Si vedano in particolare di S. Salvatici, Senza casa e senza paese. Profughi europei nel secondo dopoguerra, Bologna, il Mulino; e, uscito a cura di G. Crainz, R. Pupo, S. Salvatici, Naufraghi della pace. Il 1945, i profughi e le memorie divise d’Europa, Roma, Donzelli editore, 2005.
(18) L’Italia firma con una clausola di ‘riserva geografica’: riconoscerà lo status solo a richiedenti che provengano da paesi europei. Quindi, in pratica, dall’Est europeo. Gli altri verranno tutelati dall’UNHCR, fondato sempre nel 1961.
(19) Cfr. di Franco Ferrarotti, Roma da capitale a periferia, Roma-Bari, Laterza 1970. Il testo avrà numerose edizioni: è centrato sul tema della presenza nelle periferie romane di migranti italiani, costretti a vivere un forte disagio urbano (spesso in baracche prive di servizi, o in abitazioni fatiscenti) in situazioni di marginalità sociale. A loro viene addebitata soprattutto la devianza nella capitale. Più recentemente, una ricerca degli anni 2005-2006 nelle periferie romane evidenzia la sostituzione dei migranti italiani di allora con immigrati provenienti da più lontani paesi; cfr. F. Ferrarotti e M. I. Macioti, Periferie da problema a risorsa, Sandro Teti, ed. Roma 2009.
(20) Ciò non significa che anche oggi non esistano migrazioni italiane: queste continuano. Ma il totale dei flussi in uscita è minore di quello dei flussi verso l’Italia, a partire dalla fine degli anni ’70.
(21) Cfr. M. I. Macioti e E. Pugliese, Immigrati in Italia, Laterza, Roma-Bari, 1998 (5).
(22) Si tratta dell’operazione Arcobaleno, con soldati italiani impegnati nel soccorso dei profughi.
(23) Prevede inoltre un più ampio lasso di tempo (60 giorni) nei Centri di prima accoglienza, un restringimento nei ricongiungimenti familiari. Viene abrogato lo sponsor.

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