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GNOSIS 1/2010
LA STORIA

Dalla macchina Enigma all’Aston Martin di 007
A Washington nel Museo delle Spie


di Maria Gabriella Pasqualini


Anche i segreti quando finiscono in un museo diventano cimeli. Esistono musei che raccolgono antichità, opere d’arte, strumenti tecnologici, resti di civiltà antiche e recenti, ed esiste anche un museo che si occupa dell’intelligence o meglio delle “spie”. Si trova a Washington e la professoressa Maria Gabriella Pasqualini si è avventurata nelle sue sale ricavando dalla visita non poche sorprese. Fra fiction e realtà, il museo americano si rivela di grande interesse, sia sotto il profilo “serio”: metodi, strumenti (vedi la famosa macchina cifrante Enigma), storia (una sezione è interamente dedicata alle donne); sia per quanto riguarda la fiction: dallo 007 di Fleming con la sua famosa Aston Martin, allo Smiley di le Carré. E poiché gli affari sono affari, il visitatore ha a disposizione una serie interminabile di gadget, veri e propri pret a porter della spia, acquistabili per pochi dollari per il divertimento di molti.
(Foto da www.spymuseum.org/press/images.php)


Ben pochi sanno che al centro di Washington, nell’area degli edifici istituzionali federali, vicino ai musei dello Smithsonian, alla National Portrait Gallery, c’è un interessante International Spy Museum (1) : unico negli Stati Uniti dedicato a questo tema, cerca di fornire una visione globale su questo ‘mestiere’ che necessita di una seria professionalità, al di là dello stereotipo che si è affermato nell’immaginario collettivo. Ecco forse il vero scopo del Museo: accanto a personaggi famosi per il cinema, come James Bond, porta alla conoscenza del vasto pubblico noti e meno noti operatori dell’intelligence in tutti i loro aspetti, figure di certo non così romantiche, come il protagonista delineato dallo scrittore Jan Fleming ma che hanno spesso perduto la vita al servizio del proprio paese. Un efficace tentativo per far comprendere in cosa consista realmente l’essere una ‘spia’: quasi mai belle donne, alberghi di lusso, ma lavoro duro, rischioso in posti spesso disagiati. Non sempre poi è un lavoro ‘operativo’: spesso è routine d’ufficio, fatto d’investigazione, di analisi, di logica per riuscire a mettere insieme le notizie reperite, anche in fonti aperte, e… trovare il bandolo della matassa per dipanare la vera conoscenza di quello che sta avvenendo o può avvenire.
La caduta del Muro di Berlino, con l’implosione dell’Unione Sovietica e la fine della Guerra Fredda, ha tra l’altro permesso l’apertura di alcuni archivi d’intelligence, particolarmente interessanti, come quelli della Stasi tedesco-orientale e degli stati che aderivano al Patto di Varsavia, rivelando organizzazioni spionistiche prima sconosciute.
Sono andata a vedere questo Museo per pura curiosità e con molto scetticismo, ma devo confessare che alla fine della visita, alla quale ho dedicato più di due ore, ne sono uscita ammirata per come l’argomento è stato trattato, con discreta scientificità e aderenza ai fatti. Si tratta ovviamente di un luogo non previsto, ovviamente, per addetti ai lavori, ma di sicuro istruttivo e utile per i visitatori che si affollavano in buon numero al botteghino, decretando un grande successo di pubblico, attratto dal tema ‘segreto’; tanto più interessante il successo, perché, essendo privato, può chiedere un biglietto d’entrata non certo economico, $ 19, a chi è abituato a non pagare l’ingresso ai Musei, perché quelli federali sono gratuiti.
Il museo è ben progettato, anche didatticamente, e molto attento allo svilupparsi dello spionaggio, pur se con qualche superficialità storica, forse dettata da una necessaria sintesi. Il breve documentario, che i visitatori sono obbligati a visionare all’ingresso, spiega come in realtà, dietro alla storia che ben si conosce, vi sia un’altra storia, sconosciuta ai più. Non si può negare che l’intelligence ha avuto e ha tuttora un ruolo importante nel dinamismo degli avvenimenti, nel loro svolgersi, nei loro risultati: questo elemento è sottolineato più volte nel percorso museale, cercando anche di togliere un’aura di mistero e falsa impressione sui risvolti dello spionaggio, per far comprendere come ogni stato abbia bisogno di organizzazioni istituzionali di intelligence per poter agire, soprattutto per consentire ai propri cittadini stabilità e sicurezza. L’Intelligence è sicuramente uno degli strumenti usati dalla politica internazionale, che ha comunque degli aspetti operativi controversi…è significativo che in un pannello esplicativo venga riportata una frase che pare Kissinger abbia detto: “una azione in copertura non è un lavoro da missionario…”.
Un settore iniziale è dedicato alla storia internazionale dello spionaggio: un primo personaggio ricordato è Sun Tzu, vissuto probabilmente intorno al 500 a.C. in Cina.
Effettivamente, bisogna dire che, ancor prima di lui, in Siria gli archeologi hanno trovato tavolette che menzionavano la cattura di alcune spie: in fondo dunque un mestiere antico come il mondo… insieme ad altri, che in qualche modo, in tempi andati, si sono incrociati e confusi con quello dello spionaggio.
Sun Tzu però ha scritto un vero completo trattato sull’ Arte della guerra che viene ritenuto il primo testo conosciuto riguardante la guerra e lo spionaggio, strumento importante nella condotta di un conflitto e non solo.
Il saggio cinese scriveva, convinto che in nessun altro posto le spie fossero così utili come in guerra: … esistono agenti segreti di cinque tipi; agenti locali, agenti interni, agenti del controspionaggio, agenti letali, e agenti di sicurezza. Quando i cinque tipi di agenti segreti agiscono di comune accordo, ma nessuno conosce l’arte della loro complessiva modalità di impiego, si parla di “trama organizzativa soprannaturale”. Essa costituisce il tesoro del principe… soltanto un principe illuminato e un comandante valoroso… saranno in grado di guidare gli agenti segreti, ricorrendo alla suprema intelligenza, realizzando sicuramente risultati più eccellenti…. Dunque le prime basi di un’organizzazione spionistica offensiva e difensiva, con le accortezze del caso… (i pannelli didattici nel Museo spiegano le varie categorie di agenti e la loro specifica professionalità, iniziando così il profano alle distinzioni relative nei vari settori operativi).
È interessante ricordare, a quanto si dice, che i militari giapponesi dovettero leggere accuratamente il trattato di Sun Tzu, quando stavano pianificando l’attacco a Pearl Harbour.
L’Inghilterra è stata ed è maestra nell’arte dell’intelligence, che iniziò forse come strumento di vigilanza interna e poi poté evolversi come strumento di politica estera. Sir Francis Walsingham, ascoltato consigliere di Elisabetta I nonché segretario di Stato, fu un attento ‘sorvegliante’ della Corte e poté intercettare i segreti messaggi che Maria, regina di Scozia, inviava ai suoi fedeli, tramando contro Elisabetta che poté così mandare al patibolo la sua rivale, con prove concrete. Si dice che il consigliere avesse dichiarato che per una spia capace non vi fosse mai abbastanza denaro. Walsingham aveva studiato nella prestigiosa università di Cambridge… qualche secolo dopo i sovietici reclutarono numerosi agenti proprio in quella Università, cioè i famosi Antony Blunt, Kim Philby, John Cairncross, Donald Maclean and Guy Burgess. Personaggi di rilievo nella Londra che contava, passarono molti segreti ai Sovietici; non pochi agenti che lavoravano per l’intelligence inglese furono scoperti, arrestati e giustiziati, in base alle notizie veicolate da queste pericolose spie corrotte dall’ideologia comunista.
Tra le figure del passato, vi è anche la riproduzione di un Ninja in formato naturale: i bambini ne sono attratti e così scoprono che i Ninja erano uomini al servizio segreto dei signori feudali del Giappone… e non un’invenzione di fumettisti giapponesi contemporanei.
Sempre per il settore storia dello spionaggio, è esposta la copia anastatica di un’interessante lettera di George Washington del 4 febbraio 1777, che prevedeva una ricompensa e dava istruzioni a uno dei suoi agenti sotto copertura per ottenere quanto prima notizie su quello che il nemico, cioè gli inglesi, intendevano fare. Washington aveva una sua ben collaudata rete di informatori: ancora oggi non è stato possibile svelare il segreto su tutti i nomi dei suoi agenti.
Anche a quell’epoca vi erano doppiogiochisti o traditori, come il generale americano Benedic Arnold che chiese di essere nominato comandante di West Point, con il segreto intento di consegnare la fortezza agli inglesi. Quando fu scoperto, riuscì a sfuggire alla cattura e passò agli inglesi, che però non ebbero mai fiducia in lui, considerandolo a ragione un traditore senza onore. Destituito e privo di amici, morì a Londra nel 1801.
La sezione storica (2) , sia pur in grande sintesi, annoda le fila della storia dello spionaggio, presentando anche oggetti del tempo, o loro copie, come l’interessante codice a rullo di Leon Battista Alberti (aveva 25 dischi rotanti con le lettere dell’alfabeto, i quali davano un infinito numero di combinazioni, difficili da decifrare per l’epoca). Un sistema che è stato fondamentale per la realizzazione della macchina cifrante Enigma, usata dai militari tedeschi prima e durante la seconda guerra mondiale.
La decifrazione e la decrittazione sono sempre state di grande interesse e utilità, in guerra come in pace. Basta vedere la mole di documenti conservati nei National Archives di Washington, ad esempio, relativi alla seconda guerra mondiale e alla decifrazione di messaggi criptati, per gli sforzi effettuati da tutte le parti belligeranti allo scopo di impossessarsi dei codici segreti. La migliore conoscenza delle mosse del nemico poteva far vincere o perdere una battaglia e quindi molte forze umane e finanziarie furono destinate a questo particolare settore. Non basta peraltro decifrare un messaggio: occorre comprenderlo, analizzarne i contenuti per metterlo in relazione con quanto accaduto o in itinere: qui inizia il lavoro dei cripto analisti con una particolare professionalità nel comprendere il senso delle parole nel messaggio che, per quanto decrittato, risulta spesso incomprensibile nel suo reale contenuto o non se ne riesce a valutare la reale portata. L’attacco giapponese a Pearl Harbour del 7 dicembre 1941, che determinò l’entrata in guerra degli Stati Uniti, riuscì anche perché gli americani non ebbero, in questo caso, efficienti cripto-analisti. I giapponesi invece, con un ottimo servizio d’intelligence militare, erano riusciti a sapere esattamente come e dove si trovasse la flotta nemica. Nella battaglia delle Midway, nel giugno 1942, la situazione fu ribaltata: era stata compresa l’importanza della notizia e in genere della cripto-analisi.
Si può leggere anche il telegramma del Ministro degli esteri tedesco Zimmerman inviato al governo messicano agli inizi del 1917, nel quale offriva il Texas, l’Arizona e il Nuovo Messico, se quel governo avesse attaccato gli Stati Uniti. L’intelligence britannica intercettò e decrittò il messaggio, passandolo all’alleato di Washington, suscitandone la rabbia e la preoccupazione: poco tempo dopo gli Stati Uniti entrarono in guerra.
Un’altra sezione è dedicata alla donna-spia e bisogna dire che meritoriamente si è guardato al genere femminile non solo come ‘corpo’, ma anche come ‘cervello’, riconoscendole coraggio, intelligenza, non solo quei ‘facili costumi’, che spesso sono richiamati, soprattutto nei documenti italiani relativi all’intelligence, almeno fino agli inizi della seconda guerra mondiale, quando le donne, in particolare nella Resistenza, hanno dato un cospicuo contributo alla vittoria finale, perdendo spesso la vita.
Per quanto riguarda la guerra di Secessione, ad esempio sono ricordate nel Museo, con bei dagherrotipi d’epoca, molte donne che hanno condotto una vita ‘segreta’. Una di esse, Rose O’Neal Greenhow, ebbe un magnifico punto di osservazione nella prima battaglia di Manassas (nella Virginia Orientale) e passò notizie sulla tattica degli Unionisti ai Confederati; o Belle Boyd che fu arrestata per ben due volte come spia dei Confederati. Liberata, continuò la sua attività spionistica, nonostante fosse in serio pericolo; alla fine della guerra, sposò un ufficiale di Marina, Unionista.
Tra le figure femminili contemporanee, è ricordata Virginia Hall, che la Gestapo considerava uno degli agenti nemici più pericolosi: nativa di Baltimora, Virginia lavorò sia con l’OSS americano sia con il SOE britannico durante la seconda guerra mondiale. Aveva una radio portatile e riusciva a informare i suoi corrispondenti sui movimenti delle truppe naziste in Francia, con precisione; faceva inviare aiuti ai resistenti, rischiando quasi sempre di essere scoperta. Ebbe da Donovan, Direttore dell’OSS, la Distinguished Service Cross nel 1945, per il suo coraggio, continuando poi a lavorare per la CIA, a conflitto terminato. Non è possibile non ricordare Violette Szabò, tra quelle che ebbero una fine tragica. Violette era un’agente sabotatore paracadutata in Francia, nei giorni dello sbarco alleato per aiutare dal fronte interno l’invasione. Fu presa, torturata e giustiziata a soli 24 anni. Nella prima guerra mondiale, è ricordata fra le altre, Edith Cavell che aiutò in Germania la fuga dei soldati alleati dal Belgio occupato dai tedeschi. Le autorità tedesche l’arrestarono, la fecero giudicare da una corte marziale e la giustiziarono.
Queste tre donne non furono le sole a battersi in questo mondo di spie e sabotatori. Il Museo strizza un occhio compiacente anche a figure note al grande pubblico come ad esempio Mata Hari, cioè Marthe Zelle, di sicuro non una brava spia, se mai lo è stata veramente. Da notare che da circa due anni l’Archivio militare dell’esercito francese ha reso pubblico il dossier personale relativo alla danzatrice ‘orientale’ che orientale non era. Altro esempio ben noto, in campo femminile artistico, è quello di Josephine Baker, vera spia al servizio del Deuxième Bureau francese, che riuscì a consegnare alla Resistenza messaggi scritti con inchiostro simpatico sui suoi spartiti musicali.
Una vasta sezione è appunto dedicata agli strumenti della spia, spiritosamente chiamati the tools of trade… i ferri del mestiere. Una grande serie di vetrine è dedicata a orologi speciali, usati dalla Stasi della Germania orientale, che in realtà potevano diffondere gas letali; detonatori a forma di penna, quali ad esempio quelli forniti alla Resistenza francese durante il conflitto nel 1943-44; bottoni che nascondono un compasso o una minitelecamera; borse da medico con un’intera dotazione di strumenti [usata dalla Stasi]; semplici arnesi, come un set di chiavi e altri strumenti atti ad aprir porte senza effrazione; guanti per non lasciare traccia; portasigarette con occhi indiscreti…; set di trucchi vari con parrucche, baffi finti per eventuali travestimenti. Insomma dai più innocui strumenti a quelli letali. Ovviamente queste vetrine attraggono il pubblico perché sembrano curiosità, ma sono in realtà collezioni di oggetti veri, usati nel passato.
Così come è una curiosità che però svela alcuni ‘trucchi’ per carpire le conversazioni altrui, il grande sigillo ufficiale degli Stati Uniti, quello con l’Aquila, mostrato a suo tempo alle Nazioni Unite come prova della penetrazione sovietica negli uffici dell’ambasciatore a Mosca: infatti nell’occhio di questo emblema, appeso ad una parete dello studio del diplomatico, i sovietici avevano inserito una microspia, che era sfuggita per qualche tempo alla bonifica di quell’Ufficio.
Sempre nel settore delle intercettazioni, sono stati ricostruiti tre banchi con cuffie utili a quello scopo, dove il pubblico può sedersi e con le cuffie, scoprire come funziona il mondo dell’intelligence intercettiva: banchi presi d’assalto da grandi e piccoli per curiosità, ma che insegnano alcune peculiarità, ormai forse in disuso, della professione.
Sono molte le sezioni organizzate: tra queste, interessante è quella relativa alle spie nella cosiddetta ‘Guerra Fredda’ e nella lotta che gli Stati Uniti portarono al Comunismo. Fu un conflitto senza quartiere con molti agenti doppi o tripli. Quando nel 1949 l’Unione Sovietica fece scoppiare la sua prima bomba atomica, la comunità americana comprese che alcune spie avevano venduto al nemico del momento importanti segreti nazionali. Per mezzo di un agente sovietico passato al mondo occidentale in Canada, gli americani poterono avere notizia di un circuito di spie sul suolo patrio, le cosiddette ‘spie atomiche’, tra le quali la famosa coppia, Julius e Ethel Rosenberg, giustiziati sulla sedia elettrica. Nel 1995 la National Security Agency ha desecretato i documenti del progetto VENONA, che riguardava un programma di massima segretezza, il cui scopo era di decrittare, esaminare e sfruttare le comunicazioni diplomatiche sovietiche: in questi documenti si trovano, a detta degli esperti, le prove dei legami tra i Rosenberg e i sovietici, oltre ai nomi di tutti gli americani che fecero parte di quel circuito di spionaggio.
Uno spazio interessante è stato dato a Berlino, considerata la ‘città delle spie’, fin alla caduta del Muro nel 1989. Con una certa spettacolarità è stata ricreata l’atmosfera della Berlino occidentale negli anni della Guerra fredda, ricordando anche quanto accadeva da quando il Muro fu innalzato nel 1961, a insaputa di tutto il mondo dell’intelligence occidentale presente in forza nel settore ovest. Sono numerosi gli oggetti della Stasi recuperati dopo la caduta del Muro: tra questi anche una delle vetture che gli agenti comunisti usarono per servizio e un esemplare di quella, peraltro quasi una minicar, che aiutò molti berlinesi a passare ad ovest nascosti in un vano portabagagli. Ricreato scenicamente anche l’inizio del tunnel scavato a metà degli anni ’50 dalla CIA e dal SIS inglese verso Berlino est, allo scopo di mettere ‘cimici’ sui cavi delle comunicazioni via filo; però George Blake, un agente SIS, rivelò l’esistenza del tunnel ai sovietici, che finsero di scoprire il tutto un anno dopo il reale inizio dell’intercettazione e circa 40.000 ore di ascolto…. Blake fu poi tradito a sua volta da altri doppi agenti e fu condannato a 42 anni di prigione, un anno per quanti spie occidentali aveva compromesso; fuggì dalla prigione nel 1966 e si rifugiò a Mosca.
Una delle ultime sezioni comprende notizie, quelle ‘divulgabili’ su quanto è in atto contro il nemico attuale, il terrorismo, da qualsiasi parte esso provenga, dalla spiegazione dell’efficacia dei droni ai satelliti spia, ricordando anche con un esemplare impagliato quei piccioni che durante la guerra mondiale sorvolavano il territorio nemico con una piccola ma efficientissima macchina fotografica legata tra le zampette.


(1) Il Museo è un bel progetto, che, a parte qualche ingenuità (che però può essere notata solo da chi conosce almeno storicamente quel mondo), ha il merito intanto di raccogliere oggetti che altrimenti sarebbero andati perduti e che costituiscono un patrimonio dell’inventiva e dell’intelligenza umana; in secondo luogo di aprire gli occhi al cittadino comune sull’esigenza da sempre sentita e sulla necessità di avere istituzionalmente un simile servizio, anche a salvaguardia delle regole del vivere civile.
(2) Nel Museo questa sezione è doverosamente spiegata al pubblico, sia con pannelli esplicativi sia con l’esposizione di esemplari di macchine cifranti e decifranti, tra i quali un originale di Enigma e la cosiddetta ‘Ruota della Fortuna’, un disco rotante usato nella guerra civile americana.

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