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GNOSIS 4/2009
LUISS: La formazione delle 'eccellenze'

INTERVISTA al Vice Direttore Generale della LUISS
GIOVANNI LO STORTO


Nato a Troia (FG) nel 1970, si è laureato in Economia alla LUISS Guido Carli (Libera Università Internazionale degli Studi Sociali); dal 2008 è il Vice Direttore Generale. Analista ed esperto nel settore assicurativo è stato docente di Economia delle aziende di assicurazione. Ha ricoperto numerosi e prestigiosi incarichi tra i quali:
- Membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione per la Ricerca giuridico-economica sugli Enti no profit e le imprese;
- Membro del Consiglio di Amministrazione dell’agenzia di stampa ASCA;
- Consigliere scientifico dell’Associazione “I valori dello sport”;
- Membro del Comitato Scientifico di ‘NIKE - La rivista delle scienze politiche’;
- Consigliere Delegato della sezione Formazione e Risorse Umane dell’Unione degli Industriali e delle Imprese di Roma.<br>
Ha ricevuto il premio internazionale ‘Daunia 2006’ ed il premio ‘Argos Hippium 2008’.

A soli 37 anni Giovanni Lo Storto è stato nominato vice Direttore Generale della LUISS, Università di formazione delle “eccellenze” del domani e incubatrice culturale di tanti ragazzi in cerca di un futuro concreto.


Per capire chi è veramente Gianni Lo Storto, oggi trentanovenne, è sufficiente ascoltarlo mentre parla di “riscoperta dei valori e di riscoperta del significato delle parole coraggio e vergogna” e guardarlo negli occhi mentre si accende l’entusiasmo e brilla la consapevolezza di chi sa quello che dice per averlo provato giorno dopo giorno con la caparbietà e l’intelligenza imprescindibili “compagne” di vita.
GNOSIS ha provato a ritrovare insieme a lui le tracce di un percorso di formazione e di informazione per la conquista di un bagaglio culturale e professionale perché le “eccellenze” del domani possano validamente preparare già oggi gli embrioni del futuro.


Dopo la legge di Riforma dei Servizi di Informazione e Sicurezza, una particolare cura sarà dedicata alle aree di Selezione del Personale: è già attivo sul sito istituzionale un invito alla segnalazione dei curricula per due profili, uno sostanzialmente tecnico, l’altro per analisti. È ovvio che il bacino di attenzione è soprattutto il mondo delle Università, sia nel settore della docenza, che in quello delle “eccellenze” laureate, ma quali sono i punti di riferimento che Lei vorrebbe evidenziare come formatore delle eccellenze per la classe dirigente che verrà, quale dovrebbe essere il livello effettivo di preparazione e di cultura, che vuol dire laurearsi alla LUISS?
Il tema va proprio nel cuore delle cose che mi appassionano, per cui direi di tentare di dare una risposta che provi a sparigliare il tavolo. Laurearsi alla LUISS vuol dire – in particolare oggi – avere il coraggio di fare una scommessa con se stessi. LUISS è una Università che negli ultimi anni ha saputo cambiare moltissimo, ed il cambiamento, così come il merito ed il talento, fanno parte di una sorta di liturgia, composta da una triade di concetti da elaborare prima ancora di pensare al raggiungimento di una “formazione LUISS”: il coraggio, la paura e la vergogna. La paura, non vuol dire non aver coraggio, nel senso che la paura la prova puntualmente chi poi si dota del coraggio per affrontarla, altrimenti si avrebbe solo un atteggiamento spavaldo e probabilmente inconsapevole. Quello che manca allora oggi, in molte occasioni, è la capacità di ricominciare a provare vergogna. Nell’assunto in cui vergogna vuol dire recupero del senso della dignità. Come Sistema Paese, come società civile, dobbiamo recuperare il senso della dignità e della fierezza e noi, in questo settore, stiamo facendo tanto.

È molto interessante parlare di formazione universitaria introducendo il discorso su tre valori importanti che hanno avuto nel tempo interpretazioni diverse: tornare alla sensazione della vergogna come recupero del senso della dignità, è bello ma non sempre di immediata intellegibilità. Come pensa che il recupero di questa sorta di catarsi interiore avvenga in LUISS?
Perché noi tentiamo proprio di fare questo (tentiamo con semplicità, senza presunzione)… abbiamo lentamente spostato in questi anni, con le intuizioni che ha avuto Celli (Direttore Generale LUISS), il focus dell’attenzione, ponendo lo studente al centro del sistema. Porre lo studente – in tutto il suo percorso – al centro del sistema, vuol dire trasferire completamente l’obiettivo finale del nostro lavoro e la concentrazione sulle cose che facciamo. Lo studente come “entità persona al centro del sistema”, ci coinvolge per un progetto che abbiamo definito di “11 anni”.
Undici anni, perché lo seguiamo fin da un anno prima che si avvicini all’Ateneo, lo seguiamo per i 5 anni del percorso in LUISS, e continuiamo a seguirlo almeno per altri 5 anni fino a quando non si inserisca effettivamente nel mercato del lavoro. “Al centro del sistema”, vuol dire trasferire un concetto molto semplice. Si può mai immaginare di allenare gli atleti e di pensare che possano fare i 100 metri velocemente, con una palla di piombo legata al piede? No, e allora il nostro obiettivo è fare in modo che ogni studente sia esaminato con grande attenzione e valorizzato negli studi e nell’impegno.
Quando arriva un ragazzo particolarmente bravo è necessario che abbia come interesse primario lo studio e che qualsiasi facoltà scelga, in tutte le Università, sia in grado di supportarlo con la preparazione migliore e più adeguata. Tutto questo è particolarmente importante perché consente di costruire un percorso, che guardi, da una parte all’esigenza di formare un allievo in una specificità professionale, dall’altra di formarlo come uomo. Allora qui… è come dire il nome dell’assassino in un romanzo giallo… si svela l’obiettivo della struttura e dell’articolazione del nostro lavoro: a noi non interessa soltanto formare un buon giurista, formare un buon economista, un buon manager o un buon diplomatico, a noi interessa soprattutto formare un buon cittadino. Una persona, che è consapevole della necessità delle competenze, perché senza competenze non c’è futuro; è come se un calciatore entrasse in campo senza sapere se ha gli scarpini con i tacchetti regolamentari, è un requisito che dovremmo dare per acquisito… ciò che tentiamo di aggiungere a questo dato acquisito delle competenze nel processo di formazione di un buon cittadino è la garanzia di una particolare attenzione alle attività che si possono fare insieme per imparare a competere rispettandosi.
Quindi il tavolo di ping-pong che trovate vicino a questa palazzina, non è casuale né consueto, non è usuale trovare in una Università due tavoli da ping-pong e dei calcio balilla. Ma servono per creare delle frequentazioni collettive e diverse che suggeriscano la competizione ed insegnino il rispetto reciproco.
Non a caso siamo la prima Università in Italia ad avere un’associazione sportiva tanto vivace da sostenere una squadra di basket che gioca a livello professionista, cioè gioca nelle competizioni professionistiche, e siamo competitivi anche in altri sport. Sono “riti collettivi” che insegnano lealtà e rispetto.
Stiamo attraversando un’epoca nella quale finalmente dopo aver imparato che il professionista di successo deve essere una persona in grado di esprimere un giusto mix tra sapere, saper essere e saper fare, stiamo imparando che non interessa uno che sa tutto e poi non si sa comportare o non sa come fare…. Insomma non ci interessa che un nostro laureato si proponga come uno che sa fare tutto, ma non si sa comportare, perché non sa esprimere valori etici.
Quindi il giusto mix su cui puntare è il percorso per costruire persone, professionisti che sappiano bene, sappiano fare e si sappiano comportare. Poi stiamo provando ad aggiungere un altro livello etico, cioè quello del saper dare.
Si deve metabolizzare l’esigenza di lasciare l’Università con un’attitudine in più che è quella del saper dare, saper dare ascolto, saper dare tempo, saper dare attenzione e saper dare rispetto. È un progetto importante, un progetto che didatticamente ci coinvolge tutti, studenti e docenti: le aule debbono essere frequentate continuamente da fiumi di studenti che vengono a confrontarsi, a chiedere, a presentare progetti.
Dall’inizio di questo percorso, abbiamo già sviluppato quattro società di spin-off imprenditoriali dei nostri ragazzi, perché alla crisi economica i ragazzi formati in questo modo rispondono e devono rispondere rimboccandosi le maniche.
È nata una società che si chiama Selected ADV, che è procacciatrice di pubblicità e di attività promozionali per le università, un’altra composta da ragazze che creano servizi per eventi e, un’altra ancora di consulenza, di giovani laureati.
Il tema a monte del quid pluris allora è la strategia completa per profilare le competenze, in maniera tale che siano uno degli elementi principali su cui lavorare con un’incessante attività di elaborazione dei piani strategici delle facoltà e dei dipartimenti, creando una linea-guida per sviluppare progetti strategici.
La linea guida si basa soprattutto su due elementi: il primo è un ampio confronto di benchmark con l’offerta formativa anche di università a livello internazionale, e il secondo è una grande attenzione alle “rete” dei nostri allievi con i quali siamo in contatto tramite una consistente attività di net-working, cercando di mutuare l’esempio dalle università americane.
Abbiamo 20 mila laureati e in rete ci sono già 10 mila contatti: sono tutte persone che, oggi, svolgono ruoli di primissimo piano. Sono manager, amministratori delegati, politici… abbiamo un patrimonio di molti laureati che fanno parte a pieno titolo ed in maniera visibile di vari strati, a vari livelli, in vari ambienti della classe dirigente di questo Sistema Paese.

Quindi si realizza il processo di formazione delle eccellenze della classe dirigente del futuro….
In effetti esiste una continua attività di analisi interna, un’attività di benchmark verso le altre, un’attività di verifica costante con le istanze del mercato del lavoro e con le competenze attese o privilegiate, differenziando le prospettive tra i neo laureati e chi si dovrebbe laureare di qui a tre anni, cercando di disegnare e di orientare l’offerta formativa verso le competenze adeguate, realizzando un monitoraggio puntuale delle rispondenze tra esigenze del mercato ed istanze di formazione culturale.
In un’immaginaria cassetta degli strumenti di cui dotiamo gli studenti, un posto speciale è riservato alle “chiavi inglesi”: gli agganci concreti tra realtà e cultura. Presso la Facoltà di Scienze Politiche Roberto Saviano tiene un corso sulla criminalità, tra i docenti della Facoltà di Giurisprudenza ci sono tra gli altri, ad esempio, Catricalà e Pizzetti e ad Economia Arpe e Gubitosi, lo studente “esce” con una cassetta di attrezzi importanti cui aggiunge gli “strumenti universali” acquisiti dall’etica.
Sviluppare il senso di appartenenza, la partecipazione, il confronto, l’attenzione per arrivare all’obiettivo di costruire un buon cittadino, una persona che si sappia comportare positivamente, non solo per la individuazione del sentiero personale, ma anche per il Sistema Paese, è il quid pluris, lo strumento universale dei nostri studenti.
Lo scopo che ne deriva è anche quello di tradurre la competizione, in “competizione sostenibile”, sottolineando il valore della cooperazione e della collaborazione, che è fondamentale per il consolidamento psicologico del manager del futuro. Ad esempio, esiste un’attività che si chiama “LUISS ti ascolta”, che si traduce in un servizio “psicologico” a disposizione degli studenti che devono affrontare all’improvviso problemi importanti come la perdita di un genitore, di un fratello o che hanno subito un incidente molto grave… può succedere in una popolazione di 7 mila persone, succede, ed in quelle occasioni anche gli studenti molto bravi hanno un inevitabile calo di rendimento legato al senso di sgomento o della perdita ed hanno bisogno di “un punto di appoggio”. E questo attiene ad una visione “umana” della competizione che non è necessariamente “mors-tua, vita-mea”, cioè non si traduce necessariamente nell’equazione “quando l’altro è più debole io mi rinforzo” o “il mio successo passa, anche e soprattutto, attraverso l’insuccesso di un altro”, anzi – e qui ritorna il concetto di talento e di merito – il talento serve ed è importante, e i talenti vanno valorizzati comunque considerando che esistono, sono varie gradazioni di talento, e allora è importante fornire una visione concreta ai ragazzi che un domani si troveranno a lavorare inseriti più che in una squadra, in un gruppo.
Una squadra si sceglie pezzo per pezzo, si trovano i migliori pezzi, si mettono insieme, ma non sempre è detto che funzioni… è quello che succede nel mondo del calcio…, ciò che nella realtà lavorativa si trova, spesso è un gruppo in cui inserirsi. Non si possono scegliere tutti i collaboratori, è già pronto un gruppo che ha all’interno dei talenti, dei mezzi talenti e dei portatori di acqua. E allora forse bisogna recuperare il valore del mediano, di quello che fa il portatore di acqua, che corre, sposta il gioco e tiene impegnati gli avversari consentendo ai talentuosi di riuscire ad andare in goal.
Con il valore della collaborazione, della competizione sostenibile, si riesce ad ottenere dal gruppo intero un risultato di maggior valore. Per tornare alla metafora del calcio, se non si punta a sufficienza sul mediano, se il portatore di acqua non viene incluso nel gruppo, ma viene escluso, perché si riconosce valore solo al talento, finisce che al talento la palla-goal non la passa più nessuno ed il talento da solo non riesce a fare goal.
Il talento può addirittura essere considerato come una trappola potenziale, se non è interpretato ed utilizzato correttamente.
È inutile parlare di merito ai nostri ragazzi se poi non ci si applica per primi in maniera concreta nel valore dell’esempio. Se il professore non si mette in gioco per primo nella catena del saper fare e saper dare, con generosità, e si limita a fornire dotti insegnamenti senza piantare radici che altri dovranno innaffiare, probabilmente si procede verso un mondo che si impoverisce. E allora il valore del maestro, si traduce da noi con l’offerta di grande disponibilità; c’è un coinvolgimento molto profondo per tentare di far riemergere – senza retorica – il ruolo di accompagnamento, di ascolto, di esempio… Mi capita spesso di confessare ai miei collaboratori che se io so che il mio Capo arriva in ufficio alle 6.45, lo prendo come esempio, e devo arrivare prima di lui… questo deve contribuire a far capire quanto è importante che tutto ruoti intorno ad un consapevole senso di responsabilità.

Avendo contatti quotidiani con i ragazzi, in che cosa li trova diversi dai ragazzi di qualche anno fa? Quali sono le aspettative nel mondo del lavoro e soprattutto quali sono le paure? È vero che l’incertezza del futuro è lo spettro di chi frequenta l’Università e che in Italia è indispensabile frequentare un master all’estero per acquisire una formazione di eccellenza ?
I ragazzi di oggi sono evidentemente molto diversi dai coetanei degli anni ’90 – questo lo sappiamo tutti – da un punto di osservazione “privilegiato” riusciamo a verificare che oggi sono più disincantati, ma molto più “svegli” nel senso che hanno una velocità di percezione e di apprendimento che è nuova rispetto a quella che conoscevamo qualche anno fa. I ragazzi del duemila soffrono di altri problemi, sui quali pure stiamo cercando di lavorare… Per esempio arrivano con una capacità di scrivere molto ridotta rispetto a quella dei ragazzi di qualche anno fa, e questo gap può essere una conseguenza dei metodi e dei mezzi di comunicazione a cui sono abituati: come sms, Internet e Twitter.
Inoltre è evidente che hanno un problema un po’ più grosso di quello che c’era qualche tempo fa relazionato alla possibilità di essere occupati.
L’Università ha sviluppato un servizio di placement e re-placement molto accurato, ma non basta a combattere le paure o a trovar lavoro a tutti. C’è poi il problema della mobilità… che è molto importante in un paese come il nostro che purtroppo va verso la immobilità non solo in senso geografico…. Indagavo qualche giorno fa su un indicatore molto affascinante che misura quanto diventa elastica la possibilità di cambiare il proprio reddito nell’arco della vita ed il risultato è che andiamo verso un paese nel quale chi nasce ricco, molto probabilmente muore ricco e chi nasce povero molto probabilmente muore povero. Come si può invertire la tendenza?
A rischio di sembrare un romantico, a parer mio, si può fare tentando di insegnare a questi ragazzi il valore del sacrificio. È una preoccupazione che ho forte anche in relazione ai miei figli… Io da bambino andavo a lavorare in drogheria, oggi non penserei mai a mandare mio figlio di 8 anni a lavorare in drogheria, a portare la spesa… in realtà non so se a loro basterà il valore dell’esempio che, con mia moglie, cerchiamo di dar tutti i giorni…, comunque ai ragazzi va insegnato il sacrificio. Quando tu gli insegni, quanto è importante sudare… Leggevo un po’ di tempo fa un libro fantastico dedicato a Edison, si intitola “Il mio amico Edison”, ad un certo punto c’è una frase che a volte riporto ai ragazzi e che ricorda la mole di lavoro enorme che quotidianamente sosteneva Edison, nonostante fosse un genio e nonostante le immense scoperte ed invenzioni create. Sia Ford, autore del libro, sia Edison erano due geni convinti del valore e del potere del sacrificio e quindi se un genio dice di un altro genio che non esiste nulla di più importante del sacrificio e dell’abnegazione a noi, che geni non siamo, non resta che rimboccarci le maniche e lavorare dalla mattina alla sera. Questo è il senso di quanto cerco di trasmettere.
Il sacrificio nel mondo del lavoro può premiare, nonostante la precarietà, e può fornire delle opportunità di avere riconoscimenti. Hanno altri pregi questi ragazzi – che pure sembrano così incerti – sono consapevoli dell’importanza dei parametri internazionali, di acquisire esperienze diversificate: la comunicazione veloce del mondo Web indica loro non solo l’esigenza di una conoscenza dell’inglese almeno fluente, ma il bisogno di aver sedimentato esperienze di vita fuori dall’Italia.
Quando sono stato a trovare i ragazzi a Shangai mi sono accorto che il confronto con un paese così diverso, con una lingua così diversa, con delle abitudini del tutto differenti non faceva altro che arricchirli e dar loro strumenti in più per tornare a casa con una maggior consapevolezza a cercare un percorso professionale adeguato. Certo, non tutti avvertono il bisogno di confrontarsi con esperienze anche dure, non tutte le famiglie sono disposte a lasciare che i figli affrontino realtà di disagio da affrontare spesso con mezzi diversi rispetto alla disponibilità italiana, ma è indispensabile curare alcune fragilità interiori con la certezza e la consapevolezza di sé che regala l’esperienza, si torna all’idea di sacrificio, di abnegazione e di lungimiranza.

Giochiamo con l’immaginazione… se Lei fosse a capo di un’Agenzia che si occupa di intelligence, che tipo di analista vorrebbe e come pensa di poterlo formare?
Non ci avevo mai pensato, ma la risposta mi è venuta immediata, riflettendo su alcuni recenti episodi di aggressioni e di tentativi di attentati. È l’individuazione di un aspetto nato dalla quotidianità, dalla vita di tutti i giorni: l’elemento che fa la differenza è l’attenzione ai particolari, sempre. Soprattutto per chi si occupa di intelligence la chiave di lettura è “guarda sempre ciò che vedi” nella lettura come di fronte ad uno scenario, lungo la strada come in un ragionamento, spesso è il dettaglio – a prima vista trascurabile – la genesi dello sviluppo di una intuizione o di una decisione… Se io lavorassi in un’Agenzia immaginaria tenterei di fare dei corsi e di istituire una fase di formazione dedicata ad insegnare in maniera pervasiva quanto sia importante essere attenti ai particolari, quanto sia essenziale vedere e guardare al tempo stesso, essere sempre presenti a se stessi con un’intensità, su ogni singolo dettaglio… Bisogna sentirsi in ogni momento come una mamma che prepara la figlia la mattina del matrimonio, e se la guarda nell’abito da sposa, si rende conto che ogni minimo particolare è fondamentale per la riuscita dell’evento.

Secondo Lei tra i frequentatori della LUISS, qualcuno potrebbe immaginare di trovare uno sbocco professionale nei settori dell’intelligence, Lei pensa che sia un’area che possa esercitare attrazione?
Non lo so, in effetti è una verifica che non abbiamo mai fatto, potremo immaginare di fare degli incontri mirati… Sì, potrebbe essere molto interessante organizzare degli incontri per presentare l’attività di intelligence e provocare l’attenzione dei ragazzi.
Proprio un gruppo di allievi qualche tempo fa ha proposto di creare una specie di associazione, un gruppo che si occupasse dei problemi della sicurezza nazionale ed internazionale e si pensava a realizzare approfondimenti oltre che di intelligence e di sicurezza, anche di geopolitica e quant’altro.

Si è formato poi il gruppo?
Sì ci sono dei promotori interni che hanno iniziato delle attività “work in progress” destinate a svilupparsi. L’area globale della sicurezza, secondo me, è uno scenario multiforme, un percorso che può avere significative ed utili ricadute per il Sistema Paese nel suo complesso e, quindi, potrebbe essere di interesse anche gli studenti.



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