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GNOSIS 4/2009
LA CULTURA

RECENSIONI

L'Intelligence Service apre gli archivi del MI5


di Alain Charbonnier

 
Cento anni al servizio di Sua Maestà, cento anni spesi a difendere il Regno Unito dai nemici interni e da quelli esterni.
È la storia del British Security Service MI5, raccontata dallo storico Christopher Andrew nel libro “The Defence of the Realm", non ancora tradotto in italiano.
Andrew ha avuto accesso agli archivi del controspionaggio inglese e ha distillato un’opera ponderosa e ben documentata, senza indulgere alla tentazione della spy story.


Allen Lane Editore 2009



La leggenda sull’abilità spionistica degli inglesi nasce durante il regno di Elisabetta I, quando sir Francis Walsingham organizza la prima rete di spionaggio politico-militare in senso moderno. Da allora gli agenti dell’intelligence britannica, salvo alcune parentesi non molto onorevoli, ma certo molto “ideologiche”, per usare un eufemismo (vedi il Circolo di Cambridge), si sono sempre adoperati a tutte le latitudini “in difesa del Regno”.
Se una regina Elisabetta battezzò l’Intelligence Service, dopo oltre quattro secoli e mezzo, regnando un’altra Elisabetta, compare la storia degli ultimi cento anni del British Security Service, MI5, Servizio di Sicurezza e Controspionaggio di Sua Maestà, affidata a uno storico indipendente e di sicura fama, per le cui mani era già passato l’Archivio Mitrokhin, che ha avuto a disposizione 400.000 documenti, anche se non di tutti è stata poi autorizzata la pubblicazione.
Il professor Christopher Andrew, ordinario di Storia Moderna e Contemporanea all’Università di Cambridge, nel suo “The Defence of the Realm – The authorized official history of MI5”, 1032 pagine, Allen Lane, Londra 2009, non è prodigo di rivelazioni, ma come la professoressa Maria Gabriella Pasqualini, con i suoi due volumi “Carte Segrete”, prima storia “ufficiale” del servizio segreto militare italiano, dei quali abbiamo parlato qualche tempo fa, ha il pregio di condurre il lettore in un’affascinante navigazione fra gli scaffali degli archivi londinesi.
Non sono mancate storie dell’intelligence francese, israeliana, americana, sovietica e via discorrendo. Ma si è trattato per lo più di “storie non autorizzate”, spesso frutto di memorie personali, di collazioni di testimonianze, nella maggior parte dei casi senza il suffragio delle fonti primarie, dei documenti autentici e, ovviamente, senza conferme né smentite degli enti direttamente interessati.
Nonostante l’ufficialità e l’autorizzazione a pubblicare, Christopher Andrew racconta molte cose e lascia in penombra, appena accennate, molte altre. Il ricercatore o il lettore, se vorranno, potranno dedicarsi ad approfondimenti suscettibili, però, di partorire opere che potrebbero rientrare più nell’aneddotica che nella categoria delle rivelazioni vere e proprie.
In compenso, il professore di Cambridge offre una visione chiara del ruolo del Servizio nella storia inglese del ‘900, dalla fondazione, per opera dell’allora Capitano Vernon Kell, dell’esercito di Sua Maestà Britannica, nell’ottobre del 1909, alle due guerre mondiali, per arrivare alle azioni di controspionaggio e controterrorismo dei nostri giorni.
Le oltre mille pagine, ricche di note e riferimenti, ricostruiscono la vita quotidiana del British Security Service, nato nell’ambito del Secret Service Bureau, in contemporanea con l’MI6 che si occupa dello spionaggio all’estero.
Andrew non tralascia nulla: i rapporti del Servizio con il governo, i successi, i fallimenti.
“Regnum defende”, è il motto che campeggia nel logo del MI5. E “in difesa del Regno”, il servizio ha fatto il possibile. Talvolta con spregiudicatezza, foriera di successi, ma anche di errori.
Diviso in sei Sezioni, contrassegnate dalla A alla F, “The Defence of the Realm” si apre con le azioni di contrasto dello spionaggio della Germania imperiale, prima e durante la Grande Guerra.
Sono le pagine in cui compare un passaggio che ci riguarda da vicino, che Andrew nel suo libro condensa in tre righe, successivamente approfondito dal suo principale collaboratore, lo storico Peter Martland.
Sir Samuel Hoare, uomo del primo ministro inglese e dei servizi segreti britannici a Roma, durante la Prima Guerra Mondiale, aveva organizzato in Italia una rete forte di oltre 100 agenti. Dopo il disastro di Caporetto, le agitazioni socialiste, la rivoluzione in Russia e l’uscita dalla guerra contro gli Imperi Centrali, decisa dal governo bolscevico, era diventato altissimo il rischio di destabilizzazione nei paesi aderenti all’Intesa e i Servizi Segreti inglesi erano impegnati in prima linea.
“Le operazioni antisovversione di Hoare – scrive Andrew a pagina 105 – comprendevano anche di assoldare giornalisti che scrivessero a favore degli alleati, fra questi l’ex socialista Benito Mussolini che nel 1919 fu il fondatore del movimento fascista. Hoare pagò a Mussolini la considerevole somma di 100 sterline la settimana”.
Andrew non aggiunge di più. In una nota, precisa che si riferisce alle carte dell’archivio Templewood, cioè il titolo di Hoare divenuto Lord.
È Martland che poi va a spulciare ancora le carte di Hoare e a raccontare in modo approfondito la storia dei contatti con Mussolini, il finanziamento di cento sterline a settimana per sostenere il suo giornale, “Il Popolo d’Italia”, l’impegno di Mussolini in favore della prosecuzione della guerra e la promessa di mobilitare gli invalidi contro i pacifisti. Secondo Martland, Hoare e Mussolini non erano amici e le cento sterline a settimana sarebbero state spese dal futuro dittatore in buona parte per le sue amanti.
Rimane il fatto che nel 1935 i ghiribizzi della storia posero di nuovo di fronte Mussolini, Duce del Fascismo e capo del governo italiano, e Hoare, Ministro degli Esteri di Sua Maestà britannica, per la questione dell’Africa Orientale e la guerra con l’Etiopia. Hoare e il primo ministro francese Laval prepararono un piano che apriva all’Italia la strada al controllo dell’Abissinia e al protettorato di fatto sull’Etiopia. Non era certo un favore fatto a Mussolini, ma il tentativo di mantenere l’Italia fra gli “amici” antitedeschi. Il patto abortì, Hoare e Laval furono costretti alle dimissioni, e Mussolini finì nel letale abbraccio con Hitler. Con le conseguenze che ne sono derivate.
È l’unico punto di tutto il libro che ha incuriosito la stampa italiana.
In verità, Andrew dell’Italia parla poco, soprattutto nel periodo che dovrebbe essere più interessante, fra l’avvento del Fascismo e la Seconda Guerra Mondiale. Periodo al quale dedica le sezioni B e C. Appena rapidi accenni (ma quasi tutto nel libro di Andrew è fatto di rapidi accenni e del resto altro che 1000 pagine ci sarebbero volute) ai rapporti del governo italiano e il partito fascista con Oswald Mosley e il movimento fascista inglese, all’invasione dell’Albania, ai documenti segreti relativi al carteggio fra Churchill e Roosevelt nella tarda primavera del 1940.
È questo un passaggio interessante. Infatti il Presidente americano e il Primo Ministro inglese avevano raggiunto un’intesa: l’impegno occulto dell’America a soccorrere il Regno Unito che stava soccombendo sotto i colpi della Wermacht. Ebbene, copie dei documenti dall’ufficio dell’ambasciatore americano Joseph Kennedy, padre del futuro Presidente John Fitzgerald, transitavano per l’ambasciata italiana e finivano per essere lette a Berlino.
Più ricca e documentata appare la parte del volume che riguarda il contrasto dello spionaggio nazista, l’individuazione e la cattura, quando necessario, degli agenti tedeschi. L’MI5 preferiva infatti tenere sotto controllo le spie dell’Abwher, sia per trasmettere a Berlino false informazioni, sia per individuare eventuali nuovi agenti inviati e operanti nel Regno Unito.
Con la sezione D, Andrew arriva al periodo della Guerra Fredda. Sono le pagine in cui lo storico ripercorre lo spionaggio atomico, i tentativi di fermare l’immigrazione illegale in Palestina sostenuta dall’Agenzia Ebraica, gli attentati, spesso micidiali, delle organizzazioni sioniste.
È anche la fase della creazione del sistema di intercettazione e decrittazione “Venona”, per spiare le comunicazioni del blocco comunista, di valore non inferiore a “Ultra”, durante la Seconda Guerra Mondiale. Il “fattore umano” porta alle grandi defezioni di agenti sovietici, ai tradimenti del “circolo di Cambridge”, allo scandalo Profumo, alla diffidenza dei “servizi” alleati e alle ricadute sui governi di Harold Macmillan e Harold Wilson.
Proprio nei confronti di Wilson, l’MI5, svolse un’attenta azione di dossieraggio.
Secondo i documenti consultati dal professor Andrew, preoccupavano le amicizie di Wilson – ex titolare della Camera di Commercio britannica – con imprenditori dell’Europa dell’Est, i suoi contatti con alcuni noti agenti del KGB e il fatto che, secondo alcuni funzionari comunisti del Ministero degli Interni, il leader laburista avrebbe avuto le loro stesse simpatie politiche.
Fra i contatti sospetti attribuiti a Wilson c’erano l’imprenditore di origine lituana Jospeh Kagan, la sospetta spia Rudy Steinberg (poi scagionato e insignito del titolo di Sir) e Harry (successivamente Lord) Kissin. Entrambi questi ultimi fecero fortuna commerciando con il blocco sovietico.
Il fascicolo su Wilson, codificato come “Norman John Worthington”, venne aperto già nel 1945, ma, secondo Andrew, non venne mai utilizzato contro il leader del Labour Party, che tuttavia era convinto che i servizi tramassero contro di lui.
Le sezioni E ed F sono ancora intitolate alla Guerra Fredda, ma riguardano l’ultimo periodo e il dopo. È il momento in cui finisce il buio degli anni in cui l’MI5 poteva a malapena contrastare il numero di spie del KGB e dei Servizi satelliti nel Regno Unito. Con gli anni Settanta comincia la resa dei conti con il blocco comunista.
Accanto al controspionaggio ci sono anche le operazioni contro i tentativi di eversione e contro il terrorismo.
Sono gli anni della “sporca guerra” in Irlanda. I militanti dell’IRA non fanno sconti e chi deve combatterli non esita a praticare scorciatoie anche tragiche. Come a Gibilterra, dove tre membri dell’IRA furono eliminati senza troppi complimenti da una squadra dello Special Air Service, il famoso SAS, dopo che l’MI5 aveva scoperto un piano per attaccare la guarnigione militare, ancora “in una fase preliminare”.
Secondo Andrews, i tre “provisional” dell’IRA furono uccisi perché erano in una posizione tale che rendeva legittimo ritenere l’attentato imminente. Dai documenti consultati non emerge secondo lo storico che gli agenti avessero “licenza di uccidere”, per dirla con Ian Fleming, né che il Governo avesse adottato una politica di “sparare per uccidere”. Fu in sostanza una decisione “presa sul campo”.
L’ultima parte della storia del MI5 è dedicata all’evoluzione organizzativa e normativa del Security Service, all’azione contro il nuovo terrorismo e agli sviluppi successivi all’11 Settembre, fino ai giorni nostri.
Il volume è corredato da numerose illustrazioni, le fotografie del fondatore del MI5, Vernon Kell, e dell’attuale Direttore Jonathan Evans. Chissà perché manca la fotografia della prima ed allora unica donna a capo di un servizio segreto, Stella Rimington, che diresse l’MI5 dal 1992 al 1996. Interessanti sono anche le immagini di agenti catturati, della sorveglianza discreta e documentata fotograficamente di spie e di terroristi, le copie di documenti e di cifrari. Numerose poi le vignette, a volte satiriche, tratte da giornali d’epoca, a volte illustrative o a corredo delle istruzioni per l’arruolamento nel servizio.
In ogni caso dall’attività del MI5 emerge ancora una volta che la maggior mole del lavoro di intelligence consiste in gran parte nella routine ed ha poco di romanzesco. Un lavoro che coniuga le attività di uno stuolo di “colletti bianchi” incollati alla scrivania e ai computer, di “operativi” che consumano occhi per guardare, orecchie per ascoltare e suole per pedinare, e quello di qualche vero “007”, che tuttavia trova scarsa menzione nell’opera di Andrew.
Lusinghiera l’introduzione del Direttore Generale Evans che non manca di sottolineare proprio l’evoluzione del concetto stesso di Security Service, dal giorno della sua nascita fino a oggi.
Ma se molto è cambiato, se gli archivi si sono aperti, anche se non del tutto, resta saldo il principio di base: “Regnum defende”.
Non rimane ora che aspettare un editore che in tempi rapidi porti nelle librerie italiane una traduzione accurata dell’opera del professor Christopher Andrew.



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