GNOSIS 4/2009
LA CULTURA 'STUDI' DI INTELLIGENCE Scoprendo al-Qaeda l'estremismo islamico nelle carceri inglesi |
di Nicola Pedde |
Islamist extremism in British prisons
L’estremismo islamico nelle carceri inglesi Lo studio approfondisce un aspetto particolare del radicalismo islamico in Gran Bretagna, valutando come l’esperienza carceraria costituisca spesso il primo elemento nella catena del processo di reclutamento dei terroristi. L’elemento psicologico ed emozionale di cui l’individuo è vittima entrando nel sistema carcerario è divenuto col tempo un fertile terreno per i reclutatori delle organizzazioni estremiste islamiche, che nell’ambito del sistema carcerario hanno saputo col tempo costruire una poderosa rete di controllo e manipolazione. Una considerevole parte del rapporto è stata realizzata sulla base di dati raccolti nelle carceri o su testimonianze di ex detenuti, ricostruendo per fasi e schemi gli elementi psicologici e di debolezza sui quali i reclutatori agiscono. L’autore individua ed elenca con precisione una serie di elementi che contribuiscono all’incremento della pressione psicologica del detenuto ed alla sua progressiva plasmabilità, individuando il modo in cui l’autorità deve potersi sostituire alle cellule radicali presenti nelle carceri provvedendo all’erogazione dei servizi altrimenti forniti dalle cellule stesse, come nel caso dei luoghi di preghiera. Al tempo stesso è necessario attuare programmi di de-radicalizzazione mediante l’adozione di strumenti psicologici e pratici che consentano di contrastare il radicalismo, attraverso l’offerta di servizi e programmi di reinserimento, evitando l’isolamento e la separazione delle comunità, e creando meccanismi virtuosi di cooperazione tra detenuti e società. Lo studio analizza inizialmente l’evoluzione storica del radicalismo islamico nelle carceri, partendo dall’esperienza dei paesi arabi per spostarsi poi cronologicamente in Europa a seguito degli intensi flussi migratori della seconda metà del secolo XX. Attraverso questo excursus, l’autore individua i tratti caratteristici di un regime carcerario nel tempo inadeguato alla gestione del fenomeno, ed anzi incline all’adozione di metodi e strategie rivelatesi nel tempo esplosive per la proliferazione del fenomeno di proselitismo. Lo studio prosegue poi con una coppia di capitoli dedicati rispettivamente ai fenomeni “pull” e “push” all’interno delle carceri. L’adesione alle cellule estremiste, secondo l’autore, avviene per la simultanea e combinata azione di due fenomeni, “pull” e “push”, estremamente diversi tra loro ma funzionali l’uno all’altro nella trasformazione del detenuto e nella sua progressiva cooptazione. Con riferimento al fenomeno “pull”, l’autore si interroga sul fenomeno del ricorso alla spiritualità ed alla religione nell’ambito dell’esperienza carceraria dell’individuo, indagando sul bisogno di fede, e studiando i meccanismi di avvicinamento dei detenuti musulmani ai gruppi religiosi presenti in carcere. Il fenomeno “pull” è quindi connesso alle pratiche di reclutamento dei gruppi estremisti attraverso la cooptazione dei detenuti di religione islamica, soprattutto quelli più giovani od alla prima esperienza carceraria, ritenuti più facilmente adescabili in conseguenza dell’inesperienza e dei timori all’ingresso nelle strutture penitenziarie. Il fenomeno “pull” è quindi frutto di un’azione positiva finalizzata all’attrazione dell’individuo attraverso pratiche di fraternizzazione, familiarizzazione e inclusione nelle cellule islamiche, mediante indottrinamento. Il fenomeno “push”, al contrario, è determinato dalla volontà dell’individuo di aderire alle cellule islamiche, ed è solitamente il prodotto delle condizioni di vita all’interno delle strutture carcerarie, dell’incapacità di attrazione verso i modelli neutri da parte dell’amministrazione di giustizia, e della ghettittazione dei gruppi all’interno delle carceri, quale risultato di un’autonomia gestionale delle attività di convivenza. Maggiore è, quindi, la capacità delle strutture carcerarie di intervenire sui fenomeni “pull” e “push”, minore è la capacità delle cellule islamiche estremiste di intervenire sui carcerati, limitando in tal modo la capacità di attrazione dei più deboli nelle maglie del radicalismo estremo. Il rispetto delle esigenze religiose basilari, la lotta alla violenza ed al sopruso, la sistematica abolizione dell’umiliazione e dell’insulto e la corretta e costante comunicazione dei principi giuridici alla base della detenzione, si sono dimostrati, nelle esperienze carcerarie modello, i più potenti antidoti alla proliferazione delle cellule estremiste. Emarginando i gruppi o gli individui più estremisti e determinando, al contrario, una convivenza pacifica ed interreligiosa con gli altri detenuti. Una corretta azione di de-radicalizzazione influisce poi in modo determinante anche sulla capacità degli individui di rifuggire al richiamo delle cellule radicali una volta terminata la fase di detenzione. Mentre al contrario un’esperienza carceraria dura e caratterizzata dalla militanza nelle cellule estremiste ha quasi sempre dato luogo ad una continuità post-carceraria delle cellule o degli individui. Spesso trasformatisi in volontari jihadisti nell’arco dei primi mesi del regime di libertà. L’autore conclude il rapporto elencando una serie di suggerimenti per l’adozione di misure e tecniche da parte delle autorità competenti per la gestione delle strutture carcerarie, essenzialmente individuando nel rispetto della persona e dei suoi valori religiosi, nella gestione di condizioni di vita dignitose e nell’adozione di programmi di riabilitazione idonei, la soluzione atta a fronteggiare la cooptazione dei detenuti nelle cellule estremiste. Lo studio riveste un interesse particolare, soprattutto nell’individuare i fenomeni di aggregazione e reclutamento delle cellule eversive fornendo, al tempo stesso, uno spaccato decisamente interessante sul sistema carcerario britannico e sulle necessità di implementazione di modelli e strategie di nuova concezione studiati per fronteggiare fenomeni in larga misura ancora inesplorati.
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