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GNOSIS 4/2009
LA CULTURA

'STUDI' DI INTELLIGENCE

Scoprendo al-Qaeda
l'estremismo islamico nelle carceri inglesi


di Nicola Pedde

 
La cultura dell'Intelligence è lo strumento attraverso il quale comprendere il ruolo e l'operato dei moderni Servizi di informazione e sicurezza. Strumento dato dall'approfondimento degli studi e delle analisi dei principali ‘think tank’, centri di ricerca, Università italiane e straniere. Questa Rubrica intende, quindi, selezionare e presentare periodicamente i più significativi studi sulle tematiche relative alle strutture di Intelligence o a queste direttamente connesse, agevolando la comprensione della storia, delle metodologie e delle funzioni delle più moderne strutture di settore.
Un contributo per sfatare i tanti miti e luoghi comuni che da sempre accompagnano l'immagine dei Servizi segreti di tutto il mondo e per acquisirne, al contrario, consapevolezza del ruolo e dell'operato.



ottobre - dicembre 2009
Unlocking al-Qaeda - Islamist extremism in British prisons
James Brandon
Quilliam Foundation, november 2009
http://www.quilliamfoundation.org/images/stories/pdfs/unlocking_al_qaeda.pdf

Strategic Assessment
Volume 12, n. 3, november 2009
http://www.inss.org.il/upload/(FILE)1259661394.pdf


Strategic Assessment è la rivista trimestrale dell’INSS, Institute for National Security Studies, centro di ricerca accademica indipendente specializzato negli studi sulla sicurezza nazionale israeliana e sulle dinamiche della politica e della sicurezza in Medio Oriente. Il numero di novembre del 2009 è diviso in quattro sezioni, dedicate rispettivamente alla sicurezza nazionale israeliana, alle questioni palestinesi, all’Iran ed al Libano. Le ultime due sezioni, in particolare, contengono altrettanti interessanti articoli dedicati il primo alla crisi politica iraniana ed il secondo alle attività di spionaggio di Hezbollah contro Israele.
European Security Research an Innovation Forum, Final Report
Dicembre 2009
http://www.esrif.eu/index.html


L’ESRIF è un forum europeo dedicato allo studio ed all’analisi delle variabili di interesse della sicurezza civile e della sua evoluzione. Il rapporto finale del dicembre 2009 costituisce la sintesi dell’attività di ricerca del forum, attraverso l’elencazione delle prospettive di medio e lungo termine per la sicurezza europea (nell’intervallo dei prossimi 20 anni), l’individuazione delle linee di innovazione tecnologica più idonee al perseguimento di scopi comuni e sinergie economiche, ed il suggerimento agli attori periferici delle strategie più idonee al perseguimento dell’obiettivo, la gestione della sicurezza.
What the flight 253 case teaches us on Air Security and al-Qaeda
Claude Moniquet
European Strategic Intelligence and Security Center
Dicembre 2009
http://www.esisc.org/documents/pdf/en/edito-flight-253-455.pdf


Il documento è uno dei primi nell’analizzare i fatti del tentato attacco terroristico ad un volo diretto negli Stati Uniti il giorno di Natale del 2009, ad opera di un singolo terrorista (Umar Farouk Abdul Muttalab), e fallito grazie ad una fortuita serie di circostanze ed alla reazione dei passeggeri dello stesso volo. Lo studio, pur ammettendo come otto anni dopo l’11 settembre la sicurezza del trasporto aereo sia ancora alquanto aleatoria, suggerisce di adottare metodologie di contrasto al terrorismo impostate sulla concezione di nuovi modelli non esclusivamente basati su tecniche statiche. L’esempio fornito dalla compagnia israeliana El Al rappresenta quindi lo spunto per approfondire alcune delle più innovative metodologie e tecniche di gestione della sicurezza, individuando schemi non convenzionali basati su una pluralità di elementi tecnici ed operativi. L’ESISC, fondato nel 2002, è un ‘think tank’ specializzato nell’analisi del terrorismo, dei conflitti e delle crisi, ed ha sede a Bruxelles e Parigi, con succursali negli USA, in Nord Africa ed in Asia.




UNLOCKING AL-QAEDA
Islamist extremism in British prisons




Unlocking al-Qaeda - Islamist extremism in British prisons

James Brandon
Quilliam Foundation, november 2009 *

La QUILLIAM FOUNDATION è un ‘think tank’ davvero particolare, essendo composto da ex appartenenti a gruppi estremisti islamici il cui scopo è oggi quello di combattere il radicalismo e promuovere una pacifica convivenza delle comunità musulmane in Occidente.
La fondazione prende il nome da William Abdullah Quilliam (1856-1932), cittadino britannico convertitosi all’Islam e rimasto celebre per aver inaugurato la prima moschea ed il primo centro di cultura islamica in Gran Bretagna. Quilliam, noto per la sua attività di promozione dell’Islam moderato e per la ricerca della pacifica convivenza dei musulmani, rappresentò una figura unica del suo tempo e certamente un precursore.
La Fondazione Quilliam è stata invece costituita nel 2008 da Maajid Nawaz, Mahboob Hussain e Rashaad Zaman Ali, tutti ex appartenenti alla costola britannica del gruppo islamista sunnita radicale Hizb ut-Tahir, dal quale si sono distaccati per promuovere una linea “andalusa” di integrazione dell’Islam.
La Fondazione conduce ricerche e promuove convegni, nell’ottica di dimostrare come una localizzazione occidentale dell’Islam sia non solo possibile ma anche benefica per contrastare l’ideologia islamista, opposta alla religione.
La fondazione sostiene apertamente la separazione della religione dalla politica, ispirandosi ai principi di Ibn al-Qayyim.


(*) Il documento è scaricabile gratuitamente dal sito:
http://www.quilliamfoundation.org/images/stories/pdfs/unlocking_al_qaeda.pdf




SCOPRENDO AL-QAEDA
L’estremismo islamico nelle carceri inglesi


Lo studio approfondisce un aspetto particolare del radicalismo islamico in Gran Bretagna, valutando come l’esperienza carceraria costituisca spesso il primo elemento nella catena del processo di reclutamento dei terroristi. L’elemento psicologico ed emozionale di cui l’individuo è vittima entrando nel sistema carcerario è divenuto col tempo un fertile terreno per i reclutatori delle organizzazioni estremiste islamiche, che nell’ambito del sistema carcerario hanno saputo col tempo costruire una poderosa rete di controllo e manipolazione.
Una considerevole parte del rapporto è stata realizzata sulla base di dati raccolti nelle carceri o su testimonianze di ex detenuti, ricostruendo per fasi e schemi gli elementi psicologici e di debolezza sui quali i reclutatori agiscono.
L’autore individua ed elenca con precisione una serie di elementi che contribuiscono all’incremento della pressione psicologica del detenuto ed alla sua progressiva plasmabilità, individuando il modo in cui l’autorità deve potersi sostituire alle cellule radicali presenti nelle carceri provvedendo all’erogazione dei servizi altrimenti forniti dalle cellule stesse, come nel caso dei luoghi di preghiera.
Al tempo stesso è necessario attuare programmi di de-radicalizzazione mediante l’adozione di strumenti psicologici e pratici che consentano di contrastare il radicalismo, attraverso l’offerta di servizi e programmi di reinserimento, evitando l’isolamento e la separazione delle comunità, e creando meccanismi virtuosi di cooperazione tra detenuti e società.
Lo studio analizza inizialmente l’evoluzione storica del radicalismo islamico nelle carceri, partendo dall’esperienza dei paesi arabi per spostarsi poi cronologicamente in Europa a seguito degli intensi flussi migratori della seconda metà del secolo XX. Attraverso questo excursus, l’autore individua i tratti caratteristici di un regime carcerario nel tempo inadeguato alla gestione del fenomeno, ed anzi incline all’adozione di metodi e strategie rivelatesi nel tempo esplosive per la proliferazione del fenomeno di proselitismo.
Lo studio prosegue poi con una coppia di capitoli dedicati rispettivamente ai fenomeni “pull” e “push” all’interno delle carceri. L’adesione alle cellule estremiste, secondo l’autore, avviene per la simultanea e combinata azione di due fenomeni, “pull” e “push”, estremamente diversi tra loro ma funzionali l’uno all’altro nella trasformazione del detenuto e nella sua progressiva cooptazione.
Con riferimento al fenomeno “pull”, l’autore si interroga sul fenomeno del ricorso alla spiritualità ed alla religione nell’ambito dell’esperienza carceraria dell’individuo, indagando sul bisogno di fede, e studiando i meccanismi di avvicinamento dei detenuti musulmani ai gruppi religiosi presenti in carcere. Il fenomeno “pull” è quindi connesso alle pratiche di reclutamento dei gruppi estremisti attraverso la cooptazione dei detenuti di religione islamica, soprattutto quelli più giovani od alla prima esperienza carceraria, ritenuti più facilmente adescabili in conseguenza dell’inesperienza e dei timori all’ingresso nelle strutture penitenziarie. Il fenomeno “pull” è quindi frutto di un’azione positiva finalizzata all’attrazione dell’individuo attraverso pratiche di fraternizzazione, familiarizzazione e inclusione nelle cellule islamiche, mediante indottrinamento.
Il fenomeno “push”, al contrario, è determinato dalla volontà dell’individuo di aderire alle cellule islamiche, ed è solitamente il prodotto delle condizioni di vita all’interno delle strutture carcerarie, dell’incapacità di attrazione verso i modelli neutri da parte dell’amministrazione di giustizia, e della ghettittazione dei gruppi all’interno delle carceri, quale risultato di un’autonomia gestionale delle attività di convivenza.
Maggiore è, quindi, la capacità delle strutture carcerarie di intervenire sui fenomeni “pull” e “push”, minore è la capacità delle cellule islamiche estremiste di intervenire sui carcerati, limitando in tal modo la capacità di attrazione dei più deboli nelle maglie del radicalismo estremo.
Il rispetto delle esigenze religiose basilari, la lotta alla violenza ed al sopruso, la sistematica abolizione dell’umiliazione e dell’insulto e la corretta e costante comunicazione dei principi giuridici alla base della detenzione, si sono dimostrati, nelle esperienze carcerarie modello, i più potenti antidoti alla proliferazione delle cellule estremiste. Emarginando i gruppi o gli individui più estremisti e determinando, al contrario, una convivenza pacifica ed interreligiosa con gli altri detenuti.
Una corretta azione di de-radicalizzazione influisce poi in modo determinante anche sulla capacità degli individui di rifuggire al richiamo delle cellule radicali una volta terminata la fase di detenzione. Mentre al contrario un’esperienza carceraria dura e caratterizzata dalla militanza nelle cellule estremiste ha quasi sempre dato luogo ad una continuità post-carceraria delle cellule o degli individui. Spesso trasformatisi in volontari jihadisti nell’arco dei primi mesi del regime di libertà.
L’autore conclude il rapporto elencando una serie di suggerimenti per l’adozione di misure e tecniche da parte delle autorità competenti per la gestione delle strutture carcerarie, essenzialmente individuando nel rispetto della persona e dei suoi valori religiosi, nella gestione di condizioni di vita dignitose e nell’adozione di programmi di riabilitazione idonei, la soluzione atta a fronteggiare la cooptazione dei detenuti nelle cellule estremiste.
Lo studio riveste un interesse particolare, soprattutto nell’individuare i fenomeni di aggregazione e reclutamento delle cellule eversive fornendo, al tempo stesso, uno spaccato decisamente interessante sul sistema carcerario britannico e sulle necessità di implementazione di modelli e strategie di nuova concezione studiati per fronteggiare fenomeni in larga misura ancora inesplorati.



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