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GNOSIS 4/2009
Analisi del ruolo di un paese chiave

Sultanato di Oman: la sentinella del Golfo


Maria Gabriella PASQUALINI


Se lo Stretto di Hormuz è la porta del Golfo Persico, possederne la chiave significa di fatto controllare il flusso dei commerci petroliferi dei maggiori paesi produttori del momento. Iran, Iraq, Emirati Arabi, Kuwait, non possono fare a meno di far transitare le loro navi dinanzi a Muscat, la capitale del sultanato dell’Oman.
L’analisi della professoressa Pasqualini esamina il ruolo e il valore geopolitico dell’Oman, dal predominio marittimo portoghese fino ai giorni nostri. Soprattutto mentre nell’Oceano Indiano sembra quasi di essere tornati indietro nella storia, con i pirati che diventano sempre più aggressivi, l’area del Golfo Persico risente della situazione irachena, di quella iraniana e, pur se di riflesso, di quella dell’Afghanistan.


L’importanza geopolitica del territorio omanita, della sua posizione rispetto allo Stretto di Hormuz non è certo scoperta contemporanea. “Il porto di Muscat è molto importante per la sua situazione e sarebbe assai importante per il successo del commercio della Francia impadronirsene appena possibile…”. Così scriveva a Luigi XIV l’ambasciatore di Francia a Costantinopoli in una sua memoria del 1709, peraltro sotto la pressione dei Persiani, che volevano neutralizzare un potente vicino, controllore di Hormuz, Stretto del quale volevano avere la completa disponibilità… anche allora (1) . Un ‘gioco’ politico strategico assolutamente logico ed evidente. Del resto, nel 1700, Francia e Gran Bretagna furono aspre rivali nella contesa per il predominio politico sul Sultanato. Nel secolo XIX Oman e Gran Bretagna conclusero molti accordi commerciali e di ‘amicizia’, che ebbero il momento più importante nel 1951, quando Londra riconobbe finalmente l’Oman come uno ‘Stato indipendente’.
Nel giugno 1937 l’addetto navale italiano presso la legazione italiana a Teheran inviava allo Stato Maggiore della Marina militare, Ufficio Informazioni, una relazione sulla possibilità di una penetrazione italiana sulle coste dell’Arabia (2) , redatta da un ‘certo Tullio Pastore’ che aveva fatto un viaggio all’interno del Sultanato dell’Oman, in verità per scopi strettamente privati e commerciali: verificare la possibilità dello sfruttamento, con eventuale richiesta di concessione al Sultano, delle saline nella baia di Hafun, la cui posizione, fra Aden e il Golfo Persico era ritenuta particolarmente interessante. Il Pastori, geologo e perito minerario, non escludeva poi che le zone minerarie dell’entroterra fossero di particolare rilievo geologico. In realtà era già noto che vi erano formazioni petrolifere importanti con segni caratteristici di presenza dell’oro nero (3) . Non per caso queste notizie erano state inviate all’Ufficio Informazioni della Marina.
Si scrive poco di questo territorio che si estende sulla costa sud orientale della Penisola Araba, confinante con l’Arabia Saudita a nord-ovest, con gli Emirati Arabi a nord e con lo Yemen a sud-est, collocato in un’area sempre più ‘sensibile’ in tempi odierni, ma che ha avuto anche nel passato rilevanza notevole.
Quali sono gli elementi essenziali per comprendere il valore strategico di un territorio? Certamente la posizione geografica, la composizione etnica e sociale della popolazione, la religione, le risorse economiche, ma anche la sua storia, passata e più recente, cioè quelle costanti storiche e geografiche che caratterizzano nel corso del tempo la sua posizione geostrategica e costituiscono importanti elementi anche per comprenderne l’attuale ruolo politico, inquadrati nelle contingenti situazioni degli equilibri globali, oltre che regionali. Analizziamoli in sintesi.
Un dato obiettivo: il Sultanato si estende per più di 300.000 kmq, con un grande sviluppo delle coste, circa 3.200 km. Quel che forse è ancora più importante per meglio inquadrarne la rilevanza geopolitica, è la sua posizione geografica sull’Oceano Indiano, proiettata verso le coste della Somalia e del Kenya. Altra notazione rilevante è la presenza di due territori enclave: uno è Madha, incluso negli Emirati Arabi e l’altro è la penisola di Musandam, di circa 75 kmq, che domina lo stretto di Hormuz.
Una lingua di terra che gli Emirati separano dal territorio principale omanita. Musandam dista solamente 50 km dalla costa sud dell’Iran, prospiciente il Golfo Persico; pochi chilometri che però costituiscono proprio il nocciolo del problema. Solo il 15 luglio 1974 fu possibile per Oman e Iran stabilire le linee di navigazione nella parte più stretta della via d’acqua, che è larga poco più di 21 miglia nautiche, con un accordo redatto sulla base di una carta nautica dell’Ammiragliato britannico (4) . A rendere più difficile l’accordo e la sua applicazione è la presenza di numerose isolette sulle coste dell’Oman e dell’Iran, la cui appartenenza non sempre è stata pacificamente attribuita.
È facile intuire che la totalità delle petroliere che escono dal Golfo passano per questo Stretto lungo circa 100 miglia nautiche, ma non solo quelle, perché tutto il traffico navale, militare e commerciale, del Golfo deve passare per quel collo di bottiglia: è sotto attenzione mondiale quel che si ‘agita’ nel Golfo Persico, con i porti di Basra in Iraq, di Minah al Ahmadi in Kuwait, terminale di uno dei numerosissimi oleodotti della zona, di Bandar-e-Shapur, Busher e Bandar Abbas in Iran; da non dimenticare, poi, la presenza del costruendo impianto di GNL, di proprietà di Abu Dhabi nei pressi dell’isola di Das, il più importante centro dell’immagazzinamento di esportazione del petrolio e del gas off shore dagli Emirati Arabi, dalle tecnologie più avanzate. Solo citando questi nomi si ha, anche visivamente, in modo intuitivo, l’impressione dell’importanza geostrategica del Golfo Persico che ‘libera’ il suo traffico, di qualsiasi natura esso sia, verso il Golfo di Oman attraverso lo stretto di Hormuz!
Altro dato per un’analisi: la popolazione conta 2.300.000 abitanti, omaniti, e mezzo milione di lavoratori stranieri immigrati (5) , in particolare provenienti dall’India, dal Pakistan e dallo Sri Lanka; è composta da arabi, con minoranze persiane e baluchi, completamente integrate nel tessuto sociale omanita. Da notare che da circa duecento anni si è insediata, soprattutto nelle città di Muscat, Matrah e Salalah, un’importante colonia indiana che ha però mantenuto salde le tradizioni della cultura d’origine, pur fortemente radicata sul territorio, dedicandosi principalmente al commercio e alla ristorazione. Per quanto riguarda gli omaniti, la popolazione è mediamente molto giovane: da documenti ufficiali si evince che essa è costituita per il 60% da giovani sotto i 25 anni. Circa 45.000 unità ogni anno si affacciano sul mercato del lavoro, la maggior parte con un diploma d’istruzione superiore, ma non tutti trovano una immediata occupazione soddisfacente per un cittadino nato e cresciuto sul territorio (6) .
È anche da rilevare che la maggior parte della popolazione è concentrata nella capitale e nei territori che la circondano. Abbastanza popolata è la fascia costiera che va verso la penisola di Musandam a nord; altro centro a densità abitativa notevole è Salalah, a sud; il resto è scarsamente vissuto perché le catene montuose, alle spalle delle coste, offrono poche possibilità di vita e quelle poche che vi erano nel passato, come le coltivazioni a terrazzamenti del Jebel Al Aktar, ad esempio, sono ora abbandonate dai giovani che cercano attività più redditizie, in città, in uno Stato dove il tenore di vita è indubbiamente alto.
La lingua parlata è l’arabo, ma quasi tutti, almeno nelle città principali, parlano inglese. Oltre ai dialetti Hindi e Urdu, è parlato il baluchi, che si avvicina molto al persiano.
Ancora una notazione ‘chiave’ riguarda l’aspetto religioso che, in questo come in altri casi, ha avuto, e ha, una influenza notevole sullo sviluppo della storia del paese e sui comportamenti attuali di fronte all’integralismo islamico di matrice terrorista. Gli omaniti sono in grande maggioranza musulmani Ibaditi (7) , una ‘setta’ dell’Islam, con uno stile di vita molto spartano, soprattutto tenuto conto dell’enorme ricchezza del paese (anche se non comparabile con quella dei suoi vicini), i cui prodotti principali sono il petrolio e il gas. Sono presenti minoranze di musulmani shiiti e sunniti; di Zoroastriani, Bahai e in piccolissimo numero, di cristiani.
Se analizziamo la struttura del territorio (oltre alle coste molto estese, vi sono due catene di monti: Jebel Al Aktar che si erge internamente lungo la maggior parte delle coste; e Al-Qara, al sud, sempre parallela alla costa) si comprende come gli ibaditi abbiano potuto radicarsi su questa costa: nel 751 d.C. il primo Imam ibadita eletto si rivoltò contro il Califfato e, dovendo sfuggire alla persecuzione della maggioranza sunnita dell’Islam, si rifugiò verso le coste, protette appunto dall’alta catena di monti, di difficile accesso e scarsamente vivibili, se non per le oasi nei wadi (8) che si sono formati nel corso del tempo.
La storia del Sultanato è molto interessante proprio per una migliore comprensione della realtà attuale e dimostra come questo sia sempre stato un territorio considerato un punto strategico di primaria importanza, anche quando non era iniziata la corsa all’oro nero. Muscat, infatti, ebbe il ruolo di potente base navale durante tutto il periodo portoghese nell’Oman, cioè per circa 150 anni, dagli inizi del XVI secolo fino al 1648 e, tuttora, ha un ruolo di primario porto nel settore. I portoghesi non ebbero mai l’intenzione di espandersi nell’interno e non sarebbe stato comunque facile in quel periodo, considerata la conformazione orografica del territorio; la loro principale preoccupazione fu sempre quella di garantirsi la sicurezza delle coste, per dominare i flussi commerciali, soprattutto delle ricche spezie, tra l’Europa occidentale e l’Oriente, a detrimento dei turchi nel Mediterraneo e degli arabi nel Golfo e nel Mar Rosso. La potenza navale portoghese, saldamente ancorata anche su quelle coste, implicò all’epoca una modificazione dei rapporti di forza tra arabi, asiatici e europei nell’Oceano Indiano, riducendo a zero l’egemonia araba che era centrata su Zanzibar. La presenza stabile sulle coste omanite permise e permette la realizzazione di un certo tipo di politica navale locale e di area settoriale, allora come ora.
Seguirono ai portoghesi brevi periodi di invasioni yemenite e persiane, ma in realtà fin dal 1690 l’Oman è Stato indipendente (9) , anche se i riconoscimenti da parte europea sono avvenuti molto più tardi, quando, dopo la seconda guerra mondiale, si affermò il concetto di piena indipendenza, al di là delle sfere d’interesse o d’influenza, confermate però di fatto con una politica di presenze militari costanti.
Per rendersi conto di quanto sia sempre stato strategicamente rilevante nella storia il territorio omanita basti notare che vi sono circa 600 tra palazzi fortificati, fortezze e torri d’avvistamento, costruiti dal 1100 in poi (10) . Nel XVIII secolo il Sultanato di Muscat, proprio per la sua posizione geografica con sviluppo di coste, era riuscito a creare un impero marittimo che andava dall’Africa orientale al Baluchistan, una regione a cavallo tra l’attuale Pakistan e l’Iran, controllando le coste della Somalia e del Kenya; allo stesso tempo, però, doveva controllare all’interno anche tribù nemiche del Sultano e lo fece, tra l’altro, con la costruzione di numerose torri d’avvistamento, che sorgono su alcuni punti rialzati dei wadi più lunghi: ora sembrano piccole ‘cattedrali’ nel deserto, ma la funzione militare del tempo è ben chiara.
Questa posizione geografica, una certa omogeneità, o comunque integrazione, della popolazione, insieme alla storia del passato, è una costante importante da valutare insieme alle risorse economiche presenti: nel caso specifico, gas e petrolio. Il turismo sta appena iniziando, anche se presenta delle enormi potenzialità, dovute in parte all’intelligente restauro e conseguente fruibilità culturale delle numerosissime presenze di architettura militare.
Fin da quando assunse il potere (1970), l’attuale monarca, il Sultano Qaboos fece in modo che ogni più sperduto villaggio all’interno e sulle coste, potesse avere, come prima opportunità di modernizzazione dello Stato, luce elettrica e acqua potabile. L’istruzione diffusa è stata l’altro obiettivo primario: una università e scuole sono state costruite per avere una società locale istruita a vari livelli e, spesso, specializzata in prestigiosi istituti all’estero. Sono state realizzate nell’ultimo decennio numerose autostrade che permettono scambi più facili dal punto di vista culturale e commerciale, indubbiamente agevolando una maggiore integrazione culturale ed economica, tra le diverse regioni del Paese, base essenziale per il mantenimento di una solida stabilità interna necessaria a tutta la zona strategica. Tanto più necessaria se si ricorda che nel passato l’Oman ha subìto vari tentativi di destabilizzazione, ad opera sia dei sauditi sia degli yemeniti: adesso la situazione politica è completamente cambiata, tanto che quegli ibaditi, che un tempo si erano rifugiati sulle montagne aspre del Jebel Al Aktar per sfuggire ai sunniti, dopo alcuni conflitti anche contemporanei, sono ora in rapporti ottimali con l’Arabia saudita e sicuri alleati di Londra e Washington.
Dunque l’Oman è uno di quei territori che, nonostante il progresso tecnologico-militare degli ultimi secoli, non perde il suo fondamentale ruolo geopolitico sulla regione per alcune ragioni, non ultima il controllo dello stretto di Hormuz, certamente da condividere geograficamente con un vicino potente come l’Iran, che si è sempre posto come il ‘guardiano-garante’ del Golfo.
Dopo la rivoluzione islamica del 1979, il ferreo controllo, esercitato all’epoca dall’ultimo Shah Pahlavi, diminuì d’intensità nel primo anno del nuovo regime; quando scoppiò la guerra con l’Iraq, il Governo della Repubblica islamica si rese conto della necessità di ‘dover avere’ la quasi completa padronanza dello Stretto, considerando anche l’importanza, per l’economia persiana, dei porti iraniani che su di esso si affacciano, come Bandar Abbas ad esempio, proprio di fronte alla penisola di Musandam. In effetti, la rivoluzione islamica rivalutò profondamente il ruolo di ‘sentinella di fatto’ dello Stretto, cercando di averne la preminenza sull’Oman. Gli Stati Uniti, da parte loro, si assicurarono dunque il diritto di uso dei porti di Muscat e di Salalah e quello dell’aeroporto nell’isola di Masirah che è a 800 km circa da Hormuz, in posizione di controllore delle maggiori rotte dei tank petroliferi e non.
Il valore geopolitico dell’Oman è innegabile e la ricerca da parte degli Stati Uniti (e della Gran Bretagna) di affermare la loro posizione in quel settore, per controbilanciare quella dell’Iran sullo Stretto è nel solco di precedenti situazioni storiche (ricerca della preminente influenza sul territorio omanita tra inglesi e francesi): non si deve peraltro dimenticare che, in realtà, Teheran gode obbiettivamente di una migliore posizione geografico-economica sullo Stretto, considerando appunto l’impatto commerciale e militare di Bandar Abbas, che non ha una tale controparte omanita.
Porti e coste sono troppo importanti per qualsiasi tipo di attività, legale o illegale. Paradossalmente in questo settore dell’Oceano Indiano sembra quasi di essere tornati indietro nella storia: pirati che assaltano moderni ‘galeoni’, cioè navi da crociera o cargo commerciali, chiedendo riscatti ingenti da investire poi, oltre che nella vita di tutti i giorni, soprattutto in armamento sempre più sofisticato, ma non troppo, o per continuare in una attività lì ben nota fin dagli inizi del secolo, quella sempre fiorente del contrabbando d’armi, alla quale si affiancano attività più attuali altrettanto remunerative (droga, rifiuti pericolosi…). Tutto questo può essere reso possibile se in uno dei territori del settore vi è uno Stato ormai ‘collassato’, nel quale convivono o si fanno la guerra diverse fazioni, come la Somalia ad esempio, dove forse la situazione si sta facendo molto più difficile anche per i commerci illegali, proprio per la riconosciuta anarchia che vi regna.
La recente (giugno 2009) incursione di pirati somali sulle coste omanite di Salalah, nonostante la presenza di forze della NATO in zona, è un campanello d’allarme da non sottovalutare.
Se poi a tutto questo si aggiunge la difficilissima situazione del Golfo Persico, che risente della situazione irachena; di quella iraniana e, pur se di riflesso, di quella dell’Afghanistan, anche sulla base di avvenimenti storici sopra evocati, risulta chiaro che l’Oman deve continuare a godere di grande stabilità interna e rimanere sicuro alleato non del mondo occidentale, come si usa dire, ma di quella parte della comunità globale che vuole respingere integralismi di ogni matrice. Non si può dunque negare che l’Oman sia un Paese interessante per molte prospettive d’analisi.



(1) Biblioteca Nazionale, Parigi, Fondo rapporti diplomatici e consolari.
(2) Fondo U.s.m.m. (Ufficio Storico Stato Maggiore Marina), Archivio di base, b. 2684.
(3) Sic nel testo.
(4) Carta n. 2888 del 1962, PRO, ADM.
(5) Ultime stime raccolte in loco, considerando che molti lavoratori stranieri non residenti stanno rientrando nei luoghi d’origine, spesso per mancanza di contratti di lavoro. Altre stime indicano una popolazione totale per il 2006 di 3.200.000 unità, compresi gli immigrati, con un tasso di crescita del 3.2%: cfr. http//www.state.gov/r/pa/ei/bgn/35834.htm.
(6) Cfr. Ministero Affari Esteri, Rapporti Paese congiunti Ambasciate-Uffici Ice estero, 2° semestre 2008. Questo documento conferma comunque quanto è chiaramente riscontrabile sia nella capitale Muscat sia, forse ancor di più, nell’entroterra.
(7) Gli Ibaditi sono una delle poche sette sopravvissute nel XX secolo dei Kharigiti (o secessionisti), uno dei primi movimenti fondamentalisti, sviluppatosi subito dopo la morte del Profeta, per lotte fra i successori. Derivano il loro nome da Abdullah Bin Ibad al-Murri-Al Tamini, teologo del tardo VII secolo. La forma di governo di Imamato Ibadita ereditario si è affermata nel tardo IX secolo e sopravvive tuttora con i dovuti mutamenti epocali, quali uno Statuto di Base, ‘ottriato’, dal sultano regnante Qaboos, nel 1996, che stabilisce tra l’altro un parlamento bicamerale, al quale sono state elette anche donne. Il suffragio è universale. Sono stati stabiliti criteri di successione al potere secondo i quali è previsto che possa succedere al Sultano un membro della sua famiglia, diretto discendente del Sultano capostipite, sposato con una donna di strette origini omanite, restringendo di fatto gli eventuali candidati.
(8) Letto di torrente o canalone.
(9) Per meglio chiarire sinteticamente alcuni dettagli storici poco noti: alla fine del XVII secolo il Sultano Saif bin Sultan decise di espandersi sulla costa dell’Africa Orientale e riuscì ad impadronirsi della ricca isola di Zanzibar, di notevole importanza sulla rotta del commercio degli schiavi. Nel 1837 Zanzibar divenne la capitale del Sultanato di Oman e Muscat, ma nel 1856, momento della maggiore espansione omanita, in seguito ad un diverbio fra i figli del monarca per la successione, il Sultanato fu diviso in due parti: Zanzibar rimase al Sultano Majid e il territorio peninsulare all’altro figlio, Thuwaini.
(10) In quel periodo fu iniziata la costruzione di numerosi forti e torri d’avvistamento, tendenza che continuò successivamente, dando origine a interessanti esempi di architettura militare. Per quanto riguarda questo argomento cfr. il ben articolato saggio di Enrico d’Errico, Introduction to Omani Military Architecture of the Sixteenth, Seventeeth and Eighteenth Centuries, in ‘The Journal of Oman Studies” 1985, Vol. 6, Parte 2, pp. 291-306.

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