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GNOSIS 4/2009
L'assetto ordinamentale del P.M.

Il ruolo del Procuratore e i rapporti con i Sostituti


Giuseppe AMATO


Foto Ansa
 
Tra le questioni più dibattute nell’assetto della magistratura introdotto con il nuovo ordinamento giudiziario vi è la nuova disciplina dell’ufficio del pubblico ministero, in particolare i rapporti che vengono ad essere prefigurati tra il procuratore della Repubblica e i sostituti addetti all’ufficio.
Si accentua indubbiamente il ruolo del capo dell’ufficio, in una prospettiva che va correttamente apprezzata, anche alla luce dei princìpi costituzionali. Ciò per rispondere al quesito se possa parlarsi o no di un rapporto di sovraordinazione gerarchica e, se sì, per apprezzarne il contenuto e i limiti.
In realtà, nel sistema innovato, di grande rilievo sono anche i compiti attribuiti al capo dell’ufficio per garantire l’efficienza nell’esercizio dell’attività stessa: indubbiamente, anche l’“economicità” diventa momento qualificante del corretto esercizio dell’azione penale, senza che ciò, ovviamente, possa tradursi in un pregiudizio del principio costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale.
È a questi temi che è riservato l’intervento che segue, che trova, tra l’altro, spunto in un recente intervento del Consiglio superiore della magistratura (attuato con una risoluzione del 21 luglio 2009), laddove si offre una (ri)lettura dei princìpi vigenti in materia e si dettano importanti regole di condotta per il concreto attuarsi del potere di organizzazione e di gestione dell’ufficio del pubblico ministero.



Il quadro normativo

La legge delega 25 luglio 2005, n. 150, sulla riforma dell’ordinamento giudiziario, ha cambiato radicalmente l’assetto dell’ufficio del pubblico ministero, accentuando i profili di dipendenza gerarchica del sostituto rispetto al capo dell’ufficio (1) , facendo di quest’ultimo il titolare pieno del potere di organizzazione dell’ufficio e ritagliando, nel contempo, per il Consiglio superiore della magistratura (CSM) spazi di intervento marginali. Spazi che, peraltro, come si vedrà, l’organo di autogoverno della magistratura ha bene interpretato con la dazione di direttive di principio (definite “linee guida” non vincolanti) (2) , utili per guidare gli spazi di inevitabile discrezionale autonomia del dirigente in punto di organizzazione e rilevanti, del resto, per apprezzare la professionalità dello stesso dirigente – unitamente ai risultati concreti ottenuti dall’ufficio – in occasione della progressione in carriera, della conferma del dirigente e/o del nuovo incarico direttivo cui questi in futuro aspirasse (3) . Va detto a chiare lettere che, laddove il CSM avesse inteso dettare disposizioni prescrittive e vincolanti, avrebbe senz’altro violato la disciplina primaria di settore, che attribuisce al procuratore il potere-dovere di organizzare l’ufficio. L’impostazione consiliare è invece senz’altro corretta, perché, come si vedrà, si iscrive coerentemente nel sistema normativo, che interpreta valorizzando i princìpi costituzionali in materia di organizzazione dell’ufficio del pubblico ministero, di imparzialità, trasparenza e buon andamento dell’amministrazione, di corretto e puntuale esercizio dell’azione penale e di giusto processo, dai quali appunto vengono le “linee guida”, che, pur non vincolanti, consentono anche di perseguire – sperabilmente – l’obiettivo della “omogeneizzazione”, onde evitare che ogni ufficio di procura si regga sulla base di regole sempre diverse e senza un minimo di coerenza almeno nelle scelte organizzative di fondo.
Il decreto legislativo 20 febbraio 2006, n. 106 ha, ovviamente, “attuato” coerentemente il disposto di delega e, nella medesima direzione, ci si è mossi sostanzialmente anche con l’intervento correttivo di modifica realizzato con la legge 24 ottobre 2006, n. 269, pur ispirato al professato intento di “stemperare” l’eccessivo vincolo gerarchico contenuto nel testo originario del decreto legislativo n. 106 del 2006.
È quindi al decreto legislativo n. 106 del 2006, nel testo come da ultimo modificato con la legge n. 269 del 2006, che bisogna avere principalmente riguardo per ricostruire la disciplina ordinamentale del magistrato del pubblico ministero, dovendosi distinguere, in proposito, tra le attribuzioni del procuratore della Repubblica attinenti il “profilo organizzativo dell’ufficio” e quelle concernenti l’“esercizio dell’azione penale” e le attività ad esso correlate, nel cui ambito è dettagliato il rapporto che si instaura tra il procuratore della Repubblica e i sostituti addetti all’ufficio (4) .


I poteri organizzativi del
Procuratore della Repubblica


Al primo profilo, quello tipicamente organizzativo, è dedicato principalmente l’articolo 1 del decreto legislativo n. 106 del 2006, descrittivo delle attribuzioni del procuratore della Repubblica.
Di immediato rilievo è il disposto dei commi 6 e 7.
Il comma 6 dettaglia i poteri organizzativi attribuiti al procuratore della Repubblica: a) quello di determinare i criteri di organizzazione dell’ufficio; b) quello di fissare i criteri di assegnazione dei procedimenti ai magistrati addetti all’ufficio, con l’eventuale individuazione di settori di affari da assegnare ad un gruppo di magistrati al cui coordinamento sia preposto un procuratore aggiunto o un magistrato dell’ufficio; c) quello di individuare le tipologie di reati per i quali i meccanismi di assegnazione del procedimento siano di natura automatica. Si tratta del progetto organizzativo, che il procuratore detta redigere per la complessiva disciplina dell’attività dell’ufficio.
Il comma 7 prevede che i provvedimenti con cui il procuratore adotta o modifica i criteri suddetti debbano essere “trasmessi” al CSM.
Ma, prima ancora, immediato rilievo ha il disposto del comma 2 dello stesso articolo 1, laddove sono indicate le finalità di ordine generale che il procuratore deve perseguire anche nel momento dell’organizzazione [non foss’altro perché l’apparato organizzativo condiziona l’effettività e l’efficienza dell’attività dell’ufficio]: il procuratore deve assicurare “il corretto, puntuale ed uniforme esercizio dell’azione penale” e “il rispetto delle norme sul giusto processo” da parte del suo ufficio.
Queste finalità hanno importanza anche per apprezzare nella giusta luce l’altra indicazione normativa che si riferisce al momento dell’organizzazione dell’ufficio.
Si tratta dell’articolo 4 del decreto legislativo n. 106 del 2006, la cui rubrica recita: “impiego della polizia giudiziaria, delle risorse finanziarie e tecnologiche”, che attesta delle importanti competenze del procuratore anche in materia economica e di gestione delle risorse, quali ulteriori momenti significanti e qualificanti l’organizzazione dell’ufficio. Secondo tale disposizione, per assicurare l’efficienza dell’attività dell’ufficio, il procuratore della Repubblica può determinare i criteri generali ai quali i magistrati addetti all’ufficio devono attenersi – anche per l’impostazione delle indagini – nell’impiego della polizia giudiziaria, nell’uso delle risorse tecnologiche assegnate e nella utilizzazione delle risorse finanziarie delle quali l’ufficio può disporre.
La finalità della previsione è – in tutta evidenza – quella di assicurare “l’efficienza” dell’attività dell’ufficio. Peraltro, dalla lettura complessiva della norma emerge che particolare attenzione deve porsi (anche) alle esigenze del “risparmio”. Nella prospettiva del legislatore si vorrebbe, infatti, in tutta evidenza, che il capo dell’ufficio, nell’organizzazione della procura, adottasse criteri per un sapiente (nel senso di parsimonioso) uso delle risorse finanziarie e ciò con specifico riguardo alle intercettazioni, alle consulenze, all’impiego della polizia giudiziaria: che questa sia la finalità lo si ricava, in maniera sufficientemente chiara, dalla relazione di accompagnamento al decreto, laddove non ci si preoccupa tanto dei protocolli investigativi, quanto piuttosto dell’esigenza di evitare il ricorso a metodiche dispendiose (significativo, in tal senso, è l’accenno alla previsione di “soglie minime di valore” per l’affidamento di incarichi di consulenza, ed altrettanto significativo è quello al ricorso all’utilizzo della documentazione del traffico telefonico, piuttosto che allo strumento dell’intercettazione telefonica, per i reati commessi a mezzo del telefono).
È da ritenere, peraltro, che la norma, pur dettata per soddisfare finalità organizzative e di bilancio, non possa essere interpretata (ed applicata) in termini tali da determinare ricadute sull’attività (principalmente investigativa) dell’ufficio di procura, pena un inevitabile rischio di condizionamento delle concrete modalità di soddisfazione degli obblighi costituzionali -quello del giusto processo di cui all’articolo 111 e quello dell’obbligatorietà dell’azione penale dettato dall’articolo 112.
In questa prospettiva, la previsione normativa de qua va correttamente intesa solo come richiamo – in occasione delle determinazioni del magistrato del pubblico ministero – ad una particolare attenzione all’effettiva utilità dello strumento investigativo ed alla scelta della metodica più conveniente sotto il profilo dei costi (economici) e degli (sperabili) vantaggi (investigativi). La legittimità di tale interpretazione, come anticipato, la si può trovare richiamando le finalità di ordine generale che il procuratore deve sempre perseguire. La soddisfazione dei princìpi del giusto processo e del corretto esercizio dell’azione penale, evocati espressamente nell’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo, n. 106 del 2006 [e, a monte, ovviamente, dai ricordati articoli 111 e 112 della Costituzione] deve essere il parametro di riferimento anche di tali scelte organizzative.


I rapporti con il CSM

Per cogliere gli importanti spazi di autonomia organizzativa attribuita al dirigente è sufficiente porre attenzione ai rapporti che si instaurano con il CSM.
La mera “trasmissione” del progetto organizzativo significa che il CSM non può, né deve, “approvare” lo schema organizzativo dell’ufficio del pubblico ministero, a differenza di quanto era in precedenza previsto, con rigorose scansioni procedimentali, nelle circolari adottate dallo stesso CSM sulla formazione delle tabelle degli uffici giudiziari (5) .
Nel nuovo sistema, in sostanza, il procuratore è il titolare esclusivo del potere di organizzazione dell’ufficio -che deve esercitare avendo come parametro di riferimento la finalità di assicurare il corretto, puntuale ed uniforme esercizio dell’azione penale e il rispetto delle norme sul giusto processo da parte del suo ufficio: cfr. articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 106 del 2006.
Non è prevista una formale approvazione da parte del CSM, né un ruolo consultivo del consiglio giudiziario (6) , come invece previsto per le tabelle degli uffici giudicanti.
Ciò non vuol dire che il procuratore della Repubblica è legibus solutus nella organizzazione dell’ufficio e, soprattutto, ciò non vuol dire che la cultura tabellare debba considerarsi tout court estranea alla organizzazione degli uffici requirenti.
In tal senso, soccorrono le puntuali indicazioni date dal CSM nella risoluzione del 12 luglio 2007, in tema di organizzazione degli uffici del pubblico ministero. Indicazioni poi ribadite e implementate nella successiva risoluzione del 21 luglio 2009, sempre in tema di organizzazione degli uffici del pubblico ministero.
Si affronta in quella sede il significato della “trasmissione” al CSM dei provvedimenti organizzativi dei procuratori della Repubblica osservandosi che non si tratta di una trasmissione priva di significato, giacché, il sistema normativo, letto alla luce dei princìpi costituzionali, depone nel senso che i provvedimenti organizzativi dei procuratori della Repubblica possono e devono essere pur sempre valutati dal CSM alla luce dei princìpi di imparzialità, trasparenza e buon andamento dell’amministrazione previsti dall’articolo 97 della Costituzione, di quelli di autonomia e indipendenza, che l’articolo 101, comma 2, della Costituzione assicura a tutti gli appartenenti all’ordine giudiziario, e di quelli in tema di ragionevole durata del processo di cui all’articolo 111 della Costituzione. E, va senz’altro soggiunto, possono e devono essere apprezzati anche con riferimento agli articoli 107 e 112 della Costituzione, che evocano i princìpi, rispettivamente, dell’autonomia del magistrato del pubblico ministero e del corretto esercizio dell’azione penale.
Certo, il novum normativo non consente di applicare la procedura tabellare prevista per gli uffici giudicanti al potere di organizzazione dell’ufficio attribuito al procuratore della Repubblica.
Ma l’obbligo di comunicazione al CSM dei progetti organizzativi adottati dai dirigenti degli uffici requirenti costituisce, all’evidenza, momento particolarmente significativo e rilevante ai fini della attività propria dell’organo di autogoverno. Il Consiglio, infatti, può intervenire per valutare l’azione organizzativa del procuratore sotto il profilo del giudizio sulla sua attitudine a svolgere un incarico dirigenziale o, più in generale, per valutare il suo profilo professionale, ed ancora può apprezzare il progetto organizzativo con riguardo agli articoli 97 e 111 della Costituzione, per gli effetti che quel progetto può spiegare sul buon andamento della amministrazione e sulla durata ragionevole del processo, con riguardo all’articolo 107 della Costituzione, per il corretto inquadramento dei rapporti tra il dirigente e i sostituti di cui va garantita l’autonomia pur in un sistema caratterizzato da un’evidente accentuazione del ruolo del procuratore, e, ancora, con riguardo all’articolo 112 della Costituzione, nella prospettiva del corretto ed uniforme esercizio dell’azione penale. E ciò pur dovendosi senz’altro ritenere che il procuratore della Repubblica, nel concreto esercizio della potestà direttiva e di organizzazione dell’ufficio, abbia facoltà di discostarsi dalle “linee guida” indicate dal CSM, purché adotti a tal fine provvedimenti adeguatamente motivati (7) .
In questa prospettiva, quindi, i criteri adottati dal procuratore nella organizzazione dell’ufficio, se non sono soggetti a formale approvazione da parte del CSM, assumono rilevanza ai fini delle valutazioni di professionalità e di idoneità del dirigente (anche attraverso l’inserimento nel fascicolo personale) e, nei casi più gravi, sul versante dell’incompatibilità funzionale. I criteri organizzativi, inoltre, tenuto conto della prevista temporaneità delle funzioni direttive, possono fornire anche utile elemento di valutazione per il “rinnovo” dell’incarico.
Anche il consiglio giudiziario, in questa ottica ricostruttiva, se non può interloquire direttamente sul contenuto del progetto, lo può apprezzare sotto diversi, ma altrettanto importanti, profili: vuoi in occasione del giudizio valutativo sul magistrato dirigente, ma vuoi anche, sia pure indirettamente, nell’ambito del più ampio esame delle tabelle degli uffici giudicanti e in relazione ai profili incidenti su di esse, atteso lo stretto rapporto di interdipendenza tra tali uffici, al fine di garantire una funzionalità complessiva del servizio nel settore penale [anche in questo caso ai fini del futuro apprezzamento della idoneità del magistrato che li ha redatti] (8) .
L’apprezzamento dei progetti organizzativi adottati dal procuratore della Repubblica, da parte del CSM e, quindi, anche da parte del consiglio giudiziario, ai suddetti e limitati fini, dovrà ovviamente tenere conto delle disposizioni contenute nelle linee guida consiliari, delle motivazioni adottate [nel caso se ne sia discostato] dal dirigente dell’ufficio e dei risultati gestionali concretamente ottenuti, apprezzati nell’ottica della concreta soddisfazione dei princìpi evocati dalle richiamate norme costituzionali, tra i quali ovviamente particolare rilievo quelli del giusto processo e del corretto, puntuale ed uniforme esercizio dell’azione penale espressamente ripresi dall’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 106 del 2006.


“Linee guida” del CSM
e profili organizzativi


Quali sono, allora, gli indicatori utilizzabili per valutare la congruità e l’efficienza delle scelte organizzative del procuratore?
Un utile spunto può ricavarsi dalla richiamata delibera del CSM in data 21 luglio 2009, dove ci si sofferma sulla “linee guida”, pur non vincolanti ma utili per la predisposizione dei moduli organizzativi degli uffici requirenti. Linee guida, va soggiunto, utili anche per perseguire [senza mortificare le motivate scelte autonome del singole dirigente] una tendenziale uniformità che eviti il rischio di trasformare le singole procure in uffici tutti organizzati in modo diverso, anche in relazione a scelte di fondo dove, invece, l’omogeneizzazione potrebbe costituire un valore aggiunto senz’altro apprezzabile (9) .
In realtà, gli obiettivi da perseguire sono già nella Costituzione -articoli 97, 107, 111 e 112: rispettivamente, buona andamento ed efficienza; giusto processo; pari dignità ed autonomia dei magistrati del pubblico ministero; corretto, puntuale ed uniforme esercizio dell’azione penale) e sono anche riproposti nella legge primaria -cfr. articoli 1, comma 2, e 4 del decreto legislativo n. 106 del 2006: corretto, puntuale e uniforme esercizio dell’azione penale; giusto processo; efficienza anche economica nella gestione delle risorse.
Il CSM, a ben vedere, si limita a specificare quali possono essere i settori di preferibile intervento ovvero le modalità con cui tale intervento può essere preferibilmente attuato.
Le indicazioni, come detto, non hanno, né possono avere, alcun carattere vincolante, né possono pregiudizialmente esprimere un preconcetto giudizio negativo per motivate scelte di diversa natura, magari correlate alle specificità dell’ufficio.
Tre sono i settori su cui il CSM è intervenuto, proponendo, a titolo senz’altro esemplificativo e non cogente, alcune specificazioni metodologiche e alcune indicazioni preferenziali.
Il primo settore concerne la tematica della “ragionevole durata del processo”. Si tratta di tematica che trova il suo fondamento già in esplicite indicazioni di norma costituzionale e primaria (articolo 111 della Costituzione e articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 106 del 2006).
Qui, il CSM si limita ad indicazioni semplicemente di metodo, rappresentando la ovvia opportunità che le scelte organizzative del procuratore della Repubblica [la cui congruità sarà poi ricavabile dal dato statistico e dalla sua evoluzione nel tempo] siano precedute da un’attenta “analisi dei flussi e delle pendenze dei procedimenti”, con eventuale interessamento anche delle “commissioni flussi” istituite presso i consigli giudiziari (10) .
L’indicazione metodologica è di empirica utilità, nel senso che solo attraverso la conoscenza dello stato dell’ufficio è possibile adottare soluzioni migliorative. Il ricorso alla collaborazione delle “commissioni flussi” non è incombente necessitato, potendosi fare preferire, nel caso concreto, un’analisi documentata dello stato dell’ufficio effettuata dall’interno, se ed in quanto solo tale analisi possa consentire di apprezzare la reale situazione delle pendenze e delle sopravvenienze, perché consente un monitoraggio più ravvicinato nel tempo e, soprattutto, può colmare le purtroppo frequenti inattendibilità dei dati statistici ufficiali, gli unici di cui normalmente dispongono le “commissioni flussi”.
Meritevole di considerazione è l’altra indicazione fornita dal CSM, attraverso una sorta di legittimazione del capo dell’ufficio a prevedere l’introduzione di “criteri di priorità” nella trattazione dei procedimenti.
È tematica rispetto alla quale il CSM, nel tempo, ha assunto posizioni che possono finanche apparire contraddittorie: infatti, in più di un’occasione, l’organo di autogoverno si è espresso nel senso di non potere interloquire su una questione afferente a scelte giudiziarie di merito (11) ; altre volte, invece, il CSM ha fornito indicazioni agli uffici invitando a privilegiare la definizione di determinati procedimenti, con riferimento a specifici fenomeni criminali (12) . In realtà non lo sono, ove si consideri che il CSM, in una articolata risoluzione in cui ha avuto occasione di affrontare le diverse problematiche relative ai “criteri di priorità” (13) , ha condiviso soluzioni organizzative di questo tipo, riconoscendo ai dirigenti degli uffici (non solo inquirenti, ma anche giudicanti) il potere-dovere, nell’ambito delle loro competenze in tema di amministrazione della giurisdizione, di adottare iniziative e provvedimenti idonei a “razionalizzare” la trattazione degli affari e l’impiego, a tal fine, delle (scarse) risorse disponibili (14) .
In questa prospettiva, è indubitabile che la scelta di stabilire “criteri di priorità” nella trattazione dei procedimenti penali rientra nell’ambito delle determinazioni del singolo dirigente, il quale, specie laddove l’organizzazione dell’ufficio lo consenta, può privilegiare una trattazione uniforme ed indistinta di tutti i procedimenti penale. Mentre, laddove si vogliano introdurre criteri di priorità [e in tal senso sarà opportuno spiegarne le ragioni attraverso la rappresentazione dell’emergenza di un determinato fenomeno criminoso e dell’impossibilità di una trattazione ordinariamente uniforme di tutte le notizie di reato], il dirigente può trovare un’indicazione operativa nelle richiamate prese di posizione dell’organo di autogoverno, pur ovviamente non vincolanti.
Il secondo settore oggetto delle “linee guida” consiliari riguarda il “corretto, puntuale ed uniforme esercizio dell’azione penale nel rispetto delle norme sul giusto processo”.
Anche questa è tematica che trova il suo fondamento già in esplicite indicazioni di norma costituzionale e primaria -articoli 111 e 112 della Costituzione e articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 106 del 2006.
Il CSM si limita, per vero, ad indicazioni di metodo che, pur potendo apparire generiche [tale è, per esempio, l’indicazione per il dirigente di assicurare la “più equa e funzionale distribuzione degli affari tra i magistrati dell’ufficio” ovvero quella di disciplinare “l’attività dei vice procuratori onorari, nel rispetto dei limiti posti dalle norme di ordinamento giudiziario e delle direttive consiliari” (15) ], in realtà sono espressive di scelte operative molto nette.
Tra queste, rileva, in primo luogo, l’esplicita indicazione di favore per la costituzione di gruppi di lavoro specializzati [ovvero, rectius, per gli uffici di piccole dimensioni, di settori di specializzazione], assoggettati, peraltro, a periodica rotazione dei componenti, in modo da assicurare l’acquisizione di una professionalità comune a tutti i magistrati dell’ufficio, con una tempistica del ricambio peraltro modulata sulla base delle esigenze di funzionalità dell’ufficio. Rileva, poi, rispetto ai gruppi di lavoro, l’indicazione del ruolo collaborativo che, secondo l’organo di autogoverno, deve essere riservato ai procuratori aggiunti, chiamati al “coordinamento” di ciascun gruppo di lavoro ovvero di più gruppi di lavoro: è un’indicazione forte, rispetto ad un sistema di norma primaria (cfr. articolo 1, comma 4, del decreto legislativo n 106 del 2006, e cfr. anche il successivo comma 6, lettera b)) che, invece, sembra inequivocabilmente riservare al capo dell’ufficio la facoltà di prescegliere, per il ruolo di coordinamento, anche dei sostituti addetti all’ufficio (16) .
Rileva, ancora, l’esigenza di garantire lo svolgimento di riunioni periodiche tra i magistrati dell’ufficio ovvero dei singoli gruppi di lavoro. Riunioni finalizzate ad assicurare lo scambio di informazioni sulle esperienze giurisprudenziali e le innovazioni legislative, all’eventuale elaborazione di protocolli di indagini e, soprattutto, alla verifica periodica dell’andamento del servizio. Si tratta non di una sorta di “assemblearismo” nella gestione dell’ufficio che non è nel sistema normativo, bensì dell’adeguata valorizzazione e concretizzazione delle indicazioni che possono trarsi principalmente dall’articolo 107 della Costituzione che fissa il principio della diffusione del potere fra tutti i magistrati, inclusi quelli degli uffici requirenti, dovendosi così considerare positivamente l’adozione dei progetti di organizzazione che sia basata [non solo] su una corretta analisi dei flussi, [ma anche] che sia avvenuta all’esito di momenti di partecipazione dei sostituti (assemblea dell’ufficio, riunioni informali, ecc.). Ciò perché solo progetti discussi, partecipati e condivisi possono consentire di perseguire un’azione trasparente ed efficiente e, nel contempo, sono di stimolo per avere magistrati motivati ed integrati nella struttura complessivamente intesa. Il momento dell’incontro, sotto questo profilo, è momento che deve caratterizzare costantemente l’attività dell’ufficio, allorquando lo imponga la necessità di adottare scelte di fondo o quando si debba verificare, nel tempo, l’attività dell’ufficio per eventuali modifiche.
Merita, infine, di essere soffermata l’attenzione sulla già ricordata indicazione consiliare che onera il dirigente a riassicurare “la più equa e funzionale distribuzione degli affari tra i magistrati dell’ufficio”. Se ne è apprezzata l’inevitabile genericità, che però non ne esclude l’utilità come parametro di riferimento per apprezzare l’efficienza dell’organizzazione pur in un sistema normativo che, come si vedrà, non solo attribuisce al capo dell’ufficio il potere di dettare i criteri di assegnazioni degli affari, ma privilegia in questa prospettiva la delega “nominativa”, qualificando come eccezionale la delega con meccanismi di natura automatica (cfr. articolo 2, comma 4, lettera c), della legge delega n. 150 del 2005 e articolo 1, comma 6, lettera c), del decreto legislativo n. 106 del 2006). È proprio questo nuovo sistema di assegnazione che, anzi, giustifica il richiamo all’“equità” nella distribuzione degli affari, imponendo al capo dell’ufficio una particolare attenzione nello scegliere soluzioni che garantiscano l’equità dei carichi di lavoro (17) .
Il terzo settore di intervento sviluppato dal CSM riguarda l’“efficienza dell’impiego della polizia giudiziaria, nell’uso delle risorse tecnologiche e nell’utilizzazione delle risorse finanziarie”. Si tratta di tematica che, come si è visto, trova il suo fondamento in una esplicita disciplina di norma primaria -articolo 4 del decreto legislativo n. 106 del 2006-, che però va letta nell’ambito degli obiettivi finalistici indicati dagli articoli 111 e 112 della Costituzione.
Anche qui, il CSM si limita ad indicazioni semplicemente di metodo, a ben vedere molto generiche.
Si rappresenta l’ovvia esigenza che il dirigente intervenga in materia, programmando la gestione delle risorse finanziarie e tecnologiche dell’ufficio, dopo un’analisi attenta della situazione dell’ufficio [ergo, dei carichi di lavoro, ma anche della dotazione degli organici del personale magistratuale ed amministrativo].
Si rappresenta, ancora, l’esigenza che le iniziative gestionali siano il frutto di una collaborazione [ovviamente nell’ambito delle rispettive competenze] con la dirigenza amministrativa (18) .
Si rappresenta, infine, l’opportunità di coltivare la promozione della diffusione delle innovazioni informatiche. Quest’ultima indicazione è espressiva di una petizione di principio, perché nella sua genericità, quasi ovvia, dimentica quasi di considerare che le dotazioni informatiche, rappresentanti la condizioni pregiudiziale per qualsivoglia innovazione tecnologica, sono variabili che scontano una notoria carenza economica e strutturale che non può essere colmata da iniziative [diverse dalla mera sollecitazione] del singolo dirigente.
Le “linee guida”, giova ribadirlo a chiare lettere, non sono affatto vincolanti per i dirigenti degli uffici requirenti che, infatti, “possono organizzare le strutture da loro dirette secondo le modalità ritenute più opportune, conformemente alle prescrizioni di legge e motivando in maniera chiara e completa le loro scelte anche in relazione alla migliore utilizzazione del personale amministrativo” (19) al fine del conseguimento dei risultati indicati dalla normativa costituzionale e primaria. Sono tali risultati, quindi, che costituiscono il reale parametro valutativo dell’attività organizzativa dei dirigenti. Le “linee guida”, in questa prospettiva, possono rilevare, laddove motivatamente si sono prescelte soluzioni di segno diverso, solo in quanto non siano stati raggiunti gli obiettivi indicati dalla normativa costituzionale e primaria [in primo luogo, quello della ragionevole durata del processo e quello del corretto, puntuale e uniforme esercizio dell’azione penale] e solo se le linee guida siano esse stesse inequivocamente espressive di valori sottesi dalla normativa costituzionale e primaria (20) .
In ogni caso, va ricordato, il progetto organizzativo predisposto dal dirigente non è soggetto ad approvazione da parte del CSM, giacché questo, in quanto espressione della capacità di chi lo ha esteso, è sottoposto al vaglio dell’organo di autogoverno [solo] “in sede di valutazioni di professionalità, di conferma dell’incarico direttivo e ad ogni altro fine” in cui occorra giudicare dell’attitudine organizzativa del magistrato (21) .


I rapporti tra il procuratore e i sostituti

L’altro profilo di interesse, per la ricostruzione del ruolo del procuratore della Repubblica, è quello che attiene alle modalità di esercizio dell’azione penale e, rispetto a queste, ai rapporti che conseguentemente si instaurano tra il procuratore della Repubblica (“titolare esclusivo dell’azione penale”: cfr. articoli 1, comma 1, e 2, comma 1, del decreto legislativo n. 106 del 2006), e i magistrati addetti all’ufficio, cui egli può “assegnare” “la trattazione di uno o più procedimenti ovvero il compimento di singoli atti di essi” -articolo 2, comma 1, del decreto legislativo cit., nel testo modificato dalla legge n. 269 del 2006.
Va rimarcato che, rispetto al testo originario del decreto legislativo n. 106 del 2006, con la legge n. 269 del 2006, è stato introdotto l’istituto dell’“assegnazione” quale strumento giuridico per disciplinare i rapporti tra il capo dell’ufficio e i sostituti, allorquando il primo ritenga di non esercitare in proprio l’azione penale e di avvalersi dei magistrati addetti all’ufficio. Il testo originario prevedeva, invece, l’istituto giuridico della “delega”, che è stato eliminato e sostituito appunto con quello dell’“assegnazione” con il professato intendimento di attenuare il rapporto di dipendenza gerarchica insito in un istituto, quello della delega, in cui il delegante assume un inequivoco ruolo di sovraordinazione rispetto al delegato.
In realtà, si tratta di una modifica di mera facciata che non incide affatto sui rapporti tra il procuratore della Repubblica e i sostituti addetti all’ufficio, costruiti, già nel disegno originario del decreto legislativo n. 106 del 2006, in termini di accentuata “gerarchizzazione”. Non basta, per sostenere il contrario, e, quindi, per poter sostenere che l’intendimento del legislatore è stato effettivamente realizzato, l’avere sostituito la delega con l’assegnazione, una volta che tale modifica terminologica non è stata accompagnata da una contestuale rivisitazione della concreta disciplina dei rapporti tra il capo dell’ufficio e i magistrati addetti all’ufficio.
Infatti, pur non richiamandosi più l’istituto della “delega”, viene mantenuta integralmente in piedi la disciplina che, coerentemente all’impostazione originaria, ne attuava le caratteristiche attraverso una accentuata subordinazione gerarchica del sostituto rispetto al capo dell’ufficio, sia per quanto attiene l’individuazione degli spazi di autonomia decisionale conservati al sostituto, sia per quanto attiene le modalità di esercizio del potere di revoca da parte del capo dell’ufficio.
Sotto il primo profilo, non a caso si continua a prevedere la facoltà per il procuratore della Repubblica di determinare i “criteri” cui i magistrati delegati devono attenersi nell’adempimento dell’esercizio dell’attività (cfr. articolo 2, comma 2, del decreto legislativo n. 106 del 2006, come modificato dalla legge n. 269 del 2006). Al riguardo, anzi, non sembra discutibile, attesa l’inequivoca formulazione letterale della norma, rimasta anch’essa sostanzialmente immutata rispetto al testo originario, che il procuratore della Repubblica possa impartire direttive non solo di ordine generale, ma anche in relazione al singolo procedimento penale oggetto dell’assegnazione.
Piuttosto, dove il sostituto è assolutamente libero è nell’attività di udienza (22) . Soccorre, in tal senso, il disposto dell’articolo 53 c.p.p., con la previsione che “nell’udienza il magistrato del pubblico ministero esercita le sue funzioni con piena autonomia”. In proposito, dovendosi specificare che la nozione di “udienza”, ai fini che interessano, non può essere limitata all’udienza “dibattimentale”, dovendosi ricomprendere in tale nozione, ad esempio, anche le udienze di svolgimento del giudizio abbreviato e del giudizio per l’applicazione della pena richiesta dalle parti; le udienze di convalida dell’arresto o del fermo; le udienze davanti al tribunale del riesame; le udienze preliminari di rinvio a giudizio.
Sotto l’altro profilo, quello della revoca, non a caso si continua a prevedere in capo al procuratore della Repubblica la facoltà di revoca in caso di divergenza “circa le modalità di esercizio [dell’attività “assegnata”]” o di inosservanza dei criteri direttivi, definiti dallo stesso procuratore “o in via generale o con l’assegnazione” (articolo 2, comma 2, del decreto legislativo n. 106 del 2006, come modificato dalla legge n. 269 del 2006).
In vero, anche ora che si ricorre all’istituto dell’“assegnazione”, si ripropone sostanzialmente in toto quella disciplina di estremo rigore che era stata costruita come coerente esplicitazione dello stringente potere di dipendenza proprio della “delega”, mantenendosi la facoltà di revoca in caso di divergenza di opinioni circa la trattazione del procedimento “assegnato” e di inosservanza dei criteri direttivi dettati dal procuratore della Repubblica, vuoi in generale vuoi per lo specifico caso concreto all’atto dell’assegnazione.
In proposito, è da ritenere che tra i criteri di ordine generale possono rilevare quelli dettati nell’esercizio delle prerogative proprie del capo dell’ufficio in materia di misure cautelari (cfr. articolo 3 del decreto legislativo n. 106 del 2006). È da escludere, almeno in via tendenziale, che tra i criteri direttivi rilevanti ai fini della revoca possano farsi rientrare quelli che il procuratore può dettare ex articolo 4 del decreto legislativo n. 106 del 2006, in materia di impiego delle risorse dell’ufficio, trattandosi di criteri che attengono esclusivamente al momento organizzativo dell’attività e non, almeno in via immediata, al merito dell’esercizio delle funzioni giurisdizionali. Tali criteri potranno rilevare ai fini della revoca solo se ed in quanto si traducano, nel concreto, in indicazioni prescrittive relative alle condizioni di utilizzo di determinate metodiche investigative importanti l’impiego di risorse (23) .


L’assegnazione dei fascicoli

A conferma della posizione sovraordinata del capo dell’ufficio, va segnalato che nel nuovo sistema ordinamentale, con radicale cambio di prospettiva rispetto al sistema previgente, è attribuito al capo dell’ufficio il potere di dettare i criteri di assegnazioni degli affari, privilegiandosi come normale la delega “nominativa” e come eccezionale la delega con meccanismi di natura automatica-(cfr. articolo 2, comma 4, lettera c-, della legge delega n. 150 del 2005 e articolo 1, comma 6, lettera c), del decreto n. 106 del 2006.
Al contrario, in precedenza, nelle circolari del CSM in tema di tabelle, era stata sempre imposta quale regola quella dell’indicazione, da parte del capo dell’ufficio, di criteri “predeterminati” (all’evidenza, oggettivi) cui il medesimo doveva ispirarsi per la assegnazione degli affari, mentre l’assegnazione in deroga (in particolare, quella nominativa ad un determinato magistrato) era stata ritenuta legittima purché “adeguatamente motivata” avendo riguardo alla specifica professionalità necessaria alla trattazione del singolo affare ovvero a particolari esigenze di servizio. In questa prospettiva, anche di recente, erano stati ritenuti inammissibili parametri genericamente equitativi o che realizzassero una discrezionalità incontrollata del dirigente. In buona sostanza, prima del nuovo assetto ordinamentale, si era privilegiata una modalità organizzativa in forza della quale la designazione del magistrato finiva con l’avere una natura “meramente esecutiva” di parametri determinati “in via preventiva”.
Nel sistema costruito con la riforma del 2006, invece, la prospettiva è completamente diversa, laddove viene privilegiata proprio la determinazione discrezionale del capo dell’ufficio nella scelta “nominativa” del magistrato da delegare e ridotta ad ipotesi del tutto marginale quella dell’assegnazione con meccanismi automatici. È proprio nell’ambito di questa innovativa indicazione normativa in punto di assegnazione che vale la sopra ricordata indicazione consiliare al procuratore di assicurare pur sempre una “equa e funzionale” distribuzione degli affari tra i magistrati dell’ufficio.
Il rapporto più stringentemente gerarchico è immediatamente apprezzabile negli uffici di dimensioni contenute.
Ciò perché è [solo] in questi uffici che il procuratore della Repubblica, secondo la metodica organizzativa più ovvia e diffusa, è in grado di esaminare direttamente la “posta”, ossia, più in particolare, le notizie di reato che sopravvengono nell’ufficio. Non ha il filtro di organizzazione intermedie [gestite spesso da uno o più procuratori aggiunti, affiancati da personale amministrativo], previste negli uffici di grandi dimensioni proprio per curare l’esame delle sopravvenienze e disporne, con l’iscrizione, anche l’assegnazione ai singoli magistrati. Negli uffici di contenute dimensioni è infatti direttamente il capo dell’ufficio che assegna, senza mediazione organizzative, i fascicoli al singolo magistrato.
È quindi il capo dell’ufficio che, nell’assegnare i fascicoli, può direttamente dettare i criteri cui il magistrato delegato deve attenersi nell’esercizio della delega; con la previsione, tra l’altro, di essere direttamente informato della sorte del fascicolo e, prima, delle iniziative che il sostituto ritiene di dovere adottare.
Deve essere comunque chiaro che il potere del procuratore di assegnazione dei fascicoli, che implica ovviamente anche quello di autoassegnazione e di coassegnazione, non può essere, all’evidenza, frutto di scelte totalmente discrezionali, prive di ragionevole spiegazione, perché ciò, pur in assenza di un’indicazione di norma primaria, contrasterebbe con il principio di buon andamento dell’amministrazione (articolo 97 della Costituzione).
La buona organizzazione amministrativa vuole, in definitiva, la predisposizione di regole meditate che, a tacer d’altro, consentano di perseguire il risultato di un’equa ripartizione dei carichi di lavoro.
In questa prospettiva, bene si è espresso il CSM (24) , che ponendosi in linea con il richiamato principio costituzionale (25) , ha evidenziato l’esigenza inderogabile che il provvedimento di assegnazione, di autoassegnazione o di coassegnazione sia “motivato”: l’esigenza consiliare riteniamo possa senz’altro trovare soddisfazione attraverso l’indicazione da parte del procuratore, nel progetto organizzativo, dei criteri generali che dovranno presiedere il momento dell’assegnazione dei procedimenti. Ciò che non esclude, certo, una deroga caso per caso, a seconda delle emergenze della singola vicenda, purché supportata da adeguata ed esaustiva motivazione che spieghi, magari, le ragioni dell’eccezione adottata rispetto ai criteri dettati in via generale nel programma organizzativo.
Resta da dire che la disciplina primaria (cfr. articolo 2, comma 1, del decreto legislativo n. 106 del 2006) prevede, in uno con l’assegnazione del procedimento, la facoltà per il procuratore di assegnare al sostituto il “compimento di singoli atti” di un procedimento, ovviamente assegnato a sé medesimo o ad altro sostituto. È tematica delicata perché in grado potenzialmente di attingere negativamente la sfera di autonomia professionale e la stessa dignità del sostituto onerato del compimento di uno specifico atto. Risulta evidente, allora, che la disposizione va letta alla luce dei princìpi desumibili dall’articolo 107 della Costituzione, di garanzia dell’autonomia dei magistrati del pubblico ministero. È in questa prospettiva che, esattamente, si è mosso il CSM (26) , con alcune indicazioni metodologiche senz’altro condivisibili. La prima, riguarda la tendenziale limitazione del ricorso a tale modalità di coinvolgimento del sostituto ai procedimenti trattati personalmente dal procuratore: ciò che si spiega anche in relazione agli incombenti in tema di organizzazione dell’ufficio che possono giustificare un parziale coinvolgimento di altri nello svolgimento dell’attività giudiziaria. La seconda, riguarda le condizioni di esercizio della facoltà de qua in caso di fascicoli assegnati ad altri sostituti, con la previsione della legittimità della medesima nei soli casi eccezionali di assoluto impedimento del magistrato titolare del procedimento e di necessità di adottare atti indifferibili ed urgenti (27) .


I gruppi di lavoro e i settori specialistici

L’assegnazione, che deve essere tendenzialmente nominativa e non automatica è, secondo la scelta organizzativa preferibile (28) , mediata dalla metodica diretta a privilegiare l’introduzione nell’ufficio di gruppi specializzati di magistrati, ovvero, più precisamente, negli uffici di dimensioni contenute, di settori specialistici attribuiti ad uno o più magistrati dell’ufficio, deputati a trattare materie richiedenti una particolare specializzazione. In tal caso, la scelta “nominativa” viene a ricadere sul o su uno dei magistrati assegnati al gruppo o settore specialistico.
La ripartizione dell’ufficio mediante il ricorso ai gruppi o settori specialistici, oltre a garantire la migliore professionalità del magistrato, presenta un vantaggio ulteriore nella disciplina dell’organizzazione dell’ufficio, in un sistema caratterizzato dalla regola dell’assegnazione “nominativa”: consente, infatti, un adeguato ricorso all’assegnazione automatica dei [restanti] fascicoli, che è soluzione che meglio soddisfa le esigenze di equità e celerità nell’assegnazione. Ciò vale per i cosiddetti reati “generici” [quelli non rientranti nei gruppi o settori specialistici], laddove la metodica organizzativa prevalente prevede, per gli uffici più piccoli, l’assegnazione [automatica] al magistrato, di norma individuato in quello di turno [per gli atti urgenti] nel periodo convenzionalmente fissato a seconda delle dimensioni dell’ufficio [di solito, la settimana, quando si tratti di ufficio di contenute dimensioni]; mentre, per gli uffici più grandi, prevede un’assegnazione del tutto automatizzata, con lo strumento informatico.
La metodica organizzativa della istituzione dei gruppi di lavoro o dei settori specialistici appare in grado di favorire una migliore risposta qualitativa, conseguente al così realizzabile affinamento della conoscenza della disciplina normativa di riferimento [non infrequentemente, anche delle metodiche investigative e degli istituti procedurali e processuali], e, soprattutto, di consentire quel trattamento uniforme di casi analoghi che è imprescindibile connotazione della corretta amministrazione della giurisdizione, e che, diversamente, potrebbe risultare pregiudicato specie allorquando alla base della decisione si ponga la soluzione di questioni interpretative suscettibili di notevole apprezzamento discrezionale (29) .
Ciò, lo si ribadisce, in ragione dell’assorbente considerazione che per taluni settori una specializzazione dei magistrati del pubblico ministero appare ineludibile laddove si voglia perseguire un’efficace azione di contrasto e di repressione, specie nel momento del coordinamento e dell’impulso delle investigazioni.
L’introduzione di gruppi o settori specialistici di lavoro è preferibile che implichi la partecipazione del singolo magistrato a più settori specializzati, così da consentire una calibrata “turnazione”, in grado di evitare, nel contempo, sia l’improvvisa depauperazione di conoscenze derivante dal cambiamento di gruppo, sia un’altrettanto deprecabile incrostazione derivante da una permanenza eccessiva del singolo magistrato nello stesso settore di attività (30) .
È ovvio che, nel concreto, la scelta discrezionale [e sempre modificabile] di creare gruppi di lavoro o settori specialistici dipende dalla qualità dei reati rilevati nel territorio e dalla specificità delle materie (31) .


La revoca dell’assegnazione


Il tema più delicato, per cogliere i rapporti tra il procuratore e i sostituti, è quello della revoca dell’assegnazione. La relativa disciplina ha avuto, nel tempo, diversi aggiustamenti e importanti sono anche gli interventi chiarificatori del CSM, che si collocano nel pieno rispetto della disciplina primaria.
Con riguardo al procedimento di revoca, va così segnalato che, con la legge n. 269 del 2006, si è intervenuti sul disposto dell’articolo 2, comma 2, del decreto legislativo n. 106 del 2006 eliminandosi alcuni passaggi di una disciplina che lasciava fondatamente perplessi, laddove si prevedeva che il provvedimento di revoca, con le eventuali osservazioni del magistrato revocato, dovesse essere inviato al procuratore generale della Corte di cassazione e inserito nel fascicolo personale del capo dell’ufficio e del magistrato revocato.
Sono state infatti condivise le critiche che si erano avanzate da più parti sulla previsione dell’acquisizione al fascicolo personale del provvedimento di revoca e delle osservazioni del magistrato “revocato”, sul rilievo assolutamente esatto che trattavasi di una previsione costruita come una sorta di inaccettabile monito di ordine psicologico finalizzato a sconsigliare il magistrato “dissenziente” a provocare l’adozione da parte del capo dell’ufficio di un provvedimento che avrebbe potuto essere valutato, in ipotesi, in termini non positivi in occasione delle valutazioni della progressione in carriera.
Conseguentemente, sono state ora eliminate in toto sia la previsione dell’inserimento del provvedimento di revoca, unitamente alle eventuali osservazioni dell’interessato, nel fascicolo personale del capo dell’ufficio e del magistrato revocato, sia quella dell’inoltro di tali atti al procuratore generale presso la Corte di cassazione.
La disciplina primaria della revoca, contenuta nel testo vigente dell’articolo 2, comma 2, del decreto legislativo n. 106 del 2009, prevede ora rigorose condizioni per la legittimità della revoca, l’esplicita motivazione del relativo provvedimento adottata dal capo dell’ufficio nonché spazi per una interlocuzione del sostituto “revocato” (32) .
Sotto il primo profilo, per garantire l’autonomia di ogni singolo magistrato e la piena trasparenza nella conduzione delle indagini preliminari e nell’esercizio dell’azione penale, si collega la revoca alle violazione dei “criteri” dettati in via generale o con l’assegnazione dal procuratore della Repubblica.
È da ritenere che l’assegnazione del procedimento possa essere revocata, con provvedimento motivato, esclusivamente a fronte delle seguenti evenienze: inerzia o negligenza nello svolgimento delle indagini o loro anomala conduzione che faccia insorgere il rischio concreto di comprometterne l’esito e di vanificare l’esercizio dell’azione penale; violazioni di legge non scusabili o reiterate nell’ambito del procedimento; atti comunque abnormi; mancata, inesatta o parziale rappresentazione dei fatti oggetto del procedimento al procuratore quando questi ha chiesto di essere informato sull’andamento delle indagini preliminari o avrebbe dovuto esserlo, ad iniziativa del sostituto, in ragione della delicatezza dello specifico procedimento; insanabile contrasto in merito alla conduzione delle indagini preliminari fra i magistrati coassegnatari del procedimento, nel qual caso sarà il procuratore a stabilire, sempre con provvedimento motivato, quale fra i sostituti designati debba conservare la titolarità delle indagini; dissenso del procuratore sulla richiesta di misura cautelare nei casi in cui sia previsto l’assenso scritto; violazione dei criteri fissati dal procuratore, in via generale o con l’assegnazione del procedimento (33) .
Sotto il secondo profilo, è necessaria una esplicita motivazione da parte del procuratore della Repubblica (34) .
Sotto il terzo e ultimo profilo, è attribuita al magistrato revocato la facoltà di far pervenire osservazioni scritte, entro dieci giorni dalla comunicazione della revoca, al procuratore della Repubblica.
In definitiva, per la legittimità della revoca, sono congiuntamente necessarie una adeguata motivazione e, ovviamente, la sussistenza di reali ragioni giustificative a supporto. In tal modo, si coniuga in modo satisfattivo il potere di sovraordinazione del capo dell’ufficio e la doverosa, ineliminabile sfera di autonomia professionale e la dignità delle funzioni esercitate dal magistrato dell’ufficio di procura (che trova garanzia e tutela nell’articolo 107 della Costituzione).
È certamente configurabile un intervento del CSM. È da ritenere, infatti, pur nel silenzio della normativa primaria, che il provvedimento di revoca debba essere trasmesso al CSM, unitamente alle eventuali osservazioni del magistrato revocato, ciò dovendolo desumere dal disposto dell’articolo 1, comma 7, del decreto n. 106 del 2006, giacché tale provvedimento è pur sempre una modifica relativa ai criteri di assegnazione dei procedimenti (sia pure afferente un singolo procedimento). In tal senso, del resto, si è esplicitamente espresso il CSM, con le più volte richiamate risoluzioni del 12 luglio 2007 e del 21 luglio 2009, colmando la disciplina primaria in modo coerente con le indicazioni ricavabili dall’articolo 107 della Costituzione.
Per l’effetto, è esplicitamente prevista la trasmissione, da parte del procuratore della Repubblica, del provvedimento di revoca, delle eventuali osservazioni del magistrato e delle eventuali controdeduzioni che ritenesse di dover fare (35) .
L’organo di autogoverno, in caso di revoca ingiustificata, potrà adottare i provvedimenti ritenuti opportuni: che non potranno incidere direttamente sulla revoca [annullandola o comunque privandola di efficacia] in ragione del potere direttivo attribuito dalla normativa primaria al capo dell’ufficio; ma potranno ben risolversi nell’attivazione di altri strumenti lato sensu sanzionatori, allorquando la revoca venga reputata illegittima o, genericamente, ingiustificata [segnalazione ai titolari dell’azione disciplinare, inserimento della valutazione negativa nel fascicolo personale ai fini della valutazione di professionalità, iniziative in materia di incompatibilità ambientale o funzionale].
Resta da dire che, come è previsto il provvedimento di revoca da parte del procuratore della Repubblica, è parimenti configurabile, come esattamente puntualizzato dal CSM, nelle richiamate risoluzioni, la facoltà del sostituto assegnatario o coassegnatario del procedimento, che si trovi in situazione di dissenso con il procuratore in ordine alle modalità di trattazione del procedimento o all’esercizio dell’azione penale, di avanzare richiesta motivata di esonero dalla trattazione dell’affare sul quale si è registrato il contrasto (36) . In tale evenienza, il procuratore, nella apprezzata persistenza del contrasto, deve provvedere alla sua sostituzione, revocando l’assegnazione. Con la procedura e gli effetti di cui si è detto.
Il tema è più complesso quando si verta in ipotesi di coassegnazione del fascicolo in capo al procuratore e ad un sostituto. In ipotesi di dissenso sull’adozione di un determinato provvedimento, non sembra dubitabile che il capo dell’ufficio possa adottare il provvedimento giudiziario ritenuto più congruo: l’adozione è pienamente legittima ove si consideri che, allorquando il fascicolo è coassegnato con un sostituto, è pur sempre il dirigente ad essere il titolare dell’esercizio dell’azione penale, conseguendone la prevalenza della propria determinazione rispetto a quella, diversa, eventualmente sostenuta dal sostituto. In tale evenienza, vi è però da chiedersi se l’adozione del provvedimento da parte del procuratore debba essere inevitabilmente accompagnato, se non addirittura preceduto logicamente, dalla revoca della coassegnazione del sostituto dissenziente, ovvero se vi siano spazi per mantenere la coassegnazione per l’ulteriore corso del procedimento. La risposta può essere trovata, nel silenzio della disciplina di settore, considerando che la soluzione radicale [la revoca] è ovviamente l’extrema ratio, ma nulla esclude che si possano [anzi si debbano] coltivare soluzioni organizzative meno invasive – allorquando possibili e volontariamente consentite – in ragione della spontanea adesione i tutti i protagonisti. A fronte del dissenso, in altri termini, è ovvio che debba prevalere la voluntas del procuratore, ma questo non si significa, laddove lo stesso procuratore non si sia attivato per la revoca della designazione, che non si possa coltivare persistemente il mantenimento della coassegnazione e della collaborazione sinergica dei magistrati, qualora ritenute da tutti possibili ed utili. Ciò ovviamente, impregiudicata la facoltà per il sostituto di chiedere espressamente di essere tout court sostituito.


Le prerogative del procuratore sulle misure cautelari

Per completare il quadro ricostruttivo dei rapporti tra il procuratore e i sostituti, è da ricordare che gli interventi del procuratore della Repubblica sulle modalità di esercizio dell’azione penale e, prima ancora, sulle modalità di svolgimento delle indagini, sono completati dalla importante previsione contenute nell’articolo 3 del decreto legislativo n. 106 del 2006.
Tale articolo si occupa delle prerogative del procuratore della Repubblica in materia di misure cautelari, prevedendo il previo “assenso scritto” da parte del titolare dell’ufficio (o del magistrato all’uopo delegato ex articolo 1, comma 4, del decreto n. 106 del 2006: ossia, il procuratore aggiunto o il sostituto che il dirigente abbia inteso delegare al coordinamento di specifici gruppi di lavoro) sul provvedimento di fermo di indiziato di delitto disposto dal pubblico ministero, sulla richiesta di misure cautelari personali e sulla richiesta di misure cautelari reali.
Ne deriva, in sostanza, una sorta di limitazione dei poteri di organizzazione dell’ufficio da parte del dirigente, il quale è comunque tenuto a prevedere modalità organizzative in forza delle quali tali tipi di provvedimento possano essere adottati solo se espressamente assentiti da lui (o dal magistrato all’uopo delegato).
I commi 3 e 4 dell’articolo 3 prevedono, comunque, alcune eccezioni alla rigida applicazione del principio.
Il comma 3, in particolare, consente al procuratore di disporre, con apposita direttiva di carattere generale, che l’assenso scritto non sia necessario per le richieste di misure cautelari reali, “avuto riguardo al valore del bene oggetto della richiesta ovvero alla rilevanza del fatto per cui si procede” (37) .
Il comma 4, invece, esclude tout court dall’applicazione dell’assenso scritto le richieste di misure cautelari, personali o reali, formulate, rispettivamente, in occasione della richiesta di convalida dell’arresto in flagranza o del fermo di indiziato di delitto ai sensi dell’articolo 390 c.p.p., ovvero di convalida del sequestro preventivo in caso di urgenza ai sensi dell’articolo 321, comma 3 bis, c.p.p..
Ovviamente, impregiudicato il rispetto delle condizioni poste dall’articolo 3, nulla vieta al capo dell’ufficio di adottare criteri organizzativi in forza dei quali l’assenso scritto (o, più genericamente, il previo assenso, anche orale) sia previsto per provvedimenti ulteriori e diversi da quelli ivi previsti. In tale evenienza, la violazione da parte del sostituto potrà legittimare la revoca dell’assegnazione, nei termini di cui si è detto supra.
Quale è la valenza processuale dell’assenso scritto del procuratore della Repubblica? Sul tema sono intervenute le Sezioni unite della Cassazione (38) , che hanno affrontato la questione dell’eventuale incidenza processuale della mancanza di assenso scritto del procuratore della Repubblica sulla richiesta di misura cautelare personale proposta dal magistrato assegnatario o di un assenso accordato su una misura meno grave di quella richiesta ovvero, addirittura, dell’espresso dissenso sulla richiesta di misura cautelare.
Il punto affrontato ha riguardato il quesito se l’assenso scritto del procuratore della Repubblica si configuri o no come condizione di ammissibilità della richiesta di misura cautelare personale presentata dal magistrato dell’ufficio del pubblico ministero assegnatario del procedimento, e quindi di validità della conseguente ordinanza cautelare del giudice.
La Corte si è pronunciata per la soluzione negativa, riconducendo il tema dell’assenso nell’ambito della sopra ricostruita disciplina dei rapporti tra il procuratore della Repubblica e i sostituti addetti all’ufficio assegnatari dei fascicoli processuali.
Il dissenso del capo dell’ufficio sul provvedimento da adottare in materia di libertà personale integra, cioè, una ipotesi di “contrasto” circa le concrete modalità di esercizio delle attività relative alla trattazione del procedimento assegnato al sostituto, venendo a determinarsi le condizioni previste dall’articolo 2 del decreto legislativo n. 106 del 2006 perché il sostituto, il quale non intenda recedere dall’originaria richiesta, chieda di essere esonerato dalla trattazione del procedimento a tutela della sua autonomia professionale, ovvero perchè il procuratore della Repubblica possa, con atto motivato, “revocare l’assegnazione”, cui il magistrato può replicare presentando “osservazioni scritte”.
In questa prospettiva, è da escludere, invece, l’ulteriore corso della misura cautelare “non assentita”, nel senso che è precluso sia al sostituto l’inoltro di una richiesta formulata in difetto di assenso o con l’aperto dissenso del procuratore della Repubblica, sia a quest’ultimo l’inoltro della medesima richiesta, seppure corredata dall’atto del suo parziale o totale dissenso.
Peraltro, ha concluso la Corte, l’irrituale inoltro della misura cautelare non assentita o corredata dal parziale o totale dissenso del procuratore della Repubblica non ha alcuna “rilevanza esterna” nel processo: il principio di tipicità e di tassatività delle ipotesi di inammissibilità o di nullità degli atti processuali di cui all’articolo 177 c.p.p. determina che si tratta di una mera irregolarità, irrilevante processualmente e rilevante, semmai, solo sul piano ordinamentale e disciplinare (39) .


I rapporti con la stampa

Secondo l’articolo 5 del decreto legislativo n. 106 del 2006, che attua puntualmente le indicazioni contenute nella legge delega (articolo 2, comma 4, lettera f), della legge delega n. 150 del 2005), è il procuratore della Repubblica a mantenere personalmente, ovvero tramite un magistrato dell’ufficio appositamente delegato, i rapporti con gli organi di informazione.
Si tratta di una disciplina che conferma, laddove ve ne fosse stato bisogno, la rimodulazione “in chiave verticistica e gerarchizzata” dei rapporti tra il procuratore ed i sostituti e, nel contempo, vuole impedire eccessi di protagonismo e di personalizzazione nell’esercizio delle funzioni requirenti, ovvero “nella loro riproposizione ad opera degli organi di informazione” (40) .
L’articolo 5 cit., oltre a riservare al capo dell’ufficio la cura dei rapporti tra la stampa e l’ufficio requirente, pone l’esplicito divieto ai magistrati della procura della Repubblica di rilasciare dichiarazioni o fornire notizie agli organi di informazione circa l’attività giudiziaria dell’ufficio. La violazione del divieto assume anzi rilevanza disciplinare, tanto che il procuratore della Repubblica ha l’obbligo di segnalare al consiglio giudiziario, per l’esercizio del potere di vigilanza e di sollecitazione dell’azione disciplinare, le condotte dei magistrati del suo ufficio che siano in contrasto con tale divieto.
La disciplina di rigore è completata, poi, dalla previsione che ogni informazione inerente alle attività della procura della Repubblica debba essere fornita comunque attribuendola in modo impersonale all’ufficio, escludendo quindi ogni riferimento ai magistrati assegnatari del procedimento.
Trattasi di una normativa esaustiva, per gli uffici di piccole o medie dimensioni, laddove la dimensione degli affari consente una adeguata informazione del capo dell’ufficio, tale da consentirgli di curare direttamente i rapporti con la stampa, ovvero di delegare in proposito altro magistrato dell’ufficio specificamente determinato (41) .
La tematica presenta aspetti di maggiore complessità negli uffici di grandi dimensioni, dove il gran numero degli affari può porre il problema dell’effettiva praticabilità di un rapporto esaustivo con la stampa tenuto direttamente e sempre o dal procuratore o dal magistrato all’uopo specificamente individuato. Può porsi, in particolare, il problema dell’ammissibilità, in occasione degli incontri con stampa (si pensi, alla conferenza stampa che si intenda organizzare per dare notizia di un’inchiesta di particolare rilievo pubblico), della partecipazione anche del magistrato assegnatario del procedimento per affiancare il procuratore, o il magistrato istituzionalmente delegato a curare i rapporti con la stampa, ed aiutarlo a rispondere alle domande.
Di questa questione si è fatto opportunamente carico il CSM (42) , che si è reso conto dell’impraticabilità di un’interpretazione letterale del disposto normativo contenuto nell’articolo 5 cit., laddove questo sembrerebbe limitare la possibilità della delega del procuratore a curare i rapporti con la stampa solo ad “un magistrato dell’ufficio” specificamente determinato. Secondo il CSM, di tale disposizione va fornita una equilibrata interpretazione sistematica. Per l’effetto, è senz’altro da escludere che la delega possa essere attribuita ad un numero indifferenziato di magistrati. Ma è senz’altro consentita, laddove lo impongano o lo rendano opportuno le dimensioni dell’ufficio, una delega nei confronti di un magistrato per ciascun settore predeterminato di attività dell’ufficio: ergo, per ciascuno dei gruppi di lavoro in cui è ripartito l’ufficio (43) .
Trattasi di soluzione convincente ed equilibrata, perché rispetta la surrichiamata finalità di rigore della disciplina primaria, evitando un indiscriminato accesso ai media di un numero indeterminato di magistrati, ma nel contempo consente di modulare opportunamente il perseguimento di tale finalità sul piano dell’organizzazione interna dell’ufficio, assicurando che a fornire l’informazione sia un magistrato effettivamente in grado di conoscere la vicenda di interesse.
Nel contempo, il CSM ha invece espressamente esclusa la possibilità di prevedere la partecipazione alle conferenze stampa del magistrato titolare del procedimento, quando sia diverso dal procuratore o dal magistrato delegato in via generale a curare i rapporti con la stampa: tale partecipazione, si è esattamente osservato, sarebbe configgente con il disposto dell’articolo 5 cit., che impone di fornire ogni informazione “in modo impersonale”, attribuendo le attività all’ufficio ed escludendo ogni riferimento al magistrato assegnatario del procedimento (44) .


Le competenza in materia economica
e di gestione del personale


Per cogliere il proprium del nuovo, più incisivo ruolo ormai attribuito al dirigente dell’ufficio requirente merita ricordare che al procuratore della Repubblica sono attribuite importanti competenze anche in materia economica e di gestione delle risorse.
Competenze che risultano fortemente accentuate con specifico riferimento anche alla diretta gestione anche del personale amministrativo quando si verte in ipotesi di uffici di piccole o medie dimensioni, dove, non infrequentemente, manca la figura del dirigente amministrativo. In tale evenienza, infatti, non può operare a pieno regime il sistema della cosiddetta “doppia dirigenza” prefigurato nel decreto legislativo 25 luglio 2006 n. 240, dove, per la concreta gestione dell’ufficio, a fianco del magistrato capo dell’ufficio giudiziario (45) , si colloca il dirigente amministrativo “preposto all’ufficio”, cui competono la gestione del personale amministrativo, da attuare in coerenza con gli indirizzi del magistrato capo dell’ufficio, e la gestione delle risorse finanziarie e strumentali assegnate all’ufficio. Poiché il ruolo e le funzioni di dirigente amministrativo possono essere attribuiti solo a dirigenti almeno “di seconda fascia”, negli uffici ove tale profilo professionale manchi (in realtà: la maggior parte di quelli di piccole dimensioni; ma anche molti di medie dimensioni), le relative funzioni sono sostanzialmente svolte direttamente dal magistrato capo dell’ufficio giudiziario (46) , che finisce con l’essere direttamente onerato, tra l’altro, della gestione del personale amministrativo (47) .


Impiego della polizia giudiziaria,
delle risorse finanziarie e tecnologiche


A prescindere da quanto osservato supra a proposito della gestione dell’ufficio, al procuratore è attribuita per legge una peculiare competenza gestionale che attiene stavolta all’utilizzo in senso generale delle risorse personali ed economiche nel diretto svolgimento dell’attività giudiziaria.
La norma di riferimento è contenuta nel già ricordato articolo 4 del decreto legislativo n. 106 del 2006, la cui rubrica recita: “impiego della polizia giudiziaria, delle risorse finanziarie e tecnologiche”. Secondo tale disposizione, per assicurare l’efficienza dell’attività dell’ufficio, il procuratore della Repubblica può determinare i criteri generali ai quali i magistrati addetti all’ufficio devono attenersi – anche per l’impostazione delle indagini – nell’impiego della polizia giudiziaria, nell’uso delle risorse tecnologiche assegnate e nella utilizzazione delle risorse finanziarie delle quali l’ufficio può disporre.
Come si è avuto occasione di accennare, la finalità della previsione è quella di assicurare “l’efficienza” dell’attività dell’ufficio. Dalla lettura complessiva della norma, peraltro, emerge che particolare attenzione deve porsi (anche) alle esigenze del “risparmio”. Nella prospettiva del legislatore si vorrebbe, in tutta evidenza, che il capo dell’ufficio, nell’organizzazione della procura, adottasse criteri per un sapiente (nel senso di parsimonioso) uso delle risorse finanziarie e ciò con specifico riguardo alle intercettazioni, alle consulenze, all’impiego della polizia giudiziaria. Che questa sia la finalità lo si ricava, in maniera sufficientemente chiara, dalla relazione di accompagnamento al decreto legislativo n. 106 del 2006, laddove non ci si preoccupa tanto dei protocolli investigativi, quanto piuttosto dell’esigenza di evitare il ricorso a metodiche dispendiose (significativo, in tal senso, è l’accenno alla previsione di “soglie minime di valore” per l’affidamento di incarichi di consulenza, ed altrettanto significativo è quello al ricorso all’utilizzo della documentazione del traffico telefonico, piuttosto che allo strumento dell’intercettazione telefonica, per i reati commessi a mezzo del telefono).
Si è già detto, peraltro, che la norma, pur dettata per soddisfare finalità organizzative e di bilancio, non possa essere interpretata (ed applicata) in termini tali da determinare ricadute sull’attività (principalmente investigativa) dell’ufficio di procura, pena un inevitabile rischio di condizionamento delle concrete modalità di soddisfazione degli obblighi costituzionali (in primis, quello dell’obbligatorietà dell’azione penale dettato dall’articolo 112 della Costituzione).
In questa prospettiva, a ben vedere, la previsione normativa de qua va correttamente intesa solo come richiamo – in occasione delle determinazioni del magistrato del pubblico ministero – ad una particolare attenzione all’effettiva utilità dello strumento investigativo ed alla scelta della metodica più conveniente sotto il profilo dei costi (economici) e degli (sperabili) vantaggi (investigativi).
I criteri dettati in proposito dal procuratore della Repubblica attengono normalmente al momento organizzativo dell’attività e non, almeno in via immediata, al merito dell’esercizio delle funzioni giurisdizionali. Però, allorquando si traducano in indicazioni prescrittive relative alle condizioni di utilizzo di determinate metodiche investigative importanti l’impiego di risorse, potranno e dovranno vincolare il proprium delle scelte investigative dei sostituti, tanto da potere rilevare, in caso di inosservanza, ai fini della revoca dell’assegnazione: può farsi l’esempio di indicazioni limitative circa il ricorso alle consulenze tecniche in determinate materie o nell’assenza di determinate condizioni; può valere, altresì, l’esempio dei limiti stabiliti per il conveniente ricorso all’acquisizione dei tabulati telefonici o alle intercettazioni; può farsi, ancora, l’esempio delle indicazioni prescrittive in tema di mantenimento delle cose in sequestro custodite onerosamente presso terzi.


Le scelte economico-gestionali

In puntuale ossequio alle indicazioni dettate dall’articolo 4 del decreto legislativo n. 106 del 2006, gli uffici più accorti si sono quindi attivati per dettare criteri generali diretti a coniugare le esigenze della efficienza e del risparmio con quelle della completezza ed esaustività delle investigazioni.
Così, richiamando l’attenzione dei magistrati dell’ufficio sulla duplice esigenza di attivare lo strumento delle investigazioni telefoniche o ambientali o telematiche solo allorquando si tratti di metodica investigativa realmente necessaria (nel rispetto del resto delle rigorose condizioni di legge) e di evitare il ricorso indiscriminato all’istituto della proroga allorquando tale metodica non abbia fornito riscontri significativamente utili. Magari prevedendo che le richieste di proroga delle intercettazioni – ulteriori rispetto alla prima – vengano vistate dal procuratore della Repubblica.
Così, parimenti, richiamando l’attenzione sull’esigenza – di contenuto analogo – di attivare lo strumento della richiesta dei tabulati afferenti il traffico telefonico e telematico solo allorquando effettivamente necessario e solo relativamente a fattispecie incriminatici rispetto alle quali tale metodica risulti prognosticamente utile.
Così, ancora, richiamando l’attenzione sulle consulenze tecniche, evidenziando, per esempio, l’opportunità che vengano disposte (specie in forma collegiale) solo quando realmente utili e non surrogabili con le investigazioni tecniche direttamente svolte dagli organi tecnici della polizia giudiziaria; evidenziando, poi, l’esigenza di prestare particolare attenzione alla liquidazione dei compensi (ad esempio, l’obbligatoria riduzione del compenso in caso di deposito in ritardo ovvero la liquidabilità delle sole spese autorizzate e documentate); evidenziando, ancora, sempre per esemplificare, che nella scelta dei consulenti tecnici venga adottata una ragionevole turnazione, che coniughi l’esigenza di ottenere il miglior apporto tecnico possibile con quella di evitare ingiustificate posizioni di comodo, che penalizzino il coinvolgimento di altre, magari migliori, professionalità esterne.
Così, ancora, richiamando l’attenzione sull’esigenze di limitare il mantenimento in sequestro dei veicoli e degli altri beni in custodia onerosa presso terzi nei soli casi in cui tale mantenimento risulti necessario per soddisfare specifiche esigenze processuali, connesse alla prova del reato o alla futura confiscabilità della cosa.
Così, ancora, richiamando l’attenzione sui rigorosi limiti entro i quali è prevista la messa a disposizione della autorità giudiziaria dei cadaveri delle persone decedute: solo nei casi in cui sussista un concreto fumus di reato, onde solo in tali casi è doveroso procedere ad autopsia e/o a visita esterna sul cadavere, a spese dell’amministrazione della giustizia.


Il programma annuale

Per quanto detto, l’esigenza (anche) del risparmio o, meglio, del corretto ed efficiente impiego delle risorse, deve essere tenuta sempre presente. Tanto è vero che, ogni anno, il capo dell’ufficio deve redigere, inviandolo al ministero della Giustizia, il programma annuale delle attività, rappresentando, tra l’altro, in tale sede, le iniziative che ha intrapreso o intende intraprendere, non solo per la riduzione dell’arretrato e l’accelerazione dei tempi della definizione dei procedimenti, ma anche per la riduzione delle spese di giustizia (cfr. articolo 4 del decreto legislativo n. 240 del 2006). È un’obbligazione di risultato la cui soddisfazione può scontare la carenza della dotazione degli organici, sia del personale magistratuale che di quello amministrativo (scoperture o, addirittura, inadeguatezze degli organici) e può scontare, soprattutto, la carenza nelle dotazioni informatiche (tale da contrastare con quell’esigenza di monitoraggio continuo delle attività dell’ufficio che costituisce condizione essenziale per qualsivoglia sforzo organizzativo migliorativo).


Conclusione

Dopo la disamina della disciplina, possono trarsi alcune considerazioni conclusive. Indubbia, nel sistema normativo, la posizione di “sovraordinazione gerarchica” del procuratore della Repubblica, titolare esclusivo dell’esercizio dell’azione penale, rispetto ai sostituti addetti all’ufficio. Basti pensare ai criteri che il capo dell’ufficio può fissare, in via generale o nello specifico, per la trattazione dei fascicoli assegnati ai sostituti. Basti pensare, ancora, alla disciplina della revoca dell’assegnazione.
Il capo dell’ufficio non è però legibus solutus: al contrario, e in tale direzione si esprimono gli interventi del CSM più volte ricordati, è il senso di responsabilità e il rispetto dei princìpi costituzionali (giusto processo; corretto, puntuale e uniforme esercizio dell’azione penale; autonomia dei singoli magistrati del pubblico ministero, ecc.) che devono guidare ogni momento gestionale nell’organizzazione dell’attività dell’ufficio. In questa prospettiva, l’obbligo della motivazione, imposto nei momenti topici (tra questi, quello della revoca dell’assegnazione; ma ravvisabile, più in generale, già anche nel momento della predisposizione del programma organizzativo) rappresenta la migliore garanzia e, nel contempo, lo strumento per il controllo sull’attività del dirigente.
Importante, ancora, rispetto al passato, per cogliere la complessità della figura del procuratore della Repubblica, l’attenzione imposta al dirigente per la ragionevole ed efficiente gestione delle risorse umane e finanziarie: la soddisfazione di questo risultato rappresenta un parametro fondamentale ai fini della conferma nell’ufficio e, comunque, per la progressione in carriera.
La sfida per i “nuovi” dirigenti delle procure è, quindi, nel contempo, antica e moderna: nel primo caso, in ragione del costante ed inderogabile rispetto dei princìpi costituzionali, che devono sempre guidarlo nell’esercizio dei, pur fortemente rafforzati, poteri di direzione e, soprattutto, nei rapporti con i sostituti; nell’altro caso, perché l’efficienza gestionale deve essere un obiettivo assolutamente inderogabile, rientrando anche questo profilo nel proprium del corretto esercizio dell’azione penale.


(1) Non sembra dubitabile che si debba parlare di “gerarchia” in un sistema che vede, da un lato, l’espressa previsione della titolarità esclusiva dell’esercizio dell’azione penale in capo al procuratore e, dall’altro, pur in caso di “assegnazione” del fascicolo al sostituto, la facoltà per il procuratore di revocare l’assegnazione, pur se motivatamente e in presenza di determinate condizioni (cfr. articoli 1, comma 1, e 2, commi 1 e 2, del decreto legislativo 20 febbraio 2006 n. 106). Sul punto v. comunque amplius infra nel testo.
(2) V. le fondamentali risoluzioni in tema di organizzazione degli uffici del pubblico ministero in data 12 luglio 2007 e 21 luglio 2009.
(3) Non va dimenticato che il nuovo assetto della magistratura, prefigura la “temporaneità” degli incarichi direttivi: infatti, le funzioni direttive hanno natura temporanea e sono conferite per la durata di quattro anni, al termine dei quali il magistrato può essere confermato, per un’ulteriore sola volta, per un eguale periodo a seguito di valutazione, da parte del CSM, dell’attività svolta. In caso di valutazione negativa, il magistrato non può partecipare a concorsi per il conferimento di altri incarichi direttivi per cinque anni (cfr. articolo 45 del decreto legislativo 5 aprile 2006 n. 160). Analoga disciplina è prevista per gli incarichi semidirettivi (articolo 46 dello stesso decreto legislativo).
(4) Sul nuovo assetto ordinamentale e funzionale del pubblico ministero, cfr., ex pluribus, G. AMATO, voce Ordinamento giudiziario (pubblico ministero), in Il diritto - Encicl. giur., Milano 2007, vol. X, p. 453; G. AMATO; Disposizioni in materia di riorganizzazione dell’ufficio del pubblico ministero, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera d), della legge 25 luglio 2005 n. 150 (commento al decreto legislativo 20 febbraio 2006 n. 160), in Guida dir., 2006, fasc. 16, p. 14; F. DE LEO, Il principio di responsabilità nella dirigenza delle procure, in Questione giustizia, 2008, fasc. 5, p. 61; P. GAETA, voce Pubblico ministero (ufficio e organizzazione del), in Il diritto- Encicl. giur., Milano 2007, vol. XII, p. 557; G. SCARSELLI, La riorganizzazione dell’ufficio del pubblico ministero, in Foro it., 2006, V, c. 27
(5) Il CSM deve limitarsi in sostanza ad una mera “presa d’atto”, con eventuali osservazioni, non vincolante per il dirigente: cfr. risoluzione del CSM del 21 luglio 2009, dove peraltro si precisa che, in caso di formalizzazione di “rilievi”, questi debbano essere trasmessi, per i possibili interventi di competenza, sia al procuratore generale presso la corte di cassazione che al procuratore generale presso la corte di appello, cui competono poteri di vigilanza ex articolo 6 del decreto legislativo n. 106 del 2006.
(6) Si tratta, come è senz’altro noto, dell’organismo decentrato, su base distrettuale, che funge da raccordo tra il CSM, gli uffici giudiziari e i magistrati: in buona sostanza, opera come organismo periferico, territorialmente diffuso, che ha l’insostituibile compito di fornire al CSM tutti gli elementi conoscitivi propedeutici all’assunzione delle determinazioni sulla organizzazione degli uffici e sullo status in senso ampio dei magistrati.
(7) In questa ottica ricostruttiva, proprio nella risoluzione del CSM in data 21 luglio 2009 si ribadisce a chiare lettere che le “linee guida” consiliari costituiscono un “atto di mero orientamento” per i dirigenti, ferma restando in capo ad essi, comunque, la potestà di organizzare le strutture dirette secondo le modalità ritenute più opportune, “purché conformi alle prescrizioni di legge ed in vista del conseguimento dei risultati che la legge stessa impone, nonché di quegli altri ritenuti meritevoli di attenzione nello specifico dei singoli uffici”.
(8) In tal senso, opportunamente si è espresso il CSM nelle risoluzioni del 12 luglio 2007 e del 21 luglio 2009. In effetti, la normativa primaria, oltre a prevedere la trasmissione del progetto organizzativo al CSM, si limita a prefigurare analoga trasmissione al solo procuratore generale presso la corte di appello, in ragione del fatto che a questi compete, a norma dell’articolo 6 del decreto legislativo n. 106 del 2006, il potere di verifica, tra l’atro, del puntuale esercizio dei poteri di direzione, controllo e organizzazione degli uffici ai quali sono preposti”. In realtà, il CSM ha ritenuto di potere prevedere una trasmissione anche al consiglio giudiziario, non perché questo organo consultivo possa esprimere un parere eventualmente censorio sul progetto [che non è neppure suscettibile di approvazione da parte del CSM], ma perché risulta opportuno che tale organo possa valutare l’organizzazione dell’ufficio requirente unitamente a quella del corrispondente ufficio giudicante, in occasione della procedura di approvazione delle relative tabelle. Inoltre, la conoscenza del progetto è elemento utile per l’organo consultivo ai fini e per gli effetti delle valutazioni sulla professionalità del dirigente, in occasione della progressione in carriera o di eventuali domande che questi ritenesse di dover presentare. Ciò spiega come il CSM, convincentemente, pur consapevole che per i progetti organizzativi non è prevista la validità triennale stabilita per legge per le tabelle degli uffici giudicanti, abbia ritenuto di segnalare l’opportunità che questi vengano contestualmente conosciuti [e, quindi, è da ritenere, opportunamente aggiornati ed attualizzati] sia dallo stesso CSM, che dal consiglio giudiziario unitamente alle tabelle dell’ufficio giudiziario, così da essere consentite una disamina organica e una valutazione congiunta della funzionalità di entrambi gli uffici (cfr. risoluzione del 10 ottobre 2007).
(9) In questo senso, si esprime la richiamata risoluzione del CSM in data 21 luglio 2009, laddove si afferma che le “linee guida” proposte, “lungi dal vincolare i dirigenti ad operare scelte organizzative conformi ed eterodirette” possono appunto concorrere a raggiungere un “obiettivo di omogeneizzazione”, per vero già caldeggiato nella precedente risoluzione del 12 luglio 2007.
(10) Si tratta di articolazioni dei singoli consigli giudiziari aventi come precipuo compito quello di esaminare, attraverso principalmente la disamina delle statistiche, l’andamento degli uffici giudiziari del distretto.
(11) Ciò attraverso la rappresentazione metodologica, in numerose occasioni, del fatto che l’ambito di intervento del CSM nel settore della gestione degli affari giudiziari è sempre circoscritto alla sfera dell’organizzazione dell’attività giudiziaria, con esclusione di iniziative tese ad autorizzare – di diritto o di fatto – la mancata trattazione di alcuni procedimenti.
(12) Ad esempio, con la risoluzione del 31 luglio 1977, ha rappresentato la necessità di una più rapida trattazione dei processi relativi alla criminalità organizzata ed ai delitti di maggiore allarme sociale; con la risoluzione in data 9 giugno 1981, ha dettato criteri di priorità nella trattazione dei procedimenti penali nei confronti dei magistrati; con la risoluzione dell’8 luglio 2009, ha rappresentato l’opportunità di una sollecita definizione dei procedimenti per i reati in materia di violenza familiare e, più in generale, di violenza contro i soggetti deboli; con la risoluzione del 28 luglio 2009, ha invitato alla sollecita definizione dei procedimenti relativi agli infortuni sul lavoro.
(13) Cfr. risoluzione del CSM in data 9 novembre 2006.
(14) Addivenire a scelte organizzative razionali, si è osservato nella citata risoluzione del 9 novembre 2006, nel rispetto del principio di obbligatorietà dell’azione penale (articolo 112 della Costituzione) e di soggezione di ogni magistrato esclusivamente alla legge (articolo 101, comma 2, della Costituzione), risponde infatti ai princìpi consacrati dall’articolo 97, comma 1, della Costituzione – riferibile anche all’amministrazione della giustizia – che richiama i valori del buon andamento e della imparzialità dell’amministrazione. Sul tema va comunque ricordato che l’introdurre criteri di priorità non potrebbe significare “accantonare” tout court talune categorie di procedimenti, giacché l’utilizzo di tale metodica potrebbe trasformare il buon governo dell’esercizio dell’azione penale, qualificato dall’introduzione di una scala di valori relativi a procedimenti che si intendono privilegiare nella trattazione, in una sorta di inammissibile intervento correttivo del principio di obbligatorietà dell’azione penale (sul tema, v. anche la delibera del CSM in data 15 maggio 2007, pure intervenuta sui criteri di priorità).
(15) Cfr. articolo 72 del r.d. 30 gennaio 1941 n. 12, secondo il quale, nei procedimenti sui quali giudica il tribunale in composizione monocratica, i vice procuratori onorari possono essere delegati: a svolgere le funzioni di pubblico ministero nell’udienza dibattimentale e nell’udienza di convalida dell’arresto nel giudizio direttissimo (in questo caso se in servizio da almeno sei mesi); a predisporre le richieste di emissione dei decreti penali; a partecipare nei procedimenti in camera di consiglio di cui all’articolo 127 c.p.p., diversi da quelli di convalida dell’arresto o del fermo, nei procedimenti di esecuzione ai fini dell’intervento di cui all’articolo 655, comma 2, c.p.p. nonché nei procedimenti di opposizione al decreto del pubblico ministero di liquidazione del compenso ai periti, consulenti tecnici e traduttori ai sensi dell’articolo 11 della legge 8 luglio 1980 n. 319; a partecipare nei procedimenti civili.
(16) “Il procuratore della Repubblica può delegare ad uno o più procuratori aggiunti ovvero anche ad uno o più magistrati addetti all’ufficio la cura di specifici settori di affari, individuati con riguardo ad aree omogenee di procedimenti ovvero ad àmbiti di attività dell’ufficio che necessitano di uniforme indirizzo”.
(17) È ovvio infatti che un sistema basato, come per il passato, sull’assegnazione automatica, presenta caratteristiche strutturali improntate concettualmente al rispetto del criterio dell’equità della distribuzione dei carichi: l’esigenza di garantire in concreto una equa distribuzione si presenta in termini più evidenti proprio in un sistema di distribuzione in cui la regola deve essere quella dell’assegnazione nominativa. Ed allora, proprio per corrispondere a tale esigenza, buona regola può essere, ad esempio, quella di costituire calibrati gruppi di lavoro o settori di specializzazione e di riservare una quota di assegnazione automatica per tutti i reati routinari o comunque non specializzati, trattandosi di regola organizzativa che, se basata su una puntuale analisi statistica, risolve ab imis pressoché totalmente il problema dell’equilibrio dei carichi.
(18) È il delicato tema della cosiddetta “doppia dirigenza” (su cui v. anche infra nel testo) che trova la sua disciplina normativa nel decreto legislativo 25 luglio 2006 n. 240, dedicato all’individuazione delle competenze dei magistrati capi dell’ufficio giudiziario e dei dirigenti amministrativi preposti all’ufficio, cui spetta, impregiudicato il ruolo di titolare dell’ufficio attribuito al magistrato capo dell’ufficio e quindi con l’obbligo di tenere conto degli indirizzi dati da quest’ultimo e delle indicazioni del programma annuale predisposto dal capo dell’ufficio, la funzione di gestione del personale amministrativo e delle risorse finanziarie e strumentali dell’ufficio; peraltro, le funzioni di dirigente amministrativo possono essere svolte solo da chi sia inquadrato nei ruoli dirigenziali, e non per esempio, da chi sia inquadrato nelle aree funzionali corrispondenti alla figura del direttore di cancelleria e del cancelliere; ciò comporta, vista la notoria scopertura degli organici dirigenziali, che in molti uffici giudiziari, soprattutto di medie e piccole dimensioni, sia mancante la figura del dirigente e, con essa, la figura del “dirigente amministrativo preposto all’ufficio”: da ciò deriva l’inevitabile conseguenza che gli incombenti propri del dirigente amministrativo finiscono con l’essere attribuiti direttamente al magistrato titolare dell’ufficio.
(19) Così la risoluzione del CSM in data 21 luglio 2009.
(20) Ciò che, ad esempio, dovrebbe escludersi relativamente alla costituzione di gruppi di lavoro o di settori di specializzazione, non foss’altro perché non si tratta di scelta costituzionalmente obbligata rispetto alla soddisfazione degli interessi di cui agli articoli 97, 111 e 112 e perché la norma primaria in tal senso si esprime in termini chiaramente facoltativi (cfr. articolo 1, comma 6, lettera b), del decreto legislativo n. 106 del 2006, laddove si prevede che il procuratore, nell’organizzare l’ufficio, possa “eventualmente” individuare settori di affari da assegnare ad un gruppo di magistrati; cfr. anche il precedente comma 4 dello stesso articolo 1).
(21) V. ancora nella risoluzione del CSM del 21 luglio 2009.
(22) Ciò non esclude che, in relazione ai criteri dettati dal procuratore, in via generale ovvero nel caso specifico al momento dell’assegnazione, possa realizzarsi un contrasto con le libere determinazioni, di segno difforme, del sostituto delegato per l’udienza: in tale evenienza, attraverso una corretta lettura del sistema normativo che va applicato rispettando i princìpi della leale collaborazione istituzionale, il sostituto che prefiguri il proprio diverso avviso lo dovrebbe correttamente rappresentare al capo dell’ufficio, con la conseguenza che, mentre ovviamente non potrà essere costretto “in udienza” a sostenere le tesi che non condivide, potrà legittimamente chiedere di essere sostituito in ossequio alla disciplina generale della revoca (su cui v. amplius infra nel testo).
(23) Può farsi l’esempio di indicazioni limitative circa il ricorso alle consulenze tecniche in determinate materie o nell’assenza di determinate condizioni; ovvero, ancora, può valere l’esempio dei limiti stabiliti per il ricorso all’acquisizione dei tabulati telefonici o alle intercettazioni.
(24) Risoluzione del CSM del 12 luglio 2007.
25 Meno convincente è il contestuale richiamo anche del principio di soggezione dei giudici soltanto alla legge (articolo 101, comma 2, della Costituzione), che sembra in conferente rispetto al tema.
(26) Ancora nella risoluzione del 12 luglio 2007.
(27) Diversamente opinando, si osserva nella risoluzione sopra citata, l’assegnazione di singoli atti di un procedimento trattato da altro magistrato finirebbe con il tradursi in una “revoca parziale” dell’assegnazione, come tale lesiva della dignità delle funzioni svolte dai magistrati (sia dal titolare del procedimento, sia dall’assegnatario).
(28) Oggetto, come si è visto supra nel testo, di una chiara, anche se non vincolante, indicazione consiliare ispirata a far privilegiare scelte organizzative che prevedano gruppi di lavoro o, comunque, settori di specializzazione.
(29) L’esperienza concreta è in questa direzione: in tutti o quasi tutti gli uffici pur di contenute dimensioni si assiste di norma, quindi, per l’organizzazione del lavoro, all’introduzione di gruppi di lavoro [rectius, talvolta, in ragione delle particolarmente piccole dimensioni dell’ufficio, di settori specialistici] attribuiti alla cognizione del medesimo magistrato ovvero, nel caso, di due o più magistrati, beninteso sotto la supervisione del capo dell’ufficio. Negli uffici più grandi la suddivisione in gruppi di lavoro è la regola, con attribuzione del coordinamento dei medesimi, normalmente, a uno o più procuratori aggiunti.
(30) Va ricordato che negli uffici requirenti di medie o grandi dimensioni (quelli composti da almeno otto unità, compreso il procuratore della Repubblica), in ossequio al dettato di norma primaria (cfr. articolo 19 del decreto legislativo 5 aprile 2006 n. 160) il CSM, con il regolamento adottato il 13 marzo 2008, prevede il termine massimo di permanenza di dieci anni “nel medesimo gruppo di lavoro”, disciplinando le modalità attuative.
(31) Esemplificando, sono spesso previsti gruppi o settori specialistici nelle seguenti materie:
- i reati contro la pubblica amministrazione (concussione, corruzione, abuso di ufficio, ecc.), dove la scelta si giustifica non solo per la complessità della normativa, che implica non infrequentemente la conoscenza e l’approfondimento di complesse normative amministrative [ad esempio, in materia di appalti pubblici], ma anche per la previsione di istituti processuali del tutto peculiari [la responsabilità amministrativa degli enti, la previsione di forme di confisca anche per equivalente dei profitti illecitamente acquisiti, ecc.];
- i reati in materia di edilizia e urbanistica, compresi quelli in materia di tutela del patrimonio artistico e paesaggistico, dove è la complessità della normativa amministrativa sottostante a giustificare la scelta della specializzazione, confortata anche dall’esigenza di scelte processuali uniformi [ad esempio, il sequestro dell’immobile abusivamente costruito];
- i reati di omicidio colposo e lesioni personali colpose (articoli 589 e 590 del codice penale), commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all’igiene del lavoro ovvero conseguenti ad una malattia professionale, dove emerge l’esigenza di un uniforme ed approfondito approccio ad una materia quantitativamente molto significativa, caratterizzata, del resto, da questioni giuridiche in continua evoluzione interpretativa, specie in ragione della prevista introduzione di una specifica ipotesi di responsabilità amministrativa degli enti ex decreto legislativo 8 giugno 2001 n. 231 (cfr. articolo 25 septies);
- i reati in materia di tutela dell’ambiente (inquinamento dell’aria e delle acque e rifiuti), trattandosi di settore caratterizzato da una normativa complessa e in continua evoluzione;
- i reati caratterizzati da violenza, minaccia o approfittamento delle condizioni soggettive le cui persone offese sono convenzionalmente definibili come “deboli” (si pensi, per tutti, al reato di violenza sessuale, previsto dall’articolo 609 bis del Codice penale), dove la esigenza di introdurre una competenza per materia si spiega con la delicatezza delle modalità di acquisizione della prova [spesso costituite dalle sole dichiarazioni della persona offesa, spesso minorenne] e con l’indicazione, che viene, non dal solo CSM, di prevedere una risposta giudiziaria adeguata, tempestiva e sensibile rispetto ad un fenomeno in continua evoluzione quantitativa;
- i reati contro l’economia (societari, fallimentari, bancari e tributari), dove è evidente la specificità delle materie di interesse, che involgono anche competenze civilistiche dell’ufficio del pubblico ministero [in primo luogo, connesse al potere di iniziativa in materia fallimentare];
- i reati in materia di responsabilità professionale (si pensi, per tutte, alla responsabilità professionale del medico), ove la difficoltà non è tanto connessa al grado di specializzazione delle norme da applicare, bensì alla estrema difficoltà di apprezzare e valutare gli estremi, sempre sfuggenti, della “colpa”, specie quando si verte in tema di colpa professionale, onde si palesa evidente l’esigenza di una uniforme valutazione delle considerazioni che, sulle singole vicende, di volta in volta, vengono portate all’attenzione dell’autorità giudiziaria dai consulenti tecnici.
Infine, negli uffici requirenti aventi competenza distrettuale, è ovviamente prevista, come autonoma articolazione, la Direzione distrettuale antimafia, cui è attribuita la cognizione dei reati di cui all’articolo 51, comma 3 bis, C.p.p.
(32) “Se il magistrato non si attiene ai princìpi e criteri definiti in via generale o con l’assegnazione, ovvero insorge tra il magistrato ed il procuratore della Repubblica un contrasto circa le modalità di esercizio, il procuratore della Repubblica può, con provvedimento motivato, revocare l’assegnazione; entro dieci giorni dalla comunicazione della revoca, il magistrato può presentare osservazioni scritte al procuratore della Repubblica”.
(33) Si sono già evidenziate supra nel testo le condizioni in forza delle quali tra i criteri la cui inosservanza può rilevare ai fini della revoca possa farsi rientrare l’inosservanza alle direttive dettate dal procuratore ex articolo 4 del decreto legislativo n. 106 del 2006, in materia di impiego delle risorse dell’ufficio: ciò può verificarsi solo allorquando tali direttive si traducano, nel concreto, in indicazioni prescrittive relative alle condizioni di utilizzo di determinate metodiche investigative importanti l’impiego di risorse. Va soggiunto che tra i criteri di ordine generale la cui inosservanza può fondare la revoca rientrano, ovviamente, quelli relativi all’assenso scritto” in caso di misure cautelari, previsto dall’articolo 3, comma 2, del decreto legislativo n. 106 del 2006: sul quale v. infra nel testo.
(34) Motivazione che il CSM esattamente impone che sia “esistente”, “ragionevole” e “congrua”: v., da ultimo, la risoluzione del 21 luglio 2009.
(35) Il procuratore della Repubblica, nel caso in cui ritenga che la trasmissione senza ritardo degli atti sopra indicati possa pregiudicare le esigenze di segretezza delle indagini, è facoltizzato a provvedere al relativo inoltro non appena le stesse siano venute meno: cfr., da ultimo, la risoluzione del CSM del 21 luglio 2009.
(36) In tal senso, nelle risoluzioni del CSM del 12 luglio 2007 e del 21 luglio 2009.
(37) Ad esempio, ben può disporsi che l’assenso scritto del procuratore per le richieste di misure cautelari reali non sia necessario quando il bene oggetto della misura abbia un valore inferiore ad una determinata soglia e la richiesta stessa non abbia implicazioni in fatto di considerevole rilevanza o non comporti la soluzione di problemi giuridici di particolare complessità.
(38) Sentenza 22 gennaio 2009, Novi, in CED Cass., n. 242293.
(39) Merita solo ricordare che è in discussione una nuova disciplina dell’assenso scritto del procuratore della Repubblica che, nell’ambito di una più complessiva rivisitazione delle norme di procedura penale, viene configurato esplicitamente come condizione di ammissibilità della richiesta cautelare del pubblico ministero (“a pena di inammissibilità”, nei casi in cui questo è previsto).
(40) Cfr. in questo senso nella delibera del CSM in data 24 settembre 2008, dedicata ai rapporti tra l’ufficio del pubblico ministero e gli organi di informazione.
(41) Cfr. in tal senso le delibere del CSM in data 24 settembre 2008 e in data 20 febbraio 2008, in tema di rapporti tra l’ufficio del pubblico ministero e gli organi di informazione.
(42) Cfr. la già citata delibera del 24 settembre 2008.
(43) In altri termini, si legittima una delega, operata anche in via permanente, in favore dei magistrati (di regola, i procuratori aggiunti) incaricati di coordinare i singoli gruppi di lavoro.
(44) In effetti, la partecipazione alla conferenza stampa del magistrato titolare del procedimento “tradirebbe” inevitabilmente tale suo ruolo e determinerebbe una diretta violazione del divieto di legge: cfr. ancora nella delibera del CSM del 24 settembre 2008.
(45) Cui è attribuita la titolarità e la rappresentanza dell’ufficio, oltre che la competenza ad adottare i provvedimenti necessari per l’organizzazione dell’attività giudiziaria e, comunque, concernenti la gestione del personale di magistratura ed il suo stato giuridico.
(46) Cfr., in tal senso, la circolare del Ministero della giustizia - Dipartimento dell’organizzazione giudiziaria, del personale e dei servizi in data 31 ottobre 2006.
(47) Negli uffici di piccole o medie dimensioni, quindi, spesso, proprio per l’assenza del dirigente amministrativo, il procuratore della Repubblica, oltre – come è ovvio – ad essere il titolare e ad avere la rappresentanza dell’ufficio e oltre ad avere, quindi, la competenza ad adottare i provvedimenti necessari per l’organizzazione dell’attività giudiziaria e quelli concernenti la gestione dei magistrati, ha una importante competenza che attiene alla gestione del personale amministrativo. Competenza che si estende anche ai profili amministrativi, economici e disciplinari. Ne deriva che, quasi paradossalmente, negli uffici di piccole e medie dimensioni è accentuato il ruolo manageriale e gestionale del procuratore della Repubblica, che finisce con l’essere impegnato in settori – quali quelli della gestione delle risorse, finanziarie e umane – del tutto diversi da quelli tipici dell’attività giudiziaria e dell’amministrazione della giurisdizione.

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