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GNOSIS 2/2009
Comunicazione: verso un coordinamento europeo

INTERVISTA a CORRADO CALABRO' - Presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni
a cura di Pio Marconi


Nato a Reggio Calabria nel 1935, si è laureato in Giurisprudenza all’Università di Messina nel 1957.
È stato magistrato della Corte dei Conti, del Consiglio di Stato e Presidente del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio.
Ha ricoperto numerosi e prestigiosi incarichi tra cui:
- Capo della Segreteria tecnico-giuridica del Presidente del Consiglio dei Ministri Aldo Moro;
- Capo di Gabinetto in vari ministeri: Bilancio, Mezzogiorno, Sanità, Industria, Agricoltura, Marina mercantile, Poste e Telecomunicazioni, Pubblica Istruzione e Università, Politiche comunitarie, Riforme istituzionali;
- Presidente del Comitato consultivo permanente per il diritto d’autore.
È autore di monografie in Diritto del Lavoro e Diritto Amministrativo.
Poeta e scrittore gli è stata conferita la laurea ‘Honoris causa’ dalle Università di Odessa e di Timisoara per la sua attività letteraria.
Dal 9 maggio 2005 è Presidente dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.


Negli ultimi decenni la TV (pubblica e privata) e il mercato televisivo sono stati teatro di forti conflitti politici. Due studiosi, in un’opera recente, hanno parlato di una lunga guerra che ha attraversato il Paese (F. Debenedetti, A. Pilati, La guerra dei trent’anni. Politica e televisione in Italia, Einaudi, 2009). Nel trentennio alle nostre spalle il problema principale era rappresentato dalla gestione della TV pubblica e dalle modalità con le quali far avanzare un processo di liberalizzazione dell’editoria radio-televisiva. La Corte Costituzionale, con una serie di sentenze, ha accompagnato l’allineamento del sistema radio-televisivo ai principi dell’economia di mercato, della circolazione delle idee, della libertà di manifestazione del pensiero.
Nel corso di un lavoro di adeguamento del sistema ai principi costituzionali sono intervenuti nuove possibilità e problemi. La tecnologia (satellite, digitale) ha fatto venir meno l’ostacolo opposto ad una piena liberalizzazione delle emissioni della scarsità del numero delle frequenze. Sul mercato si è presentato un nuovo soggetto della comunicazione, la Rete, che favorisce un sistema orizzontale di emissione e che moltiplica all’infinito i soggetti abilitati a trasmettere.
La competizione si è semplificata, sono però emersi nuovi problemi relativi al controllo del sistema.
Come disciplinare un universo di emissioni provenienti dalle più diverse aree del globo? Come garantire che un sistema di emissioni frammentato si conformi ad alcuni principi fondamentali posti a tutela della dignità umana? Cosa definire ‘servizio pubblico’ quando le offerte si moltiplicano senza limiti? Il legislatore ha voluto attribuire ad una Istituzione indipendente i compiti di vigilanza sul sistema costituendo (1997): l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni. Al dottor Corrado Calabrò, Presidente dell’Autorità, sono state poste undici domande sulle funzioni/attività di tale Istituzione, sulla adeguatezza della legislazione vigente, sui nuovi bisogni che crescono nella comunità.




Come opera l’Autorità nel campo delle comunicazioni? Come agisce nello spazio dell’impresa privata e in quello dell’emittenza pubblica? Come opera, infine, sui nuovi media?
L’Autorità opera nel campo delle comunicazioni con una pluralità di competenze ed obiettivi istituzionali che vanno dalla difesa di diritti fondamentali dell’uomo (quali la libertà di espressione ed il diritto di informazione), alla tutela della concorrenza, fino ad arrivare a garanzie più particolari, ma di certo non meno importanti (tutela dei minori, diritti dei cittadini diversamente abili). In questo ambito operiamo su tutti i soggetti ma con strumenti che possono variare. Difatti, un conto è l’intervento generale a tutela della concorrenza e del pluralismo che si indirizza a tutti i maggiori operatori, pubblici e privati, un altro è quello di monitoraggio ed indirizzo degli obblighi di ‘servizio pubblico’ che ovviamente si ripercuote soltanto sulla società che presiede a tale compito. Quanto, infine, ai settori di nostra competenza, l’intervento è a 360 gradi, anche se è innegabile che gli strumenti di cui disponiamo siano assai più incisivi per i tradizionali mezzi di comunicazione (la radiotelevisione in particolare), meno, molto meno, per i nuovi media (Internet), ai quali si applicano, più che altro, doveri generali di tutela di diritti fondamentali dell’uomo (quali la dignità della persona).

Si denunciano patologie e la legge prevede sanzioni e misure di indirizzo. È possibile un consuntivo?
Guardi, il consuntivo che sto facendo in questo periodo è che, a prescindere dal merito di ogni singola legge, in Italia, ma anche più in generale in Europa, esiste una normativa troppo frammentata. Troppe leggi e, per di più, non coordinate; troppi strumenti; troppi obiettivi. Noi abbiamo competenze che vanno dalla tutela del pluralismo alle modalità di presentazione dei sondaggi sui mezzi di informazione, un vero e proprio mare magnum, determinato dall’accumularsi nel tempo di interventi legislativi tra loro anche slegati.A me sembra che ci si dovrebbe concentrare su pochi, grandi obiettivi che il Paese si vuole dare e poi dotare l’Autorità dei necessari strumenti per raggiungere tali finalità.

Nuove tecnologie favoriscono un maggior numero di presenze nel sistema televisivo e dei media. Come si configurerà il mercato nei prossimi anni?
Il sistema della comunicazione è in continuo mutamento, oramai, da almeno un decennio. Prima, l’avvento delle nuove piattaforme trasmissive (dal satellite al digitale terrestre ed anche la televisione in mobilità); poi l’avvento di Internet nelle sue varie ondate: la prima generazione fatta soprattutto di nuovi strumenti di comunicazione P2P (email, VOIP, instant messaging), la seconda basata su un nuovo modo di comunicazione one to many (dalle chat, agli user generated contents fino ad arrivare ai siti di social network). In questo contesto è difficile fare previsioni: soltanto alcuni anni fa, chi avrebbe ipotizzato l’avvento di YouTube oppure quello di Facebook? È per questo che, più della convergenza, oramai si è affermato il concetto di Openess. La prima nozione è legata all’idea di settori maturi o, comunque, i cui perimetri sono già delineati, che si fondono nel tempo dando luogo ad un esito di mercato prevedibile, ancorchè nuovo. Il secondo riguarda un processo in cui le nuove piattaforme trasmissive, Internet innanzitutto, si fanno promotrici di un’evoluzione aperta del sistema della comunicazione. Non a caso, la comunicazione moderna è stata trasformata più dalla WebTV (da YouTube in poi) che dalla IP TV (ossia dalla convergenza tra tv tradizionale e reti di tlc).

Il contratto di servizio affida alla RAI compiti informativi e formativi in un contesto di concorrenza. Chiede un’opera culturale e civile unita a una congrua competitività. L’emittente pubblica è adeguata a quanto attribuitole dal contratto di servizio? Dispone di risorse, materiali, manageriali e culturali, sufficienti? Cosa occorre per migliorare la qualità? Più Stato? Più mercato?
Direi, soprattutto, meno politica. È evidente che ciò che ha imbrigliato la RAI è stato un reticolo di poteri politici che ne hanno reso difficile il cammino, peraltro in un sistema che, come dicevo, è in continua evoluzione. In questo senso bisognerebbe dotare la Società di ‘servizio pubblico’ di una governance, ossia di un sistema decisionale, più snella, meno burocratica e, quindi, in grado di prendere decisioni giuste al tempo giusto. Solo in questo modo il pubblico può compiere la sua importante azione di complemento del ruolo del mercato. Altrimenti si corre il rischio di svuotare tale missione e, quindi, prima o poi, di eliminare in nuce le motivazioni sottese all’esistenza del ‘servizio pubblico’ e, quindi, al suo finanziamento.

La BBC è un mito in Europa. Proprietà pubblica ma ferma disciplina professionale. Educare, informare, divertire. Matthew Hibberd, studioso londinese ospite della LUISS, ha sommessamente suggerito il Regno Unito come modello per l’Italia. È possibile?
Il Regno Unito è certamente un buon modello di ‘servizio pubblico’, che io stesso ho più volte citato nelle mie Relazioni. Occorre, tuttavia, calare le esperienze straniere nel nostro sistema. Non bisogna credere, infatti, che ciò che funziona all’estero funzioni automaticamente anche in Italia; da noi possono essere necessari più paletti di quanti ne siano indispensabili in contesti più abituati ad un utilizzo efficiente della cosa pubblica.

L’emittente pubblica coltiva negli ultimi anni una vocazione paragiudiziaria. Il processo penale si trasferisce dalle aule di giustizia allo schermo. La libera stampa ha sempre dato spazio al processo e al caso giudiziario. Ma ciò è lecito anche all’emittente statale? Non si rischia di ledere, con l’Autorità del ‘servizio pubblico’, insopprimibili diritti delle persone?
È per questo che abbiamo fatto un lavoro di moral suasion, durato ben 18 mesi, durante i quali ci siamo seduti attorno ad un tavolo con gli operatori, l’Ordine dei giornalisti e la Federazione della stampa. Il risultato è che, per la prima volta in Italia il 21 maggio scorso, è stato firmato un Codice di autoregolamentazione sulla rappresentazione di vicende giudiziarie nelle trasmissioni radiotelevisive. Il Codice trova fondamento nei diritti – garantiti dalla Costituzione – di libertà di espressione del pensiero, da un lato, e di rispetto dei diritti della persona, dall’altro, riconoscendo la necessità di piena esplicazione del diritto di cronaca da parte degli operatori dell’informazione (di cui l’altro versante è il diritto dei cittadini di essere informati) ma, nello stesso tempo, l’inderogabile dovere di rispettare, nell’esercizio di tale funzione informativa, i diritti alla dignità, all’onorabilità e alla riservatezza delle persone.

Emerge anche una vocazione al giornalismo investigativo. Il lavoro di indagine è sicuramente tipico della libera stampa. Ma è accettabile che una emittente pubblica, quale è la Rai, si sostituisca agli inquirenti? Non potrebbe configurarsi un illecito condizionamento? Non potrebbe manifestarsi interferenza su di un’azione penale che deve essere esercitata in piena indipendenza?
Come detto, non potrei essere più d’accordo: l’inchiesta è il fondamento stesso dell’azione giornalistica. Altra cosa invece sono alcuni approfondimenti che più che d’inchiesta sanno di “voyeurismo” o la mimesi del processo in TV.
È per questo che abbiamo fissato alcuni paletti, tra i quali:
a) una trasparente e chiara rappresentazione delle differenze fra documentazione e rappresentazione, fra cronaca e commento, fra indagato, imputato e condannato, fra pubblico ministero e giudice, fra accusa e difesa, fra carattere non definitivo e definitivo dei provvedimenti e delle decisioni nell’evoluzione delle fasi e dei gradi dei procedimenti e dei giudizi;
b) l’adozione di modalità espressive e tecniche comunicative che consentano al telespettatore un’adeguata comprensione della vicenda, attraverso la rappresentazione e l’illustrazione delle diverse posizioni delle parti in contesa, tenendo ponderatamente conto dell’effetto divulgativo ed esplicativo del mezzo televisivo che, ampliando la dialettica, può indurre al rischio di alterare la percezione dei fatti;
c) il rispetto del principio del contraddittorio, assicurando la presenza e le pari opportunità nel confronto dialettico tra i soggetti che sostengono opposte tesi – comunque diversi dalle parti che si confrontano nel processo – e rispettando il principio di buona fede e continenza nella corretta ricostruzione degli avvenimenti;
d) l’obbligo di non rivelare dati sensibili o che ledano la riservatezza, la dignità e il decoro altrui e, in special modo, della vittima o di altri soggetti non indagati, la cui diffusione sia inidonea a soddisfare alcuno specifico interesse pubblico. No alla gogna mediatica.

Il Testo Unico della radiotelevisione, vieta di manipolare l’informazione e l’utilizzo di mezzi sleali. Si tratta di imperativi che riguardano tutte le forme di emittenza. La satira può essere considerata un mezzo leale di informazione? Si può escludere che la demonizzazione del nemico politico sia una forma di manipolazione?
La satira ha proprie regole e, ogni volta che si interviene su di essa, io ho sempre timore che si vada troppo in là: meglio correre il rischio di un conformismo della satira (che è evidentemente un ossimoro) o quello di avere qualche vignetta o qualche caricatura un po’ forzata? In una democrazia matura io sarei orientato per assumermi il secondo rischio e non il primo.

Le ricerche segnalano la disaffezione dei giovani dal mezzo televisivo. La normativa continua però a considerare ‘servizio pubblico’ in primo luogo le TV. Non sarebbe opportuno un cambiamento di rotta? Non si dovrebbero spostare risorse ai nuovi media, all’educazione informatica, all’accesso alla rete?
In realtà il ‘servizio pubblico’ è sempre più audiovisivo e sempre meno televisivo. Ciò nel senso che la missione di ‘servizio pubblico’ attiene a compiti di informazione, di diffusione del patrimonio culturale, di qualità dei programmi, di tutela delle minoranze, ecc., che devono essere veicolati non solo attraverso la piattaforma televisiva ma, più in generale, attraverso tutti i maggiori mezzi di comunicazione (radio, tv, Internet) e per mezzo di una molteplicità di piattaforme trasmissive (etere, satellite, reti di tlc). Questo è il compito, tornando all’esempio che faceva lei precedentemente, che si è dato la BBC nel Regno Unito, la quale diffonde i suoi contenuti attraverso una molteplicità di mezzi ed apparati. Questo è anche il compito su cui stiamo cercando di orientare la missione della RAI in Italia. Quanto, infine, alla formazione informatica delle nuove (e mi faccia dire anche vecchie) generazioni, penso che questo sia un compito essenziale di uno Stato economicamente avanzato. Tuttavia, tale funzione non attiene al ‘servizio pubblico’ – così come tecnicamente inteso – quanto, piuttosto, alla generale missione educativa di uno Stato moderno.

La legge ha attribuito poteri di indirizzo e di controllo alla Commissione parlamentare di vigilanza e all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni. Così il legislatore aveva voluto favorire il controllo sociale sulle emissioni televisive. La Commissione di vigilanza e l’Autorità per le Garanzie erano considerate rappresentative del Paese, in virtù dell’investitura da parte di un Parlamento nel quale era rappresentata una pluralità di partiti. Oggi la rappresentanza è fortemente semplificata. Ciò ha favorito l’efficacia dell’agire pubblico. Ma ha escluso una parte di elettorato (contribuenti, cittadini che pagano il canone) dal controllo sulle emissioni televisive. Non occorre un intervento correttivo?
Sì, sono d’accordo. Vede, sono anni che si parla di una nuova organizzazione complessiva di tutte le Autorità indipendenti, che dia conto dei mutamenti occorsi nella struttura dello Stato, nelle sue articolazioni centrali e locali, nonché nell’evoluzione del contesto istituzionale e normativo europeo.Tuttavia, nonostante siano stati avanzati in passato molti disegni di legge in materia, alcuni dei quali anche assai meritori, è sempre mancata una maggioranza trasversale necessaria per far approvare tale riforma.

La nuova organizzazione dello Stato si fonda su di un larghissimo decentramento. Regionalismo accentuato. Spinte verso il federalismo. Qui sono concordi sia la maggioranza sia l’opposizione. La cultura del federalismo non dovrebbe incidere anche sul sistema radiotelevisivo. I controlli e la vigilanza devono essere necessariamente centrali? Azionista il solo Stato o si può ipotizzare un azionariato federale? Reti centrali o reti federali?
In un certo senso, la struttura della nostra Autorità e l’organizzazione che nel tempo ci siamo dati hanno precorso i tempi. L’Autorità infatti opera sul territorio, in diverse materie (dalle controversie tra gestori di comunicazione e utenti al monitoraggio delle radiotelevisioni locali), attraverso i Comitati Regionali per le Comunicazioni (i CoReCom), che sono a pieno titolo organi funzionali dell’AGCOM. Proprio sotto la mia Presidenza abbiamo attuato una decisa e profonda politica di decentramento ai CoReCom di tutte quelle funzioni su cui è necessario un presidio sul territorio ed un intervento agile e pronto. Ma attenzione: per molte altre materie (quali ad esempio la regolazione delle reti che lei citava) sono necessarie una regolamentazione ed una vigilanza nazionali, altrimenti si rischia di andare verso un caos di localismi, peraltro in controtendenza rispetto al processo di forte armonizzazione delle regole e delle procedure che sta avvenendo, proprio per il sistema della comunicazione, a livello europeo.





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