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GNOSIS 2/2009
Verso un nuovo confronto

Caucaso: scontro militare o dialogo diplomatico?


Costantino FILIDORO


Karaleti-Gori (GEORGIA) - 10 Settembre 2008
Check-point russo(Foto Ansa)

Lo scontro russo-georgiano, che ha raggiunto la massima tensione nell'agosto del 2008 con l'ingresso in Ossetia delle Forze militari russe, ha definitivamente posto all'attenzione del mondo il problema caucasico.
L'interesse internazionale per la situazione in tale area si è progressivamente intensificato in proporzione all'aumento del transito delle maggiori fonti energetiche; fonti di cui l'Europa, in particolare, non può fare a meno e che, per questo, ha inserito nazioni come Armenia, Azerbaijan e Georgia nella "Politica Europea di vicinato" (1) . Il problema del Caucaso, nonostante gli ultimi sviluppi, non è recente e non è, semplicisticamente, legato all'interesse energetico, bensì si sviluppa nel tempo a causa di un antico odio etnico.
Per comprendere questo si devono ricordare l'oppressione e il genocidio Armeno, le deportazioni forzate d'intere popolazioni, gli scontri etnico-religiosi che hanno visto cristiani contro mussulmani e cristiani contro cristiani. Negli anni Novanta si vide riprendere forza un conflitto nell'area del Prigorodnyj Rajon (2) che ebbe le sue radici nell'oramai lontano 1944, quando la popolazione autoctona degli ingusci fu completamente deportata per far posto a russi e osseti; questi odi etnici sopiti per lungo tempo, ma mai rimossi, si sono violentemente riproposti con lo smembrarsi del monolite sovietico e il ritorno delle non dimenticate rivendicazioni nazionaliste. Per quasi tutti gli anni Novanta si è avuto un costante conflitto interetnico in tutta l'area, passato in un assordante silenzio.
Con i primi anni del Duemila si è visto un lieve miglioramento delle repubbliche del Caucaso meridionale, nonostante la continua minaccia del conflitto interetnico.
L'improvvisa ripresa del problema Ossetia (nonostante le chiare affermazioni del presidente Putin sulla soluzione del problema della provincia secessionista serba del Kosovo), ha determinato il ritorno di una pericolosa contrapposizione tra la Russia e i Paesi occidentali, evidenziando quanto sia divenuta importante l'area in un ambiente geopolitico allargato dove, a differenza della vecchia 'Guerra Fredda' con la contrapposizione di due distinti blocchi, si vedono ora intrecciarsi gli interessi Russi, Europei e Statunitensi nell'ambiente economico-politico-internazionale, con le problematiche etniche religiose e terroristiche che cercano di sfruttare la situazione per fomentare il conflitto sotto forma di contrapposizione religiosa



Imprevedibile conflitto

I segnali di un conflitto erano chiari da anni, semmai gli osservatori hanno cercato di dissimulare quello che dalla “rivoluzione delle rose” si leggeva nell’opera della nuova leadership georgiana. L’elezione, nel 2004, di Mikheil Saakashvili alla Presidenza ha concretizzato l’assoluta volontà georgiana ad affrancarsi definitivamente dal controllo della Russia (3) per avvicinarsi all’Occidente e, allo stesso tempo, per sviluppare la centralizzazione politico-nazionalista. Se lo staccarsi dal controllo Russo non si può ritenere che una legittima aspirazione, la centralizzazione nazionalistica è, al contrario, un’aspirazione quanto mai rischiosa per un territorio caratterizzato da tre entità autonome: Abkhazia, Agiaria e Ossetia meridionale; nonché dalle minoranze armene e azere prive d’autonomia ma in ogni modo molto rilevanti.
Tale politica, va ricordato, fu già fortemente sviluppata sotto la presidenza di Zviad Gamsakhurdia, tra il 1991 e il 1993, che rifiutò di aderire alla CSI e sviluppò una politica micro-imperiale contro Russia e minoranze etniche. A quella politica la Russia intervenne, in forma indiretta, appoggiando le rivendicazioni d’indipendenza e libertà degli osseti e abkhazi, scatenando un conflitto che provocò migliaia di morti e profughi. Dalla dichiarazione del cessate il fuoco georgiani, abkhazi e osseti furono divisi da un contingente multinazionale voluto dalla CSI a prevalenza Russa (4) .
Il congelamento degli eventi ha permesso di creare una stabilità fittizia che Tbilisi ha cercato di rafforzare concedendo una maggiore autonomia alla regione della Repubblica di Agiaria, situata al confine con la Turchia, e popolata da georgiani di fede islamica, controllando a distanza la situazione della provincia di Javakheti (5) a maggioranza armena che fino ad ora non ha rivendicato autonomie nazionaliste per la condizione economica e per le pressioni che lo stesso Stato Armeno compie in tutela della sua condizione per non trovarsi in un altro conflitto come quello che lo vede impegnato nell’Alto Karabakh (6) . Nelle stesse condizioni, ma per ragioni fortemente economiche, la comunità azera, situata maggiormente nella regione di Kvemo Kartli, dà segnali di crescente criticità ancora diplomaticamente repressi in attesa di eventuali sviluppi (7) .
Va ricordato, per una ulteriore comprensione, che anche la diplomazia del Presidente Shevarnadze portò sempre più la Georgia ad avvicinarsi all’Occidente e in particolare alla struttura della NATO al fine di trovare quell’ombrello di difesa da possibili ritorsioni russe per il mantenimento egemonico dell’area caucasica. Questo si concretizzò con il forte avvicinamento alla Turchia per lo sviluppo di vie di transito energetico con sbocchi in Mediterraneo e Mar Nero: azione comune che vide sia la creazione dell’oleodotto da Baku a Supsa, sul Mar Nero, che ruppe il monopolio russo del petrolio caspico, sia la contestuale pubblica denuncia della Georgia del trattato di sicurezza della CSI, con il chiaro scopo di avvicinarsi sempre più alla struttura NATO (8) .
Lo scenario cambiò radicalmente con gli eventi “dell’11 settembre 2001”, che portarono la strategia statunitense ad operare su un fronte asimmetrico ed a intraprendere operazioni di auto tutela rompendo taciti accordi che fino ad allora erano stati riconosciuti con la nuova Russia del Presidente Putin. Tra questi passi vi è l’invio del contingente di “Istruttori” in Georgia nel 2002 per l’operazione anti-terrorismo denominata Train and Equip, che doveva servire per l’addestramento e la preparazione delle Forze georgiane alla lotta integrata al terrorismo internazionale di matrice religiosa. Questa mossa, chiaramente, andava contro la dottrina strategica che vedeva la Russia responsabile della funzione di supporto e difesa della ex URSS ora CSI (9) .
Il nuovo interesse strategico degli Stati Uniti si sviluppò con l’appoggio alla cosiddetta “rivoluzione delle rose” che portò alla presidenza Mikheil Saakashvili e che, come un effetto domino, portò al cambiamento in Ucraina, Moldavia e Kirghizistan consolidando la penetrazione statunitense nel Caucaso in modo maggiore di quello che poteva essere con l’appoggio dell’Armenia e dell’Azerbaigian. La nuova Georgia, forte della vicinanza statunitense, iniziò una politica di riconquista territoriale basata sulla persuasione, riuscendo in modo pacifico a riportare sotto il controllo di Tbilisi la regione dell’Agiaria costringendo il Presidente Levan Abashidze a rifugiarsi in Russia. Lo stesso venne tentato con l’Ossetia ma il risultato fu di un breve ma intenso conflitto che solo il fermo intervento americano riuscì ad interrompere (10) . Successivamente a questo difficile e pericoloso momento lo studioso statunitense King scrisse:
Gli Stati Uniti dovrebbero ora dare un aiuto alla nuova dirigenza della Georgia in modo da agire in modo creativo sulle questioni fondamentali relative alla sovranità, al controllo del territorio e ad un progetto istituzionale. Il governo centrale dovrà accettare la realtà multi etnica e multi religiosa della nazione. Dovrà anche accettare il fatto che occorrerà un decennio per la costruzione dello Stato nelle regioni secessioniste e per permettere al governo locale di acquisire i pieni poteri. Se questi sforzi avranno successo, la Georgia potrà certamente diventare quell'esempio positivo per l'Europa Orientale che gli osservatori hanno per lungo tempo sperato (11) .
Questo non fermò la politica di riacquisizione territoriale della Georgia che vide la riconquista militare della valle di Kodori in Abkhazia, nell’estate del 2006 (12) , e la creazione di una amministrazione autonoma dell’Ossetia del Sud, dei territori controllati da Tbilisi, con a capo Dmitry Sanakoev (13) .
L’azione georgiana ha portato ad una sempre più forte richiesta da parte dei maggiorenti politici di Abkhazia e Ossetia del Sud di una annessione del territorio nella Repubblica Russa, azione sempre negata da Mosca che, tuttavia, concedendo passaporti e elargendo pensioni e stipendi, tratta virtualmente i territori come sue province. Questo, però, non toglie che tali territori appartengano geograficamente e giuridicamente alla Repubblica georgiana e, inoltre, che le rivendicazioni etniche degli abkhazi e degli osseti si scontrino con la fuga di massa effettuata dagli abitanti di etnia georgiana che ha permesso l’egemonia etnica e tutte le rivendicazioni separatiste. Evento che si può ritrovare in modo gemello nella contesa del Kosovo, dove l’etnia albanese rivendica, in modo arbitrario, una egemonia etnica su un territorio che nella realtà è tale per la fuga di massa delle popolazioni serbe ed è assolutamente insostenibile sotto il piano storico per il fatto che la regione kosovara è stata storicamente la culla della nascita della religione Serbo-Ortodossa; fatto che stride con la rivendicazione storica da parte di una etnia di fede Islamica.
Un simile contesto non ha potuto che peggiorare nel tempo nonostante l’azione di contenimento portata avanti dagli americani nei confronti del governo georgiano. Questo senza cessare, comunque, quella strada di collaborazione militare che dopo il progetto Train and Equip, è proseguita con i programmi: Foreign Team Financing, International Military Education and Training e Joint Contac Team Program. Collaborazione militare che ha visto la Georgia particolarmente impegnata inviando anche contingenti in Kosovo, Afghanistan e Iraq (14) .
Se è palese che la Georgia sia divenuta la testa di ponte della penetrazione statunitense, allo stesso tempo è chiaro che questa azione renda instabile tutta l’area del Caucaso e, maggiormente, sia stata destabilizzata con la politica che il Presidente Bush ha attuato nel portare avanti il riconoscimento dell’indipendenza della regione Serba del Kosovo; azione che ha ridato forza alle rivendicazioni secessioniste e indipendentiste delle regioni dell’Abkhazia, Ossetia e Karabakh, facendo ricadere la regione caucasica in un costante rischio di conflitto (15) . Non va dimenticato che tale spinta destabilizzante non è da imputare alla sola azione degli Stati Uniti, ma anche alla politica di sviluppo della NATO che ha visto la Georgia e l’Ucraina inserite nel Membership Action Plan, primo passo per l’ingresso quale membro dell’Alleanza. In tale contesto l’azione di freno messa in atto da paesi come Italia, Germania, Spagna e Francia ha potuto far abbassare il livello di scontro con la Russia.
Lo spirito dell’attività di blocco al possibile ingresso di Georgia e Ucraina nella NATO è ben evidenziato nel commento di Anatol Lieven:
Le pressioni della Amministrazione Bush, al summit NATO di Bucharest, per una proposta di progetto di adesione alla NATO della Georgia ed Ucraina, è stata bloccata, che è cosa buona…. Omissis … è difficile vedere quale concepibile calcolo razionale potrebbe sostenere la estensione del ruolo di membri della NATO alle due nuove nazioni di cui una, la Georgia, coinvolta in una guerra civile senza soluzioni e l'altra, l'Ucraina, avente una popolazione che in larga maggioranza si oppone alla appartenenza alla NATO. E ciò viene definito: "allargare la democrazia"? (16) .
La sconfitta americana al vertice di Bucharest sul fronte allargamento è stata tamponata dall’accettazione del piano di dislocamento missilistico in Polonia e Repubblica Ceca. Fatto che la Russia ha posto al vertice delle problematiche di contrasto con gli USA e la NATO e che, assieme al riconoscimento del Kosovo, si devono ritenere i reali presupposti dello scoppio del conflitto in Ossetia. A tal fine va ricordato che l’Ambasciatore Russo presso la NATO, Dmitry Rogozin, ebbe modo di dichiarare a marzo:
L’eventuale ingresso della Georgia nella NATO sarebbe stata la causa della secessione delle regioni di Ossetia e Abkhazia.
E, effettivamente, senza indugi all’indomani del riconoscimento dell’unilaterale dichiarazione di indipendenza della regione serba del Kosovo, i Parlamenti di Abkhazia e Ossetia lanciarono un seguente appello indirizzato:
Al Segretario Generale delle Nazioni Unite, al Presidente della Federazione Russa, al Consiglio Federale dell’Assemblea della Federazione Russa, alla Duma Statale della Federazione Russa, ai Capi di Stato e ai Parlamenti della Comunità degli Stati Indipendenti e dei Paesi membri dell’Unione Europea, in cui si chiedeva il riconoscimento della piena indipendenza in base ai principi di autodeterminazione dei popoli, all’esistenza di basi legali per la creazione e lo sviluppo di uno stato sovrano e all’impossibilità di far parte dello Stato georgiano (17) .
Non ottennero alcun risultato da parte dell’ONU e dei Paesi Europei ma ebbero la condanna del Consiglio d’Europa, dell’Unione Europea, della NATO, dell’OSCE e degli USA, mentre la Russia non intervenne ma intensificò i rapporti di collaborazione con le due regioni e le sue popolazioni. Questo provocò una veloce escalation politico militare che vide le forze georgiane e russe confrontarsi, prima a distanza poi direttamente, con una sempre maggiore presenza numerica sul territorio.


La guerra dei cinque giorni

Nonostante gli scontri e le manovre militari del mese di luglio, il conflitto ha avuto un impatto improvviso sull’opinione internazionale completamente presa dalle Olimpiadi di Pechino; infatti, proprio nella notte tra il sette e l’otto agosto, le forze georgiane bombardavano la capitale dell’Ossetia, Tskhinvali. Questa azione fu giustificata dal Presidente georgiano dalla necessità di far fronte all’ingresso in Ossetia delle colonne corazzate russe. Questa dichiarazione risulterebbe confermata da una fonte occidentale che avrebbe diramato il seguente dispaccio:
Approssimativamente alle 1 e 30 antimeridiane, colonne di carri della 58a Armata iniziarono ad entrare in Georgia dal tunnel Roki che separa il Nord dal Sud dell'Ossetia. In apparenza, se non in effetti, i Russi avevano anticipato le mosse della Georgia (18) .
La preponderante forza di intervento russa schiacciò l’esile resistenza georgiana e, in pochi giorni, le truppe di Mosca occuparono non solo tutto il territorio osseto ma anche parte del confinante territorio georgiano spingendosi fino alla città di Gori (tagliando le comunicazioni tra est e ovest), il porto di Poti sul Mar Nero e ulteriori località di rilevante importanza strategica per il controllo della circolazione. Quando oramai la direttrice per la capitale georgiana era libera, il 12 agosto il Presidente di turno dell’Unione Europea, il francese Sarkozy, riuscì a far accettare un accordo di cessate il fuoco composto da sei punti:
1) rinuncia dell’uso della forza da parte di tutte le parti coinvolte;
2) fine immediata delle ostilità;
3) libero accesso degli aiuti umanitari;
4) ritiro delle Forze georgiane nelle posizioni precedenti il conflitto;
5) ritiro delle Forze russe alle posizioni precedenti al conflitto, ma mantenendo le basi di peacekeeping;
6) inizio di un dibattito internazionale per garantire sicurezza e stabilità in Abkhazia e Ossetia Meridionale (19) .
L’accettazione dell’accordo non portò al rispetto di tutti i punti ma le truppe russe fermarono l’offensiva e applicarono il cessate il fuoco. Le posizioni conquistate dai russi non vennero abbandonate e le truppe dell’Abkhazia conquistarono completamente la valle di Kodori. Come in ogni conflitto vennero diramate cifre incontrollate di morti e feriti, senza che questi numeri pesassero quanto le persone che rappresentavano nel concreto. In cinque giorni vennero dichiarati 64 morti da parte russa, 215 da parte georgiana e 1492 da parte osseta (20) .
La chiusura del conflitto in campo militare non ha spento le attività in campo politico; infatti, il 25 agosto, le camere del Parlamento russo approvavano la legge di riconoscimento dell’Ossetia Meridionale e della Abkhazia, ratifica firmata il 26 dal Presidente Medvedev. Lo stesso Presidente, a seguito della firma, dichiarava:
omissis… il governo di Tbilisi ha preso un’altra strada… omissis… Saakashvili ha scelto il genocidio per perseguire i propri fini politici. In questo modo egli ha di propria mano spento tutte le speranze per una pacifica convivenza di osseti, abkhazi e georgiani in un unico stato… omissis… Questa difficile scelta è risultata l’unica possibilità di salvare vite umane (21) .
Al riconoscimento, isolato, da parte di Mosca si è contrapposta una lunga diatriba su chi abbia iniziato il breve ma cruento conflitto. Le varie ricostruzioni di osservatori internazionali coincidono sul fatto che sicuramente i georgiani hanno iniziato il conflitto ma, allo stesso tempo, risultano evidenti che le azioni precedenti dei russi sono, indubbiamente, la preparazione di un abile tranello in cui il Presidente Saakashvili è caduto maldestramente; risulta, inoltre, rilevante come l’esercito georgiano, nonostante l’addestramento statunitense e il suo totale rinnovamento, si sia fatto trovare completamente impreparato. Queste considerazioni non solo vengono evidenziate da analisti russi di livello ma anche dallo statunitense Blank:
Nonostante numerose dichiarazioni, da parte della Russia, che la Georgia stava attivamente preparandosi alla guerra e che insisteva con le provocazioni, in questo particolare dramma la Georgia faceva la parte del toro e non del torero. Benché la Georgia chiaramente si lasciava andare dichiarazioni che erano provocazioni, nonostante i consigli da parte dell'Occidente di evitare di rispondere alle provocazioni russe, le ragioni Russe di voler reagire alla pulizia etnica e al tentativo di genocidio, erano mendaci e tendenziose. Le prove più evidenti fanno pensare che l'invasione della Georgia e il contrattacco dei Russi erano provocazioni attentamente pianificate dai Silovoki in Mosca e dai loro confederati nell'Ossetia del Sud (22)
Non va dimenticato, comunque, che la modalità di diffusione della notizia sul conflitto è stata alquanto particolare; molte fonti hanno fornito, semplicisticamente, la rappresentazione dell’aggressione della grande Russia dittatoriale alla piccola democratica Georgia. Versione che verso le popolazioni occidentali permetteva di sfruttare la forte diffidenza verso quello che è stato, per decenni, il grande male: l’ex URSS. Nella realtà va ricordato che la Georgia ha inspiegabilmente cercato di risolvere con la forza i problemi etnici al suo interno, forse credendo di potersi muovere sotto una fantomatica copertura statunitense che avrebbe tenuto a distanza la reazione russa. Questo, purtroppo, non si è verificato ma, al contrario, ha evidenziato il rischio di una nuova contrapposizione tra la nuova potenza (energetico militare) russa e l’Occidente.


Nuova Guerra Fredda?

La sconfitta georgiana ha risvegliato di colpo la politica americana verso il Caucaso che si era assopita sulla convinzione di una facile penetrazione. La forza militare, politica ed energetica che la Russia ha messo in campo, ha dimostrato che la volontà egemonica di un tempo non si è persa con il ritorno alla “Santa Madre Russia”. Se con la caduta del monolitico blocco sovietico l’Occidente e, in particolare, gli USA e la NATO pensarono di poter cambiare radicalmente la situazione geopolitica con una forte penetrazione, ora tutta la strategia va rivista in funzione di un ritorno preponderante della forza russa (23) . . In tale ottica si può ritenere che il breve conflitto Russo-Georgiano abbia modificato le valutazioni effettuate fino ad allora sul rapporto tra l’Occidente e la nuova posizione russa; ed è per questo che alcuni analisti hanno letto l’accaduto in questo modo:
omissis… la più grande crisi, ad oggi, nei rapporti fra la Russia e l'Occidente: alcuni sono perfino giunti a considerare che la Guerra Georgiana del 2008 possa essere la sfida più significativa alla Sicurezza Europea dopo la fine della Guerra Fredda (24) .
Altra lettura importante è la politica russa, dalla metà degli anni Novanta in poi. La rinata potenza russa ha letto l’azione occidentale verso l’ex area orientale come una vera e propria espansione politico militare al fine di colmare il vuoto lasciato dall’URSS nello scacchiere geopolitico, a tutto vantaggio di Stati Uniti e della NATO. A questa situazione la politica di Mosca ha risposto rivendicando in particolare:
– il diritto a difendere le minoranze nazionali, in modo particolare le russofone, in tutto il territorio estero “vicino”;
– il diritto a mantenere il controllo della stabilità all’interno dell’area della CSI, con la creazione di una fascia di buon vicinato al confine russo anche con la presenza di truppe di Mosca;
– il mantenimento di un ruolo speciale di garante all’interno della politica della CSI (25) .
Nel primo periodo, dopo il crollo dell’egemonia sovietica, la Russia non è stata in grado di impedire una certa propagazione dell’Unione Europea, degli USA e della NATO in quanto la crisi interna impediva di attuare una politica estera in grado di controbattere argomenti quali: la politica europeista (l’U.E.), la difesa globale sotto un controllo politico paritario (la NATO) o l’aiuto a tutto campo di una Nazione come gli Stati Uniti. Ma, con l’avvento al potere del Presidente Putin, il sistema interno ha saputo sfruttare le grandi potenzialità energetiche facendo rientrare di forza la Russia nello scacchiere internazionale e permettendo una strepitosa ripresa interna che ha consentito di rimettere in piedi e riorganizzare il costosissimo sistema militare. Riottenuta la forza economica e militare la Russia di Putin ha saputo ripresentarsi nel grande consesso internazionale con un nuovo peso e una nuova voce ridando fiducia anche a storici alleati che non avevano più riferimenti e copertura (26) .
Con l’arrivo del nuovo Presidente Medvedev, scelto dallo stesso Putin, la Russia ha proseguito nella politica di rinforzo energetico divenendo tra le prime nazioni esportatrici e sistemandosi in una posizione di monopolio verso alcuni Stati europei sulla fornitura di gas. Tutto questo ha fatto sì che lo Stato russo, con il conflitto georgiano, riportasse le sue truppe ad intervenire fuori dai confini nazionali per la prima volta dal 1991.
Questa dimostrazione di forza deve, quindi, vedersi come l’affermazione di una rinata e irrinunciabile forza dello Stato russo pronto a riprendersi, anche con le armi, quella posizione egemonica da lungo tempo abbandonata; va, comunque, ricordato che la sottile politica ripresa da Mosca, aveva lanciato chiari segnali di questa volontà, come nel 2006 quando il Professor Degoev, dell’Università moscovita di Mgimo, scrisse:
L’Occidente deve sapere che la Russia ha e avrà sempre alcuni interessi vitali nel Caucaso meridionale (Zakavkaz’e, per la Russia Transcaucasica), che pretendono non un riconoscimento verbale, ma una corretta osservanza… omissis… Il mezzo migliore per educare gli Stati occidentali a rispettare realmente gli interessi della Russia sarebbe una politica aperta, chiara e coerente del Cremlino nel Caucaso. E non è necessario giustificare tale politica in maniera artificiosa e astuta. In realtà è sufficiente dichiarare apertamente che alla base di tale politica sta il valore supremo di ogni organismo statale, vale a dire la difesa della sua stessa esistenza da minacce interne ed esterne. Ci sono inoltre circostanze storiche, geografiche e d’altro tipo che non consentono alla Russia di essere indifferente a quanto accade in Georgia, Azerbaigian e Russia. In ogni caso gli Stati Uniti e l’Europa capiranno di che cosa si parla. Ed essi stessi sanno bene che non è per rafforzare la capacità vitale della Russia che intendono impadronirsi del Caucaso meridionale. Occorre pertanto che l’Occidente preveda in qualche modo una reazione da parte di Mosca… omissis… In linea di principio tanto la Russia quanto l’Occidente hanno nel Caucaso meridionale lo stesso obbiettivo, vale a dire il conseguimento di pace, stabilità e benessere… omissis… Tuttavia c’è un paradosso: se nel Caucaso la Russia avrà come vicini meridionali l’Unione Europea e la NATO, allora in questa regione non ci sarà mai l’auspicata tranquillità (27) .
Queste parole fanno capire quanto, già nel 2006, la politica russa stava rivendicando il diritto di egemonizzare le nazioni confinanti, non solo per una presenza di aree a forte etnia russa, bensì per una chiara ripresa della capacità di voler rivendicare il controllo di un territorio considerato vitale per Mosca.
Da parte dell’Occidente questa visione può essere chiaramente osteggiata ma l’intervento in Georgia pone tutto il problema caucasico sotto una nuova luce che impone nuove strategie e la necessità di trovare una linea d’azione efficace e valida con la nuova politica del Cremlino.
È importante abbandonare subito lo spettro di una nuova ‘Guerra Fredda’ e coloro che riesumano dalla storia tale evento compiono solo esercizi di retorica e sviano il reale problema: la Russia non ha più un’ideologia esportabile e un sistema economico paragonabile a quello della vecchia URSS; sussistono sacche di mancanza di libertà, in modo particolare a livello giornalistico e mediatico in generale; il sistema capitalistico si sta muovendo in parallelo con il sistema politico di governo e, quindi, l’interesse diventa globale.
Allo stesso tempo non va dimenticato che il problema di libertà di espressione e critica sull’operato del governo in Georgia è esattamente come in Russia ed è per questa ragione che molti dei fatti illiberali che il Governo georgiano ha compiuto verso le minoranze non sono praticamente giunti sui media internazionali mentre, al contrario, sono giunte le notizie abilmente trasmesse al fine di sviare le ragioni del conflitto, che stava covando da tempo (28) .
Diventa così estremamente rilevante il commento, di estrema lucidità e equilibrio, che l’Ambasciatore Sergio Romano ha dato sul conflitto Russo Georgiano:
Il Presidente George W. Bush ha dichiarato che occorre rispettare la sovranità e l’integrità territoriale della Georgia. Intende dire che l’Abkhazia e l’Ossetia del sud non hanno diritto di separarsi da Tbilisi e proclamare la loro indipendenza. Ma quando il governo serbo chiese il rispetto della propria integrità territoriale e sostenne che l’indipendenza del Kosovo era una violazione del diritto internazionale, gli fu risposto che i popoli hanno il diritto di decidere il proprio destino. Era giusto deplorare lo scoppio delle ostilità, ma non sarebbe stato giusto ricordare che l’esodo degli osseti del sud, dopo l’attacco georgiano, ricorda quello degli albanesi dal Kosovo quando Slobodan Milosevic cercò di ripulire etnicamente la regione? Gli Stati Uniti e il Consiglio Atlantico hanno accusato la Russia di avere fatto un uso “sproporzionato” della forza. Ma il conservatore americano Patrick Buchanan ha ricordato in un recente articolo che la NATO bombardò la Serbia per 78 giorni nella primavera del 1999 e che Israele, dopo un’incursione di Hezbollah in territorio israeliano, bombardò il Libano per 35 giorni nell’estate del 2006 (29) .
Il problema delle contraddizioni che avvengono nel considerare le mosse della politica estera Russa, da parte dei media occidentali e anche da talune cancellerie europee, comporta una serie di incognite in relazione alle nuove possibili alleanze energetiche e di difesa, soprattutto in mancanza di una corretta e comune politica dell’Unione Europea.
Va ricordato, a tal fine, il problema Ucraino, che vede da tempo il braccio di ferro con la Russia per le forniture energetiche e sul possibile ingresso nell’Alleanza Atlantica.
Problema Ucraino che per la Russia potrebbe anche diventare un intervento a difesa delle comunità russofone dell’Ucraina sud-occidentale; evento che, dopo i fatti georgiani, non può più essere considerato solo quale “remota e improbabile ipotesi (30) .


Conclusioni

L’ipotesi di un isolamento della Russia a seguito del conflitto Georgiano e dell’atteggiamento in merito alla distribuzione delle fonti energetiche è del tutto irrealistico per un concetto di politica integrata di difesa e di distribuzione delle fonti primarie sia per l’Unione Europea che per gli Stati Uniti. Tali considerazioni dovrebbero portare ad una seria riflessione sui rapporti e sulle strategie verso quell’Est che l’Occidente aveva visto come una terra di conquista considerando la Russia un non problema. E questo in particolare sui progetti come: lo scudo missilistico in Polonia e Repubblica Ceca che non è più opportuno vedere come una esclusiva collaborazione di difesa ma va ripensato in un sistema integrato di difesa dove lo stesso Stato russo ne diventa parte integrante e, eventualmente, anche parte attiva. Valutando il problema del terrorismo religioso da cui Mosca non è rimasta immune e che per questo può essere vista in modo conveniente una collaborazione fattiva per una sicurezza non solo interna ma anche globale.
Queste valutazioni sono, però, ancora incerte osservando anche le dichiarazioni che l’allora segretario della NATO, Jaap de Hoop Scheffer, ha rilasciato in un’intervista a settembre (31) , dove ha aspramente criticato il fatto che l’Unione Europea abbia, in sostanza, avvallato la presenza permanente di 7.600 soldati russi nei territori dell’Ossetia del Sud e nell’Abkhazia, ritenendo questo un affronto all’obbiettivo del ritorno allo status quo ante.
In una valutazione dei possibili futuri scenari, diventa importante sottolineare che un possibile allargamento ad Est della NATO, potrebbe essere visto dalla Russia come un’azione diretta contro la sua sicurezza e una mancanza di accordo politico tra l’Unione Europea e Mosca per la gestione dell’energia e delle fonti primarie potrebbe causare un serio rischio per molti Paesi europei.
Proprio per tali ragioni, nella positiva ventata di fiducia scaturita dalle mosse del nuovo Presidente USA, considerata la difficile crisi internazionale che ha ridimensionato molti dei cosiddetti Paesi emergenti, diventa cruciale il risultato del futuro G8, e dei successivi allargati, che potrebbero ricomporre le incomprensioni e rilanciare una nuova politica comune tra la Russia, gli Stati Uniti, l’Unione Europea e la NATO, non più vista come sola forza militare ma come un nuovo strumento politico di dialogo, in grado di utilizzare una forza militare integrata al fine di garantire quella sicurezza dove, purtroppo, l’ONU ha, fino ad oggi, fallito per l’immobilismo su cui, da anni, stalla il progetto di rinnovo della struttura creata alla fine del secondo conflitto mondiale.


(1) A tal riguardo può essere interessante A. Ferrari, Georgia, Armenia, Azerbaigian: una chance europea?, Working Paper ISPI, novembre 2008.
(2 )Piccola porzione di territorio ora in Ossetia del Nord, che ha come maggior centro la città di Vladikavkaz ed è racchiusa tra Inguscezia e Ossetia.
(3) P. Sinatti, La Russia e i conflitti nel Caucaso, Torino, Fondazione Giovanni Agnelli, 2000.
(4)C.M. Santoro, Nazionalismo e sviluppo politico nell'ex URSS, Milano, SPAI, 1995.
(5) V. Guretski, The question of Javakheti, in "Caucasian Regional Studies", 1, 1993.
(6) H. Lohm, Javakheti after the Rose Revolution: progress and regress in the pursuit of national unity in Georgia, ECMI, Working Paper 38, aprile 2007.
(7) C. Peuch, Georgia: frustrations grows among Azeri community, in “Eurasia Insight”, 2004.
(8) A. Colombo, La sfida americana, Europa, Medio Oriente e Asia Orientale di fronte all'egemonia globale degli Stati Uniti, Milano, Franco Angeli, 2005.
(9) J. Silverman, Russian manoeuvring in Kodori exposes tangle of Georgian interests, in “Eurasia Insight”, 2002.
(10) M. De Bonis, Una guerra annunciata, in Russia contro America. Peggio di prima, in “Quaderni speciali di Limes”, 2008.
(11) C. King, A rose among thorns. Georgia makes good, in “Foreign Affairs”, 2, 2004.
(12) Fatto che le Nazioni Unite sanzionarono con la risoluzione 1716 del Consiglio di Sicurezza.
(13) Op. cit., M. De Bonis, pp. 127-128.
(14) T. Gularidze, U.S. boosts successful military cooperation with Georgia, in “Civil Georgia”, 5, 2004.
(15) A. Ferrari, Il Kossovo: paralleli caucasici?, in ISPI “Policy Brief”, 78, 2008.
(16) A. Lieven, Three faces of infantilism: NATO's Bucharest summit, in “National Interest”, 4, 2008.
(17) M. Lo Russo, Status giuridico ed evoluzione politica in Alto Krabakh, Abkhazia e Ossetia meridionale, in ISPI “Policy Brief”, 82, 2008.
(18) International Crisis Group, Russia against Georgia: the fallout, in “Europe Report”, 195, 2008.
(19) E.U., Council Conclusion on the situation in Georgia.
(20) Op. cit., Russia against Georgia: the fallout.
(21) I. Rodin e S. Kulikov, Eto byl nelegkij vybor. Dmitrij Medvedev podpisal ukazy o priznanii nezavisomosti abkhazii e juzhnoj ossetii, in “Nezavisimaja gazeta”, 27 agosto 2008.
(22) S. Blank, Russia, Georgia and South Ossetia: notes on a war, in “Central Asia-Caucasus Analyst”, 20 agosto 2008.
(23) C. Stefanacchi, Il Caucaso nell'orizzonte strategico americano, in “Quaderni di Relazioni Internazionali”, 1, 2006.
(24) S. Cornell, J. Popjanevski, N. Nilsson, Russia's war in Georgia: causes and implications for Georgia and the world, “Central Asia Caucasus Institute”, 2008.
(25) D. Danilov, Russia's search for an International Mandate in Transcaucasia, Bruxelles, VUB Press, 1996.
(26) Vedi la politica di difesa in campo internazionale di Stati come la Serbia e l'Armenia che da sempre sono rimasti vicino alla Russia. In modo particolare va vista la difesa della Serbia sulla secessione del Kosovo, diventato scontro diplomatico di grande peso in tutti gli ambiti internazionali.
(27) V. Degoev, Rossija, Kavkaz i post-sovetskij mir, in “Russkaja panorama”, Moskva, 2006.
(28) È importante ricordare che il Presidente Georgiano Gamsakhurdia, nei primi anni novanta, cercò in ogni modo di abolire gli statuti dell'autonomia dell'Ossetia e della Abkhazia affermando una aggressiva politica nazionalista che vedeva tutte le minoranze come un male da curare.
(29) S. Romano, Sulla Georgia, due pesi e due misure, in “Panorama”, 22 agosto 2008.
(30) A. Colombo, Geopolitica della crisi. Balcani, Caucaso e Asia centrale nel nuovo scenario internazionale, Milano, Egea, 2001.
(31) “Financial Times”, 15 settembre 2008.

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