GNOSIS
Rivista italiana
diintelligence
Agenzia Informazioni
e Sicurezza Interna
» ABBONAMENTI

» CONTATTI

» DIREZIONE

» AISI





» INDICE AUTORI

Italiano Tutte le lingue Cerca i titoli o i testi con
GNOSIS 2/2009
Introduzione ad un'analisi del fenomeno

La gestione criminale del mercato dei rifiuti


Domenico AIROMA


Foto Ansa

La gestione illecita dei rifiuti, caratterizzata da una complessa organizzazione e da ingenti ritorni economici, è un fenomeno non ancora perfettamente penetrato dagli organi di prevenzione e repressione delle attività criminali, nonostante i risultati investigativi abbiano delineato la sua appartenenza alle attività di criminalità organizzata. Decisivo il contributo in tale direzione fornito dall’Interpol che, da tempo, ha promosso un’intensa attività di cooperazione fra gli Organismi di polizia, impegnati nel contrasto del fenomeno, a cominciare dal cosiddetto "eco-message", che mette in comunicazione tutte le Forze di polizia interessate.
Di grande interesse, poi, l’illustrazione degli Organismi di coordinamento fra Forze di polizia e autorità giudiziarie, con particolare riguardo al Seaport-project che mette in collegamento gli organismi ispettivi e di polizia con competenze specifiche sulle aree portuali marittime, e l’Eurojust che prevede gruppi di lavoro dedicati alla materia ambientale ed esperienze di cooperazione giudiziaria. È ad un magistrato, profondo conoscitore di una realtà così delicata e complessa, che affidiamo questo contributo; un approccio alla materia nell’intento di offrire ai lettori, in successivi approfondimenti, una conoscenza più corretta ed esaustiva possibile.



Richiamare l’esigenza di una comprensione adeguata alla realtà degli illeciti connessi alla gestione dei rifiuti, è operazione che riporta alla mente il faticoso percorso che ha preceduto l’introduzione nel nostro sistema penale, dapprima, del delitto di associazione per delinquere di stampo mafioso e, poi, delle riforme processuali, organizzative ed ordinamentali, necessarie per conferire effettività alla pretesa punitiva.
Ed infatti, come per le condotte significative dell’appartenenza a sodalizi di tipo mafioso si è scontata, per lungo tempo, una difficoltà ermeneutica che, prima ancora che culturale, denotava l’incapacità di leggere compiutamente il fatto mafioso, così si deve ammettere che la gestione illecita dei rifiuti è fenomeno in buona parte ancora ignoto agli organi deputati alla prevenzione ed alla repressione delle attività criminali. E ciò, si badi, soprattutto per l’impossibilità di utilizzare, nell’attuale cornice sistematica, strumenti di indagine più penetranti e strutture investigative professionalmente attrezzate per contrastare questi contesti di criminalità organizzata.
Particolarmente significativa, a tale riguardo, è la vicenda relativa alla fattispecie delle attività organizzate per il traffico illecito dei rifiuti introdotta, per la prima volta, nel corpo del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, dalla legge 23 marzo 2001.
Si tratta di un fenomeno – quello del traffico organizzato dei rifiuti – che si è imposto all’attenzione del legislatore per la sua conclamata pericolosità, derivante innanzitutto dalla sua complessità sociologica; dal fatto, cioè, di essere caratterizzato da un articolato apparato organizzativo, finalizzato all’aggiramento delle prescrizioni – e dei relativi costi – connessi alla gestione dei rifiuti, con conseguente profitto di tutti i soggetti coinvolti.
L’introduzione di tale fattispecie delittuosa ha rappresentato una svolta significativa nel contrasto alle attività illecite in materia di rifiuti; per la prima volta, infatti, si è offerta la possibilità agli operatori di utilizzare una previsione normativa che rispecchia, abbastanza fedelmente, il fenomeno nel suo concreto atteggiarsi. Con la conseguenza di registrare un incoraggiante riduzione dello scarto fra il “fatturato” della criminalità e quello degli organi repressivi; si è assistito, infatti, alla messa in moto di una sorta di circolo virtuoso, alimentato dall’incisività delle misure adottabili e dal conseguente successo delle iniziative investigative.
È accaduto, quindi, che l’affinamento delle tecniche investigative, reso possibile anche, e soprattutto, dal mutato scenario normativo, ha vieppiù chiarito la dimensione organizzativa del traffico di rifiuti, il suo essere espressione, in altri e più chiari termini, di criminalità organizzata.
Tuttavia, tale più matura comprensione delle caratteristiche degli illeciti non ha condotto ad una coerente rimodulazione del quadro sistematico, con particolare riferimento alla disciplina processuale ed alle esigenze di coordinamento investigativo e di gestione delle informazioni.
Sicché, se, per un verso, il traffico organizzato di rifiuti presenta una fenomenologia ascrivibile alla categoria delle manifestazioni criminali organizzate, ed una strutturazione normativa ancora più netta, dominata com’è dall’organizzazione come requisito strutturale della condotta, eppure rimane del tutto assente dal novero delle fattispecie di reato presuntivamente ritenute dal legislatore sintomatiche di una criminalità di tipo organizzato.
Tutto ciò ha comportato ricadute negative nella definizione di adeguate strategie di contrasto al traffico illecito dei rifiuti e, più in generale, agli illeciti connessi alla gestione dei rifiuti, essendo quest’ultima incentrata sull’esigenza di movimentare i rifiuti in modo che ne risulti lo smaltimento secondo modalità apparentemente in linea con le prescrizioni normative.
Due sono le principali direttrici lungo le quali si è venuta delineando la portata pregiudizievole di tale incompiutezza sistematica.
La prima attiene – secondo quanto già si è accennato in esordio – all’adeguatezza del livello di conoscenza del fenomeno negli operatori.
Va considerato, infatti, che, a causa dell’assenza di poteri di coordinamento investigativo, i fatti-reato rimangono spesso nell’esclusivo patrimonio conoscitivo di un singolo ufficio di procura (talora di un singolo pubblico ministero), rimanendo pertanto disancorati – nella percezione degli investigatori – dal contesto criminale complessivo del quale, viceversa, è espressione significativa.
Ne consegue una visione assolutamente parziale di un fenomeno criminoso caratterizzato, viceversa, da una dimensione operativa spesso nazionale se non transnazionale e un’attività repressiva sovente non adeguatamente incisiva. La seconda attiene al livello di coinvolgimento di tutti gli organi investigativi, alla capacità di innescare utili sinergie fra gli stessi, nel rispetto delle peculiarità professionali di ciascuno.
L’assenza di soggetti muniti di poteri di coordinamento ed impulso, capaci di raccogliere, analizzare e mettere in circolo le informazioni relative alle singole attività di indagine, priva gli organi investigativi di quel necessario feedback valutativo che è premessa indispensabile per indirizzare al meglio le attività di investigazione.
Ciò, a voler tacere del fatto che la mancata previsione di una funzione di raccordo informativo ed operativo fa sì che organi aventi competenze solo indirettamente incidenti nel settore dei rifiuti (si consideri, ad esempio, il caso delle Capitanerie di Porto o delle Autorità Doganali) rimangano di fatto esclusi dalla possibilità di fornire importanti contributi conoscitivi in ambiti nevralgici (qual è, rimanendo nell’esempio sopra indicato, quello del traffico marittimo e transnazionale).
Le stesse banche-dati poi, pur di straordinaria utilità, perdono la capacità di fornire il valore aggiunto conseguente all’interconnessione dei dati, per il fatto di rimanere nel raggio di esclusiva sovranità delle singole Istituzioni.
Il quadro complessivo che ne viene fuori descrive una condizione di strutturale inferiorità degli organi deputati al contrasto delle condotte illecite.
La scena vede contrapposti, da un lato, soggetti criminali che sfruttano al meglio la propria struttura organizzativa, diversamente modulandola a seconda delle esigenze tecniche e normative e, dall’altro, una compagine repressiva con le strategie criminali più avanzate.
Occorre, pertanto, per ritornare all’analogia che si è proposta in avvio a proposito dell’associazione mafiosa, completare un percorso normativo che è stato proficuamente avviato con l’introduzione della fattispecie di illecito traffico organizzato di rifiuti, inserendola finalmente nel circuito sistematico proprio della criminalità organizzata.
Altri fenomeni criminosi hanno, d’altronde, seguìto, nel recente passato, la medesima evoluzione; si pensi al contrabbando di sigarette svolto in forma organizzata ovvero alla tratta di essere umani, inseriti a pieno titolo nel novero delle fattispecie espressive di criminalità organizzata una volta che il loro concreto atteggiarsi aveva denunziato in modo evidente siffatta intima connessione e, soprattutto, una volta che ci si è resi conto che un’efficace repressione non poteva essere affidata ad iniziative prive di respiro strategico.


Il mercato illegale dei rifiuti: principali dinamiche

Quello della gestione illegale dei rifiuti è senza dubbio un mercato.
Si tratta, infatti, di uno scenario dove si incontra, solitamente, una domanda di riduzione dei costi connessi allo smaltimento legale dei rifiuti, con un’offerta, spesso espressione di un contesto di criminalità organizzata, in grado di fornire – sovente in forma imprenditoriale – un servizio “chiavi in mano”, tale cioè da sollevare da tutti gli adempimenti connessi alla dismissione del rifiuto, a costi notevolmente inferiori rispetto a quelli richiesti dall’osservanza delle prescrizioni normative.
È, dunque, una criminalità di profitto, tendenzialmente a supporto associativo; non è, tuttavia, indefettibile che debba presentare i caratteri dell’organizzazione di stampo mafioso, potendosi anche arrestare ad una fase di mera criminalità di impresa.
Fatto sta, però, che soprattutto per la gestione dei rifiuti speciali e di quelli suscettibili di ricollocazione utile sul mercato internazionale, è indispensabile l’apporto di un soggetto che sappia coniugare controllo del territorio e conoscenza dei circuiti legati ai traffici illeciti internazionali.
L’intervento di compagini criminali organizzate è stato, infatti, per così dire, sollecitato da tale tipo di domanda illecita.
E assai variegato è stato il livello di complessità organizzativa delle risposte dei tradizionali sodalizi criminali, dovendosi registrare, accanto ad offerte di notevole raffinatezza imprenditoriale (tipica, ad esempio, del clan cosiddetto dei casalesi, attivo nel territorio casertano e non solo), altre più rudimentali, fondate essenzialmente su attività di intermediazione.
E, tuttavia, laddove si è registrata un’offerta proveniente dai circuiti della criminalità organizzata, tale offerta ha conosciuto interessanti casi di joint venture fra differenti organizzazioni delinquenziali, secondo una tipologia di relazioni che ha caratterizzato altri mercati illeciti.
Riassumendo lo spettro dei diversi livelli d’interazione, si è assistito a casi:
– di outsourcing, consistente nell’affidamento di determinate attività connesse alla gestione del rifiuto a organizzazioni criminali locali, in grado di controllare il territorio;
– ovvero di brokeraggio, rappresentato dalla mera offerta di intermediazione;
– ovvero, ancora, di accordi di cooperazione, che è la sostanza più frequente del nexus, del collegamento fra organizzazioni criminali.
A ciò deve aggiungersi un ulteriore dato che viene in rilievo con riferimento, in particolare, ai traffici transnazionali dei rifiuti, rappresentato dalla progressiva estensione delle aree sottratte al controllo statuale ed al loro utilizzo quali destinazioni finali di rifiuti tossici e pericolosi.
Due sono le tipologie di aree interessate da tale fenomeno:
– le cosiddette non state o weak state areas, ovvero i territori, soprattutto di confine, caratterizzati da una debole o pressoché nulla presenza di apparati statuali;
– le aree dei cosiddetti failed or failing states, ovvero degli Stati che hanno conosciuto o stanno vivendo estesi processi di dissoluzione delle proprie capacità di governo sul territorio, le aree di conflitto e di post-conflitto.
Si è detto che, quello della gestione illecita dei rifiuti, è un mercato.
E se è un mercato, esso risente della fluttuazione dei circuiti economici.
Diventa rilevante, perciò, per la stessa comprensione dei flussi e delle direttrici dei traffici transnazionali dei rifiuti, conoscere i mutamenti in corso nelle principali economie in espansione, con particolare riferimento alla strutturazione della domanda, alla tipologia di materie prime utilizzate, ai bisogni dei principali cicli produttivi.
L’acquisizione di tali coordinate fa sì che divengano intellegibili, ad esempio, alcuni dati forniti dalle Agenzie delle Dogane, con riferimento ai flussi di esportazione ed importazione di determinate tipologie di rifiuti.
Nel 2007, in particolare, sono state sequestrate 852 tonnellate di rifiuti; di queste, il polietilene rappresenta il 2%, la carta il 3%, gli stracci il 5%, il ferro e l’acciaio il 13% e la plastica ben il 70%.
La maggior parte dei sequestri è stata, poi, effettuata sulle spedizioni in esportazione verso Paesi terzi (90% delle quantità sequestrate), che viaggiano principalmente via mare su container (ben il 75% delle spedizioni).
E quanto, infine, ai paesi di destinazione, HONG KONG riceve quasi l’80% delle esportazioni, seguita, molto da lontano, da TUNISIA (6%), SENEGAL (3%), PAKISTAN (4%), CINA (2%).
Siamo, cioè, dinanzi ad un quadro che descrive significativamente come l’offerta criminale sappia rendersi assai elastica, assecondando l’andamento dei principali circuiti economici.
Ed è così che fenomeni prima facie incomprensibili, come, ad esempio, movimentazioni di rifiuti da aree economicamente depresse ad altre industrialmente avanzate, risultino in realtà fenomeni coerenti a determinate esigenze di specifici cicli produttivi.
Vi è, infine, un’ulteriore variabile che non può essere trascurata.
Come ogni mercato, infatti, anche quello dei rifiuti risente delle scelte della pubblica amministrazione.
Qui, in particolare, la recente esperienza campana ha dimostrato quanto incidano, ad esempio, le decisioni relative a:
come si sia chiuso il ciclo dei rifiuti e, prima ancora, se si sia chiuso il ciclo dei rifiuti;
– quale impiantistica sia stata scelta;
– quale assetto gestionale sia stato preferito.
Si è visto, in particolare, come abbiano avuto ricadute notevoli sull’economia delle organizzazioni criminali, le scelte della pubblica amministrazione di ricorrere alle discariche – e ciò per la capacità dei sodalizi di stampo mafioso di assicurare un diffuso controllo del territorio – ovvero di movimentare i rifiuti – e ciò per la tradizionale egemonia dei clan sulle imprese di trasporto (riconvertite, rapidamente, a tale più lucrosa attività dal tradizionale movimento terra) – ovvero, infine, di ricorrere a società miste, costosi strumenti di gestione del consenso per il socio pubblico e comode occasioni di profitto per la componente privata, messa al riparo dai rischi della concorrenza e del libero mercato.


La dimensione transnazionale del mercato dei rifiuti.
La cooperazione giudiziaria e di polizia.


Già si è detto della dimensione transnazionale che ha assunto il mercato illecito dei rifiuti.
Consapevole di ciò e della necessità, pertanto, di muoversi in una prospettiva che vada al di là delle frontiere nazionali (anche per le ricadute naturalmente transnazionali di determinati illeciti ambientali), la Comunità Europea ha fatto della protezione dell’ambiente un interesse primario, tanto da tenerlo presente, con le sue esigenze imperative, in tutti gli altri settori di intervento degli organismi comunitari.
Attribuendo alla protezione dell’ambiente ed, in modo particolare, alla corretta gestione dei rifiuti industriali, una posizione di sempre maggiore centralità nelle politiche comunitarie, l’Unione Europea ha richiamato gli Stati membri all’adozione di un approccio strategico alle tematiche ambientali.
Particolare rilievo è accordato, in tale prospettiva, alla protezione dell’ambiente attraverso il diritto penale, non solo in termini di fattispecie incriminatici (come testimoniato dalla Direttiva 2008/99/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008 sulla tutela penale dell’ambiente), ma anche come necessità di apprestare una tutela omogenea in tutto il territorio europeo, in considerazione del carattere e degli effetti transnazionali delle aggressioni all’ambiente.
Nel contesto di tale quadro assai complesso, va registrato, tuttavia, un dato positivo, rappresentato dal progressivo modularsi dei meccanismi di cooperazione investigativi per fronteggiare le esigenze di prevenzione e contrasto degli illeciti in materia ambientale.
Gli strumenti di cooperazione internazionali sia giudiziari che di polizia vanno, infatti, progressivamente arricchendosi di settori specificamente dedicati alla materia ambientale.
In modo particolare, va segnalato il decisivo contributo fornito in tale direzione dall’Interpol, che da tempo ha promosso un’intensa attività di cooperazione fra gli organismi di polizia deputati al contrasto ed alla repressione degli illeciti in materia ambientale.
Accanto a periodiche attività di formazione, l’Interpol ha messo a punto un sistema di cooperazione, anche e soprattutto di tipo informale, in grado di consentire un immediato scambio di informazioni fra gli organismi investigativi degli stati coinvolti da crimini ambientali transnazionali.
Più specificamente, attraverso il cosiddetto “eco-message”, l’Interpol è in grado non solo di mettere in immediata comunicazione tutte le Forze di polizia interessate, ma anche di fornire a ciascun organismo investigativo un prezioso feedback informativo derivante dal fatto che il messaggio confluisce in una banca dati dove lo stesso si arricchisce di connessioni e significativi collegamenti.
L’Interpol, peraltro, oltre a coordinare gli scambi fra tutte le principali Forze di polizia internazionali, è in collegamento operativo con altri organismi di cooperazione investigativa di respiro regionale.
Fra questi ultimi, merita di essere segnalata, per l’importanza investigativa, l’area balcanica e del sud est dell’Europa, dove opera il SECI Center (Southeast European Co-operative Iniziative, nato nel 1995) che raccoglie le Forze di polizia (ed attraverso il collegamento con il SEEPAG, il Southeast European Prosecutors Advisory Group, le autorità giudiziarie inquirenti dei seguenti stati: Albania, Bosnia-Erzegovina, Bulgaria, Croazia, Grecia, Ungheria, Macedonia, Moldavia, Romania, Serbia, Slovenia, Turchia).
Altro significativo collegamento operativo è quello che lega l’Interpol al cosiddetto Seaport-project.
Nato nel 2002 nell’ambito di IMPEL (the European Union Network for the Implementation and Enforcement of Environmental Law), un network informale fra le autorità ambientali dell’Unione Europea (per l’Italia, partecipa l’APAT), il Seaport project mette in collegamento gli organismi ispettivi e di polizia con competenze specifiche sulle aree portuali marittime, con l’obiettivo, attraverso attività investigative congiunte, di contrastare il fenomeno del cosiddetto port shopping, la ricerca da parte delle imprese e delle organizzazioni criminali dei percorsi portuali più agevoli per eludere i controlli e così violare la normativa europea con particolare riferimento al traffico dei rifiuti via mare.
Per quanto, poi, attiene più specificamente ai meccanismi di cooperazione giudiziaria, va segnalato che Eurojust ha previsto l’istituzione di specifici working groups dedicati alla materia ambientale, avviando le prime esperienze di cooperazione giudiziaria.
Non è privo di significato, peraltro, porre in evidenza come, attraverso i collegamenti che Eurojust intrattiene con altri organismi internazionali di cooperazione giudiziaria e di polizia (in primis, OLAF ed Interpol) nonché grazie all’analisi dei flussi informativi compiuti da Europol, una richiesta di assistenza giudiziaria che passi attraverso Eurojust è in grado di attivare ed attingere ad una rete di soggetti oramai in grado di coprire l’intero orbe terracqueo.
Se questo è lo scenario, occorre al più presto, anche nel nostro Paese, dar corso a quei necessari interventi sistematici, sia sul piano del diritto sostanziale che su quello processuale ed ordinamentale, in grado di conferire coerenza e, finalmente, strategia a piani che la criminalità di impresa ed organizzata vuole rimangano scompaginati.




© AGENZIA INFORMAZIONI E SICUREZZA INTERNA