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GNOSIS 3/2008
Controllo del territorio, garanzia di sicurezza

Intervista al Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri Gianfrancesco Siazzu
a cura di Pio MARCONI


- Nato a Forlì il 20.08.1941, ha intrapreso la carriera militare nel 1961, frequentando i corsi dell’Accademia Militare di Modena e della Scuola di Applicazione di Torino.
-Transitato nell’Arma dei Carabinieri nel 1966, ha ricoperto numerosi e prestigiosi incarichi tra cui:
1993/1995: Capo di Stato Maggiore della 4^ Divisione Carabinieri "Culqualber";
1996/1998: Comandante della Regione Carabinieri Sardegna;
1998/2000: Comandante della Regione Carabinieri Lazio;
2004/2006: Comandante Interregionale Carabinieri “Pastrengo” di Milano.
-Dal 6 luglio 2006 è il Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri.

Nel corso della carriera gli sono stati conferiti Encomi solenni, Elogi e numerose Onorificenze.


Le Istituzioni alle quali è affidata la tutela della sicurezza sono sottoposte oggi a pressanti domande. Ad esse viene chiesto un controllo penetrante del territorio, moltiplicazione di presenze, di vigilanza, di prevenzione, ma, ed anche, un impegno strategico innovato. Esse sono chiamate a colpire i nuovi tipi di criminalità che crescono con la globalizzazione dei mercati, con i grandi movimenti migratori, con lo sviluppo delle scienze applicate. Radicali cambiamenti del mercato mondiale e della tecnologia hanno alimentato nuove minacce, modificando natura e pericolosità del crimine.
La nuova domanda di sicurezza tradisce allarme ma segnala fiducia. Nei decenni delle ‘emergenze’ che gravavano sulla Repubblica, il sistema politico sottoponeva le Istituzioni deputate alla sicurezza a una costante domanda di impegno in difesa della democrazia e della civile coesistenza, minacciate dalla violenza armata e dal crimine organizzato. Oggi gli appelli non vengono soltanto dal vertice, partono dal basso, dalla società civile, dalle comunità, non solo dai centri, anche e soprattutto dalle periferie. Le richieste aggravano le responsabilità ma manifestano una legittimazione ‘dal basso’ alla quale, Forze armate e Istituzioni della sicurezza, in un sistema democratico, devono sempre aspirare.
I compiti di polizia giudiziaria, quelli di prevenzione, sono oggi locali e globali. In alcuni casi i doveri superano i confini nazionali. L’Arma dei Carabinieri è impegnata in numerose missioni di pace ed a tutela dei diritti umani. Sul Comandante dell’Arma dei Carabinieri grava un compito di grande onore e di pari responsabilità. Egli deve (lo dispone il decreto legislativo n. 297 del 5 ottobre 2000, che ha riordinato l’Arma dei Carabinieri), in caso di conflitti armati o di operazioni di mantenimento/ristabilimento della pace, vigilare sull’osservanza delle norme di diritto internazionale umanitario. I doveri relativi alla legalità interna si intrecciano con quelli relativi alla legalità internazionale.
Su questi e su altri temi ha risposto il Generale Gianfrancesco Siazzu, Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri.



La società italiana, ma anche il resto del mondo sviluppato, sono attraversati da paure. Dopo la fine della Guerra Fredda, dopo la caduta del muro di Berlino, con la scomparsa di cortine e di confini, si assiste alla rinascita di un misto di paure globali e locali. Ansia per le dimensioni mondiali del mercato. Ansia per nuove inaspettate minacce politiche. Ansia per la trasformazione dei connotati della società nel sistema delle grandi migrazioni. Ansia per il quotidiano. Gli strumenti fondamentali di garanzia della sicurezza sembrano diventati inefficaci. La sfiducia non investe solo le attività istituzionali. Anche i luoghi tradizionali della sicurezza sembrano oggi trasformarsi in teatro della minaccia. Con la grande urbanizzazione del secondo dopoguerra la metropoli sembrava essere il nuovo teatro del rischio. La comunità periferica, viceversa, era considerata come oasi di certezza. Oggi le paure nascono nelle piccole comunità. Nel Nord d'Italia le strutture periurbane, le periferie, i piccoli comuni vivo
no una stagione di insicurezza, a volte di paura. Perché? E' solo percezione? O esistono motivi strutturali?

I risultati di studi sociali condotti sul tema della sicurezza confermano che i livelli delle paure sono cresciuti negli ultimi anni più di quanto siano cresciuti i dati quantitativi sulla criminalità. È comunque evidente che la domanda sociale di sicurezza è sempre più condizionata anche da motivi strutturali. Per comprenderne la complessità non si può prescindere da alcune riflessioni sulle linee di tendenza delle attuali dinamiche socio-criminali.
Un primo aspetto riguarda le evoluzioni demografiche. Le analisi più recenti hanno evidenziato due principali tendenze nell'evoluzione della distribuzione demografica del Paese: l'involuzione dei sistemi metropolitani e l'accentuato spopolamento di alcune aree geografiche. In Italia, il "peso demografico" si è progressivamente spostato dalle grandi città verso i centri minori. A fronte di un calo rilevante dei residenti dei comuni con più di 50.000 abitanti, si è registrato un sensibile aumento delle popolazioni nei comuni tra i 5.000 e i 20.000 abitanti e negli hinterland delle metropoli. La formula che contrapponeva la "campagna", con il suo isolamento rurale, alla "città", come luogo delle opportunità, ha perso ogni significato.
Alla "migrazione interna" va correlata anche la presenza straniera nel Paese, che si concentra proprio nei contesti metropolitani e suburbani. In Italia sono presenti oltre 2.900.000 stranieri residenti, cui si stima debbano aggiungersi circa 500.000 irregolari, e nel prossimo futuro il Paese continuerà ad essere meta di immigrati. Gli stranieri regolarmente residenti vivono in condizioni di sostanziale emarginazione. In questa situazione, soprattutto la seconda generazione di immigrati potrà maturare forme di aggressività e rivalsa tali da sospingerla verso condotte devianti in grado di alimentare il disordine urbano.
Alla clandestinità sono connessi, invece, molti fenomeni delinquenziali. La criminalità straniera è in aumento ed è prodotta essenzialmente da soggetti irregolari. Al riguardo, le compagini malavitose di matrice straniera mostrano una crescente operatività, ricercando alleanze operative con i sodalizi mafiosi nazionali tradizionali.
Questi ultimi continuano ad impegnarsi soprattutto nell'aggressione delle attività economiche. I principali investimenti sono realizzati nelle aree del centro-nord del Paese, ma anche all'estero, grazie alla rete di relazioni con i grandi "network criminali", principali attori dei traffici illeciti transnazionali.
Gli aspetti "globali" della moderna criminalità trovano speculare corrispondenza nella dimensione "locale" della sicurezza, con le insidie portate nelle forme del crimine di strada o in quelle, non meno odiose e pericolose, della violazione delle private abitazioni. La criminalità "predatoria" permane tra i principali fenomeni delinquenziali e le connessioni con l'immigrazione irregolare non consentono di prevedere una diminuzione della sua incidenza.
L'aspetto è connesso anche con l'aumento della ricchezza in alcune regioni del Paese, segnatamente nelle province, con particolare riguardo a quelle del Nord-est. In questo caso la rapida trasformazione delle attività economiche ha introdotto un'abbondanza di beni che, pur nell'indubbia positività, è di per sé un elemento attrattivo della criminalità e crea una frattura con le condizioni precedenti di tranquillità, ma anche di maggiore povertà.
D'altra parte, la criminalità predatoria ha mutato i propri "codici", accrescendo la propria aggressività con azioni di violenza sproporzionate rispetto al bene che si intende sottrarre. Gli autori di questi delitti, oltre ad essere per lo più stranieri irregolari, risultano, spesso, recidivi. Questa constatazione se, per un verso, porta a circoscrivere il "bacino" criminale, per l'altro, alimenta una sfiducia che genera, essa stessa, insicurezza.
Il problema della percezione della sicurezza non si pone solo in termini di "quantità" di paura, ma rileva anche sotto il profilo della "qualità" delle paure. I cittadini si sentono assediati da shock alimentari - come la mucca pazza o la brucellosi - dall'inquinamento del territorio e, non ultimo, dalla situazione della sicurezza sui luoghi di lavoro.



La Polizia di quartiere è stata considerata una possibile garanzia della sicurezza, una risposta a minacce capillari e ravvicinate. Il termine quartiere è ancora legato alla dimensione urbana, alla metropoli. Forse occorre qualche cosa di più. Non pensare solo alla grande città ma più in generale alle comunità. In questo senso oltre che ad inventare nuove figure si può pensare di vitalizzare nuovamente sperimentate strutture. In passato l'organizzazione diffusa dell'Arma dei Carabinieri è stata considerata come un rischio per l'efficienza, una forma di debolezza, una sorta di condanna alla ruralità. Oggi viceversa la diffusione sul territorio di un'organizzazione può diventare una nuova opportunità di efficacia. Come opera la struttura periferica dell'Arma dei Carabinieri? Come si collega alle Istituzioni locali ed alla società civile? Cosa si sta facendo? Cosa si può fare?

La formula operativa nota con l'accezione di "polizia di prossimità", in realtà, è da sempre alla base del "modello" realizzato dall'Arma, poiché inscindibilmente connessa con la capillarità della struttura presidiaria, basata su 44 Tenenze e 4.624 Stazioni Carabinieri. Questi reparti rappresentano i "terminali" del dispositivo operativo, impiegati nello svolgimento di tutti i servizi di sicurezza pubblica e nelle indagini di polizia giudiziaria.
Le Stazioni e le Tenenze realizzano anche un rapporto di conoscenza diretta e reciproca con il cittadino, da cui deriva l'esercizio di una vera e propria "funzione di rassicurazione sociale", che completa l'offerta di sicurezza. In definitiva, questi reparti, lungi dal rappresentare un "presidio murario", sono avvertiti dalla popolazione come un "patrimonio" di ciascuna comunità, in grado di incidere anche sulla percezione individuale della sicurezza.
Lo testimoniano gli straordinari risultati conseguiti, anche nel 2007, da questi reparti, che hanno proiettato 3.332.242 servizi sul territorio, denunciato 271.004 persone ed eseguito 52.861 arresti. Lo testimoniano pure le numerose richieste per la costituzione o il potenziamento di presidi dell'Arma, veicolate attraverso i rappresentanti istituzionali, locali e nazionali.
Ad ogni modo, la necessità di corrispondere con sempre più efficacia al mosaico di esigenze derivanti dalla crescente domanda di sicurezza ha fatto scaturire una serie articolata di obiettivi ai quali si rivolge il processo di innovazione istituzionale. Tra questi, stiamo puntando sul moderno concetto di "polizia della comunità", in cui le indeclinabili responsabilità di "governo del territorio", affidate alle amministrazioni locali, si armonizzano con le responsabilità di "controllo del territorio", proprio delle due Forze di polizia a competenza generale, sfruttando la calibrata capillarità del dispositivo territoriale e l'intelligente utilizzo delle applicazioni tecnologiche.
I Patti per la sicurezza ne sono un esempio eloquente. Il valore di questi accordi risiede soprattutto nel riconoscimento che l'intervento di polizia non può dispiegare la sua piena efficacia se non è accompagnato da significativi provvedimenti di risanamento territoriale e sociale da parte delle autonomie locali, per convergere, in una visione concretamente unitaria dei problemi della sicurezza, sull'obiettivo di migliorare la qualità della vita dei cittadini.
Naturalmente tali misure possono non ottenere effetti immediati e necessitare di un incremento delle attività di polizia a fronte dell'eventuale improvvisa recrudescenza di taluni fenomeni criminali. In tale ambito si collocano le attivazioni di moduli d'intervento congiunti tra le Forze di polizia e le Polizie municipali.
Più in generale, l'attività delle Forze dell'ordine deve trovare corrispondenza in chi esercita i presidi sociali, culturali ed economici: dagli enti locali, agli istituti scolastici, al volontariato, alle associazioni di categoria, sino al "controllo informale" che ogni cittadino può esercitare, in un rapporto di utile collaborazione con le Forze di polizia.
La piena aderenza del dispositivo territoriale dell'Arma all'apparato amministrativo favorisce questa dialettica con il sistema delle autonomie locali e con le reti degli attori sociali, che trovano nei reparti carabinieri, ai diversi livelli, punti di riferimento certi, costanti e qualificati. In tale quadro, l'Arma, da sempre inserita nella vita delle comunità, si pone l'obiettivo di partecipare con sempre maggiore frequenza e con ruolo primario alle strategie di "sicurezza integrata" e, a tal fine, i Comandi prendono parte attivamente alle diverse forme di cooperazione sviluppate sul territorio, ovvero le promuovono per il tramite dei Prefetti, ai quali risalgono le iniziative di collaborazione tra lo Stato e le autonomie territoriali.



Alla insicurezza locale si affianca quella globale. Il mercato e sempre nuove misure di trasparenza finanziaria incentivano l'uso di strumenti elettronici di circolazione del danaro. Ma in questo spazio e in questo sistema si moltiplicano gli illeciti e nuovi rischi per la proprietà. La sfida anticrimine deve unirsi ad una sfida tecnologica. In materia di criminalità informatica come reprimere? Soprattutto, come prevenire?

Allo scopo di contrastare adeguatamente il "crimine informatico", l'Arma ha adottato mirati provvedimenti finalizzati ad incrementare le risorse specificamente destinate al settore.
L'Arma ricerca il costante adeguamento delle proprie capacità operative alla rapida evoluzione dello scenario di riferimento per formare il personale impegnato nel contrasto ai reati commessi nel particolare contesto, spiccatamente specialistico, e per acquisire dotazioni hardware e software tecnologicamente sofisticate, in grado di stare al passo con le minacce provenienti dalla rete.
L'attenzione che l'Istituzione riserva al settore è testimoniata dall'inserimento del contrasto alle frodi informatiche nel "Programma sicurezza" elaborato dal Comando Generale, documento che individua le linee di intervento prioritarie per i comandi territoriali.
Tali linee di azione convergono sull'obiettivo generale volto ad esaltare la funzione preventiva quale principale attività delle Forze di polizia. La scelta trova il suo fondamento nella considerazione che l'azione di contrasto, pur nella sua importanza, non può che esprimersi nel momento in cui il delitto è stato già commesso, diffondendo comunque allarme tra la popolazione.
Al fine di investire dunque sulla prevenzione e per aiutare il cittadino a conoscere meglio i suoi diritti e prevenire le situazioni di pericolo, sul sito www.carabinieri.it è stata resa disponibile, nell'ambito della sezione "consigli" tematici, una specifica area (1) che fornisce suggerimenti per evitare i rischi legati al commercio elettronico, alla possibilità di cadere vittima di crimini informatici o alla perdita della riservatezza dei propri dati personali.




La minaccia informatica si intreccia con quella del crimine organizzato e del crimine transnazionale. Per la repressione e per la prevenzione, sono sufficienti le strutture esistenti? Od occorrono nuove strutture specializzate?

Lo scenario italiano vede le Forze di polizia affrontare un crescente volume di indagini inerenti la criminalità informatica. L'aumento del fenomeno suggerirebbe la creazione di nuove strutture specializzate.
Tuttavia, la materia, strettamente connessa con la tematica generale della polizia delle comunicazioni, deve essere affrontata nell'ambito di un sistema normativo complesso, in cui alla Polizia di Stato, per il tramite della Polizia Postale e delle Comunicazioni, e alla Guardia di Finanza, quale Forza di polizia a competenza generale in materia di polizia economica e finanziaria, sono riconosciute competenze primarie, ma non esclusive.
Tuttavia, la prevenzione e repressione delle condotte illecite comunque commesse per mezzo della rete, rilevando la neutralità del mezzo tecnologico rispetto alla natura del fatto, può essere sviluppata da tutte le Forze di polizia.
In tale contesto, abbiamo potenziato il Reparto Tecnologie Informatiche del Raggruppamento Carabinieri Investigazioni Scientifiche, che cura gli accertamenti su materiale ad alta tecnologia, e il Reparto Indagini Tecniche del Raggruppamento Operativo Speciale, cui sono stati attribuiti, in campo informatico, compiti di supporto all'attività investigativa connessi, rispettivamente, con l'elaborazione delle informazioni ottenibili dal materiale acquisito durante le indagini e con l'attività di contrasto posta in essere dalla catena anticrimine.
Contestualmente, sono stati attivati specifici corsi in materia di "Investigazioni elettroniche speciali", allo scopo di poter disporre presso ciascun Comando Provinciale di personale qualificato sulle tecniche di contrasto al crimine informatico.
Inoltre, nel più ampio quadro del potenziamento qualitativo dell'attività investigativa, cui sono conseguite le misure organizzative per la costituzione dell'Istituto Superiore di Tecniche Investigative, operativo dal 27 ottobre, sono stati previsti appositi moduli addestrativi per il personale impiegato in incarichi operativi, anche la fine di superare il problema dell'aggiornamento tecnico nel delicato settore, in continua e rapida evoluzione.



La criminalità organizzata in Italia ha subito duri colpi. Ma ci sono sintomi di ripresa. è possibile un bilancio dell'operatività, oggi, dei grandi gruppi del crimine organizzato: mafia, camorra, ‘ndrangheta? Nelle analisi sulla mafia si parlava di varie fasi: quella rurale, quella edilizia, quella degli appalti, quella finanziaria. Ognuna dotata di caratteri specifici. è possibile parlare oggi di una criminalità organizzata che opera nel contesto e con gli strumenti della globalizzazione?

La pressione investigativa esercitata dalle forze di polizia nel corso degli anni ha sicuramente inferto colpi durissimi alla criminalità mafiosa, pervenendo spesso alla completa disarticolazione di qualificate strutture criminali. Tuttavia, le compagini malavitose hanno dimostrato di possedere straordinarie capacità riorganizzative, riuscendo ad avviare e a completare drastici riassetti al proprio interno finalizzati a strategie di "basso profilo" e alla diversificazione dei propri interessi illeciti.
In tale quadro, il processo di globalizzazione sviluppatosi nel corso degli ultimi anni ha in qualche modo favorito la formazione di "condizioni ambientali" tali da agevolare l'evoluzione dei sodalizi criminali, operativi su scala transnazionale. Va considerato, tra l'altro, che esistono altri incentivi al proseguimento di questo trend criminale, fra i quali spicca la disomogeneità legislativa esistente tra i diversi Paesi. Inoltre, giovandosi degli effetti della globalizzazione, le compagini mafiose, accanto alle tradizionali forme di delittuosità, sono state progressivamente attratte da più qualificati ambiti illeciti, quali il narcotraffico e il condizionamento del tessuto economico-imprenditoriale.
In particolare, tra i gruppi criminali di tipo mafioso, la ‘ndrangheta si pone all'attenzione investigativa per la sua marcata connotazione transnazionale nei traffici di sostanze stupefacenti, settore in cui, grazie ai consolidati rapporti instaurati dai gruppi calabresi con i cartelli attivi nelle aree di produzione, l'organizzazione si è innalzata a punto di riferimento anche per le altre associazioni criminali. Conferme nel senso pervengono dalla cattura in Canada, l'8 agosto 2008, del latitante Giuseppe COLUCCIO, inserito nell'elenco dei 30 ricercati più pericolosi, in grado di gestire un importante traffico di cocaina tra Sud America, Canada ed Europa.



La penetrazione dall'estero del crimine organizzato moltiplica in Italia le minacce? Quali le cause? L'economia globale? Una legislazione troppo permissiva? C'è il rischio di un collegamento delle mafie straniere con le organizzazioni criminali radicate nel tessuto sociale nazionale?

La criminalità organizzata di matrice etnica ha consolidato, negli ultimi anni, la propria presenza su tutto il territorio nazionale e, adeguandosi alla globalizzazione dei mercati e all'abbattimento delle frontiere, ha progressivamente accentuato il proprio carattere transnazionale.
I gruppi delinquenziali stranieri insediatisi nel nostro Paese hanno sempre più incrementato le proprie capacità criminogene, sfruttando i circuiti illegali delle attività connesse con le migrazioni clandestine. Inoltre, a seguito dell'evoluzione del panorama comunitario, con particolare riferimento all'allargamento ad est dell'Unione Europea, si è registrato un consolidamento degli spazi operativi occupati da parte di elementi criminali stranieri.
Molto è stato fatto a livello normativo per prevenire e inasprire le misure finalizzate al contrasto di tali fenomeni criminali. Tuttavia, di fondamentale importanza risultano in questo settore gli accordi bilaterali con quei Paesi che non oppongono particolari misure per arrestare i consistenti flussi migratori, che, come noto, costituiscono bacino privilegiato cui attingono le consorterie criminali straniere. Inoltre, l'Arma vede con particolare favore la realizzazione della Banca dati nazionale del DNA, strumento che accrescerebbe sensibilmente la possibilità di identificare gli autori di reati, specie quando si tratta di stranieri.
Accresciuta la propria "specializzazione" in ambiti delinquenziali relativi agli interessi transnazionali dei gruppi dediti alla tratta, allo sfruttamento degli esseri umani e al traffico di droga, le cosiddette "nuove mafie" hanno instaurato connessioni con le consorterie mafiose autoctone. Queste collaborazioni si sono manifestate con modalità diverse a secondo dell'area territoriale e delle finalità illecite perseguite. In particolare, nel centro-nord del Paese, i sodalizi stranieri hanno acquisito una posizione preminente nel traffico di stupefacenti e nella tratta di persone tesa a varie forme di sfruttamento. Nel meridione, invece, le consorterie etniche rimangono sotto l'influenza delle tradizionali consorterie mafiose, che non hanno sinora consentito autonome iniziative, salvo nei settori dell'immigrazione clandestina e dello sfruttamento della prostituzione.



Oggi in Italia si sta manifestando una forte reazione della società civile contro il crimine e contro le rendite delle quali ha goduto la criminalità di tipo mafioso. Il fenomeno è forse tardivo, ma sicuramente positivo. Come fare per incentivare tali atteggiamenti? Come garantire, a livello diffuso, nel territorio, coloro che rompono la rete della omertà e che escono dalla logica del silenzio e della paura?

La reazione della società civile alla stretta soffocante della criminalità organizzata sulle attività economiche, commerciali ed imprenditoriali, documentata da recenti e incoraggianti iniziative di Confindustria e di alcuni Sindaci, è confermata dalle risultanze operative in possesso dell'Arma e costituisce segno tangibile di un rinnovato vigore civico da parte degli operatori del mondo del commercio e dell'impresa.
Per favorire tali comportamenti virtuosi, lo Stato ha previsto lo stanziamento di fondi anti-usura e anti-estorsione. Inoltre, sotto il profilo legislativo, la nuova normativa sui ‘testimoni di giustizia’ - che prevede maggiori tutele a fronte dei rischi di ritorsione ad opera delle compagini delinquenziali - sta consentendo progressivamente una maggiore visibilità dello Stato e delle sue Istituzioni soprattutto nelle aree in cui l'incidenza criminale si fa maggiormente sentire.
Inoltre, l'Arma, d'intesa con le altre Forze di polizia, sviluppa numerose attività a sostegno delle vittime dell'usura e del racket, reati tipici dei fenomeni delinquenziali di tipo mafioso.
A livello centrale, l'Arma partecipa alle attività del Commissario Straordinario del Governo per il Coordinamento delle iniziative antiracket ed antiusura, fornendo il proprio contributo di analisi all'Osservatorio permanente su tali fenomeni. A livello periferico, in diverse province, i carabinieri hanno avviato iniziative operative di collaborazione con il mondo imprenditoriale, per impedire tentativi estorsivi o di infiltrazione da parte della criminalità organizzata. Tra le più recenti, cito il programma di cooperazione tra l'Associazione Costruttori Edili Napoletani e il Comando provinciale del capoluogo partenopeo.
Rileva, infine, l'istituzione presso le Prefetture di "minipool antiracket antiusura", con funzioni di supporto all'Autorità provinciale di pubblica sicurezza per le procedure di istruzione delle domande di accesso al Fondo di solidarietà per le vittime dei reati di usura ed estorsione.
Tutto ciò può concorrere alla creazione di condizioni ambientali idonee a far sviluppare quel senso civico e quella cultura del rispetto delle regole che sono alla base di ogni convivenza pacifica improntata al progresso.



L'Arma dei Carabinieri ha saputo coniugare la presenza diffusa sul territorio con la creazione di organismi altamente specializzati. Organismi collegati a forme specifiche di illecito. L'articolo 16 del decreto legislativo 5 ottobre 2000, prevede l'istituzione di reparti dedicati, in via prioritaria, all'espletamento di compiti particolari o di elevata specializzazione. Raggruppamenti speciali hanno favorito il successo della lotta contro la violenza politica e contro le mafie. Non è venuto il momento di ipotizzare una struttura dedicata specificamente al crimine transnazionale? Una organizzazione dotata di forti capacità conoscitive (linguistiche, criminologiche, antropologiche) e di tecnologie adeguate.

Al fine di garantire elevati standard qualitativi nel contrasto delle forme più strutturate di criminalità, l'Arma dei Carabinieri ha compiuto specifiche scelte di specializzazione, istituendo reparti dedicati e sviluppando peculiari professionalità. Il R.O.S., ad esempio, sviluppa le indagini sulle strutture delinquenziali più articolate negli ambiti della criminalità organizzata, del terrorismo e dell'eversione. Un essenziale apporto è fornito, quindi, dal Raggruppamento Carabinieri Investigazioni Scientifiche che, con i suoi R.I.S. supporta i comandi territoriali per lo svolgimento delle indagini tecniche. Un ulteriore contributo è sviluppato dai reparti che operano nei cosiddetti comparti di specialità per la tutela di interessi generali della collettività (ambiente, salute, lavoro e patrimonio culturale) e specifici dello Stato (antifalsificazione monetaria e politiche agricole).
Per altro verso, nell'ambito della cooperazione internazionale di polizia, l'Ordinamento italiano affida al Ministro dell'Interno lo sviluppo delle relazioni comunitarie e internazionali mediante il Dipartimento della pubblica sicurezza, che opera con due articolazioni alla cui attività partecipa anche l'Arma dei Carabinieri, essendo entrambe a composizione interforze: a livello strategico, il Servizio II dell'Ufficio per il Coordinamento e la Pianificazione delle Forze di Polizia; sul piano direttamente operativo, il Servizio per la Cooperazione Internazionale di Polizia. In tale quadro, l'Arma dei Carabinieri garantisce il proprio contributo anche nei più importanti fori di cooperazione internazionale.
L'impianto organizzativo descritto costituisce testimonianza dell'efficienza dell'attuale modello di coordinamento che valorizza concretamente le sinergie tra le Forze di polizia anche nei fori internazionali.



L'Arma dei Carabinieri ha svolto negli ultimi anni fuori dai confini nazionali un ruolo importante nella difesa della pace e della democrazia. Un'attività sovranazionale che si è manifestata con la presenza nelle missioni di pace, con opere di supporto e di formazione delle Polizie, con la vigilanza sulla tutela di fondamentali diritti umani. L'articolo 5 del decreto legislativo 5 ottobre 2000, dispone che l'Arma partecipi ad operazioni per il mantenimento/ristabilimento della pace e della sicurezza internazionale e concorra alle attività promosse dalla comunità internazionale, volte alla ricostituzione dei Corpi di polizia. Sull'Arma dei Carabinieri gravano nuove pesanti responsabilità in materia di tutela della legalità internazionale e dei diritti umani. Come si è operato in tale direzione? Di quali strutture si è dotata l'Arma dei Carabinieri? Quale formazione per i Carabinieri dei diritti umani, per i Carabinieri della legalità globale?

Il consolidamento della tradizionale presenza dell'Arma nel contesto di formazioni multinazionali ha suggerito di investire nella formazione del personale da impiegare nelle missioni di mantenimento della pace, cui è deputato il Centro di Addestramento della 2^ Brigata Mobile, la Grande Unità che raggruppa i reparti dedicati all'impiego nelle missioni internazionali.
Qui i militari dell'Arma vengono sottoposti ad un particolare iter addestrativo, articolato su due distinte fasi: la prima, di "certificazione per l'impiego all'estero"; la seconda, di "aggiornamento ed amalgama pre-missione". Il corso mira a conseguire l'approfondimento degli aspetti connessi con il diritto umanitario e la tutela dei diritti umani, oltre al consolidamento della preparazione tecnico-professionale dei frequentatori, in relazioni ai molteplici e complessi aspetti connessi con il delicato incarico che dovranno ricoprire.
Inoltre, l'Arma ha da sempre riservato allo studio dei Diritti dell'uomo e del Diritto umanitario un ampio spazio nel contesto dei programmi didattici svolti presso tutti gli Istituti di formazione di base e favorendo la partecipazione ad appositi corsi, tra i quali quelli organizzati dall'Istituto Internazionale di Diritto Umanitario in Sanremo e dalla Croce Rossa Italiana.
L'investimento nella formazione ha trovato un corollario di pregio in un ampio progetto istituzionale, rivolto alla ricostruzione delle Forze di sicurezza locali nei teatri operativi.
In Iraq, ove nell'ambito della "NATO Training Mission - Iraq", un nucleo di militari della 2^ Brigata Mobile, al comando di un Colonnello, è impiegato dal mese di settembre 2007 a Baghdad con il compito di addestrare l'Iraqi National Police. In Afghanistan, ove l'Arma partecipa alla missione "EUPOL Afghanistan", con compiti di monitoring e mentoring della Polizia Nazionale Afgana. L'impegno è completato dai cicli di formazione di recente avviati in favore dell'Afghan National Civil Order Police (A.N.C.O.P.). Nel teatro kosovaro, ove accanto alle funzioni di sicurezza pubblica assicurate da un Reggimento M.S.U., l'Arma sostiene l'efficienza dei Corpi di polizia locali, a partire dalla formazione del personale.
L'esperienza maturata nei teatri operativi ha ispirato anche il progetto del Centro di Eccellenza per le Stability Police Units (CoESPU) che, a tre anni dalla sua istituzione, è diventato un prestigioso punto di riferimento internazionale per la formazione di militari da impiegare in missioni di pace. Il Centro, diretto da un Ufficiale Generale dell'Arma, mira a favorire il diretto coinvolgimento dei Paesi interessati per assicurare condizioni di pace nelle aree di crisi, superando le difficoltà emerse in seno alla comunità internazionale per sostenere interventi di lunga durata. Ad oggi sono 1.468 le unità addestrate, provenienti da Camerun, Giordania, Kenya, India, Indonesia, Marocco, Pakistan, Senegal, Serbia, Nigeria, Ucraina, Mali e Romania.
Mi piace citare, per concludere, il progetto di gemellaggio (PHARE) a favore della gendarmeria turca, con avvio dal mese di ottobre, finanziato dall'UE e volto alla formazione e all'implementazione dell'applicazione dei diritti umani nell'attività di polizia di quell'Istituzione. Il progetto si inserisce nel più ampio processo di democratizzazione delle Istituzioni turche richiesto dalla Commissione europea e dal Consiglio d'Europa.
In definitiva, l'Arma dei Carabinieri, grazie al notevole sforzo profuso nella formazione e costante aggiornamento del proprio personale in materia di diritti umani e legalità globale, è una delle poche Forze di polizia a status militare nel contesto internazionale in grado di esprimere tutta la gamma di capacità di polizia necessarie nelle aree destabilizzate per i differenti livelli di crisi. Le specifiche esperienze maturate costituiscono un patrimonio unico nel suo genere che dota lo strumento militare nazionale di capacità esclusive non possedute dalle Forze armate degli altri Paesi.


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