GNOSIS 2/2008
STORIE VERE, ANEDDOTI E LEGGENDE Il delitto di Stato come arte ai tempi della Serenissima |
Alain CHARBONNIER |
L'omicidio politico come scorciatoia per assicurare stabilità interna ed esterna allo Stato è pratica diffusa soprattutto nei regimi autoritari. Del resto, "salus rei publicae suprema lex esto", affermava Cicerone per giustificare l'uccisione di Catilina nel carcere Mamertino. Nel Rinascimento, epoca di intrighi e di delitti, l'omicidio di Stato viene di fatto istituzionalizzato. Nelle corti dell'epoca si trama e si uccide: a Firenze come a Milano, a Parigi come a Roma. Ma è nella Repubblica di Venezia che la pratica assume forme e raffinatezze senza precedenti, senza distinzione di classe e di censo. E in nome degli interessi della Serenissima i suoi sicari non si fermano neppure davanti a Re e Papi.
Nel suo documentatissimo libro "I servizi segreti di Venezia", edito da Saggiatore nel 1994, Paolo Preto dedica numerose pagine alle operazioni "cum quel più cauto, destro et secreto modo". Scrive Preto: "A parte l'ipotesi di un avvelenamento di papa Alessandro VI (1503), tramite il cardinale Adriano di Cornet, sostenuta dal Lamansky, sia pure con pochi elementi obiettivi, e quella di un'offerta non accettata contro Giulio II nel 1504, i grandi Re europei contro i quali, con assoluta certezza, Venezia medita e approva attentati mortali, oltre Sigismondo di Lussemburgo Re d'Ungheria, sono: Carlo VIII, di cui è accettata il 28 giugno 1495 un'offerta di assassinio dell'ingegnere vicentino Basilio Scola e contro cui Pietro Giustiniani ricorda anche un'offerta di morte del friulano Tristano Savorgnan, a suo dire respinta perché contraria ai costumi bellici della Repubblica; Luigi XII, del quale il 27 ottobre 1511 è accettata un'offerta di uccisione da parte del medico personale". Sono almeno dodici i tentativi e i progetti di assassinare il Sultano dei Turchi, promossi dal Consiglio dei Dieci, dalla caduta di Costantinopoli fino al 1647. Ogni mezzo è lecito per perseguire la conservazione e l'ampliamento dello Stato e a Venezia "quello che per autorità aborrisce l'humanità nella conditione privata è ricercato et ammesso dalla ragione del governo politico nella pubblica amministrazione". Per cui sono ritenute "lecite e buone e necessarie e doverose e cristiane" le offerte di morte, facendo bene attenzione a ricercare il sostegno nell'autorità di teologi e giuristi. Ma non sempre a Venezia il segreto resta tale. La Serenissima pullula di spioni, confidenti, referendari, rapportatori al servizio del Sultano, dell'Impero, della Chiesa. Orecchie attente, pronte a cogliere ogni sussurro e a riferirlo al loro committente. Anche i progetti omicidiari trapelano dalle segrete stanze del Consiglio dei Dieci o degli Inquisitori. La "ragion di Stato" impone di allontanare con sdegno ogni sospetto di delitto segreto. E quando si diffondono voci di un tentativo di avvelenamento del re d'Ungheria, esse sono pubblicamente e ufficialmente definite: "vane et temerarie calunnie, aliene da ogni verità diffuse dagli alemani contro questo innocentissimo stado". Politica della doppia morale e grande capacità di "disinformazione", per mascherare delitti commessi e progettati. Scrive ancora Paolo Preto che per Venezia l'assassinio del Sultano dei Turchi è senz'altro "salus Christianitatis, salus et pax populi Christi, optima et christiana dispositio", darà "maximum fructum" alla Repubblica e tutta la cristianità e semmai ci si deve assicurare che il veleno colpisca davvero l'infedele e non qualche cristiano: se poi l'offerta di un'"opera sì pietosa et fructuosa ugualmente dovesse fallire, ne resterebbe offesa la pubblica sempre sostenuta integrità". Veleno, pugnale, corda, schioppettata, annegamento o qualunque altro mezzo è buono. I sicari veneziani non vanno per il sottile e la Serenissima bada ai risultati. Per chi sbaglia non c'è perdono, non c'è luogo in cui la longa manus degli Inquisitori non possa arrivare. "Homo morto non fa guerra" è detto corrente a Venezia. E di morti i Dieci e gli Inquisitori se ne lasciano dietro una lunga scia, nobili e umili, principi e prelati, come si legge nei documenti conservati negli archivi. Tutti vittime della grandezza della Serenissima. Fino al 1797, quando la pace di Campoformio mise fine alla storia della Repubblica di San Marco.
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