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GNOSIS 2/2007
Le operazioni simulate

Se l'agente provocatore entra nel processso


Giuseppe AMATO

In questo articolo si affrontano le diverse ipotesi di operazioni sotto copertura previste nel nostro Ordinamento, anche alla luce delle novità introdotte dalla legge n. 146 del 2006, sul crimine transnazionale. Si è cercato di individuare le questioni "processuali" più delicate di interpretazione della disciplina normativa, con particolare riferimento all'ambito dell'impunità dell'infiltrato, alla veste processuale che questi va ad assumere ed al contenuto delle dichiarazioni che questi può essere chiamato a rendere.


foto Ansa


L'’agente provocatore’

Uno degli strumenti investigativi potenzialmente più utili, purchè impiegati con attenzione e cautela, è quello dell'”agente provocatore”.
E' uno strumento che si sostanzia in un'attività di controllata infiltrazione all'interno di un gruppo criminale realizzata da un operatore di polizia, il quale - agendo ovviamente sotto mentite spoglie - arriva finanche ad istigare la commissione di reati da parte degli appartenenti al gruppo criminale, quale mezzo al fine di conseguire l'acquisizione - altrimenti impossibile od oltremodo difficile - di mezzi di prova a carico di tali soggetti.
L'esempio emblematico è rappresentato dall'”acquisto simulato” di sostanze stupefacenti, dove è l'infiltrato a "stimolare" la cessione di sostanze stupefacenti da parte degli appartenenti all'associazione criminosa per concretizzare l'acquisizione di elementi di prova a loro carico, vuoi in ordine alle responsabilità soggettive, vuoi in ordine alla stessa sussistenza della struttura organizzata associata.
E' uno strumento che presenta ancora notevoli lati oscuri, sia nell'esperienza operativa che nell'applicazione giurisprudenziale. Anche perché la disciplina delle diverse ipotesi normative che consentono il ricorso alle operazioni simulate presenta qualche problema di coordinamento interpretativo, non affrontando, né risolvendo, tutte le questioni, soprattutto processuali, che possono sorgere.
Non sembra inutile così sia ricostruire la disciplina delle diverse ipotesi di "agente provocatore", sia, soprattutto, focalizzare alcune delle questioni applicative che la pratica ha fatto emergere, per ovvie esigenze di spazio e di connessione logica, limitando l'attenzione alle questioni di più immediato interesse processuale.


L'acquisto simulato di droga:
l'esordio dell’"agente provocatore"


Un discorso organico sulla figura dell'"agente provocatore" non può che partire dall'articolo 97 del d.p.r. 9 ottobre 1990 n. 309, in materia di disciplina sanzionatoria delle sostanze stupefacenti o psicotrope, che, nel testo attualmente vigente, come modificato dalla legge n. 49 del 2006, al comma 1, prevede che, fermo il disposto dell'articolo 51 del c.p., non sono punibili gli ufficiali di polizia giudiziaria addetti alle unità specializzate antidroga, i quali, al solo fine di acquisire elementi di prova in ordine ai delitti in materia di stupefacenti previsti dallo stesso d.p.r. ed in esecuzione di operazioni antidroga specificamente disposte dalla Direzione centrale per i servizi antidroga o, "sempre" d'intesa con questa, dal questore o dal comandante provinciale dei Carabinieri o della Guardia di Finanza o dal comandante del nucleo di polizia tributaria, o dal direttore della Direzione Investigativa Antimafia, "anche per interposta persona", "acquistano, ricevono, sostituiscono od occultano sostanze stupefacenti o psicotrope o compiono attività prodromiche e strumentali".
Come è noto, si tratta della disposizione con la quale, per la prima volta, è stata "codificata", quale autonoma e speciale causa di giustificazione, la figura dell'"agente provocatore", in precedenza ritenuta legittima dalla giurisprudenza mediante il riferimento alla causa di giustificazione comune dell'articolo 51 del c.p., sotto il profilo dell'adempimento del dovere posto a carico della polizia giudiziaria di prendere notizia dei reati, ricercarne gli autori e compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova (cfr. articolo 55 del c.p.).
In realtà, il riconoscimento della legittimità dell'attività dell'"agente provocatore", attraverso il richiamo della scriminante comune dell'adempimento del dovere, è ed è sempre stato subordinato a particolari cautele ed a significative limitazioni.
In sostanza, secondo la giurisprudenza pressochè consolidata, l’”agente provocatore”, anche se appartenente alla polizia giudiziaria, non sarebbe punibile ex articolo 51 del c.p. solo se il suo intervento risulti essere stato indiretto e marginale nell'ideazione ed esecuzione del fatto, essendosi risolto essenzialmente in un'attività di mero controllo, di osservazione e di contenimento dell'altrui azione illecita (ipotesi che ben difficilmente potrebbe ravvisarsi nell'attività di acquisto “simulato” di droga e, come vedremo, anche nelle altre ipotesi di attività simulata, dove l'infiltrato è facoltizzato a commettere e a stimolare la commissione di reati); mentre sarebbe punibile, come concorrente nel reato, il soggetto che abbia svolto una concreta attività di istigazione o, comunque, un'attività avente efficacia determinante o concausale (materiale o psichica) nella progettazione e commissione del reato (1) .
E' pertanto evidente l'importante valenza normativa dell'articolo 97 del d.p.r. n. 309/90, che, rafforzando significativamente i poteri investigativi della polizia giudiziaria, consente di ritenere non punibile l'agente provocatore che ponga in essere un'attività (quale, ad esempio, quella dell'acquisto simulato di droga) che, lungi dall'essere di mero controllo, di osservazione e di contenimento dell'altrui azione illecita, si sostanzia nell'infiltrazione in un'organizzazione criminale e nella attiva sollecitazione di una vendita, magari non ancora decisa, di sostanza stupefacente.
Condotta che, per converso, ben difficilmente potrebbe andare esente da punizione invocando la scriminante comune dell'articolo 51 del c.p., intesa nei termini rigorosi di cui si è detto.
Ciò che vale, mutatis mutandis, nelle altre ipotesi di azione simulata di cui si dirà.


L'ampliamento delle ipotesi di
"agente provocatore"


La disciplina introdotta nella legge sugli stupefacenti si è, infatti, rilevata a tal punto utile da essere stata presa a modello per l'introduzione, nel tempo, in altri settori, di analoghe figure di "azioni simulate".
Basti pensare, esemplificativamente, a quelle previste dall'articolo 12 quater, commi 1 e 2, del decreto legge 8 giugno 1992 n. 306, convertito nella legge 7 agosto 1992 n. 356, in materia di riciclaggio e di reimpiego di capitali illeciti e in materia di armi, munizioni ed esplosivi; alle azioni simulate previste dall'articolo 14 della legge 3 agosto 1998 n. 269, in materia di prostituzione e pornografia minorile e di turismo sessuale in danno di minori (di recente, con legge 6 febbraio 2006 n. 38, estese al materiale pornografico di cui all'articolo 600 quater del c.p.); a quella prevista per contrastare i reati di terrorismo (articolo 4 del decreto legge 18 ottobre 2001 n. 374, convertito nella legge 15 dicembre 2001 n. 438); a quella configurata nella legge 11 agosto 2003 n. 228, contenente misure contro la tratta di persone, che ha esteso la possibilità di utilizzare lo strumento dell'acquisto “simulato” per contrastare tutti i reati contro la personalità individuale previsti dagli articoli da 600 a 604 del c.p., e quello di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione, previsto dall'articolo 3 della legge 20 febbraio 1958 n. 75.


La riorganizzazione delle figure
di "agente provocatore" con la disciplina
di contrasto del crimine transnazionale


Sulle figure di "agente provocatore" di cui si è detto, ha comunque inciso la legge 16 marzo 2006 n. 146, di ratifica delle Convenzioni delle Nazioni Unite contro il crimine transnazionale.
La legge n. 146 del 2006 non è intervenuta sull'articolo 97 del d.p.r. n. 309/90, probabilmente proprio perché di recente modificato con la legge n. 49 del 2006, con la formulazione di cui si è detto, mentre ha proceduto ad una complessiva "rivisitazione delle (altre) ipotesi di "azioni simulate" e della disciplina procedimentale ad esse applicabile.
In estrema sintesi, alla luce dell'intervento realizzato con la legge n. 146 del 2006, e ricostruendo la normativa previgente su cui tale legge non ha inciso, è possibile individuare le seguenti ipotesi di “azioni simulate”:
- l'azione simulata prevista dall'articolo 7 del decreto legge 15 gennaio 1991 n. 8, convertito nella legge 15 marzo 1991 n. 82, che, in materia di sequestro di persona a scopo di estorsione, consente al pubblico ministero di richiedere al giudice per le indagini preliminari l'autorizzazione a disporre di beni, denaro o altre utilità, sottoposti a sequestro preventivo ai sensi dell'articolo 1 della stessa legge, per l'esecuzione di "operazioni controllate di pagamento del riscatto" (è ipotesi su cui non è intervenuta la legge n. 146 del 2006);
- le azioni simulate previste, in materia di riciclaggio (articolo 648 bis del c.p.) e di reimpiego di capitali illeciti (articolo 648 ter del c.p.) e in materia di armi, munizioni ed esplosivi, dall'articolo 9, comma 1, della legge n. 146/2006 (cfr., in precedenza, l'abrogato articolo 12 quater, commi 1 e 2, del decreto legge 8 giugno 1992 n. 306, convertito nella legge 7 agosto 1992 n. 356): gli agenti sotto copertura sono legittimati, anche per interposta persona, a dare rifugio, o comunque a prestare assistenza agli associati, ad acquistare, ricevere, sostituire od occultare armi, documenti, stupefacenti, beni ovvero cose che sono oggetto, prodotto, profitto o mezzo per commettere il reato o ad altrimenti ostacolare l'individuazione della loro provenienza o, infine, a consentirne l'impiego;


foto Ansa

- le azioni simulate previste dall'articolo 14 della legge 3 agosto 1998 n. 269, in materia di prostituzione e pornografia minorile e di turismo sessuale in danno di minori, previste dal combinato disposto degli articoli 14 della legge 3 agosto 1998 n. 269, relativamente ai reati di cui agli articoli 600 bis, comma 1, 600 ter, commi 1, 2 e 3, e 600 quinquies del c.p. e, di recente, con legge 6 febbraio 2006 n. 38, estese anche al materiale pornografico di cui all'articolo 600 quater del c.p., e quelle previste dall'articolo 9, comma 1, della legge n. 146 del 2006, relativamente a tutti, indistintamente, i reati previsti nel libro II, titolo XII, capo III, sezione I, del c.p. In effetti, la disciplina di settore presenta alcuni problemi di coordinamento proprio per la concorrente vigenza di norme (l'articolo 14 della legge n. 269 del 1998 e l'articolo 9 della legge n. 146 del 2006) dal contenuto parzialmente coincidente. Sono ora consentite, per tutti i reati ricompresi nel libro II, titolo XII, capo III, sezione I, del c.p. (ergo, quelli che vanno dall'articolo 600 all'articolo 602 del c.p.) le attività dettagliate nell'articolo 9, comma 1, della legge n. 146 del 2006: gli agenti sotto copertura sono legittimati, anche per interposta persona, a dare rifugio o comunque a prestare assistenza agli associati, ad acquistare, ricevere, sostituire od occultare armi, documenti, stupefacenti, beni ovvero cose che sono oggetto, prodotto, profitto o mezzo per commettere il reato o ad altrimenti ostacolare l'individuazione della loro provenienza o, infine, a consentirne l'impiego. Peraltro, non risultano essere stati abrogati i commi 1, 2 e 3 dell'articolo 14 della legge n. 269 del 1998, con la conseguenza che restano tuttora consentite (limitatamente ai reati di cui agli articoli 600 bis, comma 1, 600 ter, commi 1, 2 e 3, anche laddove commessi in relazione al materiale pornografico di cui all'articolo 600 quater del c.p. e 600 quinquies, del c.p.) le attività simulate ivi disciplinate, sostanziantisi nella facoltà di procedere all'acquisto “simulato” di materiale pornografico ed alle relative attività di intermediazione, nella facoltà di partecipare alle iniziative turistiche di cui all'articolo 5 della stessa legge, nella facoltà di utilizzare indicazioni di copertura, anche per attivare siti nelle reti, realizzare o gestire aree di comunicazione o scambio su reti o sistemi telematici, ovvero per partecipare ad esse;
- le azioni simulate previste, per contrastare i reati di terrorismo, dall'articolo 9, comma 1, della legge n. 146/2006 (cfr., in precedenza, l'abrogato articolo 4 del decreto legge 18 ottobre 2001 n. 374, convertito nella legge 15 dicembre 2001 n. 438): gli agenti sotto copertura sono legittimati, anche per interposta persona, a dare rifugio o comunque a prestare assistenza agli associati, ad acquistare, ricevere, sostituire od occultare armi, documenti, stupefacenti, beni ovvero cose che sono oggetto, prodotto, profitto o mezzo per commettere il reato o ad altrimenti ostacolare l'individuazione della loro provenienza o, infine, a consentirne l'impiego;
- le azioni simulate previste, in materia di tratta di persone (cfr. i reati dall'articolo 600 del c.p. all'articolo 602 del c.p.) e in materia di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione (articolo 3 della legge 20 febbraio 1958 n. 75), dall'articolo 9, comma 1, della legge n. 146 del 2006 (cfr., in precedenza, l'abrogato articolo 10 della legge 11 agosto 2003 n. 228): gli agenti sotto copertura sono legittimati, anche per interposta persona, a dare rifugio o comunque a prestare assistenza agli associati, ad acquistare, ricevere, sostituire od occultare armi, documenti, stupefacenti, beni ovvero cose che sono oggetto, prodotto, profitto o mezzo per commettere il reato o ad altrimenti ostacolare l'individuazione della loro provenienza o, infine, a consentirne l'impiego;
- le azioni simulate previste, in materia di immigrazione clandestina, per contrastare i reati di cui all'articolo 12, commi 3, 3 bis e 3 ter del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286, relativi alla condotta di chi compie atti diretti a procurare l'ingresso illegale nel territorio dello Stato di uno straniero ovvero atti diretti a procurare l'ingresso illegale in altro Stato di persona che non ne è cittadina o non ha titolo di residenza permanente, dall'articolo 9, comma 1, della legge n. 146 del 2006 (cfr., in precedenza, l'abrogato articolo 12, comma 3 septies, del decreto legislativo n. 286 del 1998): gli agenti sotto copertura sono legittimati, anche per interposta persona, a dare rifugio, o comunque a prestare assistenza agli associati, ad acquistare, ricevere, sostituire od occultare armi, documenti, stupefacenti, beni ovvero cose che sono oggetto, prodotto, profitto o mezzo per commettere il reato o ad altrimenti ostacolare l'individuazione della loro provenienza o, infine, a consentirne l'impiego.
A queste ipotesi di azioni “simulate” va ovviamente aggiunta quella di cui all'articolo 97 del d.p.r. n. 309 del 1990, su cui, come detto in premessa, non ha inciso il novum normativo introdotto con la legge n. 146 del 2006.
Legittimati all'esecuzione delle operazioni simulate di cui supra si è detto sono "gli ufficiali di polizia giudiziaria della Polizia di Stato, dell'Arma dei Carabinieri e del Corpo della Guardia di Finanza, appartenenti alle strutture specializzate o alla Direzione Investigativa Antimafia" (articolo 9, comma 1, lettera a), della legge n. 146 del 2006).
Il problema è quello di individuare le strutture specializzate cui di volta in volta occorre fare riferimento.
Così, quanto alle operazioni finalizzate al contrasto della prostituzione, della pornografia minorile e del turismo sessuale in danno di minori, si tratta delle unità specializzate "per la repressione dei delitti sessuali o per la tutela dei minori ovvero di quelle istituite per il contrasto ai delitti di criminalità organizzata" (articolo 14, comma 1, della legge n. 269 del 1998); mentre talune specifiche attività (facoltà di utilizzare indicazioni di copertura, anche per attivare siti nelle reti, realizzare o gestire aree di comunicazione o scambio su reti o sistemi telematici, ovvero per partecipare ad esse) sono riservate alla polizia postale e delle telecomunicazioni (articolo 14, comma 2, della legge n. 269 del 1998).
Quanto alle operazioni di contrasto al terrorismo, si tratta, invece, per espressa indicazione normativa, degli "organismi investigativi della Polizia di Stato e dell'Arma dei Carabinieri specializzati nell'attività di contrasto al terrorismo e all'eversione e del Corpo della Guardia di Finanza competenti nelle attività di contrasto al finanziamento del terrorismo" (articolo 9, comma 1, lettera b), della legge n. 146 del 2006).
Quanto alle operazioni ex articolo 97 del d.p.r. n. 309/90, su cui non ha inciso la legge n. 146 del 2006, si tratta delle "unità specializzate antidroga" delle singole Forze di Polizia.(cfr. articolo 97 del d.p.r. n. 309 del 1990).
In ordine all'intervento degli organi di vertice, è da segnalare che l'articolo 97 del d.p.r. n. 309/90, in materia di sostanze stupefacenti, prevede che le operazioni vadano poste in essere sempre d'intesa con la D.C.S.A.; mentre, relativamente alle “azioni simulate” volte a contrastare i reati in materia di immigrazione clandestina (articolo 12, commi 3, 3 bis e 3 ter, del decreto legislativo n. 286 del 1998), è prevista la necessaria intesa con la Direzione centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere (articolo 9, comma 3, della legge n. 146 del 2006).


Le questioni controverse

In questa sede, ci sembra utile soffermare l'attenzione su quelli che paiono i problemi interpretativi più delicati, che riguardano la posizione processuale dell'"agente provocatore".
Intendiamo riferirci alla "veste" che può e deve assumere, nel procedimento e, poi, nel processo, l'infiltrato.
Intendiamo riferirci, ancora, al contenuto della deposizione dell'infiltrato nel processo. Entrambe queste problematiche meritano di essere esaminate anche con riguardo alla posizione della persona interposta e/o dell'ausiliario di cui l'infiltrato si sia avvalso nello svolgimento dell'operazione simulata.
Intendiamo riferirci, infine, al delicato problema dei limiti oggettivi di operatività della scriminante.


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La posizione dell'”infiltrato”

Con riguardo alla definizione, in sede processuale, della posizione dell'ufficiale di polizia giudiziaria che ha proceduto al compimento delle diverse attività simulate integranti astrattamente gli estremi di uno o più reati coperti dalla scriminante speciale, una meditata considerazione del proprium dell'attività sotto copertura consente di escludere che il pubblico ministero, ricevuta la "notizia di reato", la cui scoperta è stata resa possibile proprio dall'attività di infiltrazione controllata, debba procedere nei confronti dell'”a-gente provocatore” all'iscrizione nel registro delle notizie di reato ex articolo 335 del c.p.p. e, quindi, richiedere al giudice per le indagini preliminari l'archiviazione della relativa posizione.
Certamente una tale rigorosa soluzione sarebbe la più idonea ad esaltare il ruolo di garanzia del giudice, ma appare senz'altro troppo penalizzante per l'operatore di polizia infiltrato e, soprattutto, tale da non soddisfare adeguatamente le esigenze connesse alla formazione della prova nel procedimento penale a carico dei responsabili dei reati individuati grazie all'operazione simulata.
Dovendosi considerare, sotto quest'ultimo profilo, che, laddove fosse necessario il vaglio del giudice e, quindi, la preventiva iscrizione dell'operatore di polizia nel registro delle notizie di reato (sia pure ai fini di una rapida e tranquilla archiviazione della relativa posizione), sarebbe giuridicamente impossibile procedere secondo le regole della testimonianza, tenuto conto che la giurisprudenza ormai consolidata (2) vuole estesa anche all'indagato l'incompatibilità a testimoniare sancita dall'articolo 197, lettera a), del c.p.p..
E' quindi preferibile una diversa soluzione.
Al riguardo deve partirsi da una condivisibile affermazione contenuta in una sentenza del giudice di legittimità (3) , secondo cui l'ufficiale di polizia giudiziaria che procede legittimamente all'”acquisto simulato”, nei limiti di lecita operatività della causa di giustificazione prevista dall'articolo 51 del c.p. (e, a fortiori, nel rispetto della procedura di cui all'articolo 97 del d.p.r. n. 309/90), è insuscettibile a essere sottoposto ad indagini preliminari (4) .
Si tratta di un'affermazione resa sulla scriminante dell'acquisto simulato di droga, che è, però, senz'altro estensibile tout court a tutte le ipotesi di azione simulata, anche diverse da quella esaminata dalla Corte di legittimità, perché i principi applicabili sono coerentemente gli stessi.
Così, sviluppando logicamente quanto puntualizzato dalla Cassazione, sembra possibile sostenere che è il pubblico ministero che può e deve valutare la condotta dell'operatore di polizia e, qualora l'organo della pubblica accusa concluda per la sussistenza della scriminante (ovverosia dei presupposti indicati dalle norme che prevedono le diverse ipotesi di azione simulata o di quelli che, secondo la costruzione consolidata della giurisprudenza, consentono di applicare la causa di giustificazione prevista dall'articolo 51 del c.p.), è esclusa, con la possibilità di sottoporre l'operatore alle indagini preliminari, l'iscrizione dello stesso nel registro delle notizie di reato; conseguendone, altresì, la non necessità di un formale provvedimento di archiviazione.
La soluzione proposta attribuisce, all'evidenza, un notevole potere valutativo al pubblico ministero, giacché deve essere questi - assumendosene tutte le responsabilità - ad esaminare lo svolgimento dell'operazione simulata, onde verificare, nel concreto, il rispetto della procedura (estremamente rigorosa) dettata dalle previsioni normative che disciplinano le ipotesi di azione simulata, ovvero, comunque, la ricorrenza della scriminante comune di cui all'articolo 51 del c.p..
Nel caso in cui la verifica si concluda positivamente, il pubblico ministero potrà e dovrà omettere l'iscrizione dell'infiltrato nel registro delle notizie di reato, sul rilievo dell'accertata presenza di una causa di giustificazione.
Il fatto scriminato, infatti, pur essendo astrattamente conforme ad una fattispecie criminosa (quella, di volta in volta, consentita dalle norme di disciplina delle azioni simulate: ad esempio, la fattispecie di cui all'articolo 73 del d.p.r. n. 309/90 nel caso di attività sotto copertura ex articolo 97 del d.P.R. n. 309/90), proprio per la presenza della causa di giustificazione (quella speciale prevista dalle richiamate disposizioni di legge ovvero quella generale sancita dal codice penale) è privo dell'antigiuridicità e diviene giuridicamente lecito.
In sostanza, è proprio la liceità della condotta, determinata dalla accertata presenza della scriminante, che finisce con l'escludere la sussistenza di una notitia criminis che imponga al pubblico ministero di procedere alla iscrizione nel registro di cui all'articolo 335 del c.p.p..
E poiché non si procede penalmente a carico dell'infiltrato, nessun ostacolo normativo sussiste in ordine alla possibilità di escuterlo quale persona informata sui fatti e/o teste nel procedimento penale instaurato a seguito dell'operazione simulata (5) .
Nel caso in cui, invece, la verifica si concluda negativamente (ovvero anche nel caso di dubbio circa la sussistenza delle suindicate scriminanti), il pubblico ministero dovrà procedere all'iscrizione.


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In questa eventualità, ove le risultanze delle indagini preliminari portino poi ad escludere profili di responsabilità penale a carico dell'infiltrato (perché, ad esempio, si ritenga di applicare la scriminante di cui all'articolo 51 del c.p., i cui presupposti, ad un primo esame, erano invece apparsi insussistenti), il pubblico ministero dovrà inoltrare al giudice per le indagini preliminari richiesta di archiviazione della posizione dell'infiltrato; in questo caso, peraltro, poiché l'infiltrato ha assunto la qualità di indagato, pur in presenza di un provvedimento di archiviazione, non potrà procedersi ad escuterlo in qualità di persona informata sui fatti e/o di teste; piuttosto, a norma del combinato disposto degli articoli 61, 197 e 210 del c.p.p., questi, in quanto indagato per un reato connesso a quello per cui si procede, dovrà essere inteso con l'assistenza di un difensore (6) .
Da quanto esposto, discende la fondamentale importanza per l'operatore di polizia di agire nel rispetto della disciplina procedimentale configurata nelle norme autorizzative delle operazioni simulate: in tal caso, infatti, non sussistendo dubbi sulla liceità della condotta, e cioè sulla presenza della scriminante speciale, è da escludere il rischio della sottoposizione dell'infiltrato a procedimento penale.
Per converso, il mancato rispetto della suddetta procedura non è ex se ostativa all'applicabilità della scriminante comune, i cui presupposti, peraltro, non sono sempre immediatamente percepibili, di tale che potrebbe concretizzarsi l'eventualità dell'iscrizione dell'infiltrato nel registro delle notizie di reato, finalizzata allo svolgimento delle indagini necessarie a chiarire i contorni della vicenda ed a verificare, nel concreto, la ricorrenza delle condizioni per addivenire alla declaratoria di non punibilità.


La testimonianza dell’"infiltrato"

In ordine poi alla "testimonianza" dell'”agente provocatore”, se e quanto ammissibile allorquando non si sia proceduto ad iscriverlo sul registro delle notizie di reato (v. supra), si impongono talune riflessioni di notevole impatto pratico.
La prima riflessione riguarda, il "contenuto" di detta testimonianza.
In proposito, è da ritenere, con la migliore interpretazione giurisprudenziale, che l'”agente provocatore” può rendere testimonianza, nel processo, anche sulle dichiarazioni rese dall'imputato, non valendo in tal caso il disposto dell'articolo 62 del c.p.p. (che vieta, di regola, la testimonianza sulle dichiarazioni rese dall'imputato); infatti, l'”agente provocatore” non agisce nella sua specifica funzione di ufficiale di polizia giudiziaria, con i connessi poteri certificatori ed autoritativi, ma solo come soggetto che partecipa all'azione (sino al limite di una simulata e discriminata compartecipazione al reato) (7) .
Ad analoga conclusione deve pervenirsi con riguardo all'ammissibilità della deposizione sul contenuto delle dichiarazioni ricevute, nel corso dell'operazioni, da terzi, diversi dall'imputato. Non osta a tale soluzione il disposto dell'articolo 195, comma 4, del c.p.p., il quale, vietando la testimonianza indiretta degli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria sul contenuto delle dichiarazioni di terzi si riferisce alle dichiarazioni acquisite da testimoni con le modalità di cui agli articoli 351 e 357, comma 2, lettere a) e b), del c.p.p..
In tali dichiarazioni, infatti, rientrano sia le dichiarazioni che siano state assunte e documentate in applicazione di dette norme, sia quelle assunte dalla polizia giudiziaria senza la redazione del relativo verbale, con ciò eludendo proprio le modalità di acquisizione prescritte dalle norme medesime (8) ; ma non vi rientrano, certamente, le dichiarazioni che siano state rese da terzi e percepite al di fuori di uno specifico contesto procedimentale di acquisizione, in una situazione operativa eccezionale o di straordinaria urgenza e, quindi, al di fuori di un dialogo tra teste e ufficiale o agente di polizia giudiziaria, ciascuno nella propria qualità (9) .
Quest'ultima ipotesi è quella che qui interessa, per l'assorbente considerazione che l'infiltrato, nel momento in cui viene a conoscere di tali dichiarazioni, oltre a non agire nella sua specifica funzione di ufficiale di polizia giudiziaria, si trova in un contesto spazio-temporale ex se impeditivo della possibilità dell'acquisizione delle dichiarazioni con le forme tipiche della verbalizzazione.
La seconda riflessione concerne la carenza, nelle diverse discipline normative, di interesse di meccanismi di "assunzione protetta e riservata" della testimonianza dell'agente infiltrato, neppure essendo consentito il ricorso a "generalità di fantasia" nel momento della identificazione del testimone. E' questo un problema che rende indilazionabile un intervento del legislatore.


Il coinvolgimento di "persona interposta"
o di un "ausiliario"


Indubbiamente apprezzabile è la scelta del legislatore, nelle diverse ipotesi di azioni simulate di cui si è detto, di legittimare l'utilizzo nell'operazione infiltrata di una "persona interposta" diversa dall'ufficiale di polizia giudiziaria investito direttamente dell'operazione di infiltrazione e/o di un "ausiliario".
E' una scelta che merita condivisione perché facilita lo svolgimento delle diverse operazioni di infiltrazione e, nel contempo, evita il rischio per i soggetti chiamati ad intervenire ad adiuvandum nell'operazione di essere chiamati a rispondere penalmente per le attività compiute.
Anche per questi soggetti vanno riproposte le considerazioni sopra sviluppate, circa la veste processuale che vanno a rivestire. Con i conseguenti effetti sulla possibilità di acquisirne la deposizione nel processo in qualità di testimoni, se e quanto necessario (l'unica eccezione è rappresentata dal disposto dell'articolo 203 c.p.p.: laddove si sia coinvolto nell'operazione un confidente, è possibile in tal modo evitare l'ingresso nel processo di tale persona, mantenendo il riserbo sulle sue generalità).
Per cogliere appieno la valenza operativa della disciplina autorizzativa dell'utilizzo di persone interposte e di ausiliari, è necessario chiarire se e quali differenze sussistano tra la persona interposta e l'ausiliario.
La nozione di "persona interposta" si correla, a nostro avviso, allo svolgimento "diretto" delle attività che costituiscono il proprium dell'attività simulata e che, se non fossero specificamente scriminate, costituirebbero reato.
Ad esempio, nell'attività sotto copertura ex articolo 97 del d.p.r. n. 309/90, si tratta delle attività di acquisto simulato delle sostanze stupefacenti e delle altre attività prodromiche e strumentali (tipiche: ricezione, sostituzione od occultamento delle sostanze; o atipiche: quelle diverse da quelle tipiche, che risultino intimamente connesse con lo svolgimento dell'operazione infiltrata).
"Persona interposta" può essere certamente un agente o un ufficiale di polizia giudiziaria chiamato a coadiuvare l'ufficiale di polizia giudiziaria "infiltrato"; ma può essere certamente anche un privato (in particolare, un confidente di polizia o un collaboratore inserito nell'associazione infiltrata, ecc.).
La nozione di "ausiliario" si differenzia da quella di "persona interposta" principalmente (ma non solo: v. infra) sotto il profilo delle attività che può essere chiamato a svolgere, tra queste vi rientrano tutte quelle di collaborazione ab externo con l'infiltrato, finalizzate al buon esito dell'operazione, diverse dal coinvolgimento "diretto" in questa, realizzato con il compimento di una delle attività tipiche scriminate dalle diverse norme autorizzative delle operazioni simulate.
Sotto il profilo soggettivo, il termine "ausiliario", benchè normalmente riferito, stricto sensu, alle persone dotate di "specifiche competenze tecniche" chiamate a fornire tale loro competenza alla polizia giudiziaria (cfr. articolo 348, comma 4, del c.p.p.), nella materia di che trattasi non può intendersi che in un significato atecnico ed estensivo (nel significato tecnico e restrittivo non avrebbe alcun senso operativo), sì da poter fare rientrare in tale nozione chiunque, estraneo alle forze di polizia, venga chiamato ad "ausiliare" l'operatore di polizia nello svolgimento dell'operazione infiltrata, senza peraltro essere direttamente coinvolto, come persona interposta, nello svolgimento delle attività tipiche scriminate di cui si è detto.
Nella nozione di "ausiliario", quindi, rientrano tutti i "privati" che possono essere chiamati ad adiuvare le Forze dell'Ordine nell'operazione infiltrata (non solo i confidenti e i collaboratori di giustizia, ma anche coloro che siano chiamati semplicemente a svolgere generici compiti di supporto o di collaborazione tecnica: intestatari fittizi di appartamenti o di autovetture; esperti di informatica chiamati a collaborare per le operazioni di accesso nella rete o negli apparecchi informatici di pertinenza dell'indagato; esperti tossicologi incaricati di svolgere subito riscontri tecnici sulle sostanze "contrattate", ecc.).
Questi soggetti, laddove coinvolti "direttamente" nello svolgimento dell'operazione, mediante il compimento delle attività tipiche scriminate, si troveranno ad agire come "persone interposte" e non come generici ausiliari.
Nella nozione di "ausiliario" non rientrano, ovviamente, gli operatori di polizia che dall'esterno agiscono a supporto dell'"infiltrato", proprio per la mancanza del presupposto dell'"estraneità" rispetto alle Forze di Polizia che è connaturato alla nozione di che trattasi.


Le conseguenze operative

La disciplina autorizzativa dell'utilizzo, nelle operazioni infiltrate, di “persone interposte” e di “ausiliari” implementa le possibilità di un utilizzo diretto in tali operazioni di ufficiali od agenti di polizia giudiziaria diversi dall'ufficiale "infiltrato", nonché le possibilità del coinvolgimento, a vario titolo, dei privati (vuoi come "persone interposte" nel compimento diretto delle attività scriminate, vuoi come generici ausiliari).
Quanto alla prima situazione, è di particolare rilievo il fatto che, oggi, possono essere direttamente utilizzati, nel compimento delle attività simulate, anche semplici agenti di polizia giudiziaria appartenenti alle strutture operative cui compete l'esecuzione delle singole attività di infiltrazione; possono essere altresì utilizzati anche ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria non appartenenti a dette strutture specializzate, se e qualora ciò si palesi utile e conveniente, per le particolari conoscenze che questi abbiano del fenomeno criminoso o dei soggetti coinvolti.
Quanto alla seconda situazione, in difetto di un'esplicita previsione autorizzativa contenuta nella disciplina normativa, il ruolo del "privato" (confidente, collaboratore, ecc.) nelle operazioni di che trattasi sarebbe fortemente ristretto e, in pratica, limitato ad accreditare presso l'organizzazione criminosa l'agente sotto copertura che, poi, dovrebbe, da solo, portare a termine l'operazione simulata. Sarebbe un limite certamente irragionevole, perché fortemente limitativo dello svolgimento dell'attività di infiltrazione, quando questa, invece, possa essere più efficacemente intrapresa e portata a compimento mediante l'attività diretta di un "collaborante" infiltrato all'interno di un' associazione criminosa dalla quale si fosse clandestinamente dissociato e di cui, quindi, conosca benissimo i componenti e le modalità di agire.


Il nominativo dell'”infiltrato”
e della “persona interposta”


La disciplina normativa (cfr. articolo 97, comma 3, del d.p.r. n. 309/90, per le attività sotto copertura in materia di sostanze stupefacenti, e articolo 9 della legge n. 146 del 2006, per le altre ipotesi di operazioni sotto copertura), prevede, con alcune differenze di non particolare rilievo, la comunicazione all'autorità giudiziaria (ergo, al pubblico ministero), "se necessario o se richiesto", del nominativo dell'ufficiale di polizia giudiziaria responsabile dell'operazione, nonché del nominativo delle eventuali persone interposte impiegate.
Il "se necessario" si riferisce ad una determinazione in tal senso assunta dalla polizia giudiziaria operante: l'ipotesi tipica è da ravvisare nell'esigenza di rappresentare il nominativo di coloro che hanno partecipato all'operazione per evitare il rischio che l'autorità giudiziaria, non informata del ruolo svolto, possa incriminarli quali compartecipi dei fatti sub iudice.
Il "se richiesto" si riferisce, ovviamente, ad una sollecitazione in tal senso avanzata nei confronti della polizia giudiziaria dal pubblico ministero.
La richiesta di informazione del pubblico ministero può presentare qualche problema in presenza di eventuali esigenze di riservatezza che si volessero garantire.


da www.poliziadistato.it/poliziamoderna

Un primo problema può porsi con riferimento al nominativo della "persona interposta", qualora questa sia un confidente della polizia giudiziaria. Riteniamo che si possa trovare una soluzione attraverso il richiamo nella risposta (negativa) del disposto dell'articolo 203 del c.p.p., in forza del quale la polizia giudiziaria ha la facoltà di non rivelare i nomi degli informatori.
Un secondo problema può porsi con riguardo al nominativo dell'ufficiale di polizia giudiziaria responsabile dell'operazione, qualora, con il versamento negli atti del relativo nominativo, sussistesse il rischio di "bruciarlo" per future operazioni (tacendo dei possibili rischi per l'incolumità personale). La soluzione va trovata nella sensibilità del magistrato inquirente, che, laddove non effettivamente necessario, sarebbe opportuno che si esima dalla richiesta, la quale però, laddove formulata, a differenza di quella avente ad oggetto il nominativo del confidente, non potrebbe non trovare soddisfazione.


L’ambito oggettivo dell'impunità

Una ultima considerazione si impone, con riguardo al delicato problema, di immediato rilievo processuale, dei limiti dell'impunità previsti per le attività dell'infiltrato e delle persone interposte chiamate ad ausiliarlo.
E' fin troppo ovvia la considerazione che il confine che non va assolutamente superato è quello delle attività astrattamente illecite che tipicamente (e tassativamente) sono consentite dalle diverse ipotesi normative di operazioni sotto copertura.
Diversamente, l'infiltrato o la persona interposta che le abbia poste in essere ne risponderebbe penalmente. L'unica eccezione potrebbe ravvisarsi se e qualora si ravvisino i presupposti della scriminante dello stato di necessità (articolo 54 del c.p.), ossia se ed in quanto risulti dimostrato che l'infiltrato sia stato costretto alla commissione di tali reati, nell'impossibilità di determinarsi altrimenti (o interrompendo l'attività o, magari, facendo intervenire ab externo il personale di copertura), per non scoprirsi nei confronti degli appartenenti all'associazione, con i conseguenti rischi per la propria incolumità personale.
Tali rischi, unitamente agli altri presupposti della scriminante dello stato di necessità (attualità del pericolo per la propria incolumità personale, inevitabilità del pericolo, proporzione tra il pericolo e il fatto criminoso commesso), sono la condizione imprescindibile per ritenere non punibili le attività criminose, non strumentalmente connesse con l’operazione simulata, che l'operatore fosse stato "costretto" a compiere.
In una tale prospettiva, l'opzione preferibile per l'operante, che si trovasse a dover commettere reati per proseguire nella propria attività e per non scoprirsi, dovrebbe essere quella di "sganciarsi", o interrompendo l'attività di infiltrazione o facendo intervenire il personale di copertura, laddove le risultanze investigative già consentissero di apprezzare un adeguato quadro probatorio a carico degli associati. Solo in estremo subordine, quando la prima opzione non fosse materialmente coltivabile, pena il rischio concreto per l'incolumità, l'operante potrebbe determinarsi a commettere il reato, rispettando però, pur sempre, i richiamati presupposti della scriminante prevista dall'articolo 54 del c.p..


(1) V., da ultimo, Cassazione, Sezione IV, 22 settembre 1999, Lenza.
(2) Per tutte, Corte costituzionale, sentenza 18 marzo 1992, n. 108; Cassazione, Sezione VI, 10 aprile 1995, Ascia; Sezione VI, 17 aprile 1994, Curatola.
(3) Cassazione, Sezione VI, 10 aprile 1995, Ascia.
(4) In senso conforme, anche Cassazione, Sezione VI, 3 dicembre 1998, Carista ed altri.
(5) In termini, Cassazione, Sezione IV, 22 settembre 2000, Alessandro; nonché, Sezione VI, 16 marzo 2004, Benevento ed altri, per la quale alle dichiarazioni dell'"agente provocatore", che abbia agito nel rispetto dei limiti dell'articolo 97 del d.p.r. n. 309/90 o, quanto meno, di quelli di cui all'articolo 51 del c.p., non può trovare applicazione il limite di utilizzabilità previsto dall'articolo 63, comma 2, del c.p.p., trattandosi di soggetto che non assume tout court la qualità di imputato o di indagato.
(6) V. Cassazione, Sezioni unite, 28 maggio 2003, Torcasio ed altro.
(7) In termini, Cassazione, Sezione IV, 29 maggio 2001, Tomassini ed altri; per ulteriori riferimenti, Sezione V, 20 settembre 2002, Boiocchi ed altri, in una fattispecie in cui si è escluso il divieto ex articolo 62 del c.p.p. e ritenuta ammissibile la testimonianza del teste ? un ufficiale di polizia giudiziaria? che, presente sotto mentite spoglie, aveva assistito ad un colloquio tra l'imputato ed un terzo, nel quale il primo aveva fatto dichiarazioni autoindizianti, affermandosi in proposito, condivisibilmente, che l'inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dall'imputato opera solo con riferimento alle dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria nella veste propria, come tale ben conosciuta dal dichiarante; mentre, quando le dichiarazioni siano state rese anteriormente o al di fuori del procedimento, il divieto non può operare ed in tale caso l'oggetto della testimonianza va considerato come fatto storico valutabile alla stregua degli ordinari criteri in tema di prova; Sezione IV, 4 ottobre 2004, Biancoli ed altri, per la quale l'agente provocatore ex articolo 97 del d.p.r. n. 309/90 può rendere testimonianza, nel processo, anche sulle dichiarazioni rese dall'indagato, non valendo in tal caso il disposto dell'articolo 62 del c.p.p., che pone il divieto di testimonianza sulle dichiarazioni dell'imputato, in quanto l'agente provocatore non agisce nella sua specifica funzione di agente od ufficiale di polizia giudiziaria, con i connessi poteri certificatori ed autoritativi, ma solo come soggetto che partecipa all'azione (sino al limite di una simulata e discriminata compartecipazione al reato); mentre il divieto di testimonianza suddetto, con la conseguente inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dall'imputato, opera solo con riferimento alle dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria nella veste propria, nel corso del procedimento; nonché, Sezione IV, 30 novembre 2004, Meta, che ha parimenti ritenuto inapplicabile il divieto di testimonianza sulle dichiarazioni dell'imputato di cui all'articolo 62 del c.p.p. relativamente alla deposizione dell'"agente provocatore".
(8) V. Cassazione, Sezioni unite, 28 maggio 2003, Torcasio ed altro.
(9) V., ancora, Cassazione, Sezioni unite, 28 maggio 2003, Torcasio ed altro.

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