RECENSIONI La 'camorra' tesse la tela |
Alain CHARBONNIER |
Due libri diversi per contenuti e collocazione, ‘Gomorra’ e ‘L’agguato di Matapan’. Diversi per gli autori, un giovane napoletano e un anziano genovese, entrambi accomunati dalla passione dell’approfondimento, della ricerca. Roberto Saviano dà un taglio a molti luoghi comuni sulla camorra, sulla napoletanità e conduce alla scoperta di un mondo nuovo, nel quale imprenditoria e ferocia si fondono in una miscela micidiale. Massimo Zamorani a sua volta dà un taglio ad altri luoghi comuni, storici, questa volta, sulle ipotesi di ‘tradimento’ che hanno avvelenato il dopoguerra italiano. Due volumi diversi, che inducono alla meditazione. Nessuno poteva sopportarlo. Così Roberto Saviano ora vive sotto scorta. Non è che la camorra prima di questo libro fosse sconosciuta. Ma del suo mondo c'era una descrizione densa di luoghi comuni, di spot sulla napoletanità, di sapore razzista, più o meno "politicamente corretti". Pagina dopo pagina il lettore scopre l'intelligenza, la capacità, la ferocia, il disprezzo per la vita, le gerarchie, la povertà, la ricchezza, la voglia di arrivare. Scopre un desiderio di crescita, di realizzazione e infine di autodistruzione che fa scrivere a un ragazzino finito in un carcere minorile: "Tutti quelli che conosco o sono morti o sono in galera. Io voglio diventare un boss. Voglio avere supermercati, negozi, fabbriche, voglio avere donne. Voglio tre macchine, voglio che quando entro in un negozio mi devono rispettare, voglio avere magazzini in tutto il mondo. E poi voglio morire. Ma come muore uno vero, uno che comanda veramente. Voglio morire ammazzato". E' il condensato della filosofia di vita del "sistema camorra", instillata giorno dopo giorno nei ragazzini che lasciano la scuola, il lavoro da pochi euro la settimana, per essere arruolati a stipendio come spacciatori, come corrieri, come sentinelle. E quando ricevono in dotazione il "ferro", cioè la pistola, e diventano responsabili di un deposito di droga, dello spaccio in quella strada e in quella piazza, vuol dire che la scalata è cominciata. All'orizzonte una vita da "carpe diem", prima del carcere o della morte in un bar, in una strada, magari per mano di uno che fino a pochi giorni prima aveva condiviso proprio rischi e benefici. Del libro di Saviano affascina la scoperta continua, il camminare lungo sentieri che si aprono sul porto di Napoli e arrivano a Secondigliano a Scampia, a Mondragone, a Pechino, a Zagabria, a Marbella, ad Aberdeen, a Bogotà, a New York, a Parigi. Sono i sentieri dell' "imprenditoria del sistema" o meglio del "sistema imprenditore", con protagonisti ricchi di senso degli affari, propensione al rischio, capacità organizzative e capitali senza fondo. Capaci di sostenere la costruzione di complessi turistici a cinque stelle in Scozia come in Spagna, di inventare catene di boutiques dove vendere capi "grandi griffe" rigorosamente prodotti da un esercito di formiche che rendono autentico il falso. E poi l'elettronica cinese, i supermercati tedeschi, gli ambulanti africani. E per quei sentieri passa il narcotraffico, il fiume di cocaina sniffata in Europa. Sono gli stessi sentieri del flusso di ritorno, metaforico, del denaro che gonfia le casse dei clan. L'Alleanza di Secondigliano per anni è un meccanismo perfetto, che dà da vivere a migliaia di persone, regola la crescita e l'espansione degli aspiranti imprenditori indipendenti, arriva ad assicurare "il buon fine" degli investimenti e delle merci vendute, qualunque esse siano. Dirime controversie, amministra giustizia ed esegue sentenze. Tutto con scrupolo e puntualità. Un sistema perfetto finché è durato. Poi è arrivata l'ora dei "Kalashnikov". Ciruzzo 'o milionario, Sandokan, Mc Kay, 'O 'ntufato, Menelik d'improvviso non sono più i padroni. E' guerra. Dove si muore per un semplice sospetto. Solo quando rivoli di sangue insozzano le strade, lamenta Saviano: "la camorra torna a esistere, dopo anni di silenzio. Ma i calibri d'analisi sono vecchi, vecchissimi, non c'è stata alcuna attenzione costante. Come se si fosse fermato un cervello vent'anni fa e scongelato ora. Come se ci si trovasse di fronte alla camorra di Raffaele Cutolo, e alle logiche mafiose che portarono a far saltare le autostrade e a uccidere i magistrati". Le indagini giudiziarie, i collaboratori di giustizia, hanno portato alla scoperta degli affari del "sistema", hanno consentito di aggiornare la macabra contabilità mortuaria con la giusta attribuzione degli ammazzati ai rispettivi assassini. Ma dopo, non prima che Kit Kat, e con lui altre centinaia di ragazzini, avessero già imparato i vantaggi di essere inseriti nel "sistema". Scrive Saviano :"Li arruolano appena diventano capaci di essere fedeli al clan. Hanno dai dodici ai diciassette anni, molti sono figli o fratelli di affiliati, molti altri invece provengono da famiglie di precari. Sono il nuovo esercito dei clan della camorra napoletana." E la prima cosa che imparano è a uccidere e a morire. "Prima stavo sempre in mezzo alla strada - racconta Kit Kat - mi scocciava il fatto di non avere il motorino e me la dovevo fare a piedi o con gli autobus. Mi piace come lavoro, tutti mi rispettano e poi posso fare quello che voglio. Mò però mi hanno dato il ferro e devo sempre stare qua. Terzo Mondo, Case dei Puffi. Sempre chiuso qua dentro, avanti e indietro. E non mi piace." Ci voleva "Gomorra" per scoprire tutto questo? Sì. E di nuovi Gomorra avremo bisogno, perché "Fino a quando - come afferma Saviano -i giornali nazionali più importanti continueranno a stare a Roma e Milano non si riuscirà a monitorare e raccontare il sud e considerarlo territorio centrale, e non appendice da assistere, sostenere, aiutare, reprimere". Dalla Campania alla Liguria, dalla cronaca alla storia. Giornalisti- scrittori e giornalisti-storici aprono nuovi scenari e aiutano a capire, a spazzare via luoghi comuni che hanno avvelenato e avvelenano ancora la memoria storica degli italiani. Come fa Massimo Zamorani, con il suo "L'agguato di Matapan 28-29 marzo 1941", 300 pagine, Mursia editore. Per anni l'ombra del "tradimento" ha aleggiato sui vertici della nostra marina per le mancate uscite in mare contro la flotta inglese, per l'inefficace protezione dei convogli diretti in Africa, per la velocità con la quale la flotta si consegnò a Malta, obbedendo agli ordini del Governo Badoglio. In particolare, un episodio aveva suscitato polemiche postbelliche con tanto di pamphlet, libri, processi per diffamazione, ricerche storiche, testimonianze: l'atroce sconfitta di Matapan del 28 marzo 1941. In pochi minuti, la flotta italiana perse 2300 uomini, tre incrociatori pesanti:Pola, Fiume e Zara, e due cacciatorpedinieri: Alfieri e Carducci. Antonino Trizzino, con il suo celebre "Navi e poltrone", aveva messo spietatamente sotto accusa gli ammiragli, parlando senza mezzi termini di tradimento. Venti anni dopo, con un altro libro, "Ultra Secret", di Frederick W. Winterbotham fece sapere che gli inglesi intercettavano e decrittavano regolarmente i messaggi cifrati della nostra marina, trasmessi con la macchina cifrante "Enigma". Ma "Ultra Secret" a Matapan dedica appena due righe, quasi di sfuggita. Rafforzando così i sospetti, nonostante gli approfondimenti di altri studiosi come Carlo De Risio e Alberto Santoni. Tutto si basava sulla testimonianza di alcuni ufficiali del "Pola", fra cui il sottotenente di vascello Percy Levaro che fu attratto dalle comunicazioni affisse nella bacheca appesa alla parete del quadrato ufficiali del cacciatorpediniere "Jervis" che aveva recuperato i naufraghi delle navi italiane affondate. "Dietro un vetro - racconta Levaro - mal riprodotto su un foglio, con i caratteri un po' sbavati, e sbiaditi, come per una copia in carta carbone battuta a macchina sotto molte altre, c'era l'ordine di operazione, firmato da Cunningham e recante la data del 25 marzo. Ricordavo molto bene che quel giorno ero a terra e mi apprestavo a recarmi a cena in un ristorante elegante di Taranto. Non avevo la più pallida idea di quello che mi assettava nei giorni successivi. Su quel foglio c'era scritto tutto quello che noi avemmo fatto dopo il giorno 25..... c'era scritto della squadra italiana che lascerà Napoli e dirigerà tra Cerigo e Cerigotto...." Troppo precise queste informazioni per venire da una spia. Qualcuno aveva letto a Londra l'ordine di operazioni della flotta italiana. Era vero. Ma non erano stati gli ammiragli italiani. Bensì una gentile signorina di 19 anni, Mavis Lever, addetta alla decifrazione dei messaggi italiani a Bletlchey Park, la struttura messa in piedi dagli inglesi per decrittare i radiomessaggi italo tedeschi. Erano i "maghi" che lavoravano con "Ultra". Zamorani rivela nel suo libro che gli inglesi aveva intercettato, ma non decrittato il dettagliato ordine di operazioni inviato da Supermarina il 23 marzo 1941 all'ammiraglio Angelo Jachino. Con l'avviso perentorio: "Decifri da solo". Un lungo messaggio con indicati i tempi per lasciare gli ormeggi, latitudine e longitudine per gli appuntamenti in mare e via di seguito. Per due giorni i migliori cervelli di Bletchley Park si arrovellarono inutilmente sul cifrato. Poi il 25 marzo intercettarono un altro breve messaggio: "Riferimento telecifrato 53148 data 24 (alt). Oggi 25 marzo est giorno X - 3 (alt) Asicurate (Alt)" Racconta Mavis Lever intervistata dal TG2, a Londra, poche settimane fa: "All'improvviso, arrivò quello strano messaggio che diceva "Oggi è il giorno meno 3". Pensammo : "Mio Dio, Mussolini deve avere qualcosa in mente. Che sarà?" Seguirono tre giorni di lavoro intensissimo, per scoprire cosa aveva in mente. Lo decodificammo a mano, visto che non avemmo mai a disposizione la macchina vera e propria. Era stato un decrittaggio teorico quello che facemmo insieme al mio capo. Avevamo striscioline forate e altri piccoli strumenti con cui costruimmo quasi un gioco. Non voglio dire che facessimo qualcosa di simile al gioco dello scarabeo, comunque fu un'operazione condotta senza l'aiuto della macchina, che non sapevamo neanche come fosse fatta. Per capire il significato dei messaggi bisogna trovare quelli che noi chiamavamo "crib", parole chiave, indizi, coppie di lettere e associazioni di parole contenute nel messaggio stesso… Con questo sistema si riescono a indovinare varie parti del messaggio. Fino a quel momento non avevamo molto su cui lavorare. Fino a marzo, quando arrivò questo messaggio. Ne seguirono molti altri e poi di nuovo un periodo di quiete, perché dopo quel periodo la flotta non uscì quasi più dai porti". Dopo oltre sessant'anni la verità, si spera definitiva: nessun tradimento, ma soltanto un grande lavoro di intelligence, condotto con metodo e in segreto, da persone motivate che nessuna macchina potrà mai sostituire. Dice ancora la signora Mavis: "Quello che era veramente speciale nelle persone che facevano quel lavoro - naturalmente ognuno di noi sapeva di essere intelligente - era pescare i piccoli errori di procedura che facevano la differenza. Quando un operatore commetteva un errore grave non usando la macchina Enigma nel modo appropriato, noi eravamo in grado di scoprire da tante piccole cose di che tipo di negligenza si trattava. Una macchina da decrittaggio normale non sarebbe mai stata sufficiente per accorgersene. Ci voleva il tocco di una mente umana. E io credo che questo criterio sia tuttora valido." Ne siamo convinti. |