GNOSIS
Rivista italiana
diintelligence
Agenzia Informazioni
e Sicurezza Interna
» ABBONAMENTI

» CONTATTI

» DIREZIONE

» AISI





» INDICE AUTORI

Italiano Tutte le lingue Cerca i titoli o i testi con
GNOSIS 1/2004
RECENSIONI

Un lungo viaggio attraverso la CIA


Alain CHARBONNIER

Molti libri parlano di agenti segreti e servizi segreti, ne rivelano le operazioni, i successi e gli insuccessi. Non capita quasi mai, invece, di trovare un romanzo che parlando della CIA stimoli la ricerca e l’approfondimento nascondendo dietro la narrazione fatti reali come in “The Company” di Robert Littell.

Capita di cominciare a leggere un romanzo e poi scoprire che in realtà si sta percorrendo un pezzo di storia, con i riferimenti precisi, con i personaggi, gli avvenimenti, tutti, o quasi tutti, riconoscibili e documentati. Così ti prende anche la voglia di andare a verificare su “sacri testi”, quelli seri, dei ricercatori, se quello che racconta il romanziere sia frutto di accurata documentazione, oppure nient’altro che uno spezzone di fantasia, collocato all’interno di una cornice verosimile, un qualcosa di orecchiato, per lettura o per chiacchiera, inserito per dare maggior consistenza a una trama che potrebbe apparire esilina. Può capitare di ritrovare i riferimenti storici, i luoghi, i personaggi.
Via via che la narrazione avanza, la ricerca si approfondisce e finisci per ritrovare storie ormai dimenticate, personaggi defunti e altri ancora in vita, qualcuno che hai conosciuto tanto tempo fa a Peshawar, proprio in quel bar, e poi hai letto sui giornali che lo hanno ammazzato a Mosca, con una raffica di mitragliatrice, durante il golpe contro Gorbaciov. Era solo un fotografo o qualcosa di più? Ti ricordi soltanto che si chiamava Rory Peck, era una giovanottone americano, di quelli simpatici, che si trovano sempre nei posti giusti al momento giusto.
Ogni volta ti chiedi: ma come fanno? Già, come fanno? Forse perché prima degli altri sanno cosa accadrà e lo sanno perché sono proprio loro a far accadere quella certa cosa, quindi si trovano dove quella cosa deve accadere.
Ecco, leggendo The Company - Il grande romanzo della CIA (Mondadori Editore, gennaio 2004,pp. 859) di Robert Littell ci si ritrova proprio in queste condizioni: cominciare a leggere e scoprire la voglia di fare ricerca.
È bravo Littell a tenere desta l’attenzione del lettore per 859 pagine, roba da ammazzare un toro, con un intreccio di storie e di colpi di scena che ogni volta riconducono all’interno di avvenimenti chiave della storia della seconda metà del secolo scorso.
Caduto il muro di Berlino, finita la guerra fredda, dopo tanti anni a chi volete che dicano qualcosa nomi come Allen Dulles, Rehinardt Gelhen, il ponte di Glunicke, James Angleton e William Colby, la Baia dei Porci e Sam Giancana, Pullach e Karlhorst, Kim Philby e Aldrich Ames?
Sono tutti nomi che si ritrovano nel libro di Littell. Salvo l’ultimo, anche se il personaggio è facilmente identificabile, attraverso il ruolo attribuitogli e quello ricoperto veramente da Ames: Capo dell’unità di controspionaggio russo nella CIA.
La fine di Ames nella realtà è stata però ben diversa da quella della sua “controfigura” nel romanzo, che l’Autore fa riscattare con la morte. Altrimenti che romanzo sarebbe?
Non siamo riusciti a capire chi sia Starik, il tenebroso “patron” del KGB che tira le fila della Guerra Fredda fino ai giorni di Gorbaciov e al complotto di Mosca. Ma non è detto che altri non ci riescano, con una ricerca più accurata della nostra.
Certo, Littell salta disinvoltamente molti passaggi della storia della CIA, sorvola su fatti che hanno avuto l’agenzia come protagonista, nel bene e nel male, ma deve essere così, altrimenti avrebbe scritto un saggio storico.
Come dicevamo all’inizio, la chiave sta tutta nel prendere il romanzo per quello che è: un lungo racconto che spazia nell’arco di oltre cinquant’anni, e poi farne motivo per appagare diverse curiosità.
Per esempio verificare se è vero che il famoso “rapporto Kruscev” che nel 1956 chiuse l’epoca staliniana, denunciando i crimini del dittatore sovietico, fu ottenuto dal servizio segreto israeliano che poi lo trasmise alla CIA in cambio dell’ordine di battaglia dell’esercito egiziano nella zona del Canale di Suez.
Lo racconta Littell, ma la conferma viene da Benny Morris e Ian Black, autori di un altro libro di sicuro interesse:Mossad (Rizzoli Editore, aprile 2003, pp. 668).
Alle pagine 204-205 scrivono: “Secondo una fonte, la copia del Mossad del famoso discorso di Kruscev sui ‘crimini di Stalin’ proveniva da un funzionario del partito comunista polacco. Secondo un’altra, veniva da un ebreo russo che l’aveva fatta pervenire a Israele. Teddy Kollek, forse nel tentativo di nascondere la vera fonte, suggerì che erano stati gli emigranti ebrei che attraversavano l’Europa, diretti verso Israele, a portare quel discorso alla luce del sole. Isser Harel mantenne il più assoluto segreto su quella vicenda, finché l’intero testo non fu consegnato alla CIA e riconosciuto come autentico”.
Littell racconta: “Un ebreo polacco ne scoprì una traduzione su una scrivania del quartier generale del Partito Comunista Gotico Stalinista a Varsavia e riuscì a sottrarlo segretamente, facendolo pervenire all’ambasciata israeliana in tempo perché gli agenti del Mossad lo fotografassero e lo inviassero in Israele”. Ed è forse la versione più corretta.
In The Company, è detto poi apertamente che a James Angleton fu chiesto lo schieramento dell’esercito egiziano, in Mossad la conferma viene in via indiretta a pagina 161: “Lo spionaggio militare, alla vigilia dell’attacco nel Sinai, aveva un quadro molto chiaro dell’ordine di battaglia egiziano fino ai livelli di battaglione e di compagnia”.
Ancora. Al lettore potrebbe venire la voglia di sapere che fine fece Richard Bissell, “licenziato” da Kennedy, dopo il disastro della Baia dei Porci, nonostante fosse stato il “padre” dei progetti U2 e dei satelliti-spia.
Bisogna leggersi L’Orecchio di Dio - Anatomia e storia della National Security Agency, di James Bamford, (Fazi editore, gennaio 2004, pp. 686), opera che attraverso documenti declassificati racconta la storia della più segreta e tecnologicamente avanzata delle agenzie di spionaggio degli Stati Uniti. A pagina 339 si scopre che era stato ricollocato all’Institute for Defense Analysis. Nel 1964 però il direttore della CIA, John McCone, ripescò Bissell e gli chiese di analizzare e risolvere il problema della decodifica dei codici sovietici di alto livello. Come dire: in caso di necessità rivolgersi agli “specialisti”.
È accaduto e continuerà ad accadere.
Dal libro di Littell emerge anche un altro aspetto: la mancata sintonia fra servizi segreti e potere politico. In diversi passaggi (crisi ungherese, Baia dei Porci, crisi afghana ante Talebani, per fare alcuni esempi) in The Company viene messa in evidenza questa divaricazione. Da Eisenhower a Kennedy, fino a Reagan, sono chiari gli obiettivi politici e i limiti operativi che il governo pone alla CIA. Ma ogni volta “il fattore umano”, a cominicare dal coinvolgimento personale degli agenti sul campo, finisce per giocare un ruolo fondamentale. Soprattutto nelle cosiddette “operazioni sporche”, dirette contro governi ed esponenti politici “avversi”, ma anche a protezione di governi “amici” o ritenuti tali.
Del resto, un pragmatico principio di politica estera vuole che nei rapporti internazionali non esistono amici, ma soltanto coincidenze di interessi. Cinico quanto si vuole, ma molto realistico. Così non sembri strano se l’avversario di oggi è l’amico di domani e viceversa.
Littell lo puntualizza in almeno un paio di punti, così come delinea bene la personalità di James Angleton, l’uomo del controspionaggio, divorato dai sospetti, convinto che ogni informazione che arrivava dall’Est celasse un inganno del KGB, che ogni disertore nascondesse un doppiogiochista e che nella CIA si annidassero fin troppe “talpe” sovietiche.
L’unica grande “talpa” Angleton ce l’aveva proprio vicino, era il suo amico Kim Philby, ma non volle crederci fino all’ultimo.
Si parla anche di papi, di IOR, (Istituto per le Opere di Religione), la banca del Vaticano, nel libro di Littell, ma per raccontare la morte di Giovanni Paolo I, Albino Luciani, in chiave di omicidio ordito dal Cremlino. Stranamente Littell nel suo romanzo non fa cenno all’attentato a Giovanni Paolo II, eppure sì che era interessante, se non altro perché allora a Mosca comandava Juri Andropov, ex capo del KGB, artefice della repressione ungherese.
Infine, la mafia: italiana come ebraica. Unica vera potenza indipendente, interessata agli affari, senza implicazioni politiche, in The Company la criminalità organizzata opera in nome e per conto di chi paga meglio. CIA o KGB poco importa.
Il libro è anche una sorta di epopea della Guerra Fredda, del duro confronto Est-Ovest, fatto di inganni e di “conflitti di bassa tensione”. Adesso che è finita, lo spionaggio continua. Anzi il lavoro dell’Agenzia si è fatto più difficile, perché al “nemico” si sono sostituiti i “nemici”, si sono moltiplicate le aree di tensione e si sono diversificati i livelli di rischio.
Gli uomini di Langley continuano, come tutti, a commettere errori di analisi e di valutazione e spesso di acquisizione, soprattutto quando la politica preme. Il rapporto della Commissione del Congresso sull’11 settembre, come sulle informazioni fornite all’Amministrazione Bush sull’Iraq e sulle armi di distruzione di massa, hanno messo in evidenza la mancanza di comunicazione fra diversi enti di intelligence (CIA, FBI, NSA), quando non c’è stata concorrenza al limite del sabotaggio, unita a una burocratizzazione spinta all’estremo.
Una fase di transizione, senza dubbio. A uscirne potrebbe contribuire anche il libro di Littell, se non altro per gli spunti di riflessione che il racconto propone.




© AGENZIA INFORMAZIONI E SICUREZZA INTERNA